Maurizio Mottola Venerdì 9 aprile 2010 si è svolto a Portici (Napoli) il seminario Lo psicologo clinico in ambito neuropsicologico: definizione, requisiti formativi, buona pratica professionale, ambiti applicativi, organizzato dalla Scuola Campana di Neuropsicologia (SCNp). Allo psicologo e psicoterapeuta Michele Lepore, tra i relatori del seminario e direttore scientifico della Scuola Campana di Neuropsicologia, abbiamo posto alcune domande. Quali sono le peculiarità e specificità della neuropsicologia? La neuropsicologia si occupa degli effetti cognitivi, emotivi e comportamentali del danno cerebrale. Nonostante la patologia di base, quindi, sia di natura neurologica, l'oggetto di studio (funzioni cognitive, emozioni e comportamento) è tipicamente psicologico, come pure i metodi di analisi (osservazione clinico-comportamentale, utilizzo di strumenti psicometrici ed interpretazione funzionale dei risultati). La posizione di confine tra neurologia e psicologia che essa ha occupato per motivi storici e pratici può generare confusione circa il suo statuto epistemologico, ma oggi è sempre più chiaro che essa deve essere considerata una disciplina psicologico-clinica, che confina ed ha rapporti di scambio e collaborazione con altre branche della psicologia, come, ad esempio, la psicologia della salute, la psicologia della riabilitazione, la psicodiagnostica, la psicoterapia, la psicologia giuridica. Non a caso la Scuola Campana di Neuropsicologia è intitolata a Lightner Witmer, fondatore, nel 1896, della prima clinica psicologica presso l'Università di Pennsylvania, dove inaugurò il primo insegnamento di psicologia clinica e fondò la prima rivista, Psychological Clinic, che apre con un articolo che riporta due interventi clinici che oggi potremmo definire neuropsicologici. Insomma, neuropsicologia e psicologia clinica sono strettamente interconnesse da oltre cento anni. Certamente la pratica neuropsicologica, nelle sue applicazioni diagnostiche, riabilitative e forensi, richiede competenze specifiche e questo apre una serie di questioni circa i requisiti formativi e professionali in ambito neuroopsicologico, rappresentando uno dei delicati aspetti critici dell'attuale fase di sviluppo della disciplina. Quali sono le criticità e le prospettive della neuropsicologia? Iniziamo dalle prospettive. Quando, oltre venti anni fa, ho iniziato ad occuparmi di disturbi neuropsicologici, frequentando, neolaureato in psicologia, il Laboratorio di neuropsicologia dell'Università "Federico II" di Napoli (avvalendomi del prezioso insegnamento di Dario Grossi), la neuropsicologia clinica era ancora una disciplina di nicchia, con la funzione principale di contribuire alla diagnosi neurologica. Poi sono avvenuti diversi cambiamenti. Da un lato, il raffinamento dei modelli e degli strumenti diagnostici neuropsicologici, unitamente all'aumento della complessità cognitiva delle attività della vita quotidiana, hanno valorizzato la rilevazione dei disturbi cognitivi (anche minori) in numerose condizioni patologiche. Dall'altro, l'attenzione del neuropsicologo si è sempre più concentrata sull'analisi dell'interazione tra variabili organiche, emotive, relazionali e sociali nel determinare la qualità della vita dei pazienti, svolgendo sempre più spesso anche interventi riabilitativi. Non va poi dimenticato il ruolo del neuropsicologo nell'accertamento del danno e dell'invalidità a scopo legale ed alla possibilità di contribuire con i suoi strumenti a rilevare la simulazione dei disturbi cognitivi, svolgendo un utile ruolo sociale. Veniamo alle criticità. Direi che stiamo assistendo ad una crisi di crescita della disciplina. Innanzitutto l'improvvisa forte richiesta di psicologi con competenze neuropsicologiche rischia di produrre prestazioni improvvisate (senza considerare quelle abusive da parte di figure non autorizzate) e bisognerà che si definiscano meglio requisiti formativi e linee guida di buona pratica professionale. Credo che l'Ordine degli Psicologi abbia un ruolo fondamentale in questo. Poi la malintesa apparente semplicità di alcune prestazioni (penso alla somministrazione di test), a cui talvolta viene erroneamente accostata la pratica neuropsicologica, sta inducendo giovanissimi psicologi (spesso volontari) ad appiattirsi su una funzione tecnica. Purtroppo questo tende a colludere con l'insicurezza del neofita, che, spaventato dalla complessità del lavoro clinico, accetta tale ruolo, realizzando quella che definirei, con una citazione, una "fuga dalla psicologia" verso un acritico tecnicismo. Ma le conseguenze sono gravi, sia per l'utenza che per l'immagine della disciplina. Infine, l'esiguo numero di posti nelle scuole di specializzazione universitarie, che non può far fronte all'esigenza di professionisti adeguatamente formati. Ad oltre 70 anni dalla morte di Freud (23 settembre 1939) quali sono i rapporti tra psicoanalisi e neuropsicologia? Domanda impegnativa. Sono numerose le conferme che le neuroscienze stanno fornendo a molte delle ipotesi di Freud. È un campo molto affascinante. Tuttavia bisogna stare attenti alla seduzione che la tecnologia tende ad esercitare, reificando in strutture anatomiche dei modelli funzionali. Come altre volte nella storia della scienza, teorie già definite vengono solo adattate ad un linguaggio contemporaneo, ma si corre il rischio di allontanare la spiegazione dei fenomeni psicologici dal loro livello di analisi specifico. Molto più interessante e fecondo di avanzamenti interpretativi sostanziali è la luce che l'analisi di alcuni disturbi neuropsicologici può gettare su molti dei fenomeni presi in considerazione da Freud. Penso, ad esempio, all'anosognosia (la mancata consapevolezza, spesso parziale, circa i propri deficit) ed alla sua utilità euristica allo studio della coscienza, o ai deficit selettivi della memoria per l'analisi di alcuni concetti classici freudiani. O, per concludere, ai fenomeni di attenzione divisa che permettono di spiegare alcuni lapsus senza ricorrere a variabili motivazionali (pensieri rimossi), come ho argomentato nel libro Introduzione alla Neuropsicologia (Franco Angeli Edizioni, pagine 224) nel capitolo sugli errori cognitivi, che ho intitolato, appunto, Neuropsicologia della vita quotidiana. Citando Woody Allen, "qualche modello bisogna pur averlo!". |