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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING INDIVIDUALE
Psicoterapia - Documenti e Comunicati



Conversazione su follia e psichiatria con Antonio Acerra

Maurizio Mottola


Ripubblicato su Psychomedia da "Agenzia Radicale"


Promossa dall'Associazione Italiana per la Ricerca e lo Sviluppo della Mediazione Familiare (A.RI.S.ME.F.), dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dall'Università degli Studi di Napoli Federico II, venerdì 23 novembre 2007 si è svolta a Napoli la giornata di studio La Mediazione Familiare tra Studio e Prassi nei Paesi Europei
Giovedì 15 novembre 2007 la Corte di Cassazione ha emesso la sentenza definitiva di condanna -a 4 mesi per omicidio colposo- di uno psichiatra, il cui paziente psicotico da lui in cura aveva ucciso a coltellate -il 24 aprile del 2000- un educatore professionale della comunità residenziale di Imola. Allo psichiatra e psicoterapeuta Antonio Acerra, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell'Azienda Sanitaria Locale (ASL) AV/1 di Ariano Irpino e responsabile della sede di Avellino della Scuola Romana di Psicoterapia Familiare (SRPF), abbiamo posto alcune domande.

Per terapia "non improntata a criteri di prudenza, diligenza e perizia" la Cassazione ha confermato la condanna a 4 mesi di reclusione dello psichiatra Euro Pozzi, che così viene punito per il comportamento delittuoso di un'altra persona: il fatto di essere malato mentale è sufficiente per far scavalcare il principio cardine che la responsabilità penale è "soggettiva" ?
Assolutamente no. Occorre fare una distinzione tra la responsabilità di cura e la responsabilità soggettiva, inoltre occorre valutare "quanto" e in "cosa" si è ammalati, ovvero di considerare la soggettività come insieme di componenti e/o parti funzionanti in modo sano e altre funzionanti in modo patologico.
Inoltre, essere "ammalati mentali" non equivale tout court ad assumere una identità connotata esclusivamente da malattia, bensì come una funzione del "sé"; la logica attributiva di malato, rimanda all'appartenenza ad una categoria (confermata dalla nosografia psichiatrica) ed è riduttiva rispetto alla concezione più dinamica di soggettività, di persona, di sé come organizzazione complessa di funzioni.

Dopo una "medicina difensiva", che fa prescrivere esami od altro per tutelarsi legalmente piuttosto che per criteri clinici, avremo anche una "psichiatria difensiva", che farà ricoverare psicotici o somministrare loro dosi massicce di psicofarmaci, per paura di rischi di incriminazione per loro eventuali comportamenti delittuosi ?
Esiste questo rischio, non solo come reazione difensiva ad eventi del genere, ma come espressione soggiacente di una cultura ancora diffusa e mai sopita in psichiatria, che attraverso la dimensione dell'intervento terapeutico non vede nell'utilizzo dei farmaci come ad una risorsa scientifica in risposta alla sofferenza e/o alla risoluzione dei sintomi, ma guarda alla dimensione dell'intervento più come "controllo sociale", o ancor peggio come prevenzione della pericolosità, pregiudizio che ancora è attribuito alla malattia mentale, in cui si eleva a realtà di malattia un comportamento, le cui determinanti sono complesse e non riconducibili esclusivamente ad una lettura psicopatologica.

Alcuni anni fa una proposta di legge cercò di reintrodurre surrettiziamente il reato di plagio sotto l'etichetta di reato di manipolazione mentale a presunta difesa di giovani "circuibili" dalle "sette": come mai in un'epoca di sviluppo delle neuroscienze compaiono vari segnali di un rapporto mente-società, connotato come se l'individuo non avesse la capacità di preservare la sua identità ed integrità ?
La legislazione civile e penale, come anche la democrazia, poggiano sull'assioma dell'autodeterminazione responsabile, ma neppure uno Stato di Diritto, per quanto liberale, può assistere senza reagire a gruppi indottrinanti, che sistematicamente tentano di annientare l'autonomia delle singole persone.
Se guardiamo al fenomeno con una lente circolare di sistema e di rapporto mente-società, più che in modo lineare tra chi plagia e chi è plagiato, è possibile constatare la rilevanza che assume la comunicazione nell'ambito del sistema sociale, connotata, per le conquiste scientifiche e tecnologiche, sempre più dalla globalizzazione e dalla massività dell'informazione, che ha prodotto fenomeni di massa prima arginati in ristretti ambiti.
Come non stupirsi, ad esempio, del fenomeno comunicativo di sovradosaggio di spot nei media, che ci rendono adepti al consumo di massa attraverso un vero e proprio brainwashing ? Occorre, a mio parere, auspicare una trasformazione culturale che vada nella direzione di un'ecologia dell'informazione e di un orientamento di essa verso i "sette saperi" fondamentali per il futuro, secondo Edgar Morin, tra cui quello di una consapevolezza di sé anche come identità globale.



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