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LOGOS - Istituto per lo Sviluppo delle Risorse Umane, Genova

Seminario di formazione relazionale-sistemica del 27 giugno 1998

"Il padre nella famiglia normale, nella clinica, nella mediazione"

Relatore: Rodolfo de Bernart

Resoconto a cura di Licia Filingeri



Il centro di ricerca e studio Logos di Genova (Via Nizza 18/1), nell'ambito della sua attività di seminari di formazione relazionale-sistemica sulla Relazione d'aiuto nell'incontro con la famiglia, ha organizzato un incontro col dott.Rodolfo de Bernart, psichiatra e psicoterapeuta familiare, direttore dell'I.T.F. di Firenze sul tema: Il padre nella relazione normale, nella clinica, nella mediazione.

Il relatore ha preso le mosse da una puntualizzazione della figura del padre, allo scopo di capirne ruolo e funzioni nella famiglia di oggi, in che modo sia cambiato rispetto a quello di ieri e si differenzi da quello della madre.
Individuati tre momenti storici, del padre autoritario, di quello autorevole, e quello odierno del padre quasi inesistente., si è ricordato come per molti secoli il padre sia stato riferimento per l'autorità (pater familias), mentre la madre era colei cui si faceva riferimento per il legame.

In realtà, sostiene de Bernart, veri legami affettivi familiari si sono venuti creando solo negli ultimi due secoli, essendo prima i figli considerati quasi proprietà dei genitori, delegandone la formazione , dai 9 ai 14 anni, col mandarli a servizio presso altre famiglie (apprendistato medievale), il che non contribuiva a mantenere i legami affettivi; dal 400 la scuola si sostituì all'apprendistato, e nel 600 l'insegnamento, nelle classi più abbienti, passava attraverso la figura del precettore; nel 700, parallelamente alla modifica della struttura della casa (fino a quel momento non divisa in zona giorno e zona notte), cominciarono a crearsi relazioni più intime tra genitori e figli, rispecchiate dai primi epistolari familiari non più di affari, ma di affetti, generalmente dialoghi tra madri e figli. Parallelamente, si attua il passaggio dall'autorità all'autorevolezza, fino ad arrivare, nel nostro secolo, ad una grossa perdita di rapporto coi figli da parte dei padri, legata essenzialmente al fatto che il lavoro li ha allontanati. Quando i padri insegnavano il mestiere ai figli, si costituiva una grossa relazione, con lo stare insieme, nel fare qualcosa: il rapporto tra padri e figli si è da sempre strutturato come un fare insieme, nel silenzio, mentre invece il rapporto tra madre e figli è sempre stato fatto soprattutto di parlare.

Nel 900, il lavoro del padre, essendo meno manuale e più intellettuale, quindi non più trasmissibile, ed essendo spesso il posto di lavoro lontano da casa (pendolarismo), il padre stesso è divenuto sempre più assente, almeno fisicamente, favorendone l'idealizzazione. Anche per le madri, il lavoro fuori casa è venuto a costituire un problema, ad iniziare dai rapporti con le loro stesse madri, improntati per lo più a critiche riguardo al loro ruolo di madri e di mogli. Inoltre, il lavoro fuori casa ha creato problemi nella divisione dei compiti tra padre e madre.

Tra padre e madre, dal punto di vista relazionale, si riscontrano differenze relazionali, parlare versus agire:le madri hanno infatti questo modello: delle cose si parla, inoltre esse si lamentano che i padri non parlino abbastanza coi figli, ma questo -osserva de Bernart- è normale, è sempre stato così, anzi, oggi i padri parlano anche troppo, e spesso confondono i figli, anche perchè a volte dicono delle cose banali. Se appare normale la divisione dei compiti, lavorando ambedue, tuttavia è indubbio che padre e madre devono mantenere ciascuno il suo ruolo Il relatore porta l'esempio del gioco e delle fiabe: i giochi delle madri sono pedagogici, tendono a insegnare qualcosa, mentre i padri fanno giochi competitivi, ludici, per cui le madri sono poco portate; similmente, le favole vengono narrate in modo diverso: le madri tendono sempre ad insegnare, i padri narrano con maggior creatività, senso ludico, introducendo la sessualità; è normale che sia così.

Parlando di padri e madri si parla ovviamente di funzioni, non di persone, sicchè può capitare che il padre sia il nonno, o la madre la nonna. Però queste funzioni devono esservi per il bambino, onde non ingenerare confusione.

Le caratteristiche formali della funzione affettiva materna sono fisiche e diadiche: nascono dalla gravidanza e dalla relazione di accudimento fisico, una relazione che non ha bisogno di nessuno, è autistica, io e te. Invece le caratteristiche formali della funzione affettiva paterna sono psicologiche, relazionali e triadiche meno fisiche, più psicologiche, non possono nascere dal fisico, inoltre partono col permesso della madre: attraverso questo, il padre introduce la distanza: una madre e il figlio non riuscirebbero a stabilire la distanza. E' il padre a farlo come marito della madre: rispetto all'attaccamento, è una separazione; d'altronde tutta la vita funziona in termini di oscillazioni tra elememti opposti: attaccamento/separazione, inspirazione /espirazione, sistole/diastole, se non vengono introdotti motivi dialettici, la vita si ferma. Similmente, se non viene introdotto alcun elemento di distanziamento, si ha un attaccamento patologico. Ne consegue l'importanza della funzione paterna, perchè attraverso il distanziamento si introduce la possibilità di un'attività esplorativa. L'attaccamento risponde a necessità di sopravvivenza.: è una funzione importantissima che riguarda tutti e due i genitori.

Le caratteristiche della paternità sono, rispetto a quelle della maternità, più egoistiche (ad esempio, il padre dedica una piccolissima parte del suo tempo libero alla famiglia, la madre di più); la paternità è più soggetta della maternità ad influenze sociali geografiche estoriche, mentre la maternità resta la stessa; il padre si prende la responsabilità del figlio non durante la gravidanza, ma dopo, non sa vedersi nella situazione di ruolo, anzi talvolta reagisce con confusione, angoscia, fuga, non lo sente fisicamente. Il nostro cervello di rettile, non razionale, ha reazioni istintive, del tipo bianco/nero, in caso di rischio, per la sopravvivenza, combattere o scappare; invece noi, più complessi, possiamo paralizzarci, avviene un blocco psico-fisico: così, di fronte a una paternità non voluta, l'uomo può fuggire, negarla, fingere che non sia sua. Questi meccanismi possono ritardare la capacità di accettazione: anche quando c'è un comune accordo riguardo l'avere figli, ci vuole tempo perchè l'uomo senta le cose che la donna sente subito, per esempio i movimenti fetali; per l'uomo, ci vogliono mesi; attualmente, con l'ecografia, questo processo è più veloce, perchè l'uomo vede il bambino.

Altro punto: la definizione di paternità nel sociale influenza moltissimo la paternità stessa. Gli uomini sono molto sensibili acosa si dice di questo (ad es. l'uomo che sta a casa, o tenta movimenti diversi dai tradizionali, incorre in questi giudizi sociali negativi). Vengono qui introdotte esemplificazioni tratte da films.

De Bernart prosegue constatando l'odierno superamento delle funzioni di padre e madre, alcuni aspetti materni sono portati dal padre e viceversa.
E' però necessario mantenere la differenziazione per l'identità sessuale del bambino: così, il padre resta comunque lo sguardo esterno rispetto a una relazione diadica, da fuori partecipa e divide; egli è testimone di una separazione (il taglio del cordone ombelicale; partecipando all'allattamento artificiale separa rispetto a quello naturale della madre, è separatore in situazioni di separazione, ad es.quando il bambino si sveglia nella notte; sempre separatore rispetto a legame più intenso della madre col padre; stimola il bambino all'attività esplorativa, sempre finalizzata al separarsi. Il padre guarda, agisce, media la relazione tra madre e bambino.

Perchè il bambino cresca bene in maniera creativa c'è bisogno di una coppia che funzioni, in tal modo la relazione non viene stabilita con un singolo membro della famiglia, ma con la relazione di coppia, che permette meglio l'esplorazione; infatti la relazione con la coppia presuppone meno esigenze personali: madre e padre in coppia non hanno bisogno di tenere legato il bambino perchè compensi la mancanza di affetto del coniuge; se invece vi è una relazione particolare, l'esplorazione del bambino viene scoraggiata. Se la relazione funziona, è relazione a T, di coppia, la relazione col bambino funziona più facilmente: il bambino può esplorare fuori, se è andata bene può essere complimentato, se no, rassicurato e confortato.

Il padre è la persona che parla e che nomina, quello che dà il nome. Ancor oggi, si parla di riconoscimento di paternità: presso l'antica Roma, il padre conosceva il figlio e poi tornava a riconoscerlo, e allora gli dava il nome. Il problema non si pone ovviamente per la maternità, che è chiara. E' bene che sia dato il cognome del padre, eventualmente con quello della madre; viceversa si elimina ogni legame tra padre e figlio, specie oggi che ci sono paternità non biologiche, adozioni, inseminazioni.

Negli anni '70, definizione di "padre pallido" (Mitscherlich), evanescente; oggi, "padre rubato dalla società industriale", o padre assente. Bisogna farlo essere più presente attraverso vari canali.
Oggi abbiamo il padre assente, troppo presente, il III genitore (nelle separazioni e divorzi).

De Bernart affronta poi il tema di come si diventa padri, individuando 4 modalità:
1) le radici familiari (che tipo di modello viene trasmesso di come si è padri e madri;
2) il carattere (la paternità è un fatto personale, ma, seguendo il modello psicoanalitico riguardante la costruzione dell'Io, ci sono introiezioni di relazioni significative valutate positivamente);
3) la storia emotiva (che tipo di esperienze emotive fa prima di diventare padre, con riferimento anche ai miti familiari);
4) evoluzione nel tempo attraverso l'esperienza di essere padre: essere padre è anche cominciare ad aver bisogno di qualcuno che dipenda da sé.

Passando in rassegna le motivazioni ad essere padre, emerge un dato interessante: il 40% dei padri vorrebba avere più tempo per i figli e stare di più con loro, per due motivi apparentemente opposti per aver apprezzato molto il modello di attiva vicinanza paterna, e volerlo replicare; oppure per non averlo apprezzato affatto, e volerlo cambiare.

Il II fattore di coinvolgimento è la capacità e la sicurezza di se stessi, pensare di essere o non essere capace ad essere un buon padre.
Segue la sensibilità, se pensa di saper capire o meno i segnali del figlio: è importante l'approvazione materna (sorprendentemente, pare che circa l'80% delle madri non voglia che il padre sia presente).

Si è posto un problema: il padre può veramente svolgere questa funzione? Dai test di attaccamento, sembrerebbe di no, dato che è "previsto" che il bambino si senta più sicuro con una presenza femminile. In realtà, ci sono funzioni intercambiabili: il bambino stabilisce le prime interazioni sociali nei primi giorni di vita, ha meno bisogno di avere un genitore specialistico (la madre), e dà spazio al padre come altro genitore.

Come osservare questi padri? De Bernart si vale di una sua elaborazione di una griglia - immagine - strumento fittizio di organizzazione relativa all'organizzazione delle relazioni padre/figlia e padre/figlio, in cui vengono introdotte le tre categorie:
- padre assente (morto o distante);
- padre iperpresente (quello invischiato e quello eccessivamente vicino);
- padre III genitore, con 4 fattori sulle ascisse (taglio/ rottura definitiva come morte; distanza; invischiamnto; perversione, quindi vicinanza e lontananza estreme), mentre sulle ordinate vengono poste situazioni di rapporto padre/figlia/figlio, in assenza e in presenza di conflitto.

Ne risultano 16 categorie di situazioni diverse, al maschile e a femminile, che de Bernart illustra a lungo e approfonditamente con esemplificazioni da film o da casi clinici in trattamento, in cui vengono anche mostrate le strategie tecniche cui ricorre il terapeuta nelle conduzione del caso.

La discussione, con cui si è concluso il seminario, ha presentato spunti interessanti, non mancando di prendere anche in esame i fallimenti, importante fonte di esperienza e apprendimento. Si è sottolineato come questo lavoro con la famiglia, anche in considerazione dei tempi brevi in cui si svolge (generalmente 40 sedute nell'arco di 2 anni) e della necessità di capire rapidamente in che situazione ci si trovi, sia in gran parte un lavoro di anticipazione, in cui si offrono delle ipotesi, non facendo mai un discorso di verità o di oggettività, data anche la brevità del trattamento. Scopo della terapia familiare è catalizzare le risorse familiari, attivarle per fare lavorare su di sé, senza affezionarsi troppo alle ipotesi, anzi "falsificandole", cercando di smontarle.

In maniera assai originale e tutta "fiorentina", de Bernart definisce questo lavoro una via di mezzo tra la scienza, l'arte e l'artigianato: la metafora è la bottega del Rinascimento fiorentino, in cui si impara facendo, e da cui uscivano bravissimi artigiani: la psicoterapia è sempre la combinazione di aspetti diversi: un po' di artigianato, tecniche, un po' di scienza, teorie di riferimento, un po' di creatività artistica ed estetica, deve piacere anche al terapeuta, "se no, ci si annoia"; e questo vale anche per la famiglia, è opportuno che subisca dalla terapia un certo fascino, e sono bemvenuti anche aspetti un po' umoristici: "non si perde l'intensità se si usa la leggerezza", dato che la terapia, malgrado ciò, puntualizza de Bernart, segue sempre delle ben precise e costanti linee guida.


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