E' un luogo comune oggi ribadire che Internet sta rivoluzionando molti nostri modi di comunicare, e anche di vivere, con ripercussioni non del tutto facilmente prevedibili. Il world wide web (www, che letteralmente significa "rete grande quanto il mondo") sta gradualmente penetrando in ogni anfratto della nostra vita, trasformandoci mano a mano che essa stessa si trasforma e si perfeziona per meglio rispondere alle più svariate esigenze. Come è noto, vi è anche chi ha paragonato la portata di questo fenomeno a quella dell'avvento rivoluzionario della stampa. In questa sede voglio fare solo alcune riflessioni molto specifiche su una delle tante potenzialità di Internet, quella della psicoanalisi o della psicoterapia on-line, cioè tramite Internet, quindi a distanza. La psicoterapia con Internet viene chiamata anche E-Psychoterapy ("psicoterapia elettronica"), un fenomeno che sta rapidamente prendendo piede (vengono aperti sempre più siti Internet di counseling e psicoterapia on-line, progettati studi controllati in centri di ricerca universitari [tra i tanti, vedi Caroppo et al., 2001], ecc.). Internet infatti consente non solo di collegarsi a basso costo con un terapeuta che può vivere in ogni parte del mondo (col prezzo di una telefonata urbana, anzi inferiore dato che la connessione al provider in genere costa meno - e, per chi ha un abbonamento, senza costi aggiuntivi rispetto a quelli della linea telefonica già normalmente utilizzata, quindi gratuitamente). Si dirà che questa non è una novità, perché già col telefono questo è possibile, seppur con costi leggermente superiori, e non a caso negli Stati Uniti si incominciò a discutere della "telephone analysis" fin dalla metà del 1900 (vedi ad esempio Saul, 1951, e, per review recenti, Lindon, 1988; Sleek, 1997; Zalusky, 1998; Aronson, 2000; Richards, 2001; Leffert, 2003; ecc.), considerata utile sia per superare certe resistenze o impasse dell'analisi, sia per rimpiazzare sedute mancate, ridurre i costi e i disagi degli spostamenti soprattutto per grandi distanze geografiche, nel caso di handicap che riducono la locomozione, o quando il paziente (o l'analista) si trasferisce in una città lontana e si vuole continuare un processo analitico già avviato. Quello che Internet offre in più è la possibilità di aggiungere il video in tempo reale (tipo video-conferenza, o tramite programmi ormai molto diffusi come Skype) in modo da simulare, con la cosiddetta "realtà virtuale", esattamente la seduta (c'è chi ha simulato persino la sala d'aspetto dell'analista). Con l'audio e il video in tempo reale è possibile sfruttare anche il timing degli interventi, i silenzi, gli orari delle "sedute" e così via, con entrambi i partner virtualmente presenti come fossero assieme in una stanza, potendo quindi rispettare tutti i dettagli del rituale terapeutico - e per quanto riguarda la privacy, si lavora a programmi sempre più sofisticati per criptare le comunicazioni (si pensi solo a quelli usati dalle banche telematiche) e a produrre appositi codici etici (vedi ad esempio American Psychological Association, 1997). Si può dire che la psicoterapia in rete faccia parte del capitolo più generale della telepsichiatria o della telemedicina (telemedicine), sperimentata da anni soprattutto in Nord America e in Australia per ridurre i costi dovuti alle grandi distanze geografiche (Dongier, 1986; Preston et al., 1992; Baer et al., 1995; Kaplan, 1997; Brown, 1998; Gammon et al., 1998; Gelber, 1999; Zaylor, 1999; ecc.). Un'altra possibilità è il dialogo scritto, tramite chat ("chiacchierata" in tempo reale, con vari programmi, ad esempio con ICQ [un acronimo che si pronuncia "I seek you", cioè "Io cerco te"]) o E-Mail ("Electronic-Mail", posta elettronica in tempo differito), che per la verità è attualmente la modalità più utilizzata sia per scopi professionali che per il tempo libero dato che non comporta ulteriori attrezzature oltre a quelle di un qualunque personal computer. Una modalità molto utile e diffusa è costituita dalle discussion list, da una parte, e dai gruppi di self-help (auto-aiuto), dall'altra, dove più persone si confrontano su un tema comune, ciascuno potendo intervenire oppure solo "ascoltare" e trarre quindi beneficio (vedi ad esempio Houston et al., 2002). Vale la pena però di fare alcune riflessioni sulle diverse modalità di linguaggio scritto e sulle differenze col linguaggio parlato (Migone, 1998b). La comunicazione tramite E-Mail (la cui enorme diffusione ha fatto parlare di un grande ritorno dell'epoca degli epistolari, che è terminata dopo l'avvento del telefono) ha in comune con le lettere scritte a mano o a macchina in realtà solo un aspetto, il fatto che si deve mettere per iscritto quello che si vorrebbe dire, inducendo, a causa della lentezza della comunicazione, una diversa disposizione riflessiva ed emotiva (questo vale soprattutto con le lettere scritte a mano, perché la scrittura tramite tastiera è molto più rapida di quella a mano - è possibile comunque, grazie al word processing, rivedere il testo e cancellare per sempre gli "errori", così come del resto era sempre stato possibile appallottolare e buttare nel cestino una lettera appena scritta, anche se quest'ultimo è un metodo meno veloce). Se vogliamo, il primo esempio storico ante litteram di "psicoanalisi per via epistolare" fu quello tra Freud e Fliess, come vari storici della psicoanalisi hanno fatto notare. La grossa differenza che permane tra la E-Mail e la posta di superficie (detta anche Snail-Mail, cioè "posta lumaca") è innanzitutto la rapidità di trasmissione, che è in tempo reale per la E-Mail (la risposta può arrivare dopo ore o anche minuti, il tempo per il nostro interlocutore di scriverla) e molto lenta per la posta di superficie (giorni). Ma una differenza ancor più importante è che nelle E-Mail, trasmettendo in caratteri ASCII, esistono meno possibilità di comunicare altri significati oltre a quelli legati al contenuto stesso della comunicazione; viene cioè privilegiato al massimo il contenuto e viene ridotta al minimo la comunicazione non verbale. Non solo non si vede l'espressione del volto e non si odono le varie gradazioni del tono della voce (aspetti questi in comune con gli epistolari), ma anche non vi sono corsivi e sottolineature (per la verità nei programmi di posta elettronica più evoluti queste cose sono possibili), né calligrafie personali oltre alla possibilità di usare le lettere maiuscole (per enfatizzare alcune parole come fossero gridate), alcuni simboli (visi che sorridono o esprimono tristezza, smorfie, ecc., "disegnati" utilizzando i due punti, il punto e virgola, le parentesi e così via, secondo il "vocabolario" delle cosiddette emoticons) e altri piccoli accorgimenti concessi dalla cosiddetta netiquette, cioè dal galateo della rete. Perché la psicoterapia con Internet può essere interessante? Fatta questa premessa, ci si può chiedere quale può essere il motivo di interesse verso la psicoterapia o la psicoanalisi con Internet. In realtà il mio interesse non è, come molti possono pensare, nei confronti della psicoterapia on-line di per sé, anzi, essa in quanto tale mi ha sempre interessato poco o nulla, pur avendola praticata. Quello che ha sempre stimolato il mio interesse, direi mi ha quasi affascinato, è il modo con cui vedevo certi colleghi affrontare e discutere la questione della psicoterapia o della psicoanalisi on-line. Mi interessava il loro modo di affrontare questo "nuovo" oggetto, il loro modo di teorizzare le somiglianze o differenze con la psicoterapia tradizionale (quella, se così si può chiamare, off-line), il loro dichiararsi favorevoli o contrari alla terapia con Internet e perché. Quello che insomma mi interessava veramente era ciò che stava dietro a questo fenomeno, nel senso che per me la psicoterapia on-line era estremamente interessante perché costringeva a riflettere su quello che essa non era, cioè sulla psicoterapia in generale, fuori da Internet. Il modo con cui veniva affrontata la psicoterapia on-line metteva a nudo, a volte impietosamente, il modo con cui veniva concepita e praticata la psicoterapia non on-line, ad esempio le sue stereotipie, la sua tecnica ritualizzata o ossificata (questa sì "senza teoria", cioè senza vita, in cui il legame tra teoria e tecnica era andato perduto), e quindi una concezione del setting che comportava errori tecnici anche nella psicoterapia non on-line (tanti sono gli esempi in cui viene discussa la psicoterapia on-line in modo stereotipato e a volte autocontraddittorio, in cui si procede per asserzioni non dimostrate o dando per scontate delle regole formali della psicoterapia senza interrogarsi in modo coerente sul loro senso all'interno della teoria della tecnica: interessanti ed esemplificativi in questo senso sono i lavori di Carta, 2005, e Di Maria & Formica, 2005). Il mio interesse per la psicoterapia con Internet ha dunque queste origini. In particolare, le riflessioni che esporrò sono nate all'interno di una animata discussione avvenuta per E-Mail nel novembre 1998 tra i membri della redazione di una rivista telematica di cui allora facevo parte, in preparazione di un libro sulla "Psichiatria on line" (Bollorino, 1999). In quel dibattito espressi le ragioni del mio interesse per la psicoterapia on-line, che erano appunto quelle che ho detto prima, e mostrai come la psicoterapia on-line non sia altro che una cartina di tornasole del modo di ragionare sulla psicoterapia tout court, del modo di concepire la teoria delle tecnica in generale. Incontrai molte reazioni critiche, e una difficoltà enorme a ragionare con loro sulla teoria della tecnica, come se - questa almeno fu la mia sensazione - questi colleghi fossero condizionati da pregiudizi che li accecavano di fronte alle osservazioni più semplici (cosa questa curiosa, se si pensa che quel gruppo di colleghi, che può considerato un campione rappresentativo di tanti altri colleghi, era addirittura più sofisticato e più aperto al nuovo, se non altro per il comune interesse verso il mondo di Internet). Adesso, come allora, ritengo che non vi sia nessuna specificità della psicoterapia con Internet, più di quanto non ve ne sia per le psicoterapie praticate in setting "eterodossi" come nuove frontiere che hanno messo alla prova la coerenza intera della cosiddetta "tecnica classica" nel suo sviluppo storico (ma anche, va precisato, più di quanto non ve ne sia per la psicoterapia che pratichiamo tutti i giorni, dove il paziente - etichettato più o meno "borderline" o con altre diagnosi - riesce sempre a spiazzare e a confondere l'analista dotato delle più buone intenzioni e uscito dalla "migliore" scuola psicoanalitica). Certe autocontraddizioni, certe modalità (a mio modo di vedere, errate) di concepire il lavoro con i pazienti, a prima vista possono non emergere chiaramente se ci si appoggia a un modo tradizionale di lavorare, ma saltano subito agli occhi appena si è messi di fronte a una situazione nuova, dove chi non ha gli strumenti concettuali adeguati non può più mascherarlo, perché ad esempio non riesce ad avere la necessaria elasticità tecnica a causa delle categorie concettuali in cui è imprigionato, che dipendono dal modo in cui gli è stata insegnata la psicoterapia. A questo proposito, scrisse più di mezzo secolo fa su Psychoanalytic Quarterly Leon Saul (1951), un analista che si chiedeva perché mai non potesse essere utilizzato il telefono in analisi: «Tutto il pensiero è limitato dall'inerzia. Noi pensiamo nel modo con cui ci hanno insegnato a pensare. Nuove idee, nuovi atteggiamenti o approcci incontrano sempre resistenze. Questo è particolarmente vero per la psicoanalisi, dove, dato che l'analisi personale mobilizza la sottomissione inconscia e la identificazione narcisistica coi genitori, l'autorità di chi insegna tende ad essere spropositatamente grande, e impone un preciso dovere di trasmettere una prospettiva autenticamente accademica e scientifica. Questa è una curiosa ironia per una scienza nata dalla devozione di un uomo alla realtà nonostante il peso di ogni sorta di autorità. Alla luce di queste considerazioni, ci si chiede se l'idea di usare la moderna tecnologia del telefono, come una aggiunta alla tecnica psicoanalitica, incontrerà una scandalizzata resistenza, o se la maggior parte degli analisti sono già molto avanti nel loro pensiero e anticiperanno la sperimentazione della comunicazione televisiva se e quando essa diventerà possibile (p. 287). (...) Ogni procedura tecnica è solo un mezzo per uno scopo, e il suo uso deve dipendere dalla base del razionale di tutto il trattamento: la accuratezza psicoanalitica nella comprensione del paziente» (Saul, 1951, p. 290, traduzione mia). Queste parole suonano profetiche. Saul in quel lavoro parlava, tra le altre cose, dell'utilità di usare il telefono con una paziente che non riusciva a reggere la intensità delle sedute, e con la quale si era accorto che al telefono - per motivi di cui sarebbe lungo parlare qui - riusciva invece a comunicare e ad elaborare determinati aspetti transferali rendendo così possibile il loro superamento e la ripresa delle sedute. L'uso del telefono, in questo caso, rientrava perfettamente nei criteri che due anni dopo, nel 1953, Kurt Eissler proporrà per sistematizzare in una teoria coerente la introduzione di modificazioni tecniche (da lui chiamate "parametri") alla tecnica psicoanalitica di base. Ed è proprio con la teorizzazione di Eissler, che diventerà un inevitabile punto di riferimento nel dibattito sulla teoria della tecnica, che voglio iniziare queste mie riflessioni sulla psicoanalisi con Internet, e precisamente raccontando un episodio che mi è riaffiorato alla memoria. E' possibile la psicoanalisi tramite Internet? Una volta Eissler, ad un convegno tenuto alla Cornell University di New York nel 1983 in occasione del trentesimo anniversario del suo classico articolo del 1953 sul "parametro" (non ricordo bene chi fossero gli altri oratori, mi sembra Brenner e Arlow), disse che secondo certuni qualcosa di vero poteva esserci nelle critiche che alcuni gli avevano mosso, nella misura in cui, ad esempio, "nessuno era ancora riuscito a condurre una psicoanalisi col computer o passando al paziente dei bigliettini contenenti solamente le interpretazioni". Per comprendere appieno questa affermazione, può essere utile accennare brevemente a quell'articolo. Com'è noto, il classico di Eissler del 1953 era stato scritto a metà del secolo, in un periodo storico di grande fulgore della psicoanalisi negli Stati Uniti, in cui si assisteva a un rapido aumento del numero di pazienti, anche con patologie gravi, che si rivolgevano al trattamento psicoanalitico. Presto gli analisti si resero conto che la tecnica "classica" non poteva essere applicata a tutti, e che erano necessarie delle modifiche a seconda della gravità della patologia. La tecnica classica prevedeva infatti l'uso privilegiato della interpretazione verbale, cercando di minimizzare tutti gli altri fattori per così dire "spuri" o "inquinanti" il setting, quali rassicurazioni, consigli, variazione della durata e del numero delle sedute, ecc. L'analista doveva restare il più neutrale possibile, seduto dietro al lettino in modo tale da ridurre al minimo la sua influenza sul paziente, e limitarsi a trasmettere verbalmente le interpretazioni, ritenute il fattore curativo par excellence della psicoanalisi. E' in questo contesto che si inserisce l'articolo di Eissler, un analista ortodosso molto autorevole, noto anche come strenuo difensore di Freud di fronte alle critiche che di volta in volta gli venivano mosse, e che più tardi verrà anche nominato Direttore dei prestigiosi Freud Archives (vedi Migone, 1984, 1999b). In quell'articolo, Eissler sistematizzò a livello teorico il problema delle indispensabili modificazioni del setting alla luce delle acquisizioni teoriche della Psicologia dell'Io (che proprio in quegli anni vedeva la sua massima espansione), cioè dell'esigenza sempre più sentita di una maggiore considerazione del punto di vista adattivo e delle difese. Egli definì "parametro" ogni cambiamento della tecnica standard (la quale ad esempio era definita a "parametro zero", cioè senza modificazioni), e propose che fosse legittimo definire una terapia ancora "psicoanalisi" quando l'introduzione di un parametro si basa sui seguenti quattro criteri: 1) deve essere introdotto solamente quando sia provato che la tecnica di base non è sufficiente (in presenza ad esempio di un "deficit dell'Io" che non permetterebbe al paziente di reggere la tecnica di base); 2) non deve mai oltrepassare il minimo inevitabile; 3) deve condurre alla sua autoeliminazione; 4) le sue ripercussioni sul transfert non devono mai essere tali che non possa essere in seguito abolito dall'interpretazione. Eissler dunque, ribadendo per la psicoanalisi il valore ideale della tecnica "classica" (praticamente mai raggiungibile nella realtà, e di questo era ben consapevole, ma tuttavia utile come obiettivo euristico), ammise l'utilizzo di parametri ma a patto che fossero ridotti al minimo e che in qualche modo potessero in seguito rientrare all'interno del processo interpretativo (prova questa di una modificazione strutturale, dato che era stato riparato quel "deficit dell'Io" che prima aveva reso indispensabile l'introduzione del parametro). Il parametro, in sostanza, può essere concepito come un "agito", una "esperienza correttiva" non interpretata; come ho scritto in un altro lavoro, dietro a questo concetto «non vi è altro che la problematica - estremamente importante per chi è interessato a fare terapia, cioè a operare cambiamenti psicologici "strutturali" nei pazienti - del rapporto tra azione e parola, tra comportamento e mentalizzazione, o, se vogliamo, tra corpo e mente, cioè la possibilità di trasformare un sintomo, un comportamento, e portarlo sotto controllo del soggetto attribuendogli un significato» (Migone, 2005, p. 354). Ci si può chiedere a questo punto come mai ho iniziato queste mie riflessioni sulla psicoterapia con Internet accennando alla concezione del parametro di Eissler. Il motivo è che, ironicamente, e contrariamente allo scetticismo dei tanti psicoanalisti nei confronti della terapia con Internet, seguendo la teoria classica di Eissler parrebbe che una psicoterapia come quella in rete, basata essenzialmente sulla comunicazione per certi versi "impersonale" tra paziente e terapeuta, risponda ai criteri addirittura di una psicoanalisi, da molti ritenuta superiore o più "profonda" delle altre psicoterapie. Come risolvere questa apparente contraddizione? Affrontare adeguatamente questa problematica implicherebbe addentrarsi nelle vicissitudini della storia della teoria della tecnica psicoanalitica nel corso del XX secolo, per cui in questa sede sarà possibile fare solo alcuni brevi cenni (per i necessari approfondimenti rimando ad altri lavori: Migone, 1991, 1995a capitoli 1 e 4, 1995b, 1998a, 2000, 2001). Ritengo che la cautela nei confronti della psicoterapia con Internet possa essere spiegata col fatto che negli ultimi tempi vi è stata una crescente presa di distanza, più o meno esplicita, nei confronti di un certo modo di intendere il modello classico, basato sulla anonimità del terapeuta, su quella che potremmo chiamare "personectomia" dell'analista, modello che pare estremizzato in modo quasi caricaturale appunto dalla psicoterapia con Internet. Il fenomeno diffuso della psicoterapia on-line, insomma, tra le altre cose ripropone questa problematica interna al dibattito psicoanalitico e ci dà qui l'occasione di riprenderla brevemente in esame. Seguendo la logica di Eissler, se una terapia con parametri (cioè con variazioni del setting a seconda dei bisogni del paziente, con interventi legati alla "persona" del terapeuta che in modo complesso "modula" l'aspetto tecnologico del trattamento) è indicata per quei pazienti che, a causa della struttura deficitaria del loro Io, non reggono un tipo di setting limitato solo alla comunicazione delle interpretazioni, dovremmo forse dedurre che la psicoterapia in rete può essere indicata per quei pazienti che hanno un Io intatto (peraltro molto rari), o che comunque si collocano al livello alto della psicopatologia (ad esempio solo per i nevrotici lievi)? Ritengo che non sia questo il modo di impostare il problema, e che la questione sia più complicata (si noti comunque qui un apparente paradosso: la psicoterapia con Internet, "tecnologica" per eccellenza, da una parte sarebbe indicata per i pazienti "più sani", e dall'altra proprio per quei pazienti "più gravi" che hanno un particolare bisogno di non entrare in contatto con la persona del terapeuta, perché ad esempio possono temere un certo coinvolgimento). E non ritengo neppure che oggi, grazie alle possibilità offerte dalla comunicazione multimediale a cui si accennava prima, la psicoterapia "virtuale" sia legittima nella misura in cui può emulare la psicoterapia "reale". Non ricordo nei dettagli la argomentazione fatta da Eissler in quel convegno del 1983 a proposito della "psicoanalisi col computer", ma non penso che sia corretto affermare che se una volta era comprensibile essere scettici verso di essa, oggi, grazie alla vasta gamma di canali comunicativi di cui è dotata, si può essere meno scettici e ritenere che la psicoanalisi con Internet potrebbe essere utilizzata anche per pazienti più gravi. Nemmeno questo dunque, a mio parere, è il modo di impostare il problema, cioè, come ho detto prima, ritengo che la questione non sia la possibilità o meno di emulare con la realtà "virtuale", oggi permessa da Internet, la realtà "reale" dell'incontro paziente-terapeuta, laddove quest'ultima servirebbe da pietra di paragone o modello a cui avvicinarsi il più possibile. Il problema va posto in termini diversi, e precisamente occorre una riflessione sulle premesse teoriche che facevano da sfondo alla concettualizzazione di Eissler (cioè alla concezione che per brevità ho chiamato "classica"), premesse che, come si è detto, nel dibattito psicoanalitico successivo da più parti sono state discusse in modo critico. Il ragionamento di Eissler era estremamente coerente al suo interno, e tuttora il suo articolo è molto valido per quanto riguarda il ruolo del setting nella struttura logica dell'interpretazione (fondamentale, a questo riguardo, è il contributo di Codignola [1977] sulla - come recita il sottotitolo del suo libro - "struttura logica dell'interpretazione psicoanalitica"). Soprattutto Eissler in quel lavoro ha voluto toccare, come dicevo prima, l'importante questione teorico-clinica del rapporto tra parola ed azione in analisi, e il problema della mentalizzazione come garanzia dell'autonomia del paziente dall'ambiente, cioè dal parametro introdotto per ristabilire il suo equilibrio psicologico. L'aspetto della concezione sottostante alla teorizzazione di Eissler che invece ora può essere messo in discussione riguarda quello che lui chiama "modello della tecnica di base" (basic model technique), cioè da una parte l'idea che solo un tipo di setting (quello "classico") sia adatto ad evocare nel paziente quello che noi chiamiamo transfert (e per di più in modo uguale in ogni cultura, paese ed epoca storica), e dall'altra l'idea, strettamente connessa, che questo tipo di setting possa garantire all'analista una neutralità rispetto all'emergere del transfert, il quale appunto sarebbe tendenzialmente "puro" e "incontaminato" dalle influenze dell'analista. Come è stato discusso in seguito da molti autori (in primis Gill, 1982, 1983, 1984, 1993, 1994), i quali hanno un po' ripreso le intuizioni di Sullivan e della scuola interpersonalista americana esposte fin dagli anni 1920 e 1930, non è sostenibile una fede ingenua nella neutralità da parte dell'analista, anzi, credere nella neutralità può solo portare ad una maggiore influenza sul paziente perché appunto non analizzata (in quanto ritenuta inesistente). Si veda ad esempio la critica che Gill muove alla concezione della Macalpine (1950), che è esemplare a questo riguardo. La Macalpine aveva parlato di un "setting infantile" (sedute frequenti, costanza dell'ambiente, ecc., la tecnica di base insomma di cui parla anche Eissler) che servirebbe ad evocare quel tipo di transfert che noi vogliamo analizzare. Gill fa notare una contraddizione in questa concezione: se il transfert deve essere spontaneo e incontaminato dalla influenza del presente, perché allora abbiamo bisogno di apposite misure per farlo emergere? Perché, in altre parole, dobbiamo "manipolarlo" con un "setting infantile"? Il transfert che emerge grazie al setting "classico" non sarebbe quindi una pura ripetizione del passato di fronte ad un analista che funge da specchio (blank screen) o da osservatore neutrale, ma una reazione a quel "setting infantile", sarebbe cioè un "transfert infantile" (o, se vogliamo, un "transfert classico" provocato dal "setting classico"), una reazione iatrogena, concettualmente simile all'ipnosi: niente di più lontano da quello che comunemente intendiamo per psicoanalisi (molto belle sono le pagine di Gill in cui mostra - con buona pace dell'analista "ortodosso" - come una psicoanalisi classica possa di fatto consistere in una "psicoterapia manipolatoria", mentre una terapia monosettimanale e senza lettino nella quale si analizza attentamente il transfert possa essere definita a tutti gli effetti una "psicoanalisi"). Beninteso, qui non vengono criticate tanto le regole del setting classico (che è un setting come un altro, né migliore né peggiore), quanto la implicita idea che quel setting garantisca una neutralità dell'analista, e che solo quel tipo di setting, e non altri, debba essere utilizzato per tutti i pazienti e trasversalmente alle varie culture e ai periodi storici (perché è questa la implicazione sottostante, altrimenti non sussisterebbero le regole standard, ad esempio il lettino e le quattro sedute alla settimana, tuttora prescritte dall'International Psychoanalytic Association [IPA] - anche se, naturalmente, queste regole sono più spesso sulla carta che nella realtà). Ecco perché, venendo a questo punto a mancare le giustificazioni teoriche del setting classico, Gill in modo radicale si sbarazza dei criteri "estrinseci" (lettino, frequenza settimanale, ecc.), ridefinisce quelli "intrinseci", e sposa una concezione molto allargata di psicoanalisi, attuabile nei setting più diversi (sedute a frequenza monosettimanale o addirittura variabile, setting di gruppo, emergenze, terapie brevi, servizio pubblico, pazienti più gravi e/o con terapia farmacologica, ecc.). L'importante è che l'analista di volta in volta faccia del suo meglio per fare "l'analisi del transfert" (che sarebbe meglio definire a questo punto come "analisi della relazione" - è questo l'unico fattore "intrinseco" che Gill conserva, e per di più ridefinendolo in termini "relativistici" o "interpersonali"), cioè la relazione paziente-terapeuta la quale è sempre influenzata dalle condizioni del setting, qualunque esse siano. A scanso di equivoci, occorre ribadire che qui non si sta affatto dicendo che il setting classico non va bene e che va preferito una altro setting (ad esempio senza lettino o a bassa frequenza settimanale - o, per restare nel tema di queste riflessioni, magari con Internet). Si sta dicendo semplicemente che il setting classico è un setting come un altro, e va benissimo, solo che evocherà il suo tipo di transfert. Ogni paziente infatti reagirà ad un determinato setting non secondo un modello ideale che noi riteniamo valido indiscriminatamente per tutti i pazienti, perché è il transfert stesso (cioè le precedenti esperienze fatte dal paziente) che determina il modo con cui verrà vissuto il setting stesso. Per fare un esempio volutamente schematico, se un paziente ha avuto genitori molto riservati e silenziosi forse sarà a suo agio con un analista ortodosso, mentre se i suoi genitori erano espansivi e calorosi potrebbe vivere questo analista come freddo, distaccato, o forse punitivo: è ovvio che sarebbe un errore interpretare come transfert solo quest'ultimo comportamento, e considerare "normale" (cioè come "non transfert") lo stato di non conflittualità che prova il paziente di fronte ad un analista che era riservato e silenzioso ("ortodosso"). Potrebbe anche essere che questa apparente normalità ci impedisca di illuminare un'importante area problematica di funzionamento del paziente che invece comparirebbe se questi fosse esposto ad un diverso setting, e che in questo modo potrebbe essere analizzata (per un approfondimento della concezione di Gill, con anche un dettagliato esempio clinico, rimando ai miei lavori citati prima). Risulterà più chiaro a questo punto perché ho voluto far precedere queste mie riflessioni sulla psicoterapia on-line da questa lunga premessa sulla concezione di Eissler sul parametro e sulla revisione teorica di Gill. Se accettiamo che non vi sia più, per così dire, un "gold standard" per la psicoanalisi (inteso in termini di criteri estrinseci, cioè legato ad un tipo specifico di setting), ne consegue a rigor di logica che anche con Internet possa essere condotto un trattamento che risponde ai requisiti della psicoanalisi: attenta analisi delle manifestazioni transferali a partire dal tipo di contesto in cui avviene l'incontro paziente-terapeuta (in questo caso Internet, nelle sue varie possibili modalità), ben consapevoli che questo contesto, come qualunque altro contesto, avrà sempre una pesante influenza sul transfert stesso (nonché sul controtransfert, naturalmente), influenza che comunque dovrà essere attentamente analizzata. Con questo ragionamento, dunque, sembrerebbe giustificato l'utilizzo di Internet per la psicoterapia, e per di più per una terapia di tipo psicoanalitico. Ulteriori riflessioni Ritengo necessario fare alcune ulteriori riflessioni per chiarire meglio i passaggi fatti, perché è possibile che si creino fraintendimenti. Quelle che vanno analizzate meglio sono le implicazioni sottostanti al ragionamento che abbiamo fatto fino ad ora per arrivare ad una posizione che non esclude aprioristicamente l'utilizzo di Internet per la psicoterapia. Prima ho detto che molti colleghi hanno un atteggiamento critico verso la psicoterapia on-line, e ciò potrebbe essere comprensibile se si pensa agli abusi che se ne possono fare o ad un suo uso indiscriminato e magari in sostituzione della psicoterapia tradizionale (anche se, per la verità, non è chiara la motivazione all'abuso della psicoterapia on-line da parte dei terapeuti, essendo per loro più faticosa e meno remunerativa - a meno che essa non possa esserlo in una prima fase pionieristica dove alcuni sfruttano questo terreno di caccia di nuovi pazienti non altrimenti reperibili, ma presto anche questo territorio sarà molto popolato e non varrà più la regola del "chi prima arriva meglio alloggia"). Ritengo corretto essere critici verso la psicoterapia on-line, ma solo a patto che noi muoviamo la stessa critica verso la psicoterapia tradizionale, altrettanto abusata e praticata in modo "selvaggio" (qualunque cosa ciò significhi). Quello che ritengo importante sottolineare non è solo il fatto che un atteggiamento critico a priori verso la psicoterapia on-line possa nascondere un tacito lassismo verso la psicoterapia non on-line, ma anche che questo presuppone l'errato ragionamento secondo cui il fattore determinante è la forma esteriore che assume la psicoterapia (i criteri "estrinseci"), dimenticando che è il significato dell'esperienza nel suo complesso il fattore caratterizzante la psicoterapia, incluso l'intergioco tra fattori estrinseci ed intrinseci. Un tipo di ragionamento che privilegia i criteri estrinseci non può che condurre - come non mi stanco di ripetere - ad errori tecnici anche nella psicoterapia non in rete. Gli esempi a questo proposito sono innumerevoli, basti pensare all'uso del lettino: coloro che storcono il naso di fronte all'uso terapeutico di Internet possono essere gli stessi (anzi, sono gli stessi) che, in modo stereotipato, ritengono che il lettino (come qualunque altro elemento estrinseco del setting, dato che qui il lettino vale come esempio prototipico) sia essenziale per la psicoanalisi, quando di per sé esso non significa niente e quello che è essenziale è il modo con cui vengono analizzate le reazioni del paziente al lettino, così come alla sedia e a qualunque altro elemento del setting o nostro intervento (Migone, 1998a). Può portare insomma - come ha ben argomentato Galli (1988, 2002) - ad una reificazione della tecnica, quasi come se essa stessa, per così dire, potesse ergersi al rango di "teoria". La psicoterapia on-line può essere utile non solo nei casi di grande distanza geografica tra paziente e terapeuta (Internet in questo senso è un grande vantaggio, perché, come si è detto, facilita molto in termini di spesa e di tempo), ma anche, proprio secondo la teoria del parametro di Eissler, può essere indicata nei casi in cui un determinato paziente (esempi tipici sono certe problematiche schizoidi, o anche agorafobiche e di fobia sociale) non riesca ad affrontare il contatto diretto col terapeuta, e invece riesca ad aprirsi meglio mantenendo una certa distanza emotiva che per lui è simbolizzata dalla distanza fisica della rete (cioè, usando i termini di Eissler, nel caso di determinati "deficit dell'Io"). In una fase iniziale della terapia un paziente potrebbe venire "agganciato" in questo modo (ad esempio nel caso chieda aiuto per la prima volta tramite Internet, come per E-Mail, in una discussion list o in una chat line), per fare un determinato lavoro allo scopo di superare certe resistenze che gli permettano poi di continuare la terapia in modo tradizionale, se è questa la modalità che viene ritenuta indicata o che viene scelta. Ritengo quindi che la psicoterapia in rete possa avere una sua dignità come tecnica, proprio allo stesso modo con cui altre tecniche terapeutiche hanno una loro dignità, quali la terapia di gruppo, la terapia familiare, ecc. Anche in questi casi, infatti, rimane aperta la domanda di quale tecnica preferire e perché (se ad esempio si deve scegliere se fare una terapia individuale o di gruppo), nel senso che non è tanto importante quale è poi la nostra scelta finale, quanto il fatto che venga tenuta aperta la domanda e vengano continuamente analizzate le implicazioni transferali e controtransferali di tali scelte o preferenze (in questo senso, la scelta fatta interessa meno di quanto possa essere interessante chiedersi "perché non ne è stata fatta un'altra"). I problemi teorici e tecnici della psicoterapia con Internet sono identici a quelli della psicoterapia o della psicoanalisi "al telefono", che è praticata da decenni da molti analisti, non solo negli Stati Uniti o in altri paesi dove vi sono grandi distanze geografiche, ma in tutto il mondo, solo che in genere si tende a non parlarne, o a riferire, durante la discussione di casi clinici, solo delle telefonate coi pazienti come "incidenti" o momenti che vanno presto normalizzati per tornare al tradizionale rituale della terapia. Raramente si discute il problema della terapia a distanza attraverso la rete telefonica, e sono convinto che non viene affrontato perché una sua coerente disamina non potrebbe non avere ripercussioni sull'intero impianto teorico della psicoanalisi e sul rapporto tra teoria e tecnica (del tipo di quello fatto dall'ultimo Gill [1984], per intenderci). Il mito che possa esistere una "tecnica classica" della psicoanalisi, con le sue regole, il suo setting ben definito, ecc., rassicura molti analisti, soprattutto in un momento in cui, dopo la crisi di precedenti certezze e l'accavallarsi di teorie diverse sul mercato della psicoanalisi, il polo teorico viene vissuto come fragile per cui viene naturale aggrapparsi al polo tecnico per rassicurarsi di aver conservato l'identità perduta. La psicoterapia con Internet potrebbe essere considerata, per certi versi, una "nuova frontiera" così come, nella storia della psicoanalisi, di volta in volta si sono dovuti affrontare nuovi problemi tecnici che hanno costretto ad una salutare messa a punto della teoria: alludo alla terapia degli psicotici (Sullivan), dei bambini (Melanie Klein), del narcisismo (Kohut), di certi disturbi di personalità (Kernberg), e poi degli adolescenti, dei gruppi, delle famiglie, dei tossicodipendenti, delle delinquenze, ecc. Come sappiamo, tutti questi territori di confine hanno prodotto un salutare ripensamento della teoria psicoanalitica, che a volte ha prodotto innovazioni che più tardi sono state generalizzate arricchendo il nostro modo di comprendere il meccanismo della terapia. Non è tanto importante il fatto che la psicoterapia sia condotta attraverso Internet, quanto la teoria che utilizziamo per giustificarla, la nostra capacità di analizzare le motivazioni transferali e controtransferali che stanno dietro a questa scelta: forse che il paziente, oppure il terapeuta, nella loro preferenza della psicoterapia on-line esprimono una resistenza, cioè una difesa dalla psicoterapia off-line? E nel caso, perché? O forse che, viceversa, la scelta della terapia tradizionale da parte di uno o di entrambi esprime una resistenza a un aspetto della psicoterapia in rete che eventualmente sarebbe stata possibile? E così via. Questi ragionamenti non sono specifici alla questione della psicoterapia in rete, ma sono gli stessi che vengono fatti nei confronti di qualunque intervento e a proposito di qualunque modalità terapeutica (ad esempio nella scelta della terapia di gruppo, della terapia familiare, ecc., prima citate). Anche queste scelte, così come il loro opposto, possono fungere da ricettacoli difensivi, ed è l'attenta analisi di queste dinamiche quella che costituisce il fulcro del nostro lavoro. Non vi è mai un luogo sicuro su cui si possa, per così dire, riposare analiticamente (per una discussione di questa problematica, con anche esempi clinici, riferita però alla psicoterapia breve, che presenta le stesse identiche questioni teoriche, vedi Migone, 1988, 1993, 1995a pp. 51-62, 1995c, 2005). Quello che mi preme sottolineare nuovamente è che qui non si sta parlando della psicoterapia in rete in quanto tale, ma della psicoterapia tout court, cioè della logica utilizzata dal terapeuta per qualunque sua scelta tecnica. E' solo affrontando la teoria della tecnica che sta a monte che è possibile non arenarsi nei vicoli ciechi delle "tecniche", e affrontare adeguatamente la questione della psicoterapia con o senza Internet. Vorrei fare un'ultima riflessione ancora a proposito della teorizzazione classica del setting analitico come di una condizione tutta particolare atta ad evocare determinati reazioni transferali "regressive" da sottoporre poi ad analisi, in quanto ancora una volta si può fare qui un interessante parallelismo con la psicoterapia on-line. Da più parti infatti viene sottolineato come Internet possa rappresentare un "setting" tutto particolare che, in modo specifico, evoca in molti soggetti una serie di emozioni intense, stati regressivi o cosiddetti "perversi" (si pensi alle chat lines erotiche, agli improvvisi e violenti innamoramenti in rete, o alla pedofilia, e così via). In altre parole, Internet, per vari motivi, libererebbe emozioni molto profonde, paradossalmente maggiori di quelle evocate da situazioni "normali", cioè non in Internet (Migone, 2002). A parte il fatto che a mio parere questo può essere vero per determinati individui e non per altri, cioè sarebbe un errore generalizzare questi fenomeni che sono invece relativi ad un determinato tipo di società o sottocultura, vorrei far notare che questo tipo di logica è la stessa utilizzata nel caso della tecnica analitica classica, dove si teorizza che viene utilizzato un setting particolare, ritualizzato, dotato di lettino, ecc., volto a stimolare un determinato comportamento (chiamato transfert) che si vuole far emergere ed analizzare (mi riferisco alla teorizzazione del "setting infantile" della Macalpine, 1950). Secondo questo ragionamento, la "psicoanalisi classica" e la "psicoanalisi con Internet" sarebbero omologhe (anzi, come si accennava prima, la psicoanalisi sarebbe una caricatura della psicoterapia con Internet): il transfert in un caso e le cosiddette "perversioni" dall'altro potrebbero essere i comportamenti che di proposito si vogliono far emergere, sarebbero cioè forme di "regressione" (analitica). Come penso risulti chiaro dalle mie precedenti argomentazioni, non sono d'accordo con l'utilizzo di questa logica. Infatti, in entrambi i casi l'errore è quello di generalizzare a tutti i soggetti l'effetto che un determinato stimolo ha su un campione più o meno grande di individui, e che comunque, anche nel caso questa reazione fosse generalizzabile, non è chiaro perché si debba desiderare di evocare questo tipo di "transfert" e non un altro (anche qui, rimando alla lucida critica di Gill [1984] al concetto di regressione in analisi). Intendo dire: perché mai non dovrebbe essere altrettanto interessante evocare un transfert diverso da quello che si manifesta nella psicoanalisi classica (o, se è per questo, con Internet)? Per finire, va ricordato che vi è un aspetto indubbiamente assente nella psicoterapia in rete rispetto a quella non in rete: il corpo "fisico" del paziente. Questa assenza può essere un fattore fondamentale per le cosiddette terapie corporee, che nel loro armamentario appunto utilizzano il corpo in quanto tale all'interno della terapia, e non soltanto le fantasie o le emozioni su di esso. Sotto questo punto di vista, la psicoterapia in rete è sicuramente "inferiore" a quella tradizionale. Ma, se sono state ben comprese le riflessioni fatte finora, non possiamo non ammettere che anche la psicoterapia tradizionale, a rigor di logica, è inferiore a quella in rete, in quanto è deprivata di una serie di dati importanti, quelli della sola presenza del corpo "virtuale". La realtà "virtuale" e quella "reale" (ammesso che quest'ultima possa mai essere conosciuta in quanto tale - non è possibile in questa sede entrare nella questione filosofica della natura della realtà) non sono l'una superiore o inferiore all'altra, ma due diversi tipi di esperienza, ciascuna rispettabile e meritevole di essere indagata, e ciascuna capace di fornirci preziose informazioni sulla natura umana. Riassunto. Viene discusso il nuovo fenomeno della psicoterapia e della psicoanalisi con il computer o on line, cioè tramite E-Mail, chat, e sistemi di videoconferenza. In particolare, la psicoterapia in rete viene vista come una modalità molto interessante per riflettere non tanto e non solo sui tanti vantaggi di questa potenzialità di Internet, quanto sulle implicazioni che il nostro modo di ragionare attorno ad essa ha rispetto alla psicoterapia senza computer, cioè rispetto al nostro modo di ragionare attorno alla psicoterapia "normale". Questa tematica viene inquadrata all'interno del fondamentale contributo di Kurt Eissler del 1953 sul "parametro di tecnica", che viene discusso anche alla luce della revisione della analisi del transfert, e della definizione stessa di psicoanalisi, operata dall'ultimo Merton Gill (ad esempio nel 1984). La psicoterapia on line non viene vista come peggiore né migliore di quella che si può chiamare off line, ma semplicemente diversa, così come diverse sono possono essere due terapie tra di loro (entrambe con o senza computer). Abstract. «On Line Psychotherapy». The new phenomenon of computer-assisted psychotherapy or psychoanalysis, i.e., with e-mail, chat lines, video-conferencing, etc. (called also e-psychotherapy or on line psychotherapy) is discussed. E-psychotherapy is seen as a very interesting opportunity not only because of its many advantages in specific cases, but also as a way to reflect on the way we think about it. Namely, the way we think about on line psychotherapy has direct implications on the way we think and practice "normal", off line psychotherapy. This problem is discussed from the point of view of the history of psychoanalytic technique, with reference to the classic 1953 paper by Kurt Eissler on "parameter of technique", and also to the revision of the analysis of transference and of the definition of psychoanalysis itself by the late Merton Gill (e.g., in 1984). On line psychotherapy is not seen as better or worse than off line psychotherapy, but simply as a different psychotherapy, in the same way as two psychotherapies, both off line (or both on line, for that matter), may be different between each other. Bibliografia American Psychological Association (1997). Services by telephone, teleconferencing, and Internet. A statement by the ethics committee of the American Psychological Association. Su Internet: http://www.apa.org/ethics/education/telephone-statement.aspx. Aronson J.K. 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