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PSYCHOMEDIA
COMUNITÀ TERAPEUTICHE
CT Salute Mentale



Il ruolo della Comunità Terapeutica nel lavoro con il paziente affetto da psicosi*

di Josè Mannu



Introduzione

In questo lavoro cercherò di descrivere una modalità di intervento possibile con pazienti affetti da disturbo schizofrenico in una Comunità Terapeutica.
Verrà sommariamente analizzato il background culturale entro cui si collocano le Comunità Terapeutiche in Italia, il contesto delle Comunità nella regione Lazio, il lavoro comunitario con ospiti affetti da psicosi nei suoi molteplici ambiti e momenti temporali: prima dell'ingresso, durante lo svolgimento del programma comunitario e nella rete sociale alla fine del programma.
Verranno infine tracciate alcune prospettive di intervento e linee di ricerca in questo settore.

Background

La storia recente della psichiatria italiana si è sviluppata attraverso due fondamentali fasi: la messa in discussione del modello custodialistico e l'introduzione di un intervento di tipo "politico" volto a centrare l'attenzione sulla libertà come strumento terapeutico centrale nel lavoro clinico.
Questa riforma ha avuto una risonanza importante non solo sul piano legislativo ma anche sul piano della relazione tra operatore e paziente.
Negli appartamenti in cui venivano inseriti i pazienti provenienti dal manicomio, gli operatori vivevano con loro, mangiavano con loro, organizzavano viaggi con loro, li portavano ai congressi, in una costante interazione con le parti sane e negazione della malattia.
Il rapporto quindi si strutturava su un piano di amicizia con rifiuto di qualsiasi tecnica applicando un'affermazione di Franco Basaglia (lo psichiatra artefice della riforma in Italia della psichiatria) che parlava di una "messa tra parentesi" della malattia come premessa necessaria per "scoprire" la persona.
In realtà Basaglia non negava l'esistenza della malattia, combatteva il modo in cui la malattia veniva trattata.
Rispetto a R.Laing con cui ebbe a discutere, Basaglia sosteneva che la follia non aveva un luogo dove esprimersi e qualsiasi tentativo volto a fornirlo, inevitabilmente avrebbe prodotto cronicità e istituzionalizzazione (Basaglia, 1975).
Oggi noi sappiamo che il processo di istituzionalizzazione non è legato ad un luogo ma è, almeno in parte, il prodotto di un rapporto che quindi può manifestarsi in un luogo separato come il manicomio ma anche nel proprio ambiente familiare.
R.Barratt ipotizza la cronicizzazione di un rapporto e quindi, diciamo noi, il processo di istituzionalizzazione, come frutto di una mancanza, di un'incapacità a riconoscere il paziente come persona e ad entrare in un rapporto reale con lui, affrontando le angosce che una tale operazione comporta (Barratt, 1996). La consapevolezza che le nostre comunità siano esposte al rischio di istituzionalizzazione ci ha portato ad elaborare un metodo di intervento che cerchi di evitare questo nodo critico sempre possibile nel trattamento della psicosi.

Il coordinamento delle Comunità Terapeutiche (CT)

Nella Regione Lazio le CT hanno cercato da alcuni anni di costruire un momento di incontro e di confronto allo scopo di condividere e formalizzare una modalità di intervento adeguato nei confronti di situazioni di patologia psichica grave, in particolare dei disturbi schizofrenici.
Nelle 16 CT che attualmente partecipano al coordinamento, la percentuale di disturbo schizofrenico secondo i criteri del DSM IV (A.P.A.,2000) è del 73%, mentre il restante 27% è affetto da disturbo grave di personalità.
Recentemente tra il coordinamento delle CT e la seconda Cattedra di Psichiatria dell'Università "La Sapienza" di Roma si è costituita una collaborazione volta trovare strumenti di valutazione che consentano una corretta osservazione e formalizzazione del metodo comunitario e dei suoi esiti nel trattamento della psicosi.
Il primo scopo è stato allora quello di dotarsi di un riferimento comune per quanto riguarda l'assessment e il monitoraggio del processo terapeutico dei pazienti inseriti nella CT.
Il primo strumento condiviso è stato l'uso del MMSE (Mini Mental State Examination) come strumento per valutare il livello cognitivo degli ospiti inseriti nelle CT che doveva essere non inferiore a 21.
Come strumento successivo la WAIS-R (Weshler Adult Intelligence Scale) che doveva fornire un QI almeno di 70; strumento utilizzato nuovamente a distanza di un anno dopo l'ingresso partendo dall'ipotesi che il quoziente intellettivo, migliorando lo stato emotivo del paziente, dovrebbe migliorare.
L'età dei pazienti è tra i 18 e i 35 anni.
A questa fase iniziale seguono modelli di intervento che diversificano l'operatività delle CT: alcune centrano l'attenzione su un'attività strettamente psicoterapeutica, altre, come la nostra, hanno centrato l'attenzione sulle relazioni e sulla condivisione della storia "vissuta" [l'Erlebnis di Dilthey (1894)] tra persone che hanno interrotto il loro rapporto con il mondo.

Il lavoro nella Comunità Terapeutica "Urbania"

Scopo della CT dove lavoro è quello di utilizzare la separazione come strumento per:
1) individuare possibili canali comunicativi
2) ripristinare le capacità di vivere nel contesto sociale di appartenenza
3) ricostruire l'esperienza "vissuta" (il senso della storia personale)
Si possono individuare, solo per chiarezza di esposizione, quattro livelli di intervento:
1) livello riabilitativo
2) livello terapeutico
3) livello comunitario
4) livello familiare e sociale
All'interno di ciascun livello ci sono dei percorsi che possono essere tracciati:
1) Il livello riabilitativo va da un lavoro iniziale sulla cura personale, dei propri spazi, alimentazione, gestione del denaro, dei medicinali, alla possibilità di partecipare ad una attività lavorativa in un Centro Diurno riabilitativo, alla capacità di socializzare in situazioni meno protette fino alla capacità di stabilire un rapporto affettivo adeguato (Ciompi, 1982).
Se, infatti, tentiamo di inserire in una situazione lavorativa una persona che ha difficoltà a gestire la cura personale è alto il rischio del fallimento e così per la capacità di socializzare liberamente senza che prima si sia sviluppata una capacità di interagire con altri attraverso la mediazione di un'attività condivisa con altri pazienti.
All'interno di ogni item ci sono poi successivi livelli: il lavoro è infatti diverso se si piantano fiori insieme ad altre persone o se si sta alla cassa in un bar; la socializzazione spesso è più semplice se veicolata attraverso il gioco o il fare qualcosa insieme. In particolare noi abbiamo un gruppo sportivo del calcio per alcuni ragazzi della CT (riteniamo il calcio un gioco importante dal punto di vista riabilitativo perché è un gioco di gruppo in cui è valorizzata l'individualità).
L'assessment per la costruzione di un obiettivo personalizzato ed il monitoraggio ogni quattro mesi è fatto utilizzando come strumenti il DAS (Disability Assessment Schedule), il SBS (Social Behaviour Scale) ed il GAF (Global Assessment of Functioning).
2) Il livello terapeutico segue anch'esso un percorso che, attraverso l'iniziale rapporto duale con l'operatore di riferimento, introduce la persona nella CT. E' un lavoro che ha inizio prima dell'inserimento ed ha una durata dai tre ai sei mesi circa nel domicilio o nell'istituzione dove la persona si trova.
La nostra idea è che il rapporto comunitario sia possibile solo come fase successiva ad un iniziale rapporto duale con l'operatore che introduce l'ospite in CT e ne raccoglie le "parti", contro il costante rischio di frammentazione, attraverso la costruzione di momenti di incontro settimanali rivolti a definire i progressi fatti, gli obiettivi rimasti, in un continuo richiamo al confronto con la realtà.
Gli altri interventi sono interventi gruppali: gruppi di Art Therapy, di psicodramma, il gruppo cosiddetto "voci" che analizza le allucinazioni uditive come una delle espressioni possibili delle proprie emozioni che nascono all'interno del contesto comunitario e da esso traggono il proprio significato. Rendere le allucinazioni strumento di relazione rappresenta sicuramente un paradosso (deliri e allucinazioni negano l'esistenza dell'altro) e spesso si ha la sensazione che nel gruppo non avvenga una comunicazione ma una serie di descrizioni frammentate senza un nesso. Lo sforzo del conduttore è quello di trovare il filo, dare il senso alle parole, decodificare le espressioni all'interno di quello che sta avvenendo in quel momento in quel gruppo.
Il terreno comune di comunicazione condiviso (Foulkes, 1990) emerge dall'individuazione del significato delle emozioni o della loro espressione nelle allucinazioni all'interno delle relazioni e queste all'interno della storia personale degli ospiti.
Le voci come strumento di conoscenza, come una delle possibili manifestazioni del proprio stato emotivo e non come produttrici di stati emotivi: a volte espressione di un'aggressività che se espressa correttamente sarebbe insopportabile, altre volte espressione delle proprie paure.
Come elemento conduttore del gruppo utilizziamo le ipotesi di Jaynes (Jaynes, 1976) sul significato delle voci come espressione possibile della mente all'interno di una relazione e quindi come espressione umana possibile fuori dalla normalizzazione di una classificazione nosografica.
Altro gruppo è quello del giornalino-storia in cui si condividono e ricostruiscono le storie personali.
Altro intervento terapeutico è quello farmacologico: viene tenuto un livello di dosaggio di farmaci minimo ma efficace insieme ad un gruppo psicoeducazionale sui farmaci, il loro uso, i problemi, le modalità di assunzione, il rapporto con l'alcool, il tabacco, gli stupefacenti.
Il monitoraggio dell'area terapeutica viene fatto utilizzando il BPRS (Brief Psyciatric Rating Scale) per valutare gli aspetti sintomatologici ogni tre mesi e se poi lo stato psicologico del paziente lo consente somministriamo anche il MMPI 2 (Minnesota Multipasic Personality Inventory 2) recuperando quindi una classificazione nosografica comunque fondamentale nel nostro lavoro [senza tuttavia dimenticare la lezione dei nostri maestri quando ammonivano come solo una persona profondamente mistificata può aver bisogno di una diagnosi per avere la sicurezza d'essere etichettata definitivamente giacchè la diagnosi è un modo di non osservare, è la via all'oggettivazione dell'altro in contrasto con l'intersoggettività dell'osservazione (Cooper, 1974)].
3) Il livello comunitario si struttura attraverso alcuni momenti importanti: il community meeting mattutino e serale, i gruppi decisionali, il pranzo e la cena. Riteniamo queste attività molto importanti anche perché sono quotidiane quindi hanno, secondo noi, una diretta azione sul "clima" comunitario.
Il community meeting si svolge secondo i criteri tradizionali (Kennard, 1998; De Leon, 2000). Per alcuni è difficile partecipare, molto difficile anche essere il conduttore del gruppo e scrivere il verbale per cui consideriamo che la partecipazione ai gruppi e il tempo di partecipazione sono liberi; la nostra esperienza è che il tempo di partecipazione al gruppo va progressivamente aumentando nel tempo, ma in fase iniziale è molto difficile che un paziente rimanga nel gruppo tutto il tempo (per partecipazione non intendiamo solo "presenza fisica" ma condivisione dello stato emotivo del gruppo).
Abbiamo rilevato che ospiti che non avevano mai partecipato ai gruppi, se vedevano che per una qualche ragione un certo gruppo non si faceva, chiedevano con insistenza le ragioni. E' quindi importante che il gruppo ci sia (in alcuni casi, rari ma ci sono stati, il conduttore è rimasto da solo nella stanza per tutto il tempo del gruppo).
I gruppi decisionali (cucina e tempo libero) sono gruppi in cui emergono le problematiche connesse con il prendere decisioni, con il fare le cose insieme e con il fare al posto di chi in quel momento si sente male (per esempio è invaso da allucinazioni paralizzanti), compito dell'operatore è quello di favorire la collaborazione e la solidarietà nel piccolo gruppo oltre che favorire la diffusione della capacità di decidere i vari compiti, ma soprattutto introdurre l'abitudine a riflettere su ciò che avviene; compito essenziale in questo gruppo dove il fare e il pensare debbono essere contemporaneamente presenti all'interno di quella "cultur of enquiring" che rappresenta lo "sfondo" di tutto il lavoro comunitario, un po' come l'analisi del transfert e controtransfert rappresenta lo "sfondo" del rapporto duale analitico.(Hinshelwood, 2001).
Staff e pazienti pranzano e cenano insieme. Noi consideriamo questo momento importante sul piano della crescita relazionale dell'individuo (basti pensare a tutti gli elementi di relazione contenuti nel mangiare insieme agli altri).
Molta attenzione è riposta nei gruppi spontanei che nel tempo si vengono a formare tra gli ospiti della CT: sono gruppi non istituzionali nel senso che i partecipanti li costituiscono "intenzionalmente" al di fuori dei "luoghi" per i gruppi, [riprendendo Marc Augé potremmo definirli dei non-luoghi (Augé, 1992)] e in quanto tali ricchi di spunti innovativi ma anche produttori (o facilitatori) di isolamento di chi si esclude o viene escluso. Vanno quindi seguiti ed eventualmente lo staff deve intervenire per mantenerne la ricchezza innovativa.
I rapporti sessuali tra gli ospiti non sono favoriti ma spesso ci sono, anche quelli vanno seguiti attentamente. Una volta un ospite dopo aver avuto una serie di rapporti sessuali con una ragazza ospite della CT mi disse: "eppure le voci continuano a dirmi che sono impotente" (da qui nacque l'idea del gruppo "voci").
Noi monitoriamo l'andamento comunitario attraverso il WHOLQOL BRIEF (World Health Organization Quality of Life) ogni quattro mesi.
4) Il quarto livello è quello familiare.
L'intervento con i familiari è, secondo me, centrale nel processo terapeutico con persone affette da psicosi. Personalmente seguo due gruppi multifamiliari di pazienti psicotici: uno composto da familiari che hanno il loro congiunto in casa e viene seguito dall'ambulatorio, l'altro è il gruppo di familiari il cui congiunto è presente nella nostra CT.
Qui tratterò ovviamente del secondo tenendo presente che un primo tentativo di fare un gruppo multifamiliare unico è fallito per il diverso coinvolgimento emotivo.
Si tratta di un gruppo tenuto al di fuori della CT che nasce con un orientamento psicoeducazionale valutando l'emotività espressa e lavorando su questa.
In realtà, come spesso avviene, almeno a me, non è così rigidamente strutturato come potrebbe sembrare; è un gruppo in cui i familiari hanno l'opportunità di interagire fra loro, scambiarsi i problemi che hanno dovuto affrontare, riconsiderare la storia dei loro rapporti.
Sappiamo che gli interventi con le famiglie sono passati da un approccio epistemologico basato su principi cibernetici ad un approccio centrato sull'idea che le relazioni umane emergono dalla condivisione delle storie e, parafrasando Wittgenstein, si può dire che i limiti definiti dalle interazioni umane rappresentano i limiti del nostro mondo (Wittgenstein, 1961).
Le ricostruzioni storiche nel gruppo vengono trasformate da una mera raccolta di date ad una risignificazione delle stesse come prodotto delle interazioni nel gruppo tra i familiari ed il terapeuta in una, potremmo dire, cornice post-moderna in cui la narrazione definisce le regole con cui si sono costruiti i legami familiari (Lyotard, 1979) ed in cui la conoscenza che si costruisce è un prodotto condiviso tra terapeuta e famiglie (Gergen, 1992).
Nei sistemi familiari a transazione schizofrenica spesso riscontriamo una vera e propria sottrazione della storia relativa agli anni in cui si determina la prima crisi se non come mera indicazione di date, come se ci fosse una sorta di difficoltà a capire fino in fondo il significato drammatico di quegli eventi nel loro congiunto.
Altro elemento che spesso si incontra è la mancata comprensione del rapporto attuale tra genitore e figlio che è evidente all'osservatore esterno.
Ricostruzione storica significa lavorare su questi temi per passare da una indicazione di date a una sequenza di avvenimenti con un loro senso, ad una attenta analisi dei rapporti, delle modalità in cui si è strutturato l'attaccamento, ad una comprensione dello stato emotivo che rivelino la drammaticità degli eventi per la persona che ha sviluppato un disturbo psicotico.
Nel gruppo dei familiari questa ricostruzione si fa insieme, gli uni aiutano gli altri, portano la propria esperienza; il terapeuta che inizialmente si pone come educatore esperto, deve anche saper porsi in una sorta di mediazione dove le varie persone riescano ad esprimere quello che pensano.
4b) Ultimo livello è quello sociale.
Per noi il livello sociale rappresenta un livello centrale di intervento al pari di tutti gli altri. Lavorare con la rete sociale è il presupposto di qualsiasi progetto terapeutico che implichi un reinserimento della persona affetta da psicosi nel proprio contesto di appartenenza.
Per noi è quindi fondamentale lavorare con il terzo settore, presente sotto forma di varie associazioni e cooperative che si occupano dei più svariati problemi: dai senza fissa dimora a quello degli ex detenuti, alla salute mentale (Mannu, 1999).
La vita del paziente affetto da schizofrenia difficilmente può prescindere dai servizi territoriali e dal loro supporto tuttavia, ad un follow-up di due anni, noi abbiamo avuto il 37% dei nostri pazienti che non hanno avuto ricadute e segue terapie di mantenimento con inserimenti lavorativi adeguati mentre i restanti hanno ricevuto dal percorso comunitario un ridefinizione del progetto terapeutico e riattivazione di nuove risorse che nel tempo erano venute meno.
Questo tipo di lavoro richiede l'uso di molte energie e di preparazione da parte dello staff. Noi abbiamo due supervisioni mensili, una rivolta all'analisi dei casi clinici, l'altra centra l'attenzione sulle problematiche controtransferali del gruppo dello staff.
Abbiamo poi due incontri settimanali di staff e un incontro mensile staff-ospiti della comunità.
Credo che questo sia il minimo per sviluppare una adeguata attività terapeutica.


Conclusioni

Un lavoro comunitario con persone affette da disturbo psicotico è necessariamente un lavoro che coniuga interventi diversi con lo scopo di modificare il processo di cronicizzazione o di prevenirlo.
Uno dei problemi è capire i criteri di accoglimento di queste persone. Quando e perché è utile inizino il percorso comunitario.
Nelle nostre CT vengono accolte persone affette da disturbi schizofrenici per la maggior parte e borderline in minima parte ma non è vero l'inverso cioè che tutti i pazienti affetti da questo tipo di patologia è accolto in CT. Occorrono altre valutazioni aggiuntive.
Il lavoro comunitario tenta di connettere interventi apparentemente diversi allo scopo di ottenere un cambiamento importante durante una fase della vita di una persona affetta da una patologia grave.
Sicuramente l'intervento comunitario non è risolutivo della patologia, le persone non vengono dimesse perché sono guarite, ma perché è stato elaborato insieme un nuovo progetto terapeutico e di vita (sicuramente più realistico rispetto a fantasie salvifiche che spesso coinvolgono paziente e genitori) che comprende la persona nella sua complessità. Detto in altre parole, possiamo dire che noi non risolviamo i problemi ma modifichiamo il modo in cui sono affrontati.
Le nostre CT lavorano facendo riferimento a diversi modelli, di qui la possibilità di diversificare le risposte. Il coordinamento delle CT sta tentando di andare in questa direzione. Per esempio l'inserimento nella nostra comunità che lavora nel territorio di appartenenza della persona affetta da disturbo psichico è diverso da un inserimento in una CT che lavora lontano dal contesto di vita di quella persona. Questo è già un criterio di scelta. Alcune CT richiedono la separazione totale dal contesto familiare, altre come la nostra, favoriscono la ricostruzione dei rapporti.
L'obiettivo è quello di definire la diversità non come contrapposizione ma come ricchezza di risposte di fronte a bisogni molteplici.

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18. Wittgenstein L. : Tractatus Logico-philosophicus; Routledge, London, 1961

* Comunità Terapeutica "Urbania" - Dipartimento di Salute Mentale - ASL RM/B


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