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Nuove Frontiere per la psicoterapia psicoanalitica

Maurizio Mottola


Ripubblicato su Psychomedia da "Agenzia Radicale"


Venerdì 14 dicembre 2007 si è svolto a Napoli, all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, in occasione della presentazione del libro I pazienti di frontiera. Percorsi psicoanalitici tra l'Io e il Sé (a cura di Mariagrazia Scarnecchia, Franco Angeli Editore, Collana Serie di psicologia, pagine 128), il confronto-discussione Nuove Frontiere per la psicoterapia psicoanalitica, organizzato dalla sezione regionale Campania-Puglia della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica (SIPP).
Il 4 novembre 1899 veniva pubblicata L'interpretazione dei sogni, che può venir considerata il vero e proprio manifesto della psicoanalisi; secondo Freud il sogno é una delle manifestazioni dell'inconscio, la quale -se opportunamente interpretata- permette di accedere ai contenuti repressi ed al modo di funzionare dell'inconscio stesso.
Sigmund Freud aveva certamente ragione e notevole merito nel richiamare l'attenzione sull'aspetto non cosciente dell'uomo e sul suo ruolo fondamentale.
Aveva anche ragione nel mettere a punto un metodo di analisi di tali contenuti (interpretazione) in ambito clinico.
Ciò non toglie che alcune delle sue conclusioni risentano ora del diverso clima culturale del nostro tempo, che ha sviluppato strade diverse, giungendo ad altre conclusioni.
Ad esempio, secondo l'ipotesi sequenziale i.contenuti mentali del sonno riflettono il lavorio di un cervello che elabora le memorie acquisite durante la veglia, ripulendole inizialmente del materiale da non trattenere ed integrandone il residuo nelle memorie precedentemente esistenti. Sognare dunque -secondo questo approccio- servirebbe a preservare l'integrità psicofisica del soggetto, esposto nello stato di veglia ad una massa enorme di stimoli interferenti con la preservazione della sua identità.
Le ricerche delle neuroscienze che riguardano l'elaborazione delle memorie durante il sonno sono in grado di confrontare i fondamenti della psicoanalisi.
Molto è stato tentato nella ricerca dei correlati cerebrali di questo o quell'aspetto del canone psicoanalitico e però entrare troppo nello specifico delle relazioni tra mentale e fisico non è la cosa più semplice, soprattutto per le difficoltà di individuare metodologie corrette.
Per quanto riguarda la psicopatologia, lo schema generale di Freud imperniato sul trauma è ancora attuale e tuttavia altri concetti come quello di mancanza (Bion) e di attaccamento (Bowlby e Balint) si sono affiancati.
Comunque l'epoca in cui viviamo è lontana dalla società degli inizi del 1900 di Freud e gli effetti prodotti dall'era tecnologica e mediatica attuali sono del tutto differenti rispetto a quelli prodotti dal mondo dominato dai valori tradizionali a cui Freud apparteneva. Inoltre mentre per Freud il controtransfert era un ostacolo al percorso psicoanalitico, gli attuali psicoanalisti lo considerano invece uno strumento principe nello svolgimento dell'analisi.
Occorrono dunque nuovi strumenti e nuovi linguaggi per la mente di oggi e quindi vanno ridefinite le modalità e le metodologie di intervento in ambito sia teorico che clinico. Seguendo la lezione di Albert Einstein il soggetto che osserva (ricercatore, clinico, docente) va sempre incluso nell'ambito di studio sullo stesso piano della realtà esterna ad esso, realtà esterna finora l'unica ad essere considerata "oggettiva".
Secondo l'attuale costruttivismo radicale (approccio maggiormente in antitesi con la psicoanalisi) il cervello può essere considerato un organo informatico che elabora informazioni interne ed esterne a mezzo di una struttura organica (hardware) e di una serie di programmi di gestione (software), questi ultimi definiti mente.
La mente è dunque un'interfaccia tra cervello (individuo) ed ambiente circostante. L'individuo pertanto si rapporta alla realtà attraverso un processo di costruzione ed attribuzione di senso, con il quale si sforza incessantemente di trovare un senso oggettivo delle cose, rimanendo poi ogni volta con il solitario e personale senso della realtà, ineluttabilmente non oggettivo ed al massimo condivisibile con altri.
La mente non è in grado di rapportarci adeguatamente con la realtà, perché mentre la realtà è mutevole e contemporanea, la mente è zavorrata attraverso la memoria al passato e sbilanciata in avanti attraverso la proiezione nel futuro. Nel rapporto con la realtà si svolge dunque un continuativo processo di costruzione ed attribuzione di senso, di cui è artefice ogni singolo individuo.
Noi entriamo in relazione con il mondo attraverso le nostre idee e non in modo diretto e così ci separiamo dalla realtà. Riteniamo che il mondo sia esattamente come lo interpretiamo e questo distorce il nostro rapporto con la realtà. Le nostre supposizioni - mettendoci in rapporto con la realtà in un determinato modo - creano una tendenza.
Non esiste pertanto una realtà vera in sé, ma tante realtà quante sono le diverse interazioni tra soggetto e realtà. Da questo assunto deriva che qualunque condizione ci troviamo a vivere -sana o insana- è il prodotto di un'attiva relazione tra noi stessi e ciò che viviamo: insomma ognuno costruisce la realtà che poi subisce. Gli unici due poteri per noi effettivamente disponibili sono l'attenzione - cioè la capacità di rimanere presenti all'esperienza - e l'intenzione - cioè la capacità di decidere obiettivi -, mentre tutto il resto sfugge al nostro controllo.
La riconnessione con la nostra sottesa capacità di percezione diretta (mente intuitiva) è sostegno in un possibile percorso di consapevolezza oltre le frontiere della mente ordinaria, radicata invece nella convinzione che la realtà sia circoscrivibile nei nostri limitati schemi mentali.



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