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FRANCISCO VARELA
La coscienza nelle neuroscienze
Conversazione con SERGIO BENVENUTO
fatta per RAI Educational, ENCICLOPEDIA
MULTIMEDIALE DELLE SCIENZE FILOSOFICHE
Parigi, 29 gennaio 2001
Laboratorio LENA allOspedale della Pitié-Salpétriêre
[Traduzione dal francese di Francesco Fanelli]
Sergio Benvenuto - Ci può delineare la situazione del dibattito
odierno sul tema della coscienza nelle neuroscienze?
Francisco Varela - Lo studio della coscienza come oggetto di scienza
è collegato evidentemente con le neuroscienze cognitive, come
vengono chiamate oggi. Questo tema è stato rimosso come una malattia
nevrotica ed è ritornato come torna il rimosso; è stato
rimosso una seconda volta e adesso ritorna di nuovo. Ci sono periodi
in cui viene messo completamente da parte e altri in cui suscita una
vera e propria infatuazione. Allinizio del secolo lindagine
della coscienza è stata una passione in Europa e in America,
soprattutto in Germania, ma anche in America con William James - la
psicologia, che a quel tempo era lequivalente delle neuroscienze,
era interessata essenzialmente al problema della coscienza. Ma allora
era anche in voga quello che si chiama oggi metodo in prima persona,
laccesso fenomenologico, diretto, introspettivo ai contenuti della
mia propria esperienza.
Però tra il 1890 e il 1930-40 circa, linteresse per lo
studio scientifico della coscienza, per ragioni diverse, ha subito uneclisse.
Quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la scienza europea è
rimasta bloccata per riprendere negli Stati Uniti, proprio negli Stati
Uniti si è avuto il ciclo inverso: rimozione totale del tema.
Era il periodo del comportamentismo skinneriano [da Skinner], quando
il solo oggetto di scienza era il comportamento. Il comportamentismo
- per il quale lo studio scientifico della mente poteva prendere come
oggetto solo la manifestazione esterna del comportamento (movimento,
percezione, intensità della percezione ecc.) - ha dominato per
un lungo periodo non solo la psicologia, ma anche lo studio dei sistemi
neuronali. Per un lungo periodo di tempo il comportamentismo ha costituito
una specie di dogma che ha dominato gli ambienti scientifici degli Stati
Uniti, ed ha esercitato un influsso anche in Europa. Infine, negli anni
Sessanta e allinizio dei Settanta, comincia quella che si chiama
oggi retrospettivamente la rivoluzione cognitiva.
La rivoluzione cognitiva consiste nel dire che lapproccio puramente
comportamentista non sembra sufficiente a rendere conto di tutto quello
che si osserva nella vita degli animali e degli uomini, e che bisogna
fare lipotesi - cognitivista, appunto - che da qualche parte ci
siano strutture interne, contenuti propri alla vita della mente, processi
mentali non riducibili a meri comportamenti, come la memoria, la pianificazione,
lassociazione, e via di seguito. Così sin dagli anni Settanta
si è avuto il ritorno ai contenuti della mente attraverso la
nozione di cognizione. Dal termine cognizione
- diventato centrale negli anni Settanta, ed ancora oggi molto importante
- prendono nome le scienze cognitive: in queste, elementi provenienti
dalla psicologia, dalla linguistica, e beninteso dalle neuroscienze,
concorrono alla creazione di una disciplina che si sforza di studiare
i contenuti cognitivi in quanto tali. Anche qui ci sono molte scuole
e tendenze diverse. Per esempio, cè un approccio che considera
la cognizione come un sistema computazionale, come moduli computazionali;
poi cè un approccio più dinamico che si chiama connessionismo.
Così, quando ho cominciato a lavorare come ricercatore negli
anni Settanta, era al centro dellinteresse lo studio della cognizione,
mentre era assolutamente vietato, scorretto, parlare di coscienza. La
coscienza restava qualcosa di mistico, di pertinenza dei filosofi, più
che un tema scientifico. È stato necessario attendere linizio
degli anni Novanta affinché, ancora una volta, in questo ciclo
maniaco-depressivo della storia della scienza, tutta un tratto,
si facesse strada finalmente lidea che si potevano apprendere
molte cose sulla cognizione: come nasce unidea di movimento, come
si costruisce un ricordo, come funziona lemozione, ecc., come
si articolano tutti i moduli in cui si articola la vita cognitiva di
un animale o di un essere umano. E finalmente fa la sua comparsa qualcosa
che sta in relazione di prossimità assoluta con la vita delluomo:
la coscienza, il vissuto. È nata allora, quasi improvvisamente,
una nuova ondata: quella che si chiama oggi scienza della coscienza.
E tutta un tratto è diventato accettabile, anzi auspicabile,
parlare di coscienza e chiedersi quale sia lapparato cognitivo
che rende possibile lesistenza di un vissuto e di un mondo fenomenico
[phénoménal]. Beninteso si parla sempre di animali - certi
direbbero che la coscienza si trova soltanto nelluomo, altri direbbero
che è presente anche nei primati superiori. Ma, in tutti i casi,
sotto determinate condizioni lapparato cognitivo, di cui sappiamo
ormai parecchie cose, rende possibile lapparizione di questo fenomeno
unico nelluniverso che è avere un vissuto, o per usare
lespressione del filosofo americano Thomas Nagel, [autore di un
famoso articolo: Che effetto fa essere un pipistrello (1974)],
potersi porre la domanda che cosa significa essere qualcuno?
e, per implicazione, che cosa vuol dire avere unesperienza?.
Da allora è cominciato il boom della coscienza. In questa fashion
della coscienza cè una fascinazione del mistero, per quello
che è considerato lo zoccolo duro nello studio della coscienza;
questo zoccolo duro non consiste nello spiegare un fenomeno o una capacità
o unabilità cognitiva qualsiasi considerata difficile,
ma essenzialmente a portata di mano della ricerca scientifica. Il problema
duro è: che cosa ci permette di dire che cè unemergenza
della coscienza? Che cosè la coscienza? Si vede bene che
questo problema apre tutta una serie di discussioni filosofiche agitate,
a volte addirittura violente. Si organizzano dei convegni. Per esempio
nellaprile del 2000 sono stato invitato a un grande congresso
che costituisce un momento di incontro biennale su questi problemi,
allUniversità di Tucson in Arizona, sul tema Verso
una scienza della coscienza. Vi hanno partecipato centomila persone,
e si sono confrontate tutte le opzioni filosofiche in un dibattito veramente
assai largo.
Benvenuto - Quali sono le ipotesi dominanti sul tema della coscienza
oggi?
Varela - Anche se il panorama è assai vasto, si possono individuare
certe preferenze. Non è difficile immaginare le ipotesi dominanti,
perché negli scienziati continua a prevalere una tendenza un
po riduzionista - non lo dico in senso peggiorativo per
cui si tenta di ricondurre il problema della coscienza a una spiegazione
puramente materialista. Questo è il programma delle neuroscienze
cognitive. Parlo di neuroscienze cognitive perché non si tratta
soltanto dello studio del cervello, come nelle neuroscienze, ma dei
nuovi metodi di mappatura [imagerie] cerebrale. I nuovi metodi per studiare
il cervello in diretta nelluomo, in maniera non invasiva, permettono
di porre questioni cognitive senza toccare la persona e al tempo stesso
permettono di avere accesso ai correlati neuronali. Dunque per la prima
volta si può mettere un uomo sulla macchina IRM funzionale e
dirgli chiudi gli occhi e immagina il tuo cane che passa per strada,
e simultaneamente registrare lattività cerebrale, vedere
che risultato dà, e poi confrontarlo con il risultato che si
ottiene mostrandogli la fotografia del cane per vedere che differenza
cè tra limmaginare e il percepire. Tali questioni,
che fino a qualche anno fa non potevano nemmeno essere poste, in quanto
riguardano limmaginazione e la vita mentale, sono assai vicine
allesperienza vissuta.
Benvenuto - Quali tecnologie hanno permesso i cambiamenti nella sperimentazione
avvenuti recentemente?
Varela - Quando ci si riferisce a queste tecniche, in generale si pensa
a metodi di mappatura [imagerie] cerebrale, capaci di prendere il cervello
come un tutto e di usare diversi tipi di segnali, che permettono di
ricostruire limmagine di quello che avviene allinterno del
cervello, senza toccare la persona. Ce ne sono essenzialmente tre.
La più nuova è la risonanza magnetica, IRM [imagerie par
résonance magnétique], e in particolare la IRM funzionale,
che ci mette in grado di misurare i cambiamenti nellalimentazione
emodinamica delle diverse parti del cervello, che si accendono nella
realizzazione di un compito. Si ottengono così le immagini che
il pubblico ha già potuto vedere: un cervello con piccole macchie
di colore, come un albero di Natale, che corrispondono per esempio allatto
di alzare un braccio o di avere un ricordo. Queste immagini erano impensabili
fino a qualche anno fa.
Secondo metodo: abbiamo immagini un po più pesanti, ottenute
con unemissione di positroni, iniettando una sostanza che libera
particelle radioattive. È come uno scanner, di quelli che si
usano per le analisi cliniche, che serve a ricostruire lemissione
delle particelle e a restituire unimmagine dellattività
del cervello. E infine, last but not least, lo studio delle attività
di superficie del cervello dispone oggi di apparecchi per fare magnetoencefalogrammi,
i quali permettono di misurare i minuscoli campi magnetici che si trovano
alla superficie della testa. Questi campi magnetici, estremamente precisi,
mediante un trattamento matematico dei dati forniscono unimmagine
dinamica dei processi cerebrali, che possono essere osservati da unangolatura
nuova. La combinazione di questi tre sistemi - la magnetoencefalografia,
il PET [Positron Emission Tomography] e lIRM [Images by Magnetic
Resonance], Immagine di Risonanza Magnetica - è linsieme
delle tecniche che rendono possibile la nuova mappatura cerebrale. E
si continuano a praticare le tecniche in uso già da lungo tempo,
come la registrazione delle cellule per cui si inseriscono degli elettrodi
allinterno del cranio. Questa è la neuroscienza classica,
che si avvale della neurochimica e della neuroanatomia. Le nuove tecniche
invece appartengono alle neuroscienze cognitive, perché permettono
appunto di porre questioni propriamente cognitive su un substrato neurologico
o, più precisamente, neuronale estremamente concreto.
La distanza tra coloro che lavoravano sul versante della psicologia
e coloro che lavoravano sul versante delle neuroscienze è molto
diminuita, fino a divenire pressoché inesistente: si lavora contemporaneamente
sui due versanti. È questo uno dei motivi per cui si assiste
alla rinascita degli studi sulla coscienza, ed è anche la ragione
per cui le neuroscienze hanno un ruolo centrale nei dibattiti sulla
coscienza. Le voci più ascoltate sono proprio quelle - come la
mia e di molti altri - che facciamo ricerche di laboratorio, operando
sulla base delle neuroscienze cognitive, che sembrano fornire gli argomenti
più diretti per legare lesperienza e la coscienza al loro
substrato biologico e cerebrale. Il problema è che la maggior
parte dei miei colleghi scienziati propendono per il programma riduzionista,
e sono mossi dal desiderio di trovare la coscienza da qualche parte,
di trovare i circuiti o il luogo della coscienza o, per usare la parola-chiave,
i correlati neuronali della coscienza - the neuronal correlates of consciousness,
per cui viene universalmente usata labbreviazione NCC - in base
alla speranza che i correlati neuronali della coscienza siano a portata
di mano e che, magari con un duro lavoro, sia possibile trovarli. Per
esempio uno scienziato del più alto livello, Sir Francis Crick,
premio Nobel, scopritore con Watson della struttura del DNA, che ha
dedicato una vita allo studio del cervello, è convinto di aver
identificato i circuiti responsabili dei fenomeni di coscienza, e ha
scritto un libro intitolato Lipotesi misteriosa, in cui si dice
tra laltro: abbiamo scoperto che noi, con la nostra vita, la nostra
esperienza, non siamo che a bunch of neurones, un fascio di neuroni.
Ecco un pensiero decisamente riduzionista. Non sto facendo una caricatura,
riprendo le parole e le scelte di uno scienziato di grande statura.
Dunque, la nozione di un correlato neuronale della coscienza è
veramente la posta in gioco essenziale. In che cosa consistono i correlati
neuronali della coscienza? Sono stati trovati, o li dobbiamo ancora
trovare? E possibile o impossibile? Questo è il dibattito
fondamentale.
Benvenuto - Ci può esporre la sua posizione personale - antiriduzionista
- in questo dibattito?
Varela - Cè una tendenza riduzionista, per cui la nozione
di NCC occupa veramente la maggior parte dei dibattiti. Ma alcuni di
noi - evidentemente non sono solo, anche se siamo sempre un pò
in minoranza - pensano che la questione posta in questi termini non
abbia soluzione, per la semplice ragione che il vissuto in quanto tale
è per principio logicamente ed empiricamente irriducibile a una
funzione neuronale. E quello che si chiama il problema duro della
coscienza. Ciò che appartiene al vissuto ha uno statuto o una
natura che non è spiegabile in termini di sistema neuronale.
Se ne può trovare un correlato, ma questo correlato non cambia
assolutamente il fatto che il lato fenomenico [phénoménal]
resta unapparizione fenomenica, un accesso fenomenico alla mia
coscienza. Dunque bisogna porre la discussione in termini diversi. Si
tenga presente il fatto che il dibattito sulla coscienza è cominciato
e si è sviluppato per la maggior parte negli Stati Uniti, dove
la filosofia della scienza dominante - philosophy of mind - è
una filosofia di tipo analitico, che si interessa essenzialmente a dare
buone definizioni delle categorie e degli oggetti, mentre il mio background
filosofico è piuttosto quello della tradizione fenomenologica.
In questa tradizione il punto di partenza è la natura del vissuto
e la spiegazione materiale del mondo, la spiegazione delle relazioni
tra lelemento fenomenico e il mondo. Ogni tentativo di riduzione
o di dissolvere lelemento fenomenico [le phénoménal]
nellempirico sarebbe unimpresa destinata a fallire. Qual
è lalternativa? Lalternativa è in un certo
senso evidente - non banale - solo che vi si rifletta adeguatamente.
In effetti, quando dico che la coscienza è il vissuto, non parlo
di qualcosa che esiste solo nella mia testa. Non posso mettermi alla
ricerca della coscienza a partire da un tratto di circuito cerebrale.
La coscienza non appartiene, per così dire, a un gruppo di neuroni,
appartiene a un organismo, a un essere umano, a unazione che si
sta vivendo. Non è proprio la stessa cosa. Voglio dire che non
si può avere una nozione della coscienza e della maniera in cui
emerge, se non si prende in considerazione il fatto che il fenomeno
della coscienza appare in un organismo ed è legato ad almeno
tre cicli permanenti di attività. In primo luogo è connesso
in permanenza con lorganismo. Si dimentica troppo facilmente che
il cervello non è un fascio di neuroni sezionati in laboratorio,
ma esiste allinterno di un organismo impegnato essenzialmente
nella propria autoregolazione, nella nutrizione e nella conservazione
di sé, che ha fame e sete, che ha bisogno di rapporti sociali.
Alla base di tutto ciò che pertiene allintegrità
degli organismi, cè infine il sentimento dellesistenza,
il sentimento di esserci, di avere un corpo dotato di una certa integrità.
Per un aspetto essenziale la coscienza rientra nellattività
permanente della vitalità organismica che, muovendosi sullo sfondo
del sentimento di esistere, è continuamente permeata, attraversata,
da emozioni, sentimenti, bisogni, desideri. In secondo luogo è
evidentemente in accoppiamento diretto col mondo, o in interazione
con esso, attraverso tutta la superficie sensori-motrice. Io ho coscienza
di questo bicchiere, nel senso che, quando vedo il bicchiere, dico:
ho coscienza di questo bicchiere. Ma il bicchiere non è
unimmagine nella mia testa, di cui io debba prendere coscienza
dallinterno. Nella buona neuroscienza si è scoperto che
il bicchiere è inseparabile dallatto di manipolarlo. Lazione
e la percezione costituiscono ununità e il mondo non esiste,
se non in questo ciclo, in questo accoppiamento permanente. Cè
uninterazione col mondo e il mondo emerge solo grazie a questo
accoppiamento che è una fonte permanente di senso. È unevidenza
massiccia, costituitasi a partire dallo studio dei bambini, dalla neurofisiologia
della corteccia motoria e sensoriale, e via di seguito. Quando parlo
di contenuti di coscienza, e dico di vedere un bicchiere, il volto di
un amico, il cielo, non parlo di un tratto di circuito [circuiterie]
neuronale che capta uninformazione dal mondo e ne fa un correlato
della coscienza, sto parlando di qualcosa che è necessariamente
decentrato [excentré], che non è nel cervello, ma nel
ciclo, tra lesterno e linterno, che esiste solo nellazione
e nel ciclo, nello stesso modo in cui il sentimento desistenza
vive nel ciclo tra lapparato neuronale e il corpo.
Ma cè ancora una terza dimensione, valida soprattutto per
luomo e per i primati superiori: il fatto di essere strutturalmente
concepiti per avere rapporti con i nostri congeneri, con individui della
stessa specie, di avere labilità innata che costituisce
lempatia, il mettersi al posto dellaltro, lidentificarsi
con laltro. Il rapporto tra madre e bambino non è che una
faccenda di empatia. Non posso separare - non soltanto nellinfanzia,
ma per tutto il resto dellesistenza - la vita mentale, la vita
della coscienza, la vita del linguaggio o la vita mediata dal linguaggio,
lintero ciclo dellinterazione empatica socialmente mediato,
da ciò che chiamo coscienza. Dunque ancora una volta tutto questo
si svolge non allinterno della mia testa, ma in modo decentrato
[excentré], nel ciclo. Il problema del neuronal correlate of
consciousness è mal posto, perché la coscienza non è
nella testa. Insomma, la coscienza è unemergenza che richiede
lesistenza di questi tre fenomeni o cicli: con il corpo, con il
mondo e con gli altri. I fenomeni di coscienza possono esistere solo
nel ciclo, nel decentramento che esso comporta. In tutto questo, evidentemente
il cervello ha un ruolo centrale, perché esso è the enabling
condition, la condizione di possibilità di tutto il resto.
Quindi la coscienza non è un segmento di circuiti cerebrali,
ma appartiene a un organismo incessantemente coinvolto nei differenti
cicli e quindi è un fenomeno eminentemente distribuito, che non
risiede solo nella testa. Il cervello da parte sua è essenziale
perché contiene le condizioni di possibilità perché
questo avvenga. La meraviglia del cervello è che permette per
esempio il coordinamento sensorio-motore di tutta linterazione,
la regolazione ormonale che assicura il mantenimento dellintegrità
corporea, e così via. Ma la nozione di neuronal correlates of
consciousness in quanto tale è, per usare le parole di Alfred
Norton Whitehead, una concretizzazione inopportuna. Se si
ricorre a questa mossa, si escludono simultaneamente molti fatti importanti.
Dunque la mia è una posizione antiriduzionista.
Benvenuto - Ci può spiegare meglio come funziona il concetto
di emergenza nelle neuroscienze?
Varela - In effetti la nozione di emergenza è per me una nozione
assolutamente centrale. In mancanza di questa nozione si continua a
restare - come accade nella maggior parte dei casi - in una visione
dualista del genere body/mind, senza arrivare mai a comprendere come
unattività di tipo sia cognitivo, sia cosciente, possa
essere collegata a una base materiale, senza essere ridotta a uninfluenza
materiale, insomma, non si capirà come sia possibile un approccio
non riduzionista alle basi materiali della coscienza.
Emergenza è una nozione che, dallinizio del secolo in poi,
si è sviluppata nella fisica. Proviene dallosservazione
delle transizioni di fase o transizioni di stato, ovvero di come si
passa da un livello locale a un livello globale. Faccio un esempio banale.
Sono in circolazione nellatmosfera innumerevoli particelle daria
e dacqua, e tutta un tratto per un fenomeno di autoorganizzazione
- questa è la parola chiave - diventano un tornado, un oggetto
che apparentemente non ha vera esistenza, perché esiste soltanto
nelle relazioni delle sue componenti molecolari. Nondimeno la sua esistenza
è comprovata dal fatto che distrugge tutto quello che incontra
sul suo passaggio. Dunque è un curioso oggetto. La nozione di
emergenza ha avuto molti sviluppi teorici, e in biologia si trova che
i fenomeni di emergenza sono assolutamente fondamentali. Perché
ci permettono di passare da un livello più basso a un livello
più alto, allemergenza di un nuovo livello ontologico.
Quello che era un ammasso di cellule improvvisamente diventa un organismo,
un insieme di individui può diventare un gruppo sociale, un insieme
di molecole può diventare una cellula. Dunque la nozione di emergenza
è essenzialmente la nozione che ci sono in natura tutta una serie
di processi, retti da regole locali, con piccole interazioni locali,
che, messi in condizioni appropriate, danno origine a un nuovo livello
a cui bisogna riconoscere una specifica identità. Qui la parola
identità è importante. Quando si parla di una certa identità
cognitiva, si pensa per esempio al fatto di un cane che decide se andare
a destra o a sinistra, che ha un certo temperamento o un certo comportamento,
una vita individuale. Si può dire benissimo che questa è
la vita mentale, cognitiva del cane: preferisce, sceglie, si ricorda
ecc. Nella visione delle neuroscienze lorigine di tutto questo
è in quella serie di interazioni, dunque nelle sue percezioni-azioni,
nellaccoppiamento con il mondo, che fa emergere il livello transitorio
di un aggregato, da una specie di assemblaggio di tutti i moduli particolari
- che sono la percezione in quanto tale, lazione in quanto tale,
ecc. ecc. - mettendoli insieme in una unità coordinata che sarebbe
la vita cognitiva del cane. Qui cè un salto. Per noi essere
umani è lo stesso. La nostra identità in quanto individui
è di una natura del tutto peculiare. Da un lato si può
dire che esiste. Mi dicono Buongiorno, Francisco, ed io
sono capace di rispondere, di avere delle relazioni con gli altri. Dunque
cè una specie di interfaccia, di accoppiamento col mondo,
che dà limpressione di un certo livello di identità
e di esistenza. Ma al tempo stesso questo processo è di natura
tale che appunto, come in tutti i processi emergenti, io non posso localizzare
questa identità, non posso dire che si trovi qui piuttosto che
là, la sua esistenza non ha un locus, una collocazione spazio-temporale.
È difficile capire che si tratta di una identità puramente
relazionale, e così nasce la tendenza a cercare i correlati neuronali
della coscienza, per trovarli nel neurone 25 o nel circuito 27. Ma non
è possibile, perché si tratta di una identità relazionale,
che esiste solo come pattern relazionale e priva di esistenza sostanziale
e materiale. Il pensiero che tutto quello che esiste debba avere esistenza
sostanziale e materiale è il modo di pensare più antico
della tradizione occidentale ed è molto difficile cambiarlo.
Benvenuto - E il pensiero atomista.
Varela - Latomismo è un modo di vedere che si trova alla
radice della filosofia materialista. Il fisicalismo più diffuso
pretende che la sola esistenza è quella materiale. Ora il fatto
interessante è che proprio in ambito scientifico e non filosofico,
prima nella scienza e solo in un secondo tempo in filosofia, è
stata scoperta la nozione di emergenza. E questa la rivoluzione
scientifica davvero importante: che si possano impiantare anche delle
equazioni su queste transizioni da un livello allaltro, dal locale
al globale, per cui de facto la vita è qualcosa di troppo, una
maniera dessere nella natura che non è sostanziale ma,
per così dire, virtuale - efficace ma virtuale.
Benvenuto - Accetta allora, in contrapposizione al materialismo atomista,
di definirsi olista?
Varela - Il termine olista è superato, perché risale allepoca
dello scontro tra lidea che si potesse realizzare un programma
riduzionista forte e una nozione filosoficamente motivata dallesigenza
di reagire contro quel programma. Io non faccio dellolismo, cerco
di fare buona scienza. Una gran quantità di processi naturali
- lo sviluppo e il funzionamento del cervello, lorganizzazione
del sistema immunitario, lorganizzazione dei sistemi ecologici
- non possono essere capiti se non si prende in considerazione la dialettica
tra i due livelli, che lolismo non ha mai veramente compreso.
Dunque il termine olismo non è appropriato. Quando parlo di emergenza,
parlo di qualcosa di centrale nella ricerca scientifica contemporanea,
anche se molti non ne hanno ancora colto limportanza. Ciò
che cè di geniale nella nozione di emergenza è che,
se da un lato un gruppo di neuroni in interazione con il mondo danno
origine a una attività cognitiva, dallaltro, come in tutti
i processi di emergenza naturale, una volta che ha avuto luogo lemergenza
di una nuova identità, quellidentità ha degli effetti,
ha delle ricadute [è la causalità discendente] sulle componenti
locali. Questo vuol dire che il concetto di emergenza ci permette per
la prima volta di pensare la causalità mentale. Il mentale non
è più un epifenomeno, una specie di fumo che esce dal
cervello. Al contrario, si può dimostrare scientificamente, logicamente
e anche matematicamente che lesistenza, lemergenza di uno
stato mentale, di uno stato di coscienza, può avere unazione
diretta sulle componenti locali, cambiare gli stati di emissione di
un olotrasmettitore, cambiare gli stati di interazione sinaptica tra
neuroni e così via. Il fatto che ci sia un vero va-e-vieni tra
ciò che emerge e le basi che ne rendono possibile lemergenza,
impone di fare una descrizione completamente diversa del posto della
coscienza e della cognizione in generale nelluniverso, non come
livello fluttuante, ma come parte intrinseca della natura, come parte
intrinseca alla dinamica del mondo naturale. È questo che ci
fa avanzare rispetto alla perenne ripetizione di un dualismo che non
porta da nessuna parte, senza dover ricorrere al riduzionismo, e senza
che la coscienza perda il suo statuto fenomenale, il suo statuto proprio.
Benvenuto - Tuttavia è abbastanza diffusa lidea che il
compito essenziale di qualsiasi scienza sia di fare previsioni, di prevedere
i fenomeni. Lei è daccordo? Lei pensa che il suo approccio,
che si basa sulla nozione di emergenza e su altri concetti non riduzionisti,
possa realmente aumentare la forza predittiva delle neuroscienze? In
caso contrario, questo potrebbe costituire unobiezione al suo
approccio: si potrebbe sostenere che quel che lei dice è più
verosimile dellapproccio riduzionista, ma che forse non contiene
in definitiva una capacità di previsione più forte dellapproccio
riduzionista.
Varela - È giusto porre questa domanda e spesso viene posta.
Quando dominava il paradigma delle scienze fisiche, in un congresso
veniva sempre qualcuno a dire: ho una buona teoria per prevedere
la traiettoria degli elettroni. Gli veniva chiesto allora di prevedere
la traiettoria di un elettrone e mostrare di conoscerne esattamente
la posizione in un dato momento. Eccellente metodo fondato sullanticipazione
e la previsione. La fisica, con Einstein e la teoria della relatività,
lo ha sfruttato in modo geniale. Ma attenzione! Sarebbe un riflesso
puramente fisicalista pensare che questo è il solo metodo con
cui la scienza procede. Perché nel campo delle scienze della
natura diverse dalla fisica, per esempio nelle scienze del vivente,
non è questo che ci interessa. Poniamo che io dica: ho una perfetta
comprensione di come questo cane cammina. Che interesse ha prevedere
in che istante muoverà la zampa destra, se nellistante
t o t1? Sembra qualcosa di assolutamente banale. Qual è la prova
che la mia teoria è buona? È il fatto che posso ricostituire
un cane capace di muoversi. Ci sono nella scienza due approcci: lapproccio
predittivo e quello che possiamo chiamare lapproccio costruttivo.
Per avere ragione dovete essere in grado di costruire un apparecchio
capace di movimenti come quelli del cane. È qualcosa di assai
più convincente che anticipare il movimento della zampa destra
del cane.
Benvenuto Ma anche costruire qualcosa significa prevedere che
funzionerà in quel dato modo. Si tratta sempre di previsione,
anche se attiva e non passiva.
Varela - Il punto è che non bisogna dimenticare che quello costruttivo
è il modo con cui procede oggi la scienza. Si procede così
nellinterfaccia tra le neuroscienze e lintelligenza artificiale.
Lintelligenza artificiale è in gran parte la prova costruttiva
delle teorie nate nel campo delle neuroscienze: per esempio, fare dei
robots capaci di orientarsi in un mondo. Gli scienziati che costruiscono
questo tipo di automi si ispirano alla biologia, ma la prova che la
teoria è buona è che il robot cammini. Non è interessante
tanto prevedere il punto esatto in cui effettuerà un certo movimento,
quanto che la capacità qualitativa di compierlo emerga e si manifesti.
Dunque la prova dellemergenza è la costruzione, non la
previsione.
Benvenuto - Ma si può veramente costruire un vivente, dato che
un robot non è un vivente? Si possono ricostruire realmente degli
organismi viventi a partire dallinorganico?
Varela - Assolutamente sì. Ci siamo molto vicini, precisamente
perché esistono teorie dellemergenza della cellula. Ci
sono in questo campo risultati recenti assolutamente straordinari, come
la produzione di cellule di sintesi, diverse dalle cellule storiche
perché impiegano componenti diverse. Per la stessa ragione si
può tentare di riprodurre tutto lo sviluppo di un animale multicellulare
sulla base di cellule disaggregate. Se si ha una buona teoria dellemergenza,
della forma di un embrione, la si può applicare. Dunque in questo
tipo di prova non cè assolutamente meno rigore che nel
vecchio tipo di prova proprio della fisica. Dunque si tratta veramente
di cambiare campo.
Benvenuto - Il costruttivismo è dunque una conferma del determinismo
più stretto? O al contrario fa posto, come mi sembrava di aver
capito allinizio del suo discorso, a una specie di indeterminismo
evenemenziale?
Varela - Tutto dipende da che cosa si intende con determinismo.
Se determinismo vuol dire che si conoscono le leggi fondamentali
delluniverso, che ci permettono di comprendere come certi fenomeni
- tra cui mettiamo la coscienza - emergano, allora effettivamente da
questo punto di vista si tratta di un approccio determinista. Ma non
è determinista nel senso laplaciano del termine, perché
la previsione non è interessante e nemmeno possibile. Sono fenomeni
complessi: la maggior parte dei fenomeni emergenti sono detti non
lineari, perché funzionano appunto su basi che non permettono
la previsione, sono di tipo caotico. In questi casi la previsione in
quanto tale non è interessante. Io non posso calcolare quello
che un dato individuo penserà in un istante successivo, perché
questo fa parte appunto della legge di emergenza del suo pensiero.
Benvenuto - Lei ha detto di essere stato influenzato dalla fenomenologia,
ed ha accennato ad una specie di va e vieni tra fenomenologia e neuroscienze.
Ci può illustrare meglio la sua storia intellettuale?
Varela - Evidentemente quando ci si interessa a questi problemi della
cognizione e della coscienza, si è sempre sostenuti anche da
un interesse filosofico. Assai presto ho subito una marcata influenza
della filosofia continentale e in grande misura proprio della fenomenologia.
Benvenuto - Per questo ha scelto di lavorare in Francia, piuttosto che
negli Stati Uniti o in Inghilterra?
Varela - Ci arrivo. Dopo mi sono recato negli Stati Uniti per completare
la mia formazione, e lavorando parecchi anni in quel paese mi sono reso
conto che lorientamento continentale, europeo, che avevo appreso
nella mia giovinezza, non era lunico. Ho dovuto iniziarmi a un
approccio completamente diverso, che gli americani chiamano philosophy
of mind, filosofia della mente, una filosofia di tipo analitico, improntata
a uno spirito del tutto diverso, in antagonismo con la filosofia continentale.
Ci è voluto del tempo perché mi abituassi a questo tipo
di pensiero e, man mano che il tempo passava, mi sono reso conto che
quel tipo di filosofia non mi si addiceva affatto, anche se a quel tempo
era dominante nel campo delle scienze cognitive. I grandi filosofi che
dominavano la scena, Daniel Dennett, John Searle, venivano dalla tradizione
della philosophy of mind, che a me non diceva molto, del resto avevo
deciso di lasciare gli Stati Uniti per venire in Europa. Una volta installato
in Europa, mi sono accorto che era effettivamente molto più interessante
per me a livello dei miei incontri e partnership quella filosofia che
non avevo trovato negli Stati Uniti, dove lavoravo molto più
solo. Cera infatti in quel momento una vera rinascita della fenomenologia.
Questa era stata considerata per anni dal pubblico come una filosofia
che consisteva soprattutto nel commento di testi specialistici, polverosi,
che nessuno leggeva. Ma in realtà la fenomenologia è soprattutto
- a partire da Husserl, che ne è il fondatore - uno stile di
lavoro completamente aperto a nuovi dati, a nuovi orientamenti. Così
tutta una nuova generazione prende la fenomenologia come uno strumento
di lavoro,per lo studio di questioni cognitive nella scienza. Perché?
Perché serve.
Faccio un esempio. Si parlava prima della riconcettualizzazione della
percezione, degli oggetti del mondo. Fino a poco tempo fa si aveva unidea
rappresentazionista della percezione. Là cè il bicchiere
e dentro di me ho unimmagine di esso. Lidea fondamentale
che invece attualmente abbiamo di questa esperienza è che atto
e percezione sono inseparabili. Adesso si scopre, tra laltro,
che Husserl e Merleau-Ponty hanno esaminato a lungo questi argomenti
e hanno estesamente tematizzato linseparabilità di percezione
e di azione. Se si legge, per esempio, lo straordinario libro di Husserl
che sintitola Ding und Raum, Cosa e spazio, dove descrive in tutti
i particolari il modo in cui le cinestesie del corpo vanno a costituire
un oggetto, si vede lincredibile finezza dosservazione,
propria del fenomenologo, grazie a cui mostra cose che oggi vengono
confrontate - e concordano perfettamente - con i risultati delle neuroscienze.
Lo stesso non si può dire dei filosofi analitici, che si sono
formati su unanalisi puramente esterna e non sono mai entrati
in un confronto diretto con i dati empirici. Cè sempre
più la tendenza a fare della fenomenologia una fonte di riflessione,
tanto più se ci si interessa alla descrizione delle strutture
della coscienza - che è lo zoccolo duro della fenomenologia.
Con il metodo della riduzione fenomenologica (che non ha niente a che
vedere con il riduzionismo fisicalistico), con il metodo di osservazione
e di analisi fenomenologica, si può cogliere lelemento
centrale nelle strutture dellesperienza umana. Oggi nel boom delle
scienze della coscienza cè un ritorno molto forte al metodo
in prima persona, che un tempo si chiamava introspettivo,
metodo capace di prendere in considerazione i dati del vissuto personale,
per portare avanti un esperimento. A chi ha questo tipo di interessi
la fenomenologia viene incontro in laboratorio come partner naturale
della sua ricerca.
Benvenuto - Bisogna ricordare però che Husserl ha scritto anche
La crisi delle scienze europee, in cui egli denuncia loggettività
scientifica. Lei pensa che le scienze europee possano superare la crisi
denunciata da Husserl?
Varela - Husserl è un pensatore multiforme e certe sue opere
sono state pubblicate solo recentemente. Cè ancora una
grande quantità di inediti, e, se si legge un libro come Analisi
delle sintesi passive, si può evitare di prendere alla lettera
il pessimismo dellHusserl che scrive La crisi. Io non sono un
Husserls scholar. Husserl è un uomo che ha detto delle
cose geniali, ma ci sono anche molte cose sue meno interessanti. Quello
che importa è il suo stile, limpulso che ha impresso alla
ricerca, a cui altri contribuiscono. Dunque non si può essere
daccordo o in disaccordo con certe cose che ha detto, perché
ha detto tante di quelle cose che cè spazio per luno
e per laltro atteggiamento. Bisogna mettere da parte lidea
che i filosofi siano monolitici. E filosofi come Husserl o Merleau-Ponty
devono darci delle ispirazioni per il nostro lavoro.
Benvenuto - Allora Lei crede che ci sia una rinascita della fenomenologia
anche nelle scienze? Questa rinascita si verifica in qualche determinato
dominio scientifico o è in qualche modo disseminata?
Varela - Questo rinnovamento della fenomenologia, che si interfaccia
con la scienza, riguarda molti campi, ma in modo prioritario il campo
delle scienze cognitive e lo studio della coscienza. Accade sia negli
Stati Uniti che in Europa. Sono stati pubblicati recentemente dei libri,
si sono tenuti convegni e seminari qui a Parigi, cè già
una letteratura abbastanza considerevole. La fenomenologia si interfaccia
anche con la matematica e la fisica matematica. Ma la sua penetrazione
nelluniverso delle scienze cognitive è molto interessante,
e sta cambiando i dati del dibattito. Adesso nei convegni americani
si sente dire: bisognerebbe invitare anche scienziati con un background
fenomenologico. Si comincia a capire che la filosofia della mente non
è lunica opzione, quindi la sua egemonia è stata
scossa.
Benvenuto - Ci sono fenomenologi viventi a cui si sente vicino? Lei
ha citato finora solo Husserl e Merleau-Ponty, che sono dei classici.
Potrebbe citarne qualcuno di più recente, di più nel cutting
edge?
Varela - Ce ne sono di molto noti, come Edouard Marbach in Svizzera,
di formazione husserliana: si interessa allinterfaccia e ha scritto
su questo tema un libro molto interessante intitolato Mental representations.
Su unaltra linea, di unaltra scuola, è lamericano
Hubert Dreyfus, che ha avuto un grande successo per le critiche che
ha mosso, da un punto di vista fenomenologico, alle scienze cognitive.
Tra i giovani, cè negli Stati Uniti Shaun Gallagher, studioso
sulla trentina, con una buona formazione come fenomenologo e al tempo
stesso come filosofo analitico, che conosce molto bene il campo della
ricerca empirica ed è molto attivo. Un giovane filosofo canadese
con cui lavoro molto, Evan Thompson, ha anche lui una doppia formazione,
come fenomenologo e come filosofo analitico, ma conosce anche i problemi
della scienza. Infine cè un giovane filosofo danese molto
competente, Dan Zahavi. E una lunga lista, come vede...
PM
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