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Progetto Orthos per la cura dei giocatori d’azzardo: conversazione con Riccardo Zerbetto

Maurizio Mottola



Sabato 12 novembre 2011 si è svolto a Monteroni d’Arbia (Siena) la giornata di studi Orthos: a cinque anni dall’avvio del Progetto sperimentale per la cura dei giocatori d’azzardo, promossa dallo psichiatra e psicoterapeuta della Gestalt Riccardo Zerbetto, direttore scientifico del Progetto Orthos, al quale abbiamo posto alcune domande.

Come si articola il Progetto Ortosi?

Il Progetto -che riceve un sostegno da parte della Regione Toscana- ha già attivato sino ad ora 18 moduli con residenziali intensivi di 21 giorni, seguiti per almeno un anno tramite incontri periodici di verifica e consolidamento del processo di superamento del comportamento compulsivo. Viene inoltre adottato il sistema della “cordata” -tra utenti ed operatori (di Orthos e con i Colleghi dei servizi)- per realizzare congiuntamente in intervento di “rete”. L’obiettivo riabilitativo che il Progetto Orthos si propone è di superare gli “agiti” incontrollati, sviluppando una maggiore consapevolezza delle componenti emozionali (che spesso rimangono inconsce), grazie al superamento della alessitimia, alla scarsa introspezione, alla scarsa tolleranza nel sostenere la frustrazione narcisistica e conseguenti stati di ansia-angoscia, collegati ad un insufficiente contatto con il “principio di realtà” e con il fallimento esistenziale, generalmente riferito dai giocatori non solo in campo economico-professionale, ma anche in campo affettivo. Di qui la focalizzazione del nostro tipo di intervento sulla disregolazione affettiva, che frequentemente accompagna il Gioco d'Azzardo Patologico (GAP). Illustro gli aspetti metodologici. L’impianto teorico rappresenta una sintesi di elementi così riassumibili:

1. impianto umanistico-esistenziale con focalizzazione sulla costellazione valoriale ed il “life project” dell’interessato a monte del sintomo (che raramente evidenzia la possibilità di essere superato durevolmente in mancanza di un profondo processo di ristrutturazione esistenziale e dello stile di vita del soggetto);

2. riferimento alla epistemologia e metodologia della Terapia della Gestalt, teoria del sé e delle sue (dis)funzioni nella relazione Individuo/Ambiente, ciclo dei bisogni e sue interruzioni, focalizzazione sulla funzione egoica e ad-gressiva, lavoro sulla consapevolezza (corporea, emozionale, cognitiva e relazionale) e sul vissuto collegato al senso di vacuità (vuoto fertile), attivazione della dimensione immaginale e progettuale (anastrofica), ricorso al paradosso di Beisser, eccetera;

3. adozione del modello proposto da V. Caretti e A. Schimmenti sul collegamento tra impulsività, alessitimia, ossessività, compulsività e dissociazione. Da una ricerca condotta recentemente dagli stessi Ricercatori risulta come “l’intervento Orthos ha come effetto una riduzione molto importante e duratura dei sintomi GAP (qui misurati attraverso i punteggi al South Oaks Gambloing Screen), nonché il funzionamento globale del soggetto e la sua condizione psicologica generale (VGF)”.

E’ individuabile una linea di demarcazione tra gioco d’azzardo e gioco d’azzardo patologico?

Il GAP viene notoriamente inserito, nell’ultima versione del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), nel capitolo del “Discontrollo degli impulsi”. Applicando il SOGS (South Oaks Gambloing Screen di H.R. Lesieur e S.B. Blume) si rilevano gli indicatori, che connotano la gravità del gioco d’azzardo patologico (GAP), tra cui i tipi di giochi d’azzardo praticati con rispettiva rilevanza e frequenza, precedenti familiari, problematiche correlate, comportamento compulsivo, tentativi inefficaci di smettere, comunicazione menzognera e di evitamento, trascuratezza sul lavoro, amicizie e affetti familiari, richiesta di denaro e indebitamento. L’item che sembra tuttavia più indicativo nell’esprimere il passaggio dal gioco “sociale” a quello “problematico” (se non “patologico”) sembra essere: “Quando gioca, quanto spesso torna a giocare un’altra volta per rivincere i soldi persi?”. Nella “rincorsa alle perdite”, infatti, il giocatore esce dalla dimensione del gioco “gratuito” e tipicamente ludico per cadere in una forma compulsiva ed anancastica, con conseguente perdita di lucidità, serenità psico-emotiva e disregolazione degli impulsi e della dimensione affettiva.

Pur definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “malattia sociale”, il gioco d’azzardo patologico è oggi direttamente o indirettamente incentivato?

Con 61.449 miliardi (nel 2010) di spese per il gioco d’azzardo -che, è bene ricordare, riguarda qualunque tipo di gioco che implichi la prevalente componente “aleatoria” (legata cioè al caso e non alla abilità) e al denaro- lo Stato si assicura solo 9.073 miliardi di euro di entrate erariali, l’equivalente cioè di una piccola finanziaria. Duole constatare che le entrate per l’erario dal 2004 sono aumentate di soli 2 MD di euro (da 7.289), mentre il volume nazionale dei giochi, nello stesso periodo, è più che raddoppiato (da 24.787). A fronte di pressanti campagne mediatiche per diffondere i sistemi per incentivare il gioco d’azzardo che, ahimè, non interessa più solo i ricchi ma si estende progressivamente alle “fasce deboli” della società (pensionati, disoccupati, giovani, casalinghe, extracomunitari, eccetera), ci si chiede dove vadano a finire i soldi raccolti dalla Amministrazione dei Monopoli di Stato. Il GAP non è stato ancora recepito tra i “Livelli essenziali di assistenza (LEA)” e quindi “non esiste” come patologia riconosciuta nel nostro Paese. L’obiezione sul fatto che il Fondo sanitario nazionale non ha risorse per sostenere gli interventi di cura e riabilitazione per i giocatori non regge, dal momento che in altri paesi tali risorse vengono prelevate (il 5% in Svizzera per fare un esempio) dallo stesso mercato dei giochi, mentre niente di tutto questo viene adottato in Italia.


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