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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICOTERAPIA

Area: Integrazione delle Psicoterapie

La dimensione mistica nell'esperienza psicoanalitica

di Salvatore Freni1



"Leggendo libro dopo libro il mondo intero è morto e nessuno può più divenire letterato. Chi semplicemente decifra una sillaba della parola 'amore'; quello è il vero letterato... L'amore è un raggio segreto dello sguardo" ( Kabir, poeta e santo).

" La psicoanalisi dichiara: ecco un letterato chiaramente nevrotico; un filosofo ossessivo; un matematico quasi psicotico, un musicista autistico...E oltre, il territorio della mistica. Non la religione istituita. Ma la mistica come zona irriducibile, inassimilabile, refrattaria alla religione stessa. Apex mentis. Mistica che è nello stesso tempo rapporto percettivo, percezione possibile ad alcuni, se non comune a tutti. Molte mistiche? evitare i codici che, invariabilmente, da sempre rifiutano o sequestrano questi tipi di esperienze." (Fachinelli, 1989, p.24)

Premessa

Ricorrendo ad un uso molto libero, forse arbitrario, della Nachträglickeit, devo riconoscere che l'idea di proporre questo contributo alla riflessione dei colleghi psicoanalisti ha origini lontane e vicine contemporaneamente; nel senso che aspetti autobiografici ri-significati retrospettivamente, durante e dopo l'esperienza psicoanalitica personale e nel lavoro psicoanalitico comune con pazienti e colleghi, si sono variamente inter-connessi con elementi provenienti dallo studio teso ad integrare teorie e modelli psicoanalitici diversi. Tuttavia, se è vero che mi erano sufficientemente chiari i moventi personali, non altrettanto chiari mi sono apparsi, all'inizio, i possibili nessi tra alcuni costrutti teorici e di teoria della tecnica della psicoanalisi e talune elaborazioni dottrinali e di pratiche meditative tradizionalmente ascritte alla mistica. Così, già invischiato nel ginepraio dei modelli psicoanalitici, mi sono trovato ancor più intrappolato, essendo di gran lunga meno attrezzato sul piano delle relative conoscenze, nel ginepraio o, meglio, per essere più in tema, nel roveto ardente della mistica.

Infatti ho subito scoperto che anche nella mistica, più che in psicoanalisi, esistono numerosi problemi e divergenze concettuali, talora radicali, tra studiosi e tradizioni di pensiero persino nella definizione del termine.

Ho dovuto quindi ricorrere allo studio di testi specifici, all'aiuto di studiosi esperti ( voglio qui citare e ringraziare particolarmente: Marco Vannini, ritenuto in Italia uno tra i maggiori studiosi di Meister Eckhart, avendone curato l'edizione italiana di quasi tutte le opere; Anthony Molino, antropologo e psicoanalista italo-americano ora residente in Italia, che ha pubblicato due libri dove è ampiamente trattato il rapporto tra psicoanalisi e buddhismo, tema in continua crescita nell'ambiente psicoanalitico americano e inglese; Corrado Pensa, docente di Religioni Orientali all'Università "La Sapienza" di Roma) e alla partecipazione a convegni ( ad es. Mistica, Oggi. Firenze 23 ottobre 1999).

Anche la letteratura psicoanalitica e, ancor più, quella psicologica, contrariamente a quanto si pensa comunemente, sono molto ricche di titoli che propongono la questione del rapporto tra mistica e psicoanalisi; tuttavia persistono ancora elementi di confusione tra la dimensione "mistica" dell'essere umano in quanto tale, la fenomenologia dell'esperienza mistica e l'espressione di credenze e riti delle diverse religioni tradizionali e delle cosiddette "nuove religioni" ( New Age, Next Age ecc.). Poiché in questa prima presentazione del mio lavoro, l'obiettivo predominante è quello di delimitare il campo concettuale e pratico in cui situare la questione del rapporto tra mistica e psicoanalisi o, meglio, la questione di una mistica psicoanalitica come dice Eigen (1998), ho rinunciato a cercare in modo accurato la bibliografia esistente, facendo una scelta di campo tra gli studi che ho potuto consultare o che mi sono apparsi interessanti. Pertanto mi scuso con i colleghi italiani che hanno scritto su questi argomenti e mi impegno fin d'ora a riguardare la letteratura esistente nelle successive elaborazioni di questo tema che mi sembra di straordinario interesse scientifico e fascino intellettuale oltre che estetico. In particolare penso all'opera di Davide Lopez e alla sua teorizzazione della Persona e dell'Etica della Persona e alle sue connessioni con il significato simbolico del fato e delle divinità greche e con le figure di Buddha, di Zarathustra e dell'oltre-uomo nietzschiano. Voglio però ringraziare il dott. Giuseppe Di Chiara per avermi dato generosamente copia del suo lavoro (non ancora pubblicato) Gli affetti nella relazione analitica. Nota sulla metapsicologia del misticismo; esso mi è stato molto utile perché mi ha aiutato a delimitare meglio il tema di cui mi occupo qui; il ringraziamento è duplice perché ho avuto la piacevole sorpresa di trovare il mio nome tra quelli delle persone che ha sentito vicine nel suo lavoro; ringrazio anche il dott. Franco De Masi per avermi fornito il testo del lavoro di Emmanuel Ghent (1990) molto interessante per la diagnostica differenziale tra l'abbandono, la resa, l'arrendevolezza del meditante e/o del mistico e la sottomissione e il masochismo inteso come una perversione della rinuncia, del distacco, del non attaccamento del sannyãsin ( il rinunciante ); temi che verranno chiariti più avanti per la forte analogia con lo stato mentale richiesto all'analista nella realizzazione del suo setting mentale e all'analizzante allorché si abbandona fiduciosamente all'esperienza e alla relazione psicoanalitiche rinunciando coraggiosamente alla sua corazza difensiva, accettando con pari disposizione e tolleranza la gioia e il dolore connessi all'esplorazione autentica dell'ignoto e all'esposizione, talora disturbante e terrorizzante, al vuoto.

Alcune precisazioni su concetti e termini.

Bisogna convenire sul fatto che i termini mistica2, mistico e misticismo sono forse inadeguati e fonte di confusione perché iper-inclusivi (almeno nella rappresentazione più comune) di concetti, fenomeni, stati della mente profondamente diversi; inoltre sono associati sgradevolmente a mistificazione, termine spesso utilizzato per descrivere talune manifestazioni psichiche e somatiche (in particolare manifestazioni orgastiche, che fanno parlare di mistificazione della sessualità o di estasi laiche) più o meno associate all'esperienza mistica o ad uno stato di coscienza mistica o di contemplazione non costituendone però la condizione essenziale. Infine sono riportati in letteratura vari gradi di estensione del concetto di mistica, da quello più riduttivo degli studiosi religiosi che sostengono che non si dà mistica se non all'interno delle religioni istituite (principalmente le religioni monoteistiche, l'induismo, il taoismo, con la tendenza ad escludere il buddhismo in quanto non definibile una vera e propria religione); a quello più esteso, ma al contempo ristretto sul piano filosofico e laico, relativo ad "una particolare forma di consapevolezza, da cui sorgono determinati tipi di esperienza che sono affini - ma che non vanno confusi od equiparati - a quelli che sono definiti 'religiosi'; essa dà luogo a una speciale forma di 'spiritualità' (nel senso più ampio del termine) e a una disposizione a investigare e interpretare l'universo in una maniera caratteristica...ipotesi probabile che questa "coscienza mistica" sia, per sua natura, in qualche modo uno sviluppo e un'estensione della coscienza razionale, portando a un'espansione e a un'intensificazione delle capacità percettive, e possedendo una qualità noetica, attraverso cui si ottiene una conoscenza del 'realÈ che non può essere raggiunta tramite la coscienza razionale"( Happold, 1963, p.12).

Questa è certamente la dimensione della mistica intesa nel senso più quotidiano, caratteristica essenziale dell'essere umano, di cui a chiunque è dato fare esperienza occasionalmente, sia in condizioni ordinarie (innamoramento, contatti significativi con la religione, esperienze estetiche intense sia artistiche che nel contatto con la natura ecc.) che straordinarie (malattie, traumi, droghe ecc.); un'acquisizione stabile e permanente di tale dimensione richiede una disciplina al pensare auto-riflessivo e alla meditazione tradizionalmente riconosciuta quale tratto distintivo dei mistici (religiosi e laici). Oggi sembrerebbe essere la caratteristica fondamentale di coloro che si dedicano quotidianamentealla pratica della meditazione finalizzata all'espansione della consapevolezza; se questo fosse vero,gli psicoanalisti, in quanto impegnati quotidianamente come terapeuti laici delle vecchie e delle nuove malattie dell'anima (Kristeva, 1993), non possono non essere mistici perché risulta ormai a tutti evidente che "...non c'è storia che sia psicoanalitica, che non abbia in qualche misura l'orma di questa esperienza. Se poi teniamo conto dell'importanza che, ancora seguendo Bion, attribuiamo a questa esperienza, perché avvengano trasformazioni effettive, dobbiamo aggiungere che nulla può farsi per il paziente che soffre senza questo difficile passaggio" (Di Chiara, non pubblicato). E con Eckhart possiamo aggiungere: "Fate attenzione voi tutti, persone dotate di giudizio! L'animale più veloce che può condurvi a questa perfezione è la sofferenza [...]. Il più saldo fondamento su cui può sorreggersi questa perfezione è l'umiltà" ( Eckhart, 1999, pp. 145-146).

È quindi evidente che il crocevia della confusione concettuale è rappresentato dal significato e dall'area di competenza non solo linguistica che siamo disposti a riconoscere a termini come religioso, psico(pato)logico, spirituale.

Infatti, quando la religione è intesa nelle forme delle religioni istituite, consacrate dalle Scritture e conformemente ad esse normate, si genera di fatto un'incompatibilità tra la concezione di un Dio posto in un luogo Altro da quello dell'Uomo e la concezione della Divinità intima all'Umanità, al contempo Altro da essa ma ad essa inestricabilmente connessa mediante la dialettica della negazione, la cui "forma espressiva propria è quella che Hegel chiamò "proposizione speculativa", ossia la proposizione che ingloba in sé gli opposti. Il significato di "speculativo" non è infatti, per il filosofo tedesco, altro se non quello che un tempo si chiamava "mistico". Ai suoi tempi, nota ancora Hegel, mistico suona come misterioso, ma bisogna dire che esso è misterioso solo per l'intelligenza finita (Verstand), e ciò semplicemente perché suo principio è l'identità astratta, mentre il mistico, ovvero lo speculativo, è l'unità concreta di quelle determinazioni che per l'intelligenza finita valgono solo nella loro separatezza e contrapposizione" (Vannini, 1999, p.11).

Nella concezione distaccata e soprannaturale di Dio, l'accesso a Dio, la Sua visione e l'unione con Lui sono limitati a pochi, i santi, i profeti, gli asceti, di solito umani segnati da esperienze di lutto e di perdita molto dolorosi, i quali, sottoponendosi a pene, privazioni, flagellazioni, fino all'imitatio Christi, seguono un percorso rigorosamente controllato dalla guida spirituale di religiosi, preposti a questo compito dalla gerarchia ecclesiastica, che, fin dai tempi di Dionigi Areopagita, classifica e differenzia gli iniziati in incipientes, progredientes, perfecti.

Essi, in stato di estasi, fanno esperienza di visioni, audizioni e "rapporti" vari con il divino e il diabolico che interferisce e contrasta l'unione amorosa con Dio.

In questa accezione più vicina al senso comune, il significato di mistico, mistica, misticismo include tutto ciò che ha a che fare con estasi (intesa nel senso di uscir fuori da sé, depersonalizzazione), allucinazioni, visioni e audizioni divine, rivelazioni, doni e grazie divini, pratiche e riti esoterici, iniziatici, con finalità soteriologiche. E gli studiosi, in tal caso, parleranno di "mistica del sentimento", "mistica nuziale" o "unitiva", "mistica dell'Amore", distinguendola in modo rigoroso dalla "mistica dell'essenza" o "speculativa".

A proposito di "mistica dell'Amore", bisogna riconoscere che essa ha conosciuto il massimo splendore grazie al sufismo islamico. I sufisti (sufi=mistico) hanno scritto opere filosofiche e poetiche di straordinaria bellezza e profondità emotiva, cui hanno attinto generazioni di artisti (letterati, musicisti ecc.) dell'Occidente. Questo vale in genere per tutta la produzione intellettuale legata a santi, sapienti, poetie filosofi mistici, per la loro straordinaria capacità di esprimersi con un linguaggio metaforico; ciò che fa dire a Borges: "forse la storia universale è la storia della diversa intonazione di alcune metafore"; mi piace qui ricordare una delle più celebrate nella letteratura, riportata come II ne Il libro dei ventiquattro filosofi ( Adelphi, 1999 ) che dice: "Dio è una sfera infinita, il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo".

Un'altra distinzione tradizionale presente in letteratura [cfr. ad esempio Egan (1984), citato da Meissner (1992) ed anche Forman (1999)] classifica l'esperienza mistica in apofatica3 e catafatica4: la tradizione apofatica, la via negativa, in pratica coincide con la mistica dell'essenza o speculativa, orientata verso il "far vuoto dentro" per favorire l'avvento dell'Altro/Dio, che viene raggiunto meglio, perciò, per negazione, dimenticando, e non conoscendo, in un'oscurità della mente, senza il supporto di concetti, immagini, e simboli; la quiete, la calma, la pazienza, l'umiltà e il silenzio sono congeniali a tale via.

Il misticismo catafatico, la via affermativa, enfatizza la somiglianza che esiste tra Dio e le creature. Poiché Dio può essere trovato in ogni cosa, la via affermativa raccomanda l'uso di concetti, immagini e simboli come mezzi per contemplare Dio; ad essa sono associati eventi somatici di vario genere (talvolta anche le stimmate), allucinazioni, visioni, allucinosi, audizioni, stati di estasi più o meno prolungati, sapori, odori, ecc.

In tal senso, per esempio, Ignazio di Loyola, Teresa d'Avila, rientrerebbero nella tradizione catafatica, mentre Meister Eckhart, Giovanni della Croce (non totalmente), Dogen, al-Hallaj, Bernadette Roberts, Shankara, il Buddhismo in quella apofatica.

Secondo Vannini (1996, 1999) solo alla "mistica dell'essenza " o "speculativa" andrebbe riservato il concetto autentico di mistica poiché solo questa si pone nella dimensione dello spirito, quando si accetti la tripartizione dell'antropologia classica "corpo-anima-spirito", soprattutto con la rigorosa distinzione - anzi, opposizione - tra anima e spirito. "Mistica" significa anzitutto conoscenza di sé, conoscenza del vero "fondo" dell'anima, che è lo spirito, secondo l'insegnamento dell'Apollo delfico: "Conosci te stesso, e conoscerai te stesso e Dio".( Vannini, 1999, p.19).

Ma tale conoscenza non può essere raggiunta dall'anima/psiche stando all'interno di essa, ma attraverso una disciplina del distacco, del non-attaccamento, rispetto all'Io inteso nel senso psicologico, giacché lo stesso atto di riconoscimento dell'amor proprio, attorno a cui si articolano i contenuti psicologici adeguati alle molteplici circostanze, presuppone un'uscita dallo psicologico.

"....il concetto di io nella storia della filosofia compare propriamente con Eckhart, ma in quanto in lui Io significa non l'impossibile soggetto psicologico, ma l'universale Sé. Perciò la morte mistica, con cui l'uomo abbandona le sue Eigenschaften, ovvero la sua accidentalità psicologica, è anche l'atto che fa emergere veramente l'Io, in quanto l'uomo si eleva all'universale. Non a caso Eckhart chiama l'io "pura sostanza", cui non ineriscono accidenti, libera da ogni elemento estraneo.

Va sottolineato che l'io universale, in cui si effonde l'anima, è assolutamente impersonale, giacché ogni distinzione personale deve essere scomparsa, se l'anima deve giungere nel suo fondo, nel " silenzioso deserto della nuda divinità" dove non c'è posto per niente di determinato. È questo un elemento che separa Eckhart dalla tradizione patristica, e lo apparenta invece al buddhismo" (Vannini, 1996, p.102).

Solo nel distacco, che Nietzsche chiamerà disprezzo, l'"uomo nobile" attraverso la pratica dell'umiltà, raggiunge il "fondo dell'anima" e viene investito dalla grazia, cioè dallo spirito.

In tal senso la mistica "del sentimento" o "nuziale" differisce radicalmente da quella "dell'essenza" in quanto l'anima/psiche è ancora pervasa da istanze appropriative e rimane sostanzialmente legata alla sua dimensione psico(pato)logica, mentre la "morte mistica dell'anima/psiche" raggiunta attraverso la pratica della negazione di desideri, di conoscenza, di attaccamenti introduce alla dimensione dello spirito, cioè all'esperienza della dialettica degli opposti e alla loro sintesi armonica superiore, all'esperienza dell'Uno, la Realtà Ultima, come principio unificante; in tale condizione sono possibili stati di estasi ma non obbligatoriamente, poiché l'estasi5, in quanto uscita fuori da sé, è indissolubilmente legata all'en-stasi, cioè al movimento verso il "fondo dell'anima". Se fossimo concordi nel ritenere che "il fondo dell'anima" è l'inconscio, con Eraclito, potremmo tranquillamente sostenere che nell'inconscio "Una e la stessa è la via all'in su e la via all'in giù".

Inoltre si tratta di una mistica del quotidiano perché il distacco non implica isolamento o alienazione rispetto al mondo ma una continua assunzione di consapevolezza di ciò che è accidentale e ciò che è essenziale nel sé, nel mondo e nella quotidianità.

Quindi una mistica del percorso e una mistica del discorso, o, meglio, una mistica del dialogo, del dίa-Lόgos di Eraclito, Parola, Pensiero, Ragione "tra" umano e divino, finito e infinito, creatura e creatore, che consente al mistico di superare le aporie del pensiero umano ordinario di fronte all'apparente inconciliabilità delle coppie di opposti identico/diverso, uno/molteplice, finito/infinito, animato/inanimato, conscio/inconscio, asimmetrico/simmetrico, heimlich/unheimlich.

Attraverso l'atto di Fede, il mistico si costituisce come contenitore del pensiero senza differenze tra contenitore e contenuto.

Concludendo questo breve e inevitabilmente carente tentativo di chiarificazione di concetti e termini relativi al "mistico", seguendo il suggerimento di Corrado Pensa (gennaio 2000, comunicazione personale) sono convinto che potremmo superare le difficoltà insite nei sistemi classificatori, che suscitano sempre delle legittime diffidenze, adottando il concetto di ricerca spirituale, come trasversale a tutte le mistiche, accomunate dal fatto che tutte utilizzano un qualche metodo di meditazione finalizzata al raggiungimento ed all'espansione della consapevolezza di sé attraverso una pratica sistematica di non attaccamento, cioè di disinvestimento di tutti i desideri, memorie, nostalgie, per la realizzazione di uno stato mentale comunemente e impropriamente chiamato "illuminazione" con finalità soteriologiche; se poi con spirito fossimo disposti ad intendere, come sembra proporre Mark Epstein (1995), ciò che Bion ha definito "pensiero senza pensatore", anche la psicoanalisi assumerebbe uno statuto di scienza mistica o intuitiva, oltre a quello più consueto di scienza euristica su cui tutti concordano.

Il percorso qui è inteso come "sentiero spirituale" che "significa tracciare un sentiero, non seguirne uno; è un processo molto personale, unico per ogni individuo" (Epstein, 1998, p.103).

È impressionante l'analogia tra la procedura della meditazione mistica e la procedura di ricerca euristica che secondo Moustakas (1990) è essenzialmente basata su concetti e processi di ricerca differenziati in:

  • Identificazione con il focus di indagine
  • Dialogo interiore
  • Conoscenza tacita
  • Intuizione
  • Permanenza
  • Focalizzazione
  • Sistema di riferimento interiore

E le fasi della ricerca euristica sarebbero identificabili in:

  • Impegno iniziale
  • Immersione
  • Incubazione
  • Illuminazione
  • Spiegazione (esplicazione)
  • Sintesi creativa

Forman (1999), studiando dal punto di vista fenomenologico lo stato di coscienza mistica in relazione al contributo conoscitivo che può dare rispetto alla comprensione di ciò che noi chiamiamo coscienza e consapevolezza, ritiene che le esperienze mistiche possano essere considerate come una forma semplificata di coscienza umana. Cercherò di riassumere brevemente il suo studio, in verità molto complesso, rimandando per ulteriori approfondimenti al lavoro qui citato e al suo volume Mysticism, Mind, Conscioussness (Forman, 1999a).

Normalmente le nostre menti sono un coacervo di pensieri, sentimenti, sensazioni, desideri, brani di canzoni, dolori, pulsioni, sogni ad occhi aperti e, ovviamente, la coscienza stessa più o meno consapevole di tutto ciò. Per comprendere la coscienza in sé la cosa ovvia da fare dovrebbe essere spazzar via quanto più possibile di questi detriti e rumori interni.

Ne risulta che i mistici sembrano fare esattamente ciò. La tecnica che la maggior parte di essi usa è una qualche forma di meditazione o contemplazione. Si tratta comunque di procedure che riducono sistematicamente l'attività mentale; durante la meditazione si rallenta il processo del pensiero; i pensieri si riducono e si fanno meno intensi; il soggetto diventa totalmente percettivo, libero da pensieri e pienamente conscio. Queste esperienze, definite eventi di pura coscienza, sono state identificate in tutte le tradizioni meditative e anche se possono accadere occasionalmente a qualunque persona, possono diventare sufficientemente stabili in persone dedite a tali esperienze.

L'autore differenzia tre fenomeni mistici:

  1. Eventi di pura coscienza.
  2. Stato mistico dualistico.
  3. Stato mistico unitivo.

Le esperienze mistiche avanzate condurrebbero ad una combinazione di regolari eventi di pura coscienza associati ad una minimizzazione della relativa intensità di emozioni e pensieri. Quindi, nel tempo, diminuiscela compulsività o l'intensità di investimento rispetto a tutti i desideri. Tale disinvestimento degli attaccamenti emotivi significa che, nel corso degli anni, il meditante può raggiungere uno stato di quiete, di silenzio interiore (il mistero del silenzio direbbe Vimala Thakar, 1988) di cui è pienamente consapevole mentre contemporaneamente può pensare e rispondere al mondo esterno.

Ciò che persiste in tale stato di "vuoto" è la coscienza in sé, coscienza senza contenuto, cioè la "pienezza della coscienza nel vuoto", ottenuta attraverso la pratica del non attaccamento a desideri, memoria, conoscenza. Ciò corrisponde alle raccomandazioni di Eckhart, dell'Induismo e del Buddismo, assunte da Bion da un vertice psicoanalitico. Nella letteratura buddhista ricorre il termine sunyata (vuoto), o quello più famoso samadhi (meditazione senza contenuto). In tal senso sarebbe più corretto distinguere "coscienza e consapevolezza" di un qualche contenuto da "coscienza pura e consapevolezza pura" prive di contenuti intenzionali.

Lo stato mistico dualistico è molto prossimo a quello di "sentimento oceanico " che, come vedremo più avanti, Romain Rolland suggerì a Freud di considerare dal punto di vista psicoanalitico, distinguendolo dai comuni sentimenti religiosi. Definisce una condizione permanente di quiete, calma, silenzio interiore anche quando si è coinvolti in pensieri e attività rivolte al mondo esterno. Il soggetto rimane consapevole del proprio stato di coscienza, mentre simultaneamente è conscio di pensieri, sensazioni, azioni. Eckhart parla di nascita della parola nell'anima e usa la metafora della porta e del suo cardine per descrivere l'uomo esteriore (l'anta della porta) che agisce con i sensi nel mondo e l'uomo interiore (il cardine) che contemporaneamente al movimento dell'anta della porta rimane immobile ( Eckhart, Del distacco, in Dell'uomo nobile, Adelphi). È associato, di solito, ad un sentimento di espansione dei confini del sé.

Lo stato mistico unitivo riguarda una condizione di unità della propria consapevolezza per se stessa con gli oggetti intorno, un senso immediato di unità quasi fisica tra sé, gli oggetti e gli altri. Questo senso di unità tra sé e gli oggetti, in assenza dei comuni confini tra le cose, richiama le descrizioni di Plotino, di alcuni buddhisti, di Krishnamurti ecc. Questa "aspazialità" della consapevolezza confermerebbe l'ipotesi secondo la quale la consapevolezza è come un campo che trascende i confini corporei e può interconnettere il sé con gli oggetti esterni, qualcosa di simile ai campi energetici della fisica dei quanta. Ciò pone la questione del rapporto tra cervello e consapevolezza, nel senso che il cervello potrebbe funzionare come un magnete che genera un campo di consapevolezza che a sua volta travalica i confini del cervello; oppure, al contrario, il campo di consapevolezza trascende il cervello dell'individuo, nel senso che i neuroni possono ricevere, guidare, incanalare la consapevolezza che però rimane qualcosa che li trascende; una sorta di ricevitore e trasformatore del campo di consapevolezza più che il suo generatore. Alcuni autori, per spiegare il fenomeno della coscienza e della organizzazione e consapevolezza del Sé invocano i qualia, intesi come unità elementari delle essenze degli oggetti. (cfr. Ramachandran e Hirstein,1999)

Nelle varie descrizioni degli stati di coscienza mistica viene messo in risalto il fatto che non si tratta di discontinuità esistenziale, il soggetto non diventa un altro, non ignora, non denega la precedente identità; il tratto discriminante è piuttosto un profondo spostamento della struttura epistemologica del soggetto: la relazione esperita tra il sé e gli oggetti, la loro percettività, cambiano profondamente e in molte persone tale nuovo orizzonte epistemico diventa permanente.

Alcune note su Mistica e Psicoanalisi.

I brevi e decisamente incompleti tentativi di semplificazione di alcuni concetti relativi alla tradizione mistica mi servono per verificare in quale misura importanti costrutti teorici della psicoanalisi e alcune procedure tecniche hanno qualcosa in comune con la mistica o comunque con fondamentali intuizioni presenti nella mistica occidentale ed orientale, laica o religiosa.

Credo sia definitivamente condivisa l'idea che la stessa fondazione della psicoanalisi dovesse essere realizzata necessariamente da un ebreo ateo della Diaspora, come Freud stesso sostiene in Le resistenze alla psicoanalisi (1924): " ...forse non è stato un fatto puramente casuale che il primo esponente della psicoanalisi fosse un ebreo. Per aderire alla teoria psicoanalitica bisognava avere una notevole disponibilità ad accettare un destino al quale nessun altro è avvezzo come l'ebreo: è il destino di chi sta all'opposizione da solo " (Opere, vol. X, p.58).

Egli infatti si pone in un atteggiamento di ritiro, negazione, distacco, sia nei confronti della maggioranza della società in cui vive in quanto rappresentante di una minoranza, sia rispetto alla minoranza di appartenenza rifiutando il legante fondamentale di tale minoranza, la religione, e mantenendo al contempo una grande apertura verso lo studio della scienza, dell'arte, della filosofia, dell'estetica, della religione stessa e del mito.Sarebbe una forzatura vedere già in questo atteggiamento fondativo un fulgido esempio di "mistica dell'essenza o speculativa", quella stessa per cui Eckhart, Giovanni della Croce subirono processi e per cui la beghina Margherita Porete venne arsa sul rogo come eretica nella Parigi del 1310, lasciando uno straordinario libro (cfr. ediz. it., 1994) che sicuramente influenzò il suo contemporaneo Eckhart?

Non potrebbe trattarsi di un caso di stato mistico dualistico da cui si difende razionalizzando?

Regge il ritiro, l'isolamento, sviluppa "capacità negativa", interpreta in chiave laica la religione dei padri, utilizza in modo straordinario tutta la tradizione dell'interpretazione dei testi sacri, tratto distintivo della cosiddetta mistica ebraica6 e che Marc-Alain Ouaknin (1992) in un interessante saggio chiama la lettura infinita per sottolineare la straordinaria capacità sviluppata nel corso dei secoli dal popolo ebreo, specialmente quello della Diaspora, nell'arte della interpretazione e dell'insegnamento attraverso aneddoti e metafore, arte fondata su un continuo processo di decostruzione di senso e (ri)-costruzione di nuovi significati e nuove varianti narratologiche.

È lecito quindi sostenere che Freud disponesse dell'attrezzatura euristico-ermeneutica necessaria ad esplorare il non-luogo dell'inconscio, forse l'En-sof (= il senza fine).

Tutti gli studiosi di mistica concordano nel ritenere che Freud, forse a causa del suo ateismo radicale o perché riteneva di fondare la nuova scienza su solide basi positivistiche, trattò mistico e religioso come unica categoria dello spirito, liquidando definitivamente entrambi nella categoria dello psico(pato)logico, quale espressione dell' illusione (infantile, e con una connotazione negativa) legata all'idealizzazione del Padre, alla ricerca della sua protezione onnipotente, all'espiazione della colpa per l'assassinio originario del padre primitivo, al tabù dell'incesto ecc., tutto ciò quale tributo che gli individui devono pagare allo sviluppo (presuntoo reale che sia) della civiltà.

In sostanza, si potrebbe sostenere che lui, ateo, si allineò paradossalmente alla tradizione delle gerarchie ecclesiastiche delle religioni monoteistiche per cui non si dà mistica se non all'interno delle religioni istituite, condannando come eretica qualunque divergenza.

La questione del rapporto tra mistica e psicoanalisi nell'opera di Freud è legata al suo rapporto con Romain Rolland7, a quell'epoca un personaggio straordinario, di 10 anni più giovane di Freud.

Tra i due si stabilì un legame di reciproca stima e ammirazione per tutta la vita, sia pur testimoniata da un relativamente scarso numero di lettere.

A Rolland, Freud deve la sua elaborazione del cosiddetto "sentimento oceanico". La metafora oceanica, l'oceano come simbolo dell'illimitato unico, dell'unità in cui le molteplicità si dissolvono e gli opposti coincidono, è molto diffusa in tutte le tradizioni mistiche per descrivere la scomparsa dei limiti dell'Io. Tra i mistici cristiani ricorre spesso l'espressione:"Io vivo nell'Oceano di Dio come un pesce nel mare". È probabile che Rolland abbia assunto questa espressione da Ramakrishna che per descrivere l'ineffabile utilizzava spesso la metafora della bambola di sale, misura della profondità dell'oceano: "non appena entrata nell'oceano, cominciò a fondersi. Allora chi è in grado di ritornare e dire la profondità dell'oceano?" (Kakar in Clèment e Kakar, 1993, p.98). Metafora esemplare di stato mistico unitivo o anche di mistica della natura o di misticismo dell'infinito?

Fu Freud ad avviare la relazione chiedendo a Edouard Monod-Herzen (9 febbraio 1923):"poiché Lei è amico di Romain Rolland, mi permetto di pregarLa di dirgli una parola di rispettosa venerazione da parte di uno che lui non conosce."

Vorrei tentare ora di riassumere il dibattito, che si accende tra questi due grandi personaggi, circa l'opportunità di considerare l'istanza mistica come espressione della natura umana più profonda, da distinguere dalla religione socialmente determinata e usata dalle istituzioni in modo inautentico (posizione di Romain Rolland) e la sua non sostanziale differenziazione rispetto alla credenza religiosa, quale espressione di nevrosi o di anelito regressivo dell'uomo all'unione narcisistica primaria al seno materno (posizione di Freud), per le conseguenze che avrà sulla successiva evoluzione del pensiero psicoanalitico in forma latente o manifesta.

Mi servirò per questa sintesi del bellissimo volume di Parsons8 (1999) a cui rimando per un adeguato approfondimento.

La corrispondenza tra Freud e Rolland va da febbraio 1923 a maggio 1936, intervallata da scambi di libri e di auguri. Da subito si differenziano le parti: Rolland creatore di illusioni e credente in una religione laica fondata sull'amore per l'umanità, la natura, la pace, dichiaratamente laico rispetto alle religioni istituite. Aveva realizzato una condizione permanente di coscienza mistica dualistica che gli permetteva di mantenere un profondo stato di calma e di benessere interiore e al contempo l'intensità della sua straordinaria operosità nel mondo. Egli definisce Freud (22 febbraio 1923) "il Cristoforo Colombo di un nuovo continente dello spirito" e, ironicamente,dopo la lettera di Freud del 4 marzo 1923 gli invia il suo scritto Liluli con la dedica "a Freud il distruttore di illusioni". Freud, infatti, gli aveva scritto: "...il Suo nome è legato per noi alla più preziosa di tutte le belle illusioni, quella dell'estensione dell'amore a tutte le creature umane [...]ho effettivamente impiegato una gran parte del lavoro della mia vita (ho dieci anni più di Lei) a distruggere le illusioni mie e dell'umanità.[...]i miei scritti non possono essere quel che sono i suoi: consolazione e ristoro per chi li legge". In occasione del proprio 70º compleanno (29 gennaio 1926), in risposta agli auguri formulati poeticamente da Rolland gli scrive: "Uomo indimenticabile, a prezzo di quali fatiche e sofferenze, Ella è salito a un tale culmine di umanità!

Molti anni prima che ci vedessimo, La stimavo come artista e apostolo dell'amore per gli uomini. Anche io accettavo l'amore per gli uomini, non per motivi sentimentali o per un'esigenza ideale, bensì per ragioni disincantate, economiche, perché ho dovuto definirlo, data la natura dei nostri impulsi e dell'ambiente, indispensabile alla conservazione della specie umana, come la tecnica.

Quando poi, finalmente, feci la Sua conoscenza personale, fui sorpreso di scoprire che Ella sa stimare così altamente il vigore e l'energia e che in Lei è incarnata tanta forza di volontà".

È nella lettera del 5 dicembre 1927 che Rolland chiarisce la propria posizione rispetto a Freud, dopo la lettura di L'avvenire di un'illusione, che Freud gli aveva inviato.

Si dichiara d'accordo per l'analisi della religione, ma avrebbe voluto che Freud analizzasse il sentimento religioso spontaneo o, più esattamente, il sentire religioso, che è totalmente differente dalle religioni nel senso stretto del termine e molto più durevole...totalmente indipendente da ogni dogma, da ogni credo, da ogni organizzazione chiesastica, da ogni libro sacro... il semplice e diretto fatto del sentimento dell'eterno che può benissimo non essere eterno, ma semplicemente senza limiti percepibili, come oceano. Tale sensazione è certamente soggettiva, ma è condivisa da milioni di persone con milioni di sfumature individuali ed è possibile sottoporla ad analisi con esattezza approssimativa. È convinto che Freud la classificherà sotto le Nevrosi d'angoscia. Ma egli ne esalta il potere benefico e arricchente, ed è riscontrabile tra le anime religiose in Occidente, cristiane e non cristiane, come pure in Oriente. Sta per preparare la biografia di Ramakrishna e di Vivekananda. Egli stesso ha molta familiarità con questa sensazione ed ha trovato sempre in essa una sorgente di rinnovamento vitale. In tal senso può dirsi "religioso" e può vivere contemporaneamente la vita della ragione critica (che è priva di illusioni). Aggiunge che questo sentimento "oceanico" non ha niente a che fare con i suoi desideri. Ma il sentimento si impone alla sua coscienza come un fatto. Esso è un contatto. E avendo constatato che esso è presente in un gran numero di persone, ciò lo ha aiutato a comprendere che esso era la sorgente sotterranea della energia religiosa che, in seguito, è stata raccolta, canalizzata e prosciugata dalle Chiese, per dire che è all'interno delle Chiese che il vero sentimento religioso è meno disponibile.

Nel 1929 (14 luglio) Freud gli risponderà che il sentimento "oceanico" non gli aveva dato pace e che in un nuovo lavoro ( Il disagio della civiltà, 1929) cita il sentimento oceanico e tenta "di interpretarlo nel senso della nostra psicologia"; dice che il lavoro finisce col parlare di altre cose, felicità, civilizzazione, senso di colpa. Chiede il permesso di utilizzare il suo nome.

Rolland (17 luglio 1929) si dichiara onorato che il sentimento oceanico lo abbia stimolato a fare una nuova ricerca; dice di non essere certo di ricordare bene quello che aveva sostenuto, ma che in ogni caso non lo ritratta. Dice che è impegnato in un'opera in 3 volumi dedicata al misticismo indiano e che ha potuto appurare una forte sovrapposizione concettuale con l'occidente. Dice infine che Oriente ed Occidente sono le rive dello stesso fiume di pensiero e che in entrambe le rive ha potuto riconoscere lo stesso "fiume oceano"...

Freud ( 20 luglio 1929) lo ringrazia per il permesso accordato ma vuole accertarsi che sia consapevole di quanto ha scritto rimandandogli la lettera e però chiedendone la restituzione. Gli dice di non attendersi un apprezzamento del sentimento "oceanico", "tento semplicemente di dedurlo analiticamente, per così dire ne sgombro la mia strada.

In quali mondi, per me estranei, Lei non si muove! La mistica è per me qualcosa di precluso, come la musica. Non potrei immaginare di leggere tutto ciò che Lei, nella Sua lettera, dice di aver studiato. Come se ciò non bastasse, Lei invece può leggere nell'anima umana facendo meno fatica di noi...".

La risposta non tarda (24 luglio 1929)! Rolland dice che quanto aveva scritto corrisponde esattamente al suo pensiero attuale. Dice che difficilmente può credere che a Freud siano sconosciute mistica e musica. Perché "nulla di umano è ignoto a Lei". Pensa, invece, che egli diffida di esse, perché difende l'integrità della ragione critica, con cui controlla lo strumento. Egli, invece, fin dalla nascita, ha preso parte per entrambe le nature, critica e intuitiva, senza soffrire di alcun conflitto tra le loro opposte tendenze; perciò si può adattare ad "essere, credere e dubitare". È in questo che il musicista crea l'armonia tra forze rivali e nello stesso tempo trova in ciò la sua più grande gioia. Conclude citando, in greco, il grande mistico Eraclito : "l'armonia tra le forze opposte è quella che è la più bella".

La polemica si fa più aspra nella lettera del 19 gennaio 1930. Freud ringrazia Rolland per il dono della "Sua bifronte opera in tre volumi! (biografie di Ramakrishna e Vivekananda) Contrariamente ai miei calcoli, il mio libriccino "disagiato" l'ha preceduta di qualche settimana. Ora, sotto la Sua guida, cerco di penetrare nella giungla indiana, da cui fin qui mi hanno tenuto lontano l'amore ellenico per la misura- swjrosύnh- la spassionatezza ebraica e il timore filisteo, secondo un certo dosaggio. Invero, avrei dovuto osare prima, perché le piante di questo terreno non dovevano restarmi estranee; per un certo tratto avevo scavato alle loro radici. Ma non è facile superare i limiti della propria natura.

Naturalmente, ho scoperto subito la parte per me più interessante del libro, l'inizio, dove Lei polemizza con noi razionalisti radicali. Ho tollerato bene che lì mi abbia chiamato "grand"; non posso prendermela per la Sua ironia, quando è unita a tanta amabilità. Mi permetta alcune osservazioni sulla critica della psicoanalisi: la distinzione tra "estroverso" e "introverso" deriva da C. G. Jung, che è, anche lui, un mistico e da lunghi anni non è più dei nostri. Non attribuiamo ad essa particolare valore, e sappiamo benissimo che gli uomini possono essere le due cose insieme, e anzi di regola lo sono. Inoltre: le nostre espressioni, come regressione, narcisismo, principio del piacere, sono di natura puramente descrittiva, e non comportano alcuna valutazione. Negli eventi psichici, le direzioni del decorso si alternano e spesso si combinano, in modo che, per esempio, anche la riflessione è un processo regressivo, senza per questo perdere di dignità e di importanza. Alla fine, anche per l'analisi, si produce una scala di valori, ma il suo fine è semplicemente l'armonia superiore dell'io, che deve adempiere il compito di mediare con successo tra le pretese della vita istintiva ( dell'es ) e quelle del mondo esterno, dunque tra realtà interna e esterna. A quanto pare, siamo molto distanti l'uno dall'altro nella valutazione dell'intuizione; i suoi mistici si affidano ad essa, per apprendere la soluzione dell'enigma del mondo; noi crediamo che essa non ci possa mostrare se non gli stimoli primitivi, vicini agli istinti, e anche posizioni molto preziose, se rettamente intese, per una embriologia della psiche, ma inservibili per un orientamento nel mondo esterno a noi estraneo. Se dovessimo incontrarci di nuovo personalmente in questa vita, sarebbe bello discuterne. Ma da lontano un saluto affettuoso è meglio della polemica. Ancora una cosa: non sono uno scettico assoluto. Di una cosa sono pienamente certo: che cioè oggi non possiamo sapere certe cose ".

Rolland (3 marzo 1931) insiste ancora appellandosi a "senza desiderio, senza speranza, e senza paura" e ai precetti "sii ciò che devi" "diventa ciò che puoi". E per il sentimento oceanico dice che ha ricevuto moltissime lettere da varie parti del mondo che confermerebbero tale sentimento; ritiene che bisogna tenere in conto queste forze invisibili; la loro esistenza non stabilisce la loro verità, ma solo la loro realtà.

Freud (maggio 1931) infine può "confessare che non ho mai sentito la misteriosa attrazione da uomo a uomo così vivamente come nel Suo caso, forse ciò è collegato in qualche modo alla consapevolezza di tutte le nostre diversità". E nel 1936, per onorare il 70° compleanno di Rolland, gli dedicherà la straordinaria e autorivelatrice lettera aperta sul proprio disturbo di memoria sull'Acropoli.

Rolland così gli risponde (8 febbraio 1936): "non riesco a esprimerLe quanto sono stato toccato dalla Sua partecipazione in occasione del mio compleanno. Di tutti i motivi di gratitudine che ho nei confronti di Stefan Zweig, non è certo il minore quello di averci fatto incontrare, perché fu da quell'incontro di 10 anni fa che nacque la nostra amicizia. Lei sa che rispetto io ho per l'uomo che ho ammirato per tanto tempo, il cui sguardo senza paura è capace di penetrare le profondità dell'abisso interiore. Sono felice e fiero di avere questa amicizia.

La risposta che Freud crede di dare a Rolland con Il disagio della civiltà (1929) non chiude il suo discorso interiore sulla questione del misticismo perché lo ritroviamo nel 1932 in Introduzione alla Psicoanalisi (Nuova serie di lezioni): "Ci è anche facile immaginare che certe pratiche mistiche possano riuscire a rovesciare i normali rapporti fra i singoli territori della psiche, così che, per esempio, la percezione sia in grado di cogliere eventi profondamente radicati nell'Io o nell'Es, che le sarebbero stati altrimenti inaccessibili. Che per questa via si possa giungere in possesso della sapienza suprema, da cui ci si aspetta la salvezza, è lecito dubitare. Tuttavia bisogna ammettere che gli sforzi terapeutici della psicoanalisi seguono una linea in parte analoga. La loro intenzione è in definitiva di rafforzare l'Io, di renderlo più indipendente dal Super-io, di ampliare il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell'Es. Dove era l'Es, deve subentrare l'Io. È un'opera di civiltà....."( Opere, vol. 11, p.190).

Nel 1936, come ho prima accennato, in Un disturbo della memoria sull'acropoli: lettera aperta a Romain Rolland (Opere, vol. 11, pp. 473-481), in modo curioso e per certi versi inquietante dedica a Rolland, coetaneo del fratello con cui aveva fatto il viaggio ad Atene, questa confessione privata di una accurata analisi di un episodio che comunque ha a che vedere con Fede-Fiducia, credulità/incredulità, piacere/dispiacere, potenza/impotenza, heimlich/unheimlich, sentimento di estraniazione, depersonalizzazione, doppia coscienza, scissione della personalità, cioè la fenomenologia del perturbante, dell'inquietante. Non mi importa in questo contesto l'interpretazione che Freud alla fine si dà in termini di conflitto e sentimenti di colpa nei confronti del padre o tutte le interpretazioni che possiamo darne noi; mi interessa sottolineare il gioco che si genera tra emozioni e pensiero, apertura della rimozione e tentativo di negazione con tutti gli effetti di creatività sia rispetto alla creazione di pensieri nuovi, sia, contestualmente, rispetto al suo interlocutore, cioè al transfert e all'interpretazione che di tali fenomeni darebbe Rolland; cosa che richiama alla mente il primo interlocutore-analista, Fliess. Rimando alla lettura di Fachinelli (1989) per un approfondimento dell'analisi di questo scritto di Freud e alle acute osservazioni che egli propone.

Resta il fatto che Freud rimase turbato per molti anni da questo episodio (il viaggio avvenne nel 1904) e che solo ora, retrospettivamente, in relazione a Rolland, può analizzare sia pure mettendo in atto vari meccanismi di difesa (razionalizzazione, intellettualizzazione, negazione ecc.) che, mentre negano, confermano la sensazione che la chiusura rispetto al sentimento oceanico continua a tormentarlo ancora dopo 10 anni dalla provocazione di Rolland.

Si potrebbe a questo punto pensare che ciò che gli è precluso non è la (M)istica e la (M)usica ma l'ingresso nel (M)aterno, nel femminile, in ciò che per Ramakrishna diventa la visione diretta della dea Kalì, l'eterno femminino, che per Freud rimase il continente nero.

Nel 1938 in Risultati, Idee, Problemi così scrive: "Mistica: l'oscura autopercezione del mondo che è al di fuori dell'Io, dell'Es"(Opere, vol. 11, p.566).

E che dire del breve ma folgorante scritto La negazione del 1925 ? (Opere, vol.10, p. 197-201). Sembra infatti un piccolo saggio della tradizione mistica della via negativa, che vede nell'atto della negazione la nascita del pensiero autentico. Questione su cui insisterà Lacan con Hyppolite, il traduttore in francese della Fenomenologia dello Spirito (1807) di Hegel (Lacan, Scritti, vol II, p.885; Il Seminario, libro I p.65).

Forse la psicoanalisi post-freudiana si apre alla mistica perché contemporaneamente si apre al femminile, all'oscurità, al vuoto, al negativo; e perché, sul piano epistemologico, fa un salto di paradigma: da quello di una psicologia unipersonale, a quello bi-pluri-personale, intersoggettivo, transpersonale, transgenerazionale, di campo gruppale, ecc.

Il dibattito Freud-Rolland sulla mistica è di notevole importanza perché ha conseguenze riscontrabili nel panorama psicoanalitico attuale e influenza il modo di pensare la psico(pato)logia e la sua interpretazione.

Infatti, da questo punto di vista, Parsons (1999) distingue 3 indirizzi di pensiero: classico, adattativo, trasformativo.

Il primo interpreta il sentimento mistico unitivo come espressione patologica di regressione; tale atteggiamento ha costituito motivo di discredito della psicoanalisi da parte dei cultori della mistica e della pratica della meditazione; l'indirizzo adattativo enfatizza la dimensione adattativa e di cura dell'esperienza mistica rispetto al processo di lutto e al dolore della perdita dell'oggetto; l'indirizzo trasformativo, appoggiandosi, come teorici di riferimento, a Bion, Lacan, Winnicott, Kohut, sta realizzando interessanti approcci trans-culturali (un impressionante incremento di studi e di pratiche meditative e psicoanalitiche integrate, soprattutto tra psicoanalisi e buddhismo) ed enfatizza l'aspetto creativo e generativo di capacità di simbolizzazione e dipensiero libero ed originale. Forse il lavoro di Aberbach (1987)va collocato a metà strada tra il modello adattativo e quello trasformativo; egli infatti propone di vedere il misticismo come una condizione bidirezionale: la sofferenza, la perdita, il lutto non risolto, portano a cercare l'esperienza mistica; questa, a sua volta fornisce una cornice di riferimento adeguata ad elaborare il lutto, riparare la perdita, superare il dolore e tornare alla vita. Nel modello trasformativo si insiste molto sull'aspetto creativo, generativo di pensieri e visioni del mondo nuovi, originali e liberi da conformismo o da assoggettamenti masochistici.

Psicoanalisi mistica.

Quando riusciamo a ben differenziare Religione e Mistica, non suscita alcuna sorpresa o meraviglia accettare la definizione di psicoanalisti mistici riferendosi a Marion Milner, Winnicott, Bion e Lacan; ancor meno quella di mistico poeta dell'amore per Winnicott, mistico dell'essenza per Bion, mistico ironico per Lacan. Infatti ciascuno di essi, con il proprio stile, con il proprio bagaglio culturale e sotto il peso delle proprie vicende biografiche, che sempre hanno a che vedere con le madri e con le religioni di famiglia, porta nella propria teorizzazione dei costrutti teorici di base, degli a priori, che, sicuramente, provengono dalla tradizione mistica orientale od occidentale, laica o religiosa. Ed anche nell'atteggiamento tecnico traspare questa influenza. Cercherò brevemente con l'aiuto di una tabella riassuntiva e, fin dove possibile, comparativa di presentare gli elementi più caratterizzanti a livello di teoria metapsicologica e teoria della tecnica.

MODELLI TEORICI E DI TEORIA DELLA TECNICA AFFINI ALLA MISTICA IN

WINNICOTT

BION

LACAN

  1. Postula un'istanza creativa (psichica)primaria
  2. Pone l'illusione come positiva e fondamento del gioco e della creatività
  3. L'oggetto transizionale è posto "tra" sé/non-sé, interno/esterno (sembra il dίa di Eraclito o il "tra" della relazione Io-Tu di Martin Buber, "dal nostro punto di vista viene dall'esterno, ma non dal punto di vista del bambino. Né viene dall'interno; né è un'allucinazione"
  4. Afferma il valore positivo della distruttività "il soggetto dice all'oggetto: "Io ti distruggo", e l'oggetto è lì per ricevere la comunicazione. D'ora in poi il soggetto dice: "Ciao oggetto!" "io ti ho distrutto. "Io ti amo. Tu hai valore per me perché sei sopravvissuto alla mia distruzione. Mentre ti amo ti distruggo per tutto il tempo nella mia fantasia (inconscia)"
  5. Non c'è una localizzazione del sé mentale, e non c'è niente che possa essere chiamato mente
  6. Winnicott elaborò una teologia negativa del Sé in cui il Vero Sé non puòessere descritto,ma solo immaginato come tutto ciò che non è il Falso Sé (Phillips, pp.106-107)
  7. "il bambino mette uno e uno insieme ed inizia a vedere che la risposta è uno"
  8. il precursore dello specchio è il volto materno...il ruolo della madre (è) di restituire al bambino il suo sé
  9. Falso Sé/Vero Sé
  10. In una persona sana di mente c'è l'equivalente di qualcosa che corrisponde a "lo stato della persona scissa in cui una parte comunica silenziosamente con gli oggetti soggettivi. C'è spazio per l'idea che le relazioni e le comunicazioni significative siano silenziose", insomma esiste "l'uso sano della non-comunicazione nella creazione del sentimento del reale". Forse si tratta qui di stato di coscienza mistica dualistica!
  11. Rispetto per lo spazio privato del Sé; l'interpretazione deve fondarsi sul materiale ed essere come creata dal paziente, non la traduzione da inconscio in conscio da parte dell'analista; non invadenza; non frasi lunghe; illusione reciproca e comunicazione simile al gioco; il gioco finisce quando l'analista diventa dogmatico, produce indottrinamento e sottomissione
  12. Misticismo come forma di comunicazione segreta con un oggetto soggettivo appagante (The maturational process in the facilitating environment, 1965)
  13. 3 forme di comunicazione: "la comunicazione per sempre silenziosa, la comunicazione esplicita, indiretta e piacevole, e questa terza forma intermedia di comunicazione che scivola via dal gioco per entrare in esperienze culturali di ogni tipo". Il primo tipo " non è non-verbale; è, come la musica degli astri, assolutamente personale. Appartiene all'essere vivi." (Comunicare e non comunicare: studi su alcuni opposti; 1963)
  14. Oh Signore! Possaio essere vivo quando morirò. (Phillips,1988, p.29,1995.). Verrebbe naturale chiedersi se ancora voleva incontrare lo sguardo del Padrone Assoluto, la Morte.
  1. È l'analista mistico per eccellenza; fa propria (talora alla lettera) da un vertice psicoanalitico tutta la migliore tradizione sia occidentale (Platone, Plotino, Eckhart, Giovanni della Croce ecc.) che orientale (induista e buddhista)
  2. Postula e designa con O la realtà ultima, la verità assoluta
  3. Per accedere a O l'analista deve praticare una disciplina meditativa analoga a quella dei mistici:"deve diventare infinito grazie alla sospensione della memoria, del desiderio e della comprensione"
  4. "rendendosi artificialmente ciechi per mezzo dell'esclusione della memoria e del desiderio si raggiunge F". L'atto di Fede, F ci fa accedere al vertice psicoanalitico. Ci libera di queste particolarità che fanno di noi una creatura delle circostanze; ci conserva le funzioni invarianti che costituiscono "l'uomo ultimo irriducibile" (colui che è uno con la realtà ultima)
  5. L'interpretazione vera si riconosce dal fatto che deriva poco o affatto dalle esperienze, dalle conoscenze o dal carattere dell'analista che le enuncia
  6. Postula la religione in sé come <illusione di base> (Cogitations,p.369)
  7. "...F rivela e rende possibili esperienze spesso dolorose e difficili da tollerare per il singolo analista eil singolo analizzando" (1970,p.66)
  8. Paura specifica inerente alla trasformazione dal conoscere cose " a proposito" di O al divenire O; paura di impazzire nel senso della megalomania di diventare "Dio"(-K) invece di essere all'unisono con O; O rimane inconoscibile; possiamo saperne di più favorendo il suo movimento verso K, non il movimento di K verso O
  9. F ci rende aperti ai cambiamenti di O, anche se non siamo in grado di gestirli; noi incontriamo O non semplicemente come pace, gioia, ma turbolenza, talora catastrofe e dal momento che siamo O, parte di O lavoriamo tramite premonizioni di noi stessi. Se rimaniamo aperti all'impatto come meglio possiamo qualcosa accade. Noi cambiamo anche se non sappiamo cosa è accaduto, ne avremo qualche idea dopo che il cambiamento è accaduto e realizziamo che qualcosa ha creato una differenza e noi non siamo gli stessi. Ciò assomiglia all'idea induista secondo cui "il presente è il passato, il sogno è il presente, il vuoto interiore il futuro" (Eigen,1998)
  10. Bion inaugura lo studio psicoanalitico scientifico dell'esperienza mistica riportandola nella sua sede naturale: l'umano comune, nella sua vita quotidiana, obiettivo comune alla mistica dell'essenza e alla mistica buddhista
  11. Rimane aperta la questione se considerare trasformazioni in allucinosi solo dal vertice psicopatologico o anche dal vertice della sorgività del pensiero in cerca di un pensatore, in grado di fornire accoglimento e contenimento per favorire i successivi passaggi trasformativi.
  12. Capacità negativa, pazienza, fede in O costituiscono gli strumenti per far fronte a trasformazioni in allucinosi, non ancora disponibili all'interpretazione.
  1. Ha un'ottima conoscenza del pensiero di Lao-tzu e della mistica, soprattutto cristiana (in particolare Ekhart, Cusano, Suso, Giovanni della Croce ecc.) che gli giunge via Spinoza il suo autore preferito nell'adolescenza, Hegel, Heidegger, il suo maestro Kojève che tenne dei seminari straordinari su Hegel a cui parteciparono i migliori intellettuali di Parigi; il suo allievo Hyppolite tradusse La fenomenologia dello Spirito in francese
  2. Consiglia vivamente a coloro che si accostano alla psicoanalisi di leggere Il Pellegrino Cherubico di Angelus Silesius, da tutti definito il poeta di Eckhart. Nel Seminario, libro I, p.287, così dice: "è tempo che vi porga adesso il distico d'Angelus Silesius...'Contingenza ed essenza. Uomo, diventa essenziale: perché quando il mondo passa la contingenza si perde e l'essenziale sussistÈ. Proprio di questo si tratta, al termine dell'analisi, di un crepuscolo, di un declino immaginario del mondo e addirittura di un'esperienza al limite della depersonalizzazione. È allora che il contingente cade- l'accidentale, il traumatismo, gli strappi della storia - E l'essere viene a costituirsi. Non potrei consigliare mai abbastanza a chiunque faccia dell'analisi di procurarsi le opere d'Angelus Silesius
  3. Secondo Clèment (1981) così come Dionigi l'Areopagita aveva formulato una teologia negativa, così Lacan formula una psicoanalisi negativa
  4. L'Altro come Dio nascosto
  5. Essere parlato dalla Verità
  6. Sulla scia di Eraclito dirà: "Lasciar essere il logos o il significante"
  7. Il Reale come cosa in sé, inconoscibile
  8. La pratica del silenzio
  9. Il tempo logico della seduta, la cosiddetta "ora corta", il cui intento ed effetto è quello di risvegliare l'analizzante almeno momentaneamente dal mondo dell'Immaginario, il sogno, e favorire l'apparizione di qualcosa prossimo al Reale, una finestra aperta sull'inconscio
  10. Immaginario come l'"unità sé" di Winnicott, mondo di identificazioni e proiezioni
  11. Là dove es era (si era), l'io deve essere (è mio dovere ch'io venga ad essere); la psicoanalisi non ha il compito di sloggiare l'es a vantaggio dell'io (moi), ma deve al contrario permettere di situare ciascun elemento al posto che gli spetta. Il moi non è tutto l'ich, il quale si suddivide in un moi immaginario e in je enunciativo (Roudinesco, 1993, p.289)
  12. Desiderio e piacere come impedimento del godimento
  13. Il soggetto umano segnato dalla mancanza, dalla castrazione, decentrato e spiazzato dalla "sfilata del significante"
  14. Il Simbolico come luogo di mediazione tra Reale e Immaginario e sullo sfondo Lui, soggetto supposto sapere, che sorride come il Saggio Zen

Marion Milner nel 1973 (1987) aveva posto la questione di considerare cosa pensano gli psicoanalisti del misticismo anche perché aveva avuto pazienti che praticavano qualche forma di meditazione; giustamente sostiene che gli psicoanalisti dovrebbero essere molto interessati a questo tema per via della logica intrinseca all'esperienza mistica, logica della dialettica degli opposti, logica del conscio e logica dell'inconscio, che poi Matte Blanco, psicoanalista sicuramente mistico, chiamerà bi-logica (1975, 1988).

Mentre la maggior parte degli psicoanalisti lega l'emergenza della simbolizzazione con la perdita, Milner include questa ma associata alla pienezza di una sorta di esuberanza, espressiva della gioia orgasmica per l'esperienza creativa. Questa ha diverse fasi, angosciosa, depressiva, morta, vuota, come pure eccitante ed intensa.

C'è, in questo modo di vedere, un'implicita connessione tra il concetto di godimento di Lacan e il nesso della Milner tra vita simbolica e senso orgasmico di generatività. Per Lacan, la capacità simbolica funziona, in parte, come testimone, interrogante, interlocutore della nostra condizione lacerata, grandiosa (ciò può chiarire le "soluzioni" megalomaniche alla fusione ferita). Attraverso il simbolo, noi riflettiamo angosciosamente la fessura nel reale che la capacità simbolica istituisce. Annullare il gap, l'assenza, che è parte della mediazione simbolica, è pazzia. Si accede al godimento (piacere orgasmico-beatitudine-estasi) attraverso le tortuosità di un nastro di Moebius/anello di Boole9 della mente inconscia, in cui la rimozione primaria e la castrazione sono strutture costitutive.

Lo stesso fatto della simbolizzazione è già una sorta di castrazione nel cuore del Reale. Non importa quanto gioiosa sia la nostra gioia, essa avviene attraverso una lente oscurante. Nessun mistico direbbe altrimenti (Eigen, 1998, p.14).

Dobbiamo quindi convenire (e questa è una verità che la psicoanalisi ha trasferito dalla mistica alla scienza) sul fatto che il soggetto umano, tormentato ed estasiato dalla sua capacità simbolica, è per sua natura perennemente decentrato, psico(pato)logico, e questo è un punto di convergenza tra Bion (la psicoanalisi è una striscia sul manto della tigre, una parte della realtà più ampia, O, che rimane sconosciuta, forse inconoscibile. Ma anche se inconoscibile è la nostra casa. Non possiamo conoscere O, possiamo solo essere O, noi siamo parte di O) Winnicott [("ogni individuo è isolato, costantemente non comunicante, costantemente ignoto, di fatto non scoperto"; 1965, p.241). Troppa sanità uccide la spontaneità. Un po' di follia dà sapore alla realtà.] Lacan eMilner che, con Winnicott, sottolinea la follia rimossa delle persone sane (Milner, 1987).

Alcune analogie e differenze tra folle e mistico.

La tradizione psicoanalitica classica e la consapevolezza della schisi originaria costitutiva del soggetto umano hanno creato dei gravi pregiudizi tra gli psicoanalisti e tuttora parlare di psicoanalisi mistica, di psicoanalisti mistici, suscita un certo imbarazzo. In effetti, sostenere che talune manifestazioni della mistica "unitiva" (come ad esempio in Teresa d'Avila, Maddalena dei Pazzi, Ramakrishna ecc.) abbiano caratteristiche psicopatologiche simili a quelle riscontrabili in pazienti classificati come psichiatrici e ospitati in ambienti di ricovero e cura piuttosto che in conventi, non modifica di molto la questione della interpretazione teorica e dei possibili risvolti positivi per la cura.

Penso quindi che siano preziosi quegli studi comparativi che mettono in risalto analogie e differenze tra gli stati psicopatologici e gli stati di coscienza mistica. Ho trovato molto interessante lo studio di Catherine Clément e Sudhir Kakar (1993) che hanno messo a confronto il caso di Madeleine, una paziente che soffriva di crisi di estasi con visioni e unioni con Dio, ricoverata alla Salpetrière nel 1896 e curata da Janet che ha scritto 2 volumi sul caso (De l'angoisse à l'exstase, 1926, 1928) e quello di Ramakrishna, mistico e santo indiano, morto nel 1886. Entrambi soffrivano di visioni, allucinazioni, sintomi sicosomatici; Ramakrishna, posto in un ambiente protettivo, santificato grazie alla sua capacità mistica, riuscì a contenere la componente folle delle sue manifestazioni, per cui era possibile differenziare quando era mistico e quando era folle; Madeleine, invece, ricoverata in ospedale psichiatrico, curata da Janet, che non considerava l'aspetto simbolico delle comunicazioni della paziente e, non riconoscendo il valore della innovazione freudiana, usava come metro di riferimento della patologia il rapporto di realtà. Anche Hillman (1991) insiste sull'ineluttabilità della condizione psico(pato)logica dell'essere umano, in ciò costretto dall'ineludibile conflitto tra Ananke e Atena.

Quindi le analogie e differenze tra folle e mistico vanno ricercate nella sostanziale differenza rispetto a:

  • Il folle assume il reale alla lettera nei suoi aspetti allucinatorio-deliranti, o nei sintomi psicosomatici, o negli agiti atti ad assoggettare la realtà ai propri bisogni onnipotenti-megalomanici.
  • Il mistico mantiene e utilizza a scopo autoterapeutico la sua capacità di esprimere in metafora poetica l'accadere psichico.
  • Il folle non dispone di un contenitore adeguato alle esigenze trasformative e non fruisce dell'area transizionale; per dirla con Bion, la violenza delle trasformazioni in allucinosi (con caratteri di aspazialità, atemporalità, iperbole ed evacuazione nello spazio-tempo infinito), sostenuta dall'arroganza e onnipotenza della parte psicotica della personalità e associata alla mancanza o carenza o non funzionamento del contenitore e delle sue capacità riparative e trasformative, costringe l'ambiente ad un contenimento psichiatrico finalizzato principalmente alla custodia, alla sicurezza e alla repressione.
  • Il mistico o il guru, per sue capacità di tolleranza al dolore, dispone di un contenimento intrapsichico o ambientale (convento, ashram) che favorisce l'assunzione delle sue visioni più o meno allucinatorie e/o allucinosiche come proiezioni delle sue "figure dello spirito" (Hegel), usandole per restaurare la sua archeologia del Sé (Browning, 1990) e ponendosi così come oggetto-Sé e/o anche come oggetto transizionale rispetto ai suoi discepoli-pazienti attraverso il gesto,
  • lo sguardo, la parola misurata e l'esempio, sostenuti da un amore devoto autentico e profondo.
  • Il folle si illude, in modo delirante, di accedere al godimento infinito nella finitezza della realtà e attraverso il diniego crede di eludere la caducità, la mancanza, la castrazione e il dramma Edipico.
  • Il mistico, attraverso il distacco, il non-attaccamento alla finitezza del mondano, accoglie la mancanza, la castrazione, il dolore della perdita e del lutto, si libera delle illusioni e, attraverso l'atto diFede, accede alla dimensione della grazia, dello spirito, ad una conoscenza superiore sostenuta dall'amore universale. Ciò gli permette di definire conoscenza e amore i due occhi dell'anima.
  • Il folle, inconsciamente, si lascia usare come luogo di proiezione delle parti folli rimosse dei sani, dei loro lutti non elaborati lungo una catena di trasmissione transgenerazionale.
  • Il mistico accoglie amorevolmente il dolore del prossimo attraverso il comandamendo d'amore (ama il prossimo tuo come te stesso e, addirittura, ove possibile, per alcuni, più di se stessi), contrastando così la catena diabolica della trasmissione della follia.

Con l'eccezione degli aderenti al modello freudiano classico, c'è un generale consenso da parte degli studiosi che si sono dedicati al problema del rapporto tra psicoanalisi e sistemi di credenze (religiose e laiche) a ricercare, accogliere, valutare e interpretare con molta cura e senza pregiudizi nei pazienti tutte le manifestazioni di carattere mistico-religioso-visionario, spesso tenute nascoste collusivamente dalla coppia analitica, per le preziose informazioni insite in esse delle primitive organizzazioni delle imagoes parentali, delle relative visioni del mondo insite in esse e per il grande valore terapeutico che ne può scaturire (cfr., ad esempio, Smith e Handelman ( a cura di) 1990; Rizzuto, 1979; Odilon De Mello, 1998; Eigen, 1998). Alcuni autori insistono sull'opportunità di favorire l'integrazione fra trattamento psicoanalitico e meditazione, in particolare buddhista per la sua capacità di penetrazione nella costituzione profonda del Sé, spesso deposito di illusioni (cfr., ad esempio, Fromm-Suzuki-De Martino,1960; Epstein 1995, 1998; Molino (a cura di) 1997,1998).

Si stanno quindi profilando nell'orizzonte psicoanalitico due linee di tendenza che tendono a divergere tra coloro che pensano alla psicoanalisi come pratica tecnico-professionale, tesa a conquistare il campo medico e psichiatrico assumendone il relativo linguaggio, e coloro che pensano alla psicoanalisi come la forma più alta di meditazione e consapevolezza laica, tesa a eludere la divisione sano/malato, il linguaggio clinico-nosografico per la sua valenza stigmatizzante e senza porsi tanto la questione di durata, efficacia e sua dimostrazione empiricamente fondata. Questi ultimi pensano che la psicoanalisi troppo tecnico-scientifica, troppo medicalizzata, non sarebbe in grado di rispondere alla domanda di spiritualità del mondo contemporaneo, sempre più mortificata dal consumismo, dal pensiero concreto-operatorio, dall'appiattimento nella tecnologia e sempre più preda delle cosiddette nuove religioni e sette sataniche varie.

A questo riguardo sono rimasto molto colpito dal linguaggio quasi-religioso con cui Eigen (che Molino definisce psicoanalista e mistico ebraico) parla del suo lavoro con i pazienti, specialmente quando arriva a dire "per me, a volte, l'analisi è una forma di preghiera"; anche dal fatto che Nina Coltart, illustre rappresentante della Società Psicoanalitica Britannica, abbia abbandonato la psicoanalisi per la pratica del buddhismo (cfr. Molino 1997). In questa intervista, Nina Coltart pone con molta naturalezza, raccontando la propria esperienza, la questione del rapporto, per certi versi oppositivo, tra pratica religiosa e pratica sessuale . Confessa, infatti, che, fino all'età di 30, anni non aveva avuto esperienza di pratica sessuale, mentre era molto credente e praticante religiosa; invece, dopo aver iniziato la sua vita sessuale, si allontanò dalla pratica religiosa. Anche Bion, nei seminari brasiliani, richiama l'attenzione sul fatto che, se si considera la storia del genere umano, è possibile riconoscere che attività che possono essere definite religiose sono per lo meno così vistose e invasive come quelle che possono essere definite sessuali. D'altro canto è evidente che, anche nell'opus freudiano, l'interesse speculativo sul religioso è secondo solo a quello sul sessuale.

Ana Maria Rizzuto (1979) propone di interpretare la rappresentazione di Dio come uno speciale oggetto transizionale, un "lavoro artistico", composto originariamente da elementi paterni e materni primitivi, che si declina ed evolve nel corso di tutta la vita in funzione della mediazione culturale della famiglia, religione di appartenenza, scuola, a livello pre-edipico ed edipico; si avvia così una dialettica fondamentale tra processi di pensiero primario, luogo originario delle "immagini di Dio", basate su eventi evolutivi e transpersonali, e processo di pensiero secondario, luogo della loro rielaborazione, con la mediazione di figure di transfert.

Adam Phillips dichiara:"[...]Credo, invece, che la psicoanalisi sia intrinsecamente mistica o, almeno, che confini con un'area che un tempo si sarebbe chiamata dell'esperienza mistica......Ma preferisco di gran lunga un mondo di amanti, commedianti e mistici ad un mondo di scienziati che mettano fuori gioco questo genere di persone valutandole incongrue rispetto ai propri criteri. Mi sembra che l'amante, il commediante e il mistico rimangano tutti molto vicini ad un'idea di erotismo. Non so cosa significhi precisamente questo termine, ma in me evoca una sensazione di naturalezza.......Del misticismo mi interessa il fatto che ha sempre e comunque a che fare con forme di intensità. Il misticismo, cioè, non si propone di evadere dall'intensità o di curarla: il suo progetto minimo è riconoscere quell'intensità, ma anche trovare le rappresentazioni più adatte per portarla nel mondo della condivisione. Ciò è per me qualcosa di straordinario...."(Molino, 1997, p.125).

In letteratura è facilmente riscontrabile come i teorici della intersoggettività, e, in modo speciale, quelli del modello interpersonale, transpersonale, umanistico-esistenziale ecc. citino quasi sempre o pongono a fondamento teorico giustificativo a priori il principio dialogico di Martin Buber e la sua opera Io e Tu. Anche Ogden (cfr., ad esempio, 1994), autore che ammiro moltissimo, pone alla base del momento creativo della psicoanalisi la nascita del terzo intersoggettivo, situato nello spazio virtuale tra i due partecipanti alla relazione analitica. Anch'egli si appoggia al principio dialogico e cita Io e Tu di Buber!

Addirittura Lorna Benjamin, insigne rappresentante del modello interpersonale anche sul piano della ricerca empiricamente fondata, arriva a sostenere che "ogni psicopatologia è un dono d'amore" (1993).

Claudio Naranjo (1999), allievo di Matte Blanco, grande conoscitore e praticante di varie tradizioni mistiche, propone un'originale e complessa integrazione tra psicoterapia e meditazione con risvolti teorici rivoluzionari rispetto al modo di concepire la personalità umana. E Bomford (1990, 1999), sulla scia del concetto di logica simmetrica di Matte Blanco, evidenzia la similarità logica tra le 5 caratteristiche dell'inconscio freudiano e gli attributi di Dio della teologia cristiana, così riassumibili:

L'INCONSCIO DIO
ATEMPORALITÀ ETERNITÀ
ASPAZIALITÀ INFINITÀ
NON-CONTRADDIZIONE INEFFABILITÀ
SPOSTAMENTO/CONDENSAZIONE INDIVISIBILITÀ
EQUIVALENZA DI REALTÀ INTERNA ED ESTERNA PURO ATTO

Come dice Odilon De Mello (1998) "si può quindi inferire che la matrice dell'idea di Dio vada trovata nella stessa struttura dell'inconscio; in altre parole, la mente deve avere una 'dimensione religiosa' (Andrade, 1992)che può subire trasformazioni nello spazio dell'esperienza transizionale ma persisterà per il resto della nostra vita"(p. 116). Sulla base del confronto tra processi inconsci e concettualizzazioni di Dio, Bomford sottolinea che, dato che i processi mentali sono espressi in due forme logiche (la logica simmetrica del processo primario e la logica asimmetrica del processo secondario), le rappresentazioni di Dio possono essere costruite sulla base di entrambe le logiche.

"La rilevanza di queste considerazioni per la psicoanalisi clinica è che queste due forme di rappresentazione possono essere combinate, in modo tale che si possa costruire una scala di sentimenti religiosi in base all'equilibrio delle componenti bi-logiche presenti nel pensiero di una persona. In altre parole, lo stesso individuo possiede diverse qualità di esperienza religiosa, che possono coesistere, scambiarsi di posto l'un con l'altra e quindi subire trasformazioni nello spazio psichico. Io sostengo che questo si applichi anche a ciò che può essere chiamata l' 'esperienza religiosa del non-credente' " (Odilon De Mello, pp. 116-117).

Alcune considerazioni su incidenza e fenomenologia della dimensione mistica nella pratica psicoanalitica.

Credo che, sulla base del breve excursus storico e teorico prima esposto e ripensando ad alcuni passaggi critici della pratica, sia possibile individuare degli elementi caratteristici che hanno a che fare con la dimensione mistica della psicoanalisi. Per comodità espositiva vorrei differenziare 3 ambiti in cui trovare tali elementi:

  1. Biografia personale e professionale dell'analista
  2. Biografia dell'analizzando
  3. Momenti trasformativi nel processo e nella relazione analitica
  1. È ormai condivisa l'idea che l'analista sia una persona che, come i mistici e gli sciamani, ha sofferto esperienze traumatiche, di lutto, di perdita, sia a livello personale sia come assunzione su di sé, a causa della sua maggiore sensibilità e disponibilità emotiva verso l'altro, di lutti e sofferenze trans-generazionali (ad esempio, Winnicott cercherà per tutta la vita lo sguardo della madre e il suo accoglimento caldo per esorcizzare e redimere la madre depressa e fredda e per placare l'angoscia del crollo sempre in agguato; credo che questo esempio si possa applicare a tutti gli psicoanalisti, ciascuno con la propria croce personale). Grazie alla propria esperienza psicoanalitica egli assume la consapevolezza che l'analisi, per quanto approfondita, non potrà cancellare, esorcizzare, rendere non accaduta, la sofferenza, che si ripresentifica continuamente nell'apertura all'Altro-da-Sé (al contempo Altro-di-Sé) e nel qui-e-ora della relazione viva con l'Umano allorché realizza la condizione del prendersi-Cura dell'altro, il quale, presto o tardi, dovrà anch'egli rendersi conto di cosa vuol dire fare l'esperienza autentica della psicoanalisi. Questa dimensione della persona sta alla base dell'essere psicoanalista; senza questa fondazione, fare lo psicoanalista, prima o poi, esporrà al burn-out o alla scomparsa di quella appassionata ed amorevole curiosità per il mistero della mente/anima umana, quale sorgente motivazionale. Per l'analista, attrezzarsi tecnicamente a sostenere questa professione "impossibile" e poter confidare nel sostegno e, quando occorra, nell'aiuto del gruppo dei colleghi (il suo convento laico), sono fattori di protezione e di salvaguardia del proprio equilibrio mentale, anche se non possono costituirne una garanzia certa e definitiva. Fortificato da questa ineludibile, ma autentica, debolezza, con l'umiltà suggerita da Eckhart, con pazienza, tatto, senso della misura, potrà ragionevolmente sperare di far fronte alla sofferenza di coloro che gli rivolgono la domanda di aiuto, spesso, quanto meno all'inizio, da una posizione difensiva di debole, vana e folle onnipotenza. Se riesce a mantenere con ragionevole costanza il suo setting mentale seguendo gli insegnamenti dei suoi guru, senza rinunciare alla propria libertà e creatività, se riesce ad identificarsi con gli aspetti più profondi della natura anima-le del suo paziente, senza farsene distruggere e mantenendosi sufficientemente vivo, potrà esperire (al di là del fatto che verrà definita dialettica transfert-controtransfert) l'esperienza mistica dell'essere all'unisono e partecipare alla nascita del terzo intersoggettivo. Se, infine, di tutto ciò avrà raggiunto, assieme al suo paziente, la comprensione simbolica, generatrice dei due occhi dell'anima, conoscenza e amore (sesso escluso), avrà realizzato la condizione della psicoanalisi mistica, cioè quella condizione che Freud stesso aveva intravisto come analogia tra ciò che possono fare gli psicoanalisi e ciò che fanno i mistici. Va da sé che tutto questo non ha nulla a che fare col benessere e con la felicità propagandate dai mass-media e dalle infinite offerte del mercato contemporaneo in fatto di wellness e fitness.
  2. Anche l'analizzando, che ne sia consapevole o meno, proviene da una condizione di sofferenza propria o assunta più o meno consapevolmente per via trans-generazionale. Egli si presenta all'analista con i propri sintomi, le sue visioni del mondo, le sue rapprentazioni, i suoi sistemi di credenze laiche e religiose [talora esse stesse in forma di sintomi, anche deliranti (ad esempio il caso Francesco)]. Naturalmente e giustamente egli cerca nell'analisi una fonte di benessere e felicità, ma ben presto dovrà rendersi conto che l'idea di benessere e felicità a cui aspira, in ciò condizionato dalla propaganda, è destinata ad essere delusa. Quindi, è possibile che oltre al peso del dolore originario dovrà sostenere quello della delusione, finché, se tutto va bene, accede al piacere, alla gioia, di un modo nuovo del conoscere e dell'amare (ad esempio, il caso Teresa), alla sorpresa dell'insight (della visione profonda, si potrebbe dire, spesso espressa con "Ah!, si, ora vedo" ecc.). Il paziente potrà trovare difficile e talora impossibile condividere nel suo ambiente abituale il piacere dell'accesso al simbolico, alla parola autentica, al Verbo direbbero i mistici cristiani, al logos direbbero quelli prescristiani, all'esperienza dell'Uno direbbero tutti i mistici di tutte le tradizioni. Spesso questa realizzazione è segnata da sentimenti di alterazione dei confini del Sé, derealizzazione, sentimenti di disadattamento al mondo, più o meno associati ad uno stato di gioia apparentemente incomprensibile o, al contrario, a sentimenti di perdita non prontamente compensati dalla nuova acquisizione di Verità, non facilmente spendibile nel quotidiano. Il paziente percepisce nuove qualità nel suo vissuto del tempo e dello spazio, nei rapporti tra sé e gli altri, la natura, la cultura e l'esperienza estetica In genere, i due stati emotivi di gioia e di paura si alternano variamente finché la nuova condizione non si sia stabilizzata in modo irreversibile. Sarebbe interessante considerare la diffusione di identità, che Kernberg pone come caratteristica fondamentale della organizzazione borderline di personalità, come esempio di tensione verso una esperienza di "mistica unitiva della natura". Vale a dire, espressione dell'anelito di riparazione di una fusione traumatica con la Madre, quindi abbozzo primitivo di oggetto transizionale. Comunemente questa condizione, forse per la sua intensità sensuale e la sua presentazione drammatizzata che si confonde e/o si associa ad erotizzazione precoce ed intensa o ad agiti incontenibili, viene più facilmente concettualizzata all'interno della dinamica dell'aggressività, dell'attacco al legame, con inevitabili fraintendimenti e talora stallo del processo analitico
  3. Gli eventi simil-mistici che punteggiano la relazione della coppia analitica e il processo analitico nel suo insieme possono essere identificati in vari momenti della vicenda psicoanalitica. All'inizio, ad esempio, nel modo di accogliere e considerare dentro di sé i sintomi del paziente da parte dell'analista. A questo riguardo sarebbe interessante confrontare l'incidenza nella pratica clinica del differente modo di valutare i sintomi da parte di analisti rappresentanti dei tre modelli di atteggiamento prevalenti rispetto all'esperienza mistica. Un rappresentante del modello classico sarebbe d'accordo nel modo di considerare il dolore, il lutto e la corrispettiva valenza terapeutica dell'esperienza mistica proposti da Aberbach? E troverebbero corretta la fine differenziazione che propone Ghent tra lo stato di resa, di rinuncia, e quello di sottomissione e di masochismo? Un altro momento significativo è legato agli eventi di epifania dell'oggetto transizionale [con sentimenti di stupore, meraviglia non scevra da irritazione e/o rabbia più o meno contenuta (ad esempio, il caso Maddalena)] e nella nascita del terzo intersoggettivo (Ogden) associata o preceduta per un tempo più o meno lungo da un periodo di smarrimento, talora franca confusione, all'interno della coppia analitica. Ciò a causa della loro natura enigmatica e numinosa: non si sa di chi sono, da dove vengono e però è innegabile che sono là, nel luogo virtuale "tra" analista ed analizzando. Infine nell'accesso al Reale, alla O, con inevitabili sentimenti di alterazione dei confini dell'Io, che si sente modificato, esposto al vuoto, talora terrorizzato; per fortuna, quando tutto va bene, grazie alla mediazione del Sogno e del Simbolico, i partecipanti all'evento possono sostenerne l'impatto, la visione e rientrare nella vita abituale arricchiti spiritualmente da relazioni oggettuali soggettivate, relazioni che, per dirlo con Buber, hanno il carattere della relazione Io-Tu pervasa, nello spazio "tra", dalla grazia; distinguendosi, per questo, in modo netto e inequivocabile; dalla relazione Io-Esso, relazione d'uso che fa scadere l'umano ad oggetto inanimato da usare e gettare.

Considerazioni conclusive.

Il dilagare del bisogno di spiritualità, che si traduce nell'enorme diffusione di pratiche religiose e meditative tradizionali e nuove, sette di vario genere, uso di sostanze o di situazioni particolarmente stressanti per ricercare l'accesso a stati di coscienza fuori dall'ordinario, è una caratteristica molto evidente della società contemporanea. Forse risponde all'esigenza di far fronte alla vacuità e mancanza di significato delle relazioni d'uso, promosse in modo violento dal consumismo esasperato e con tutte le sofisticate, talora apertamente perverse, tecniche di propaganda del Mercato e della Tecnologia, i nuovi Golem. Tutto ciò espone gli individui al rischio grave di non saper differenziare l'autenticità del percorso formativo, proposto dalla psicoanalisi e dalle pratiche meditative sostenute da metodi ben collaudati, dalla illusoria ricerca di false realizzazioni in esperienze di esaltazione visionaria, indotta da gruppi e sette, più o meno satanici, o da eccitamenti variamente provocati. A ciò va aggiunto il fatto, spesso sottovalutato, che viviamo, ci piaccia o no, in un mondo condizionato da millenni di religioni, sempre in guerra tra loro, con l'inevitabile conseguenza di non poter discriminare in ciascuna di esse la dimensione dell'autenticità da quella dell'inautenticità, quella della mistica da quella del potere . Anche le ideologie e le sperimentazioni di organizzazione del vivere, laiche e materialiste, sono di fatto fallite forse perché hanno sottovalutato o interpretato in modo superficiale l'incidenza del fattore mistico nell'umano. La stessa psicoanalisi, che Rolland avrebbe voluto come "scienza-religione", a causa del legato freudiano di ateismo e razionalismo radicali, ha sottovalutato l'aspetto mistico insito nella dialettica conscio/inconscio, nella sua struttura bi-logica. Quasi tutti gli studiosi, non psicoanalisti, di mistica dichiarano la propria insoddisfazione verso Freud perché ha confuso le religioni e i riti religiosi con l'istanza mistica ubiquitaria degli umani ( anche, e talora soprattutto, dei "non credenti") riducendo tutto a semplice patologia. Molti di essi, però, non prendono in esame il pensiero di Bion, di Winnicott.

Credo infatti che dobbiamo a personaggi come Bion, Winnicott, Lacan, la seria riconsiderazione della questione della mistica psicoanalitica; da alcuni anni, soprattutto in ambiente americano e inglese, numerosi psicoanalisti, di indubbio valore scientifico, propongono originali modi di applicare nella clinica e nell'elaborazione teorica la dimensione mistica della psicoanalisi e la sua apertura verso l'integrazione con la pratica della meditazione del buddhismo

Quando ho proposto questo tema per i nostri seminari, parecchi colleghi, che mi conoscono come promotore, in Italia, della ricerca scientifica in psicoanalisi e in psicoterapia, mi hanno manifestato espressioni di meraviglia associata a curiosità, in qualche caso di benevola ironia.

Posso solo dire che già nel 1992, nella prefazione all'edizione italiana del libro Capire il Transfert di Luborsky e Crits-Christoph, scrivevo: "....potremmo dire che le psicoterapie basate sulla nozione di inconscio richiedono psicoterapeuti mistici che estraggano i fenomeni psichici dalle tenebre del Mistero e dell'Ignoto e li portino nel buio della Notte; psicoterapeuti ermeneuti (del vivente, però!) che li portino dalla Notte alla Penombra; e psicoterapeuti scienziati-tecnologi che li portino nella piena luce del Giorno. Va da sé che, essendo praticamente impossibile che tali competenze mistico-sciamaniche, estetico-narratologiche e scientifico-tecnologiche possano riassumersi in un unico individuo, uno studio a tutto tondo della pratica psicoanalitica richiede inevitabilmente una collaborazione interdisciplinare"(p. XV).

Il mistico dell'essenza, e/o il mistico unitivo, non è molto interessato alla modalità del conoscere tecnico-scientifica, perché la sua meta è quella di essere nell'Uno, dove c'è tutto ciò che serve rispetto alla conoscenza del vivente, per immedesimazione intuitiva. Egli è anche interessato a permanervi il più a lungo possibile, anche se ciò dovesse comportare un ritiro dal mondano, dal quotidiano, quando diventa troppo disturbante.

Credo sia troppo chiedere tanto allo psicoanalista !.

Penso che all'analista, mistico laico, che opera nel mondo, potrebbe bastare sviluppare uno stato di coscienza mistica dualistica, cercando di realizzare il più possibile l'essere all'unisono all'interno della protettiva sacralità del setting e in particolari momenti della sua vita quotidiana, mentre si mantiene aperto al mondo in modo attivo e interessato; realizzare questa condizione di continua, se possibile pacifica, tensione dialettica tra due anime implica una strutturazione epistemologica della mente che richiede consapevolezza profonda di Sé e assunzione di responsabilità del proprio essere nel bene e nel male. Per questo motivo vorrei concludere con Brecht di Santa Giovanna dei macelli:

Uomo, due sono le anime
che nel petto chiuse alberghi!
Non voler sceglierne una,
tutt'e due portarle devi!
Resta in lotta con te stesso!
Sdoppia in te le forze tue!
L'anima alta,
l'anima bassa,
l'anima pura,
l'anima impura,
tientele tutt'e due!



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NOTE

1 Relazione al Centro Milanese di Psicoanalisi "Cesare Musatti", Giovedì 18 maggio 2000

2 mustikόs = mistico, arcano, dei misteri, degli iniziati. Nella forma di avverbio (mustikωs = secretamente, a bassa voce; mustήrion = mistero; dottrina, cerimonia, pratica segreta; i misteri, di dogmi, sacramenti, vangelo. mustηrίs = mistica. mustηs = iniziato, ai misteri. mύω = mi chiudo; sono, sto chiuso, serrato; chiudo (gli occhi, la bocca; "ad occhi chiusi sopportavano il divino flagello").

3 apόfasis (apόfηmi) = negazione, diniego, ma poi, via apofaίnω, sfuma nel suo contrario, apό -fansis, diventa anche dichiarazione, risposta, rivelazione, apparizione, oracolo.

4 katά -fasis (-femi) = affermazione, affermativa, enfasi. Anche qui, il significato slitta, attraverso kata-fantάzω in mostro, empio di visioni, sono simile.

5 έk-stasis = spostamento, mutazione, deviazione, ma anche alienazione, agitazione, turbamento, delirio, stupore; ed anche, il mettersi da parte; il cedere il posto.

6 In realtà, secondo gli studiosi di mistica, la tradizione, la Kabalà , andrebbe compresa nell'ambito della Gnosi, mentre viene accordata una valenza mistica al Chassidismo, che ebbe uno straordinario sviluppo nell'Europa centrale di lingua tedesca e che conobbe il massimo sviluppo con Martin Buber, in particolare con il suo saggioIch und Du (Io e Tu) del 1923.

7 Romain Rolland (1866-1944), musicologo, romanziere, drammaturgo, saggista, mistico, pacifista, Premio Nobel per la letteratura nel 1915. Qui ci interessa in particolare la sua conoscenza della cultura indiana (biografia e frequentazione del Mahatma Gandhi, biografie di Ramakrishna e di Vivekananda, corrispondenza con Tagore), oltre quella, sterminata, dell'Occidente.

8 Per le lettere di Rolland mi sono affidato ad una mia traduzione tratta dal libro di Parsons, per quelle di Freud alla edizione Bollati Boringhieri: Freud Lettere alla fidanzata e ad altri corrispondenti 1873-1939.

9 George Boole (1815-64), matematico e logico inglese; l'algebra booleana costituisce un sistema logico deduttivo, applicato a classi, in cui, sotto le operazioni di intersezione e di differenze simmetriche, le classi vengono trattate come quantità algebriche; un anello con un'identità moltiplicativa in cui ciascun elemento è equivalente (non muta quando moltiplicato per se stesso). Sembra la sfera infinita, l'Aleph!

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