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Psicoterapia - Documenti e Comunicati



Lo spazio dell'interpretazione, conversazione con Sarantis Thanopulos

Maurizio Mottola



Sabato 21 novembre 2009 si è svolto al Centro Napoletano di Psicoanalisi (CNP) - sezione locale della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) - la presentazione del libro Lo spazio dell'interpretazione (Borla Edizioni, pagine 288): "Una contraddizione attraversa lo spazio dell'interpretazione psicoanalitica finendo, a volte, per collocare gli analisti su due fronti opposti. Da una parte l'interpretazione è imperniata sulla centralità del «fantasma» (l'articolazione delle propaggini dell'inconscio nel preconscio), perché non si può prescindere dalla discrepanza che esiste in ogni essere umano tra il desiderio e la possibilità di nominarlo e significarlo. D'altra parte, gli analisti si trovano sempre più spesso a dover far fronte, oltre che a una domanda di significazione del desiderio, anche a una richiesta di sostegno della soggettività, spesso prioritaria e pressante. Questo secondo versante della cura psicoanalitica sposta l'attenzione terapeutica sulla posizione e sul movimento del soggetto nello spazio della relazione analitica, e cioè sulla sua possibilità di esistere e di esprimersi nel suo interno. L'analista deve farsi carico della contraddizione, evitando di privilegiare un versante a scapito dell'altro.". All'autore Sarantis Thanopulos, psichiatra e psicoanalista membro ordinario con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana, abbiamo posto alcune domande.
Cos'è oggi l'interpretazione per gli psicoanalisti e come tale concetto si è evoluto nel corso del tempo ? L'interpretazione psicoanalitica nel senso classico del termine, e cioè secondo l'impostazione che le ha dato Freud, è un'operazione di re-significazione dell'esperienza soggettiva a partire dal recupero di desideri che sono stati rimossi, a causa del loro carattere conflittuale, nella prima infanzia. Nel corso della sua evoluzione fino ai nostri giorni il concetto dell'interpretazione ha subito una trasformazione, anche se la sua definizione freudiana mantiene in vaste aree dell'esperienza clinica la sua validità. Nel lavoro con pazienti la cui esistenza soggettiva è in bilico, la ricerca di un recupero del desiderio rimosso perde il suo significato, perché il desiderio è rimasto fin dall'inizio precluso, sospeso e non ha mai trovato un'esistenza sufficientemente definita nell'apparato psichico. Così nessun ritorno del rimosso può soccorrere il lavoro analitico. Qui l'analista deve riflettere l'esistenza sospesa del paziente nel suo assetto mentale ed affettivo, quando questa esistenza tende periodicamente a riemergere in modo spontaneo. Ciò che l'analista mette in parole è l'impronta che lascia su di lui, trasformandolo, un'esperienza del paziente che cerca di prendere forma per la prima volta.
Qual è attualmente la specificità della psicoanalisi rispetto alle altre psicoterapie? La specificità della psicoanalisi resta la preferenza che accorda all'inconscio ed al sogno. L'analisi mira sempre al ripristino dell'esperienza onirica (del sonno come della veglia) come luogo in cui la dimensione inconscia -più irriducibilmente soggettiva- dell'esistenza trasforma la realtà.
A 70 anni dalla scomparsa di Sigmund Freud (6 maggio 1856 - 23 settembre 1939), come si colloca la psicoanalisi in relazione alle neuroscienze? Direi, questa è la mia visuale personale, che la psicoanalisi debba porsi nei confronti delle neuroscienze in modo insieme disponibile e prudente. Disponibile perché il dialogo non può che produrre un reciproco arricchimento. Soprattutto dopo l'allontanamento dei neuroscienziati più accreditati dalle prospettive cognitiviste e dall'informatizzazione della vita psichica. Prudente perché lo iato tra gli oggetti conoscitivi delle due discipline non autorizza l'illusione di una superscienza unificante.


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