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PSYCHOMEDIA
COMUNITÀ TERAPEUTICHE
Case Famiglia



Casa e Persone senza dimora
Un'esperienza di inserimento alloggiativi

F. Pezzoni°, P. Badano°, S. Battistin°, C. Bonzani °°, M. Degli Abbati°°, R. Rodo°°, L. Segaerba°°, C. Ferrobraio°°°, C. Ratto°°°



Il Centro di Salute Mentale via Peschiera della Asl 3 Genovese segue circa 115 persone senza dimora. Il numero così elevato è dovuto al fatto che il territorio servito è vasto e comprende il centro storico di Genova, dove si trovano molte persone marginali con difficoltà relazionali e sociali. Inoltre da vent'anni esiste una forte collaborazione con i Centri d'Ascolto che si trovano sul territorio, oltre che con tutte le agenzie sociali, sanitarie e di volontarie che operano per le persone senza dimora. Nel campione di 115 persone sono comprese tutte le persone che hanno la residenza anagrafica fittizia presso il Comune di Genova o presso S. Marcellino o il Monastero, e che di fatto sono alloggiate presso dormitori, alberghi, abitazioni improprie, strutture di accoglienza.
Nel corso del 2006 a 20 di tali persone è stato assegnato un alloggio di edilizia popolare e il nostro Servizio, sempre in collaborazione con gli altri Enti della rete, ha svolto un complesso lavoro per aiutare gli utenti a prendere effettivo possesso della casa, a espletare le pratiche necessarie, a reperire il mobilio e soprattutto a compiere il lavoro psicologico impegnativo connesso al passaggio dalla condizione di senza dimora alla condizione di inquilino di un alloggio.
Gli utenti sono 6 donne e 14 uomini, di età compresa tra i 30 e i 65 anni. Le diagnosi sono psicosi (13), disturbo bipolare (1), disturbo di personalità (2), alcolismo (4). Viene indicata la diagnosi principale, trattandosi nella maggioranza come spesso avviene di persone multiproblematiche con doppia diagnosi e portatrici di un disagio psicosociale anche difficilmente inquadrabile con una diagnosi, evidente su molti fronti.
Per quanto riguarda la diagnosi, va subito notato che non si evidenziata una connessione stretta e univoca tra tipo di malattia e maggiori o minori difficoltà a gestire il nuovo alloggio. Persone con disturbi gravi si sono rivelate in grado di tenere in ordine e di provvedere alle scadenze, mentre altre apparentemente meno compromesse hanno dimostrato maggiori problemi.
Per quanto riguarda l'assegnazione, il nostro Servizio ha svolto una funzione nella fase della presentazione della domanda e dell'attesa, anche molto lunga, prima dell'effettivo momento di ingresso. Questa fase comporta in primo luogo, cosa ovvia ma non facile, il fatto di mantenere i contatti con il paziente, nel senso che perderlo di vista significa non poter consegnare le lettere di convocazione, non poter esaudire le richieste di documentazione da parte dell'Ente e così dover rinunciare alla domanda per decadenza dei termini. Dl punto di vista relazionale, si richiede alla persona di fare un investimento a lungo termine su un progetto di riuscita non garantita, in mancanza di mediatori concreti che possono sostenere le aspettative. Questa complessa funzione può essere svolta, come le altre, solo lavorando a stretto contatto in rete con altri servizi che svolgono attività complementari e integrate.
D'altro canto lo spazio dell'attesa può anche diventare uno spazio terapeutico, in cui si approfondisce la conoscenza del paziente, si verificano insieme attese e incertezze e si attivano risorse.
Una volta ottenuta l'assegnazione, inizia una nuova serie di problemi. Come è noto, l'ingresso nella casa, intesa come bene materiale puro e semplice, non cambia come un automatismo lo status di senza dimora e spesso vengono mantenute abitudini, attitudini e modi di vita del periodo precedente. In alcuni casi abbiamo notato che la mancanza di un alloggio, la preoccupazione e la rivendicazione contribuiscono in un certo senso a "coprire" la patologia presente, ce in un certo senso 'esplode' o comunque si manifesta in modo più evidente quando sono soddisfatti i bisogni primari. La casa può rappresentare una forma di finta normalità, al di dietro della quale continuano ad essere presenti conflitti, sofferenze, rimpianti legati a anni di vita in condizioni fisiche e sociali precarie.
Nei colloqui con le persone che si trovano in questa fase, abbiamo notato che l'ingresso nell'abitazione può riattivare gli antichi traumi, legati alla perdita della famiglia o del lavoro, e riattivare anche modalità di relazione aggressive o comunque dannose per l'inserimento. Di fronte a difficoltà gravi o anche obiettivamente non gravi nella gestione spesso si ripropongono atteggiamenti di rinuncia, abbandono del progetto, se non addirittura di autoaggressività. Inoltre l'iter burocratico richiesto è oggettivamente complesso, per il numero e la varietà della documentazione richiesta, tale da scoraggiare anche il soggetto più motivato e più combattivo.
A queste difficoltà si aggiungono le aspettative che l'individuo nutre nei confronti della nuova sistemazione: in alcuni casi è vissuta come risarcimento (impossibile), come rinascita con cancellazione del periodo precedente, come ricongiungimento con un figlio vissuto in istituto, rispetto al quale a suo tempo non è stato possibile svolgere il ruolo genitoriale.
Purtroppo le attese si scontrano spesso con una realtà che delude e che perciò provoca ulteriori traumi, ancora più difficili da vivere perché la persona era uscita dallo stato precedente di apatia e di rinuncia, per attivare nuovamente aspettative e desideri, e per riformulare un progetto di vita che contempla la dimensione del futuro.
A volte la casa rende visibile il vuoto relazionale e sociale in cui la persona sta vivendo e l'interno nudo e spoglio può dare anche a chi entra l'immagine di una mancanza di sostegno e di rete di rapporti. L'impatto con questo vuoto può essere, tra gli altri, uno dei possibili motivi di rischio di perdita della nuova abitazione, non sentita come propria, anzi ostile e fredda.
Inoltre la vicinanza fisica delle altre persone, appunto il vicinato, può essere difficile da sostenere dopo lunghi periodi vissuti senza regole vincolanti e si possono attivare vissuti anche francamente persecutori, oltre a conflitti relazionali che non vengono vissuti come 'normali' inconvenienti della vita in condominio, ma ingigantiti come impossibilità assolute di convivenza.
Ci sono state anche situazioni in cui la casa è stata vissuta come il luogo dove finalmente ribellarsi a qualsiasi limitazione, sentita come imposta dall'esterno, con la ripresa in forma grave di comportamenti di abuso prima limitati dal contesto e con un netto peggioramento (almeno dal nostro punto di vista delle condizioni cliniche.
Alcune persone peraltro, dopo aver ricevuto l'assegnazione, hanno deciso di rifiutarla e di continuare ad abitare in alloggi che garantiscono vari gradi di protezione e di sostegno. E' difficile valutare se si tratti di un'ulteriore rinuncia oppure di una valutazione realistica delle proprie capacità e difficoltà, oppure ancora di un adattamento ormai poco modificabile a condizioni in qualche modo di dipendenza.
Si è visto che il momento dell'assegnazione richiede un lavoro di sostegno emotivo particolarmente complesso e delicato, con un'intensificazione della frequenza e anche della 'qualità' dei colloqui e un maggior contatto dei partecipanti al lavoro di rete. Quando l'alloggio si trova in un altro quartiere, il passaggio delle competente a un altro Servizio di solito avviene in modo graduale, evitando lo 'scarico' e la brusca interruzione di una relazione a volta anche lunga.
Durante l'esperienza di lavoro condotta dal Servizio, abbiamo potuto individuare alcuni punti di forza che possono favorire un buon inserimento:
1) l'esistenza precedente di una rete sia formale che informale, costruita dalla persona e dai servizi, che interviene per sostenere le varie fasi del passaggio, a livello pratico-amministrativo, ma anche relazionale;
2) la presenza di un ruolo mantenuto o riacquistato dalla persona, che in questo modo non si trova in un vuoto, ma che riesce a darsi un senso e a vivere l'alloggio come una parte della realizzazione delle funzioni connesse a tale ruolo. Si tratta a volte anche di ruoli che dall'esterno possono apparire marginali, o anche perversi o patologici, ma che di fatto 'riempiono' la vita sociale del soggetto e probabilmente contribuiscono a sostenere se non l'autostima, almeno l'immagine di sé,
A livello di intervento, il Servizio ha notato che la richiesta di un amministratore di sostegno ha avuto un ruolo nell'aiutare il lavoro di inserimento e il rafforzamento della rete intorno alla persona. Il Servizio fa ricorso a questa figura, nata con la legge 6/2004, non solo per la tutela giuridica dei pazienti, ma anche per avere un interlocutore e un ulteriore membro della rete con cui confrontarsi e condividere le difficoltà, pesanti anche a livello psicologico, della prosecuzione di un progetto impegnativo e nuovo.
L'esperienza ha insegnato, in vista di future assegnazioni di alloggi, che è importante creare e rafforzare la rete sociale prima che si ponga il problema dell'effettivo inserimento e in tale direzione si sta lavorando con le persone attualmente seguite.
A titolo di conclusione vogliamo citare brevemente il caso di Giuseppe T., uno psicotico cronico seguito dal Servizio da più di dieci anni. Il signor T., dopo la morte dei genitori e la perdita di un lavoro, peraltro saltuario, fu inserito in un albergo convenzionato con il Comune di Genova, in attesa dell'assegnazione di un alloggio popolare. A causa del forte numero di richieste, l'attesa si protrasse per alcuni anni. Il signor T. continuò nel frattempo a condurre una vita piuttosto isolata, rifiutando la terapia farmacologica e presentandosi soltanto a colloqui molto distanziati con gli operatori, insistendo ogni volta nella richiesta di un alloggio. Continuava nel frattempo a dipingere quadri con una buona tecnica pittorica, acquisita come autodidatta: peraltro la proposta di frequentare un gruppo di arteterapia presso il Centro Diurno o di esporre presso i locali dell'ex Ospedale Psichiatrico venne sempre respinta. Giuseppe accettò soltanto di regalare alcune tele al Servizio, dove vennero esposte, tenendo quasi tutte le altre con sé nella stanza d'albergo.
Venne infine il momento dell'ingresso nel nuovo appartamento. Gli operatori ebbero molte perplessità sulla tenuta del signor T. nell'alloggio, anche per l'abitudine ormai acquisita a vivere in albergo. Il nuovo quartiere di residenza era costituito da case di edilizia popolare risalenti ai primi anni del Novecento, era perciò abitato da persone ormai da tempo inserite nella rete sociale come lavoratori e come famiglie. Dal punto di vista urbanistico il quartiere si trovava in una zona semicentrale, era strutturato in modo nettamente più "umano" rispetto a quelli più recenti, con edifici di modeste dimensioni, una piazza, una chiesa, piccoli giardini, negozi.
Il signor T. dopo breve tempo cominciò a dipingere un murale su una parete libera degli spazi comuni del quartiere, in cui era raffigurato un borgo della costa, con barche, cani, persone, fontane, nuvole, gabbiani. Gli abitanti osservarono, apprezzarono il buon livello artistico dell'opera e fecero una colletta per comprare colori e far proseguire l'esecuzione. Giuseppe alla fine firmò il murale con la data e la scritta "G.T. pittore".
Il caso si presta ad alcune considerazioni, ovviamente soltanto ipotetiche. Il fatto che G.T. abbia sempre strenuamente difeso la propria identità normale di pittore, rifiutando quella di paziente psichiatrico impegnato in attività riabilitative, può averlo paradossalmente aiutato a conservare una buona immagine di sé e una buona autostima anche durante tutti gli anni di inserimento in una sistemazione alloggiativa precaria e potenzialmente destrutturante. In questo modo ha potuto presentare se stesso al nuovo quartiere con un'identità riconosciuta e apprezzabile, espressa nella firma apposta all'opera, che è stata in qualche misura condivisa e rispecchiata dal vicinato.

°Psichiatra, U.O. Salute Mentale Distretto 11, ASL3 Genovese, Genova
°° Assistente Sociale, U.O. Salute Mentale Distretto 11, ASL3 Genovese, Genova
°°° Infermiere, U.O. Salute Mentale Distretto 11, ASL3 Genovese, Genova
e-mail: franca.pezzoni@asl3.liguria.it


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