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Psichiatria - Documenti



Tra psichiatria difensiva ed accanimento burocratico

Maurizio Mottola


Ripubblicato su Psychomedia da "Agenzia Radicale"


Martedì 18 marzo 2008 si è svolta a Roma, alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), la riunione del Gruppo di lavoro Salute Mentale (Giuseppina Francesca Boidi, Giancarlo Cuccato, Domenico Mangione, Maurizio Mottola, Piero Petrini, Elvezio Pirfo, Agostino Sussarellu): tra gli argomenti affrontati in particolare quello della sospensione dal servizio per cinque anni (su decisione del Direttore Generale dell'ASL 8 di Cagliari, Gino Gumirato) dello psichiatra Gian Paolo Turri, primario del reparto psichiatrico (servizio psichiatrico di diagnosi e cura) del presidio ospedaliero Santissima Trinità di Cagliari, in quanto rinviato a giudizio per "omicidio colposo per mancata vigilanza" (prima udienza del processo il 17 aprile 2008).

I fatti: il 22 giugno 2006 muore nel reparto psichiatrico diretto da Gian Paolo Turri il paziente Giuseppe Casu, ricoverato e tenuto in contenzione per un periodo eccessivo. La magistratura apre un'inchiesta ed appena dispone il rinvio a giudizio dello psichiatra Gian Paolo Turri, questi il 3 marzo 2008 viene immediatamente sospeso dal servizio per cinque anni ! Il vertice dell'ASL ha operato un cambiamento epocale del diritto in Italia: ha trasformato l'imputato in condannato.

A questo punto lo svolgimento del processo è una procedura che riguarda solo la magistratura: l'ASL infatti ha già decretato il verdetto ! Imputati di ben altri reati (corruzione, estorsione, associazione mafiosa o camorristica e via dicendo), sanitari e non sanitari dipendenti del servizio pubblico, restano in servizio fino alla sentenza definitiva ed invece -per un reato per il quale in caso di colpevolezza la condanna minima è di quattro mesi- il primario psichiatra viene sospeso dal posto di lavoro: dalla psichiatria difensiva all'accanimento burocratico.

Il fatto è che attualmente con il pervasivo processo di medicalizzazione delle società industrializzate il rapporto tra legge e medicina si compenetra e complessizza sempre più, cambiando la percezione della medicina nella società civile e determinando la burocratizzazione delle procedure di intervento clinico che devono tener conto delle eventuali conseguenze di rivalsa civile e penale.

Tra medico e paziente si interpone l'intreccio di norme e circolari che nei fatti finiscono con il tradursi in una marcata interferenza nel delicato rapporto emotivo e cognitivo che intercorre tra il professionista e l'ammalato (ed i suoi familiari).

Ogni medico italiano ha -in vent'anni di attività- l'80% di probabilità di finire in tribunale. La "frivolous lawsuit" -la denuncia senza reale fondamento- si sta oramai diffondendo anche in Italia, con costi sulla spesa sanitaria in progressiva crescita.

Comunque solo il 25% dei procedimenti si conclude con una condanna e dunque tre medici su quattro vengono assolti, subendo però seri danni all'immagine e conseguenze di rilievo sull'equilibrio personale e sul piano esistenziale. Nonostante il continuo miglioramento della qualità delle cure le denunce per colpa professionale sono aumentate del 148% tra il 1994 ed il 2002.

Eppure, le statistiche rivelano che il 70% degli incidenti ospedalieri, tra i più citati nella casistica della malasanità, dipende da disguidi organizzativi indipendenti dal ruolo del medico ed
il rischio di tutto questo è che i medici finiscano per tutelarsi attraverso la cosiddetta "medicina difensiva": ossia la pratica di badare agli aspetti legali delle cure somministrate prima che alla loro efficacia per il paziente.

Negli Usa, ad esempio, il 71% dei medici ha rivelato in un sondaggio di prescrivere più esami del necessario per cautelarsi da eventuali ricorsi. Sempre negli Usa è ormai difficilissimo trovare ostetrici e ginecologi, stante l'alto rischio di denuncia per chi opera in queste specialità.

In Italia di recente lo psichiatra curante di un paziente resosi omicida è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione a quattro mesi di reclusione per omicidio colposo ed un altro gruppo di psichiatri è stato condannato dalla terza sezione della Corte d' appello di Torino sempre a quattro mesi di reclusione per omicidio colposo per il suicidio di un paziente ricoverato. Adesso il caso dello psichiatra Gian Paolo Turri sospeso dal servizio per cinque anni per il semplice fatto di essere stato rinviato a giudizio per omicidio colposo per mancata vigilanza ! Che tipo di psichiatria ne può scaturire da tale contesto accanito se non persecutorio?

Attualmente uno dei fattori che connota il servizio sanitario nazionale è il disequilibrio tra qualità professionale e qualità organizzativa. Medici competenti senza supporto organizzativo adeguato non sono in grado di rispondere in maniera ottimale alle richieste dell'utenza, così come strutture debitamente organizzate ma con professionisti impreparati producono "malpratica" e sprechi.

Dunque, per avere un accettabile standard delle prestazioni sanitarie diffuso nell'intero servizio sanitario nazionale, occorre una convergenza e compenetrazione della qualità professionale dei sanitari e della qualità organizzativa delle strutture.

Obiettivo non sempre facilmente raggiungibile laddove si oscilla tra "burocraticismo" e tentativi (a volte maldestri) di "aziendalizzazione", il che molto spesso cristallizza situazioni in cui si lavora male e si sprecano risorse, nonostante l'impegno degli operatori.

Il contenzioso tra medici e pazienti è dunque notevolmente aumentato e spesso esprime un accentuato senso di rivalsa nei confronti dei sanitari; d'altro canto a questo notevole aumento corrisponde paradossalmente un numero percentualmente basso di condanne dei professionisti.

Come interpretare questi dati? Troppi ricorsi all'autorità giudiziaria per presunte responsabilità penali dei medici oppure troppe assoluzioni?

Uno dei fattori basilari di confusione è l'atteggiamento attuale nei confronti della malattia e della morte. La medicina (come parte dello sviluppo della scienza in generale) ha assunto il pesante fardello salvifico, che una volta era prerogativa delle religioni e successivamente dei sistemi filosofico-politici.
La medicina non semplicemente può, ma piuttosto "deve" abolire la sofferenza (cioè le malattie) ed in prospettiva la morte. Oggi non si muore perché si è esseri umani, ma si è "uccisi dalle malattie".
Dalla totale accettazione della morte da parte delle culture primitive si è passati ad un sottile e pervasivo rifiuto del "morire".

I medici dunque operano oggi gravati da questa onerosa consegna psicosociale da parte della maggioranza dei cittadini e ciò li pone in una costante condizione di stress lavorativo, che talvolta si struttura in sindrome del burn-out.

Il progressivo livello di demotivazione e di vissuti di profonda infelicità e frustrazione negli operatori sanitari è dunque riconducibile ad una ideologia, socialmente condivisa, di forti aspettative nei confronti di una medicina investita di onnipotenza.

Fin quando i potenti fattori socioculturali sottesi a questa posizione saranno prevalenti e diffusi nella società, ogni risultato parziale, ogni mancata totale guarigione, ogni morte che segua a malattia diagnosticata porterà delusione e rabbia, che si tradurranno in convinzione che tutto ciò sia dovuto ad errore medico o a malfunzionamento della struttura sanitaria o ad entrambi.

Occorre invece accettare un ridimensionamento della medicina che ricollochi nell'ambito dell'umano le malattie, la vecchiaia e la morte. Il diritto alla salute, fruibile in un determinato contesto storico e sociopolitico, corre il rischio di trasformarsi nell'obbligo poco umano di stare sempre bene e di dover non morire mai.

Prendersela con i medici (penalmente ed amministrativamente) rievoca l'ostilità verso lo stregone da parte dei componenti delle tribù primitive in occasione della morte degli appartenenti, in marcato dispregio della complessità della civiltà.


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