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Conversazione con Maurizio Mottola sullo stato della psicoterapia

Claudia Del Vento


Ripubblicato su Psychomedia da "Agenzia Radicale"


Nella precedente legislatura la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati aveva dibattuto il testo unificato Disposizioni per l'accesso alla psicoterapia, frutto anche del confronto svoltosi nel corso di varie audizioni con rappresentanti di associazioni professionali ed esperti del settore. Lo scioglimento anticipato del Parlamento ne ha interrotto l'iter.
Allo psichiatra e psicoterapeuta Maurizio Mottola, rappresentante della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) nella Commissione del Ministero dell'Università e della Ricerca per la valutazione dell'idoneità delle scuole di formazione in psicoterapia, abbiamo posto alcune domande.
Il 13 ottobre 2008 lei ha realizzato otto anni di presenza ininterrotta nella Commissione del Ministero dell'Università e della Ricerca per la valutazione dell'idoneità delle scuole di formazione in psicoterapia. Non è stato mai assente partecipando fino ad adesso ad oltre ottanta riunioni. Con tale esperienza che opinione ha maturato sullo stato della psicoterapia? La psicoterapia è branca di specializzazione la quale -a differenza delle altre (psichiatria, neurologia, neuropsichiatria infantile, eccetera) che sono di esclusiva competenza delle università- è invece prevalentemente gestita da istituzioni private (vagliate ed autorizzate dal Ministero dell'Università e della Ricerca) ed il cui accesso è consentito a medici e psicologi. Le sedi riconosciute dalla procedura di valutazione ministeriale sono oltre 300 (tra sedi principali e sedi periferiche), per cui si è raggiunto un livello di sovrabbondanza e perciò occorre promuovere ed incrementare il parametro della qualità, individuando criteri e procedure utili per sostenere lo sviluppo della produzione scientifica nonché della ricerca che tali scuole siano in grado di organizzare e produrre. Ciò consentirebbe che l'allievo non scelga unicamente in base al parametro minimale di scuola riconosciuta/non riconosciuta, ma anche -per quelle riconosciute- in base a fattori qualitativi.
Promuovere la qualità diviene, dunque, un processo di sostegno a livello culturale e scientifico del ruolo centrale che la psicoterapia nelle sue varie forme sta assumendo, quale moderna risposta al disagio ed alla sofferenza dell'individuo.
L'accesso alla psicoterapia va pertanto considerato un diritto sanitario del cittadino e va dunque sviluppata la prerogativa che gli utenti siano garantiti sulla qualità della formazione specialistica in psicoterapia, che è entrata a pieno titolo nell'ambito degli interventi sulla salute.
Bisogna comunque tenere conto che per l'incremento e lo sviluppo della qualità è indispensabile coinvolgere tutte le parti in campo (le scuole private, le scuole di specializzazione universitarie, i servizi, gli allievi, gli utenti), in quanto la qualità non può essere imposta ma solo promossa e premiata.
Quali sono le differenze con il resto dell'Europa in merito alla psicoterapia ? In Italia gli psicoterapeuti sono oltre 36mila (due terzi laureati in psicologia ed un terzo laureato in medicina): dunque uno psicoterapeuta all'incirca ogni 1.600 abitanti, con marcate differenze tra regione e regione e diversa presenza per categoria di professionisti (è psicoterapeuta uno psicologo su 2,3 del totale degli psicologi ed un medico su 33,2 del totale dei medici).
Pochissimi sono i concorsi banditi dalle Aziende Sanitarie Locali per dirigente di psicoterapia (pur in presenza di normativa dal 1997) e quei pochi banditi richiedono talvolta requisiti di ammissione impropri, per cui migliaia di psicoterapeuti (medici o psicologi, con una successiva formazione quadriennale) debbono puntare alla libera professione, in quanto lo sbocco nel servizio sanitario nazionale come dirigente di psicoterapia è estremamente residuale.
Eppure l'accessibilità è uno dei fattori della qualità ottimale, in quanto esprime il massimo che un sistema sanitario può mettere a disposizione dei cittadini, incrementandone così la propria efficienza. Fasce della popolazione non abbiente e non in grado quindi di sostenere i costi di una psicoterapia a livello libero professionale e che rivolgendosi ai servizi sanitari pubblici spesso ricevono solo dei trattamenti di urgenza ed emergenza sono dunque precluse di fatto all'accesso alla psicoterapia. Poiché prevenire è far sì che i disagi ed i disturbi non si trasformino in conclamate malattie, ecco che la psicoterapia -o meglio le psicoterapie- si rivelano uno strumento efficace in tal senso ed attualizzano una concreta prevenzione, purché se ne potenzi per davvero l'accessibilità.
La formazione in psicoterapia presenta in Italia delle caratteristiche che non si riscontrano negli altri paesi europei: il requisito cioè di essere laureati in medicina e chirurgia oppure in psicologia per poter accedere alla successiva formazione in psicoterapia perlomeno quadriennale.
Dunque in Italia lo psicoterapeuta o è un medico oppure è uno psicologo, entrambi con successiva specializzazione in psicoterapia, che di fatto consiste nell'accesso e nella frequenza ai corsi quadriennali delle scuole di formazione in psicoterapia autorizzate dal Ministero dell'Università e della Ricerca, che sono oltre 300 (tra sedi principali e sedi periferiche) oppure nell'accesso e nella frequenza alle specializzazioni universitarie in psicologia clinica, i cui corsi si svolgono in pochissime facoltà.
Anche il conseguimento della specializzazione universitaria in psichiatria o in neuropsichiatria infantile consente ai medici l'iscrizione all'albo degli psicoterapeuti. Invece nella vicina Francia ci sono circa 10.000 psicoterapeuti formati e 5.000 psicoanalisti che non si considerano "psicoterapeuti". Meno del 50% sono medici o psicologi. Più del 50% sono lavoratori sociali, infermieri psichiatrici, educatori, sociologi, eccetera.
Questi almeno sono i dati conosciuti attraverso il tessuto associativo, ma è ragionevole pensare che gli operatori complessivi della psicoterapia e della psicoanalisi siano molti di più.
In Francia non c'è un ordine degli psicologi e la Federazione Francese di Psicoterapia e Psicoanalisi (FF2P) riconosce 20 modalità psicoterapeutiche-psicoanalitiche (in generale sono molto diffusi gli approcci psicoanalitici tradizionali: Freud, Jung, Adler, Klein, Lacan, eccetera), gli approcci cognitivi e comportamentali, la psicoterapia umanistica (Gestalt, Rogers, Ipnosi Eriksoniana, Programmazione Neuro Linguistica terapeutica, eccetera), la terapia familiare, gli approcci integrativi e gli approcci transpersonali. In Francia ci sono circa 60 istituti di formazione, e sono tutti privati.
Non ci sono formazioni complete in psicoterapia nelle Università. La formazione avviene attraverso corsi della durata di 4 anni a livello post laurea dopo una severa selezione con due anni di supervisione pratica. L'età media per iniziare la formazione è circa 40 anni, dopo una lunga pratica nel campo. Non ci sono studenti giovani. In Francia ritengono che l'esperienza ed una buona pratica ed una personalità bilanciata siano più importanti del percorso universitario.

Pertanto due possono essere considerate le principali posizioni in ambito europeo sulla regolamentazione della psicoterapia:
- una posizione che vuole l'inserimento della psicoterapia quale ulteriore branca di specializzazione medica a livello di direttiva europea;
- una posizione che vuole sviluppare la psicoterapia in un ambito di autonomia sia dalla medicina che dalla psicologia, potenziandola come pratica di relazione rispetto all'attuale prevalenza dell'aspetto prettamente clinico e punta al Certificato Europeo di Psicoterapia (ECP), secondo criteri unificati in tutta Europa quali: una formazione di un minimo di 7 anni e non inferiore a 3.200 ore complessive; la formazione accademica minima deve essere di almeno tre anni.
La formazione in psicoterapia, poi, secondo uno dei modelli accreditati dall'Associazione Europea di Psicoterapia (EAP) richiederebbe la durata di almeno quattro anni con un monte ore complessivo non inferiore a 1.600 con inclusione di: psicoterapia personale o equivalente; teoria generale e specifica per l'approccio psicoterapico; pratica clinica in supervisione per almeno due anni, tirocinio ed infine l'autocertificazione dell'esercizio della professione da almeno cinque anni.
Il rapporto tra medici e psicologi è diventato ulteriormente conflittuale dopo la sentenza n. 4483/2007 del 23 agosto 2007 della sezione sesta del Consiglio di Stato che esclude i medici dall'accesso alla specializzazione universitaria in psicologia clinica, riservandola ai soli psicologi. Qual è a suo avviso il reale punto critico tra le due categorie di professionisti ? In quanto medici, anche se disponibili al confronto, non possiamo non prendere atto di un continuo arrembaggio alla nostra professione, che è soggetta ad una continua e pervicace erosione. Nessuno mette in discussione che i colleghi psicologi effettuino la psicoterapia, mentre gli psicologi mettono in discussione che i medici pratichino la psicologia clinica e con pervicacia hanno perseguito l'obiettivo dell'esclusione dei medici dall'iscrizione e frequenza dei corsi universitari di specializzazione in psicologia clinica.
Comunque nel documento finale approntato nel marzo 2006 dalla Commissione per i problemi della psicologia e psicoterapia della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) ed approvato dal Comitato Centrale della FNOMCeO nel giugno 2006, per quanto attiene la psicologia clinica si è affermato: "Obiettivo a medio/lungo termine della FNOMCeO, riguardo alla problematica "psicologia clinica", secondo la Commissione dovrà essere quello di giungere alla istituzione di una nuova specializzazione denominata "medicina psicologica", riservata ai medici, con programma formativo di indirizzo psicologico, psicodiagnostico e psicosomatico e di una ulteriore, diversa specializzazione denominata "psicologia clinica", riservata agli psicologi, con programma formativo congruo alle loro competenze; entrambe le specializzazioni preparatorie ad un inserimento nel SSN. L'istituzione di una specializzazione in linea con altre esistenti in Europa potrebbe portare ad un suo riconoscimento comunitario".
Dunque da parte dei medici è stato scelto il percorso della proposta e del confronto. Certamente come professionisti gli psicologi possono essere contenti del consolidarsi delle prerogative della loro professione e però come cittadini hanno da riflettere su quanto l'essersi adoperati per l'esclusione dei medici dalla psicologia clinica contribuisca culturalmente a voler rinchiudere la medicina nello specialismo tecnologico, il che sancirebbe ulteriormente la scissione tra corpo e psiche, proprio in un momento in cui un filone consistente della medicina mira al recupero dell'unitarietà dell'individuo nell'ambito dell'approccio alla malattia ed alla salute.
La psicologia clinica è l'anello di congiunzione tra la medicina e la psicologia, in quanto affronta la possibile integrazione tra corpo e mente. Le malattie esprimono una concorrenza di fattori organici, ambientali e psichici ed il trattamento deve per questo essere integrato ed olistico. L'intervento dello psicologo clinico agisce in modo virtuoso anche sull'ambiente e sul luogo della cura per rendere l'ambito terapeutico sempre più funzionale. Gli ambiti di intervento dello specialista in psicologia clinica sono molteplici: nella medicina ospedaliera e territoriale; nella medicina di base e nella medicina psicosomatica e nell'ambito dei dipartimenti di salute mentale e tutti questi ambiti prescindono e sono indipendenti dalla psicoterapia.
Nel 1949 nasceva la prima scuola di formazione in Psicologia presso l'Università Cattolica di Milano per iniziativa di padre Gemelli, a cui poi doveva seguire, dopo qualche anno, quella che Marcello Cesa Bianchi insieme a Cesare Musatti aveva organizzato presso l'Università degli Studi di Milano.
Questa scuola nasceva sulle ceneri dell'Istituto di Psicologia sperimentale del Comune di Milano, che era stato diretto per molti anni dal medico fisiologo Casimiro Doniselli e che a seguito delle vicende belliche era stato chiuso.
La Scuola di Specializzazione in Psicologia aveva vari indirizzi, di cui uno era appunto l'indirizzo medico (anno 1956); questa specialità rappresentava nei primi anni in Italia l'unico strumento di formazione accademica per gli psicologi, che allora venivano in parte dalla Facoltà di Medicina, in parte soprattutto dalla Facoltà di Lettere e Filosofia.

Dunque in Italia la psicologia clinica ha un antico e solido sviluppo e radicamento in figure di medici che hanno contribuito e contribuiscono validamente in tale ambito, con un'impostazione che ritiene che la medicina non sia scindibile dal trattare - con competenza professionale - gli aspetti emozionali e le caratteristiche personologiche dell'individuo.
Vuol dire che i medici approfondiranno la materia, ad integrazione della loro preparazione, al di fuori dell'iter formale di conseguimento della specializzazione in psicologia clinica, a loro precluso dalla sentenza della sezione sesta del Consiglio di Stato: la libertà di apprendimento rimarrà per loro la possibile maniera per mantenere un livello formativo basato su di un approccio unitario della medicina.


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