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Strumenti in Psico-Oncologia

RIVISTA SEMESTRALE

Numero 4, Settembre 2009


L'ELABORAZIONE TELEFONICA DEL LUTTO DELLA PROGETTUALITA': RIFLESSIONI SU UN CASO.

Marcella Fazzi, Cristina Oliveti, Maria Ottaviano, Domenico A. Nesci



L'attivazione di numeri telefonici gratuiti, le cosiddette linee verdi, è una delle modalità utilizzate in tutto il mondo da enti ed associazioni di volontariato per diffondere la cultura della prevenzione oncologica ed offrire informazioni, consigli e supporto, rispondendo così a bisogni talvolta urgenti della popolazione. In Italia, dal 1999 è operativo con un numero verde un servizio telefonico gratuito della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori - S.O.S. LILT (già S.O.S. fumo) - che si dedica a molteplici attività di supporto che riguardano in primo luogo il trattamento del tabagismo, ma anche tutte le tematiche di counseling psicologico che vanno da problemi di assistenza legale e socio-sanitaria all'ascolto empatico della sofferenza e del disagio dei malati di cancro e dei loro familiari.
Nel 2008 il Servizio ha evaso oltre 18.000 telefonate, molte delle quali giunte in periodi corrispondenti ad importanti campagne di sensibilizzazione promosse dalla LILT attraverso i mass media con lo scopo di avvicinare una fascia sempre più ampia della popolazione alla prevenzione oncologica ed alla diagnosi precoce. Numerose, però, sono le chiamate da parte di cittadini che già hanno sviluppato la malattia o che vivono all'interno della loro famiglia vicende oncologiche; frequentemente queste telefonate riguardano problemi legali in relazione ai diritti del malato oncologico, spesso disattesi dalle Aziende Sanitarie e dagli Enti Locali.
Il caso che presentiamo si inquadra in questa cornice di riferimento e si discosta, apparentemente, dal tema centrale di questo numero di Strumenti in Psico-Oncologia perché qui non si fa riferimento ad un lutto oncologico reale, ma a quel lavoro di elaborazione luttuosa che riguarda il malato stesso: il lutto della progettualità, un problema di cui si è già parlato nel numero scorso della rivista (Nesci e coll, 2009a) e che riproponiamo ora perché di estremo interesse e rilevanza sociale oltre che psicologica.


Il lutto della progettualità

Con lutto della progettualità (un'espressione coniata dal Dr. Poliseno durante un gruppo esperienziale nell'ambito di un Corso in Psico-Oncologia dell'Università Cattolica, a Roma) si intende il fatto, purtroppo molto consueto, che i malati di cancro vivono una vera e propria esperienza di lutto, di fine, di perdita, rispetto alla possibilità di fare progetti a lungo e medio termine, con conseguente caduta depressiva. Questa depressione ha però una coloritura particolare perché la malattia oncologica viene vissuta come un tradimento interno, la mutazione di una parte di sé (le cellule impazzite) che si trasformano in un doppio persecutorio e minacciano dall'interno la vita del paziente (Nesci e coll, 2009b).
Tutta questa costellazione psicodinamica è apparentemente diversa da quella descritta da Francisco Placio Espasa (2004) che parla di "lutto della crescita" per intendere quel processo fisiologico necessario nel quale si abbandonano parti di sé per assumerne di nuove, funzionali allo sviluppo, nel ciclo vitale. Nel malato di cancro avviene la perdita di parti di sé non per acquisirne nuove funzionali, ma per la comparsa subdola ed insidiosa di parti maligne che minacciano la sopravvivenza stessa del sé. Solo quando il paziente riesce ad elaborare il lutto della progettualità trasformandolo in un lutto della crescita, e quindi integrando nel suo sé la malattia, il che comporta innanzitutto il riconoscimento del cancro, delle cure e delle problematiche legate all'incertezza della prognosi, il paziente può essere considerato riabilitato. Altrimenti c'è sempre uno stato di invalidità psicologica (oltre che fisica) che rimanda ad uno stato di blocco in tensione, come era stato descritto in precedenti lavori (Minkowski, 1933; Nesci e Coll, 1989).


La vicenda di Carla

Carla è una donna di 60 anni, operata di tumore al seno, seguita al servizio telefonico S.O.S. LILT da circa un anno.
La prima volta che chiama è molto spaventata: è appena stata a fare una biopsia al seno, teme che la situazione sia grave. Non si dà pace del fatto che è da diverso tempo che fa delle indagini mediche perché sente "una pallina" al seno e che fino a pochi giorni prima i medici l'avevano sempre rassicurata che "non era niente", mentre ora si è creato un forte allarme. La diagnosi non tarda ad arrivare e Carla chiama la psicologa del servizio per comunicargliela: carcinoma. L'intervento di asportazione è previsto entro tre mesi.
Carla è arrabbiata e impaurita, confida alla psicologa di soffrire da tempo di claustrofobia e attacchi di panico e teme che proprio adesso che ha più bisogno d'aiuto, nessuno potrà assisterla: col marito i rapporti sono difficili da tempo, i figli, ormai adulti, conducono la loro vita lontani da casa, i genitori anziani da alcuni anni necessitano della sua presenza.
In prossimità dell'intervento chirurgico le condizioni psicologiche di Carla si fanno più serie, si sente sola, abbandonata e incompresa. Viene attivato un invio al servizio di assistenza psico-oncologica della sezione LILT della provincia in cui Carla vive e che lavora a stretto contatto con la struttura ospedaliera in cui verrà ricoverata. Carla, però, abbandonerà dopo poco tempo i colloqui con la psicologa della Sezione Provinciale LILT, richiamando il servizio telefonico asserendo che le sue condizioni di salute non le permettono più di recarsi alla sede provinciale, che ormai non può più uscire di casa senza essere accompagnata, che non c'è nessuno che si prende cura di lei, mentre tutti i familiari continuano, paradossalmente, a chiederle aiuto.
Successivamente all'asportazione della massa tumorale la richiesta di assistenza che Carla inoltra al servizio S.O.S. LILT subisce un'importante modifica: quando telefona non chiede più di parlare con la psicologa che l'ha ascoltata e supportata nel momento della diagnosi e durante il periodo di attesa dell'intervento, ma esprime il bisogno impellente di avere colloqui telefonici con l'avvocato, dal momento che sta incontrando difficoltà ad ottenere chiare e corrette informazioni circa i diritti acquisiti in quanto malata oncologica.
Intanto le sue condizioni di salute sono tutt'altro che buone dal momento che collabora poco alle terapie, sostenendo che i farmaci le fanno male. Il rapporto con Carla si fa complicato: riversa anche sul servizio telefonico la rabbia che precedentemente era diretta ai familiari e alle strutture sanitarie, lamentandosi di non trovare a sua disposizione gli operatori coi quali lei chiede di parlare e svalutandoli professionalmente.
Quando la commissione medico legale per l'assegnazione dell'invalidità civile non riconosce il suo stato di salute come "handicap grave", la signora si arrabbia e si dispera, chiama ripetutamente il servizio S.O.S. LILT per chiedere consiglio legale su come agire. Ma anche questa volta le cose non vanno bene: Carla lascia decadere il suo diritto a ricorrere (la cui scadenza coincide col periodo di assenza dal servizio degli operatori da cui è seguita con maggiore continuità), imputando l'accaduto al suo essere stata lasciata sola: "Io non posso andare da nessuna parte. Ho le mani e i piedi bloccati. Sono stata lasciata sola e abbandonata". Così non si è rivolta né ad un avvocato di un Patronato, come consigliatole più volte, né a un medico legale.
Alla telefonata che Carla riceve dal servizio telefonico, dopo il periodo estivo, risponde con durezza: "Le telefonate arrivano quando è troppo tardi... questa è la solitudine e l'emarginazione di chi incappa in questa malattia... l'impotenza di non riuscire a fare delle cose". Durante la stessa telefonata la signora comunica alla psicologa che nella sua famiglia sta per nascere un bambino. Lo fa senza gioia, solo preoccupata delle richieste di aiuto che le verranno inoltrate e parla del diventare nonna come di una condizione fuori tempo, per la quale non c'è spazio emotivo dentro di lei che, invece, è ancora una volta alla ricerca di qualcuno che non la spinga a reagire o ad uscire, che non la solleciti a curarsi, che non la faccia pensare al futuro, poiché tutto questo è vissuto come un avvicinamento alla morte.
Carla sta chiedendo aiuto a non apportare alcuna modifica alla sua vita, già pesantemente compromessa dalla malattia, poiché percepisce che in questo momento qualsiasi "passo avanti" la obbligherebbe ad una maggiore consapevolezza del suo stato di malattia, della sua invalidità, da cui si difende massicciamente mostrando ai suoi parenti, ma anche agli operatori sanitari, nei momenti in cui si decide la sua mutata identità sociale, un'immagine di donna sana, attiva, indispensabile agli altri, che lei non può ancora integrare con quella di malata.


Riflessioni

Il caso di Carla non è unico, purtroppo. Esso è un chiaro esempio di situazioni in cui i pazienti non riescono a farsi aiutare perché falliscono nell'uso di un oggetto, come direbbe Winnicott (1995).
Alcune persone, come Carla, non sono in grado di utilizzare in modo adeguato e proficuo i servizi territoriali (ASL, sezioni LILT, Patronati) che, seppure, talvolta, con difficoltà, offrono aiuti anche concreti al malato e ai loro familiari e, invece, si agganciano e chiedono disperatamente varie forme di sostegno ad operatori telefonici. Ma anche qui si può riprodurre un blocco in tensione...
Cosa c'è di specifico nella situazione telefonica che può attirare questo tipo di persone e costruire, nel tempo, la ripetizione di una situazione di stallo apparentemente fallimentare?
Nella consulenza telefonica lo scambio relazionale avviene utilizzando un canale acustico, sonoro. Si potrebbe ipotizzare che questo possa rispondere all'esigenza di quei pazienti che nello sforzo difensivo di disconoscere la realtà evitano di utilizzare un canale visivo. La comunicazione sonora appartiene all'universo della vita prenatale; il feto, come è noto, ci sente benissimo ma non vede. Solo dopo la nascita, quando si viene alla luce, si può avere un contatto visivo con la realtà ed è la vista il senso fondamentale dell'esame di realtà. Basti ricordare la tragedia di Edipo. Edipo, messo di fronte al dato di realtà del parricidio e dell'incesto, risolve l'insostenibilità del suo nuovo stato sociale (da re salvatore della patria a vittima sacrificale) accecandosi.
Nel testo di Sofocle Edipo dice addirittura, per spiegare il suo gesto, che se si fosse suicidato non avrebbe risolto nulla perché nell'Ade avrebbe dovuto rivedere/essere rivisto dal padre e dalla madre, per l'eternità... e questo gli sarebbe stato intollerabile.
Del resto i proverbi, saggezza dei popoli, recitano, da tempo immemorabile, la massima "lontano dagli occhi, lontano dal cuore."
Quando siamo in ascolto di persone che preferiscono un rapporto telefonico e non ce la fanno a tollerare un rapporto vis-à-vis, dobbiamo sempre chiederci se non sia in azione una difesa massiva di disconoscimento, e quindi se non sia opportuno analizzarla in équipe per valutare quale possa essere la strategia migliore da adottare per aiutare questi pazienti così particolari.
Un'altra riflessione che possiamo avanzare attiene al fatto che la relazione che si sviluppa attraverso il telefono, e quindi attraverso il canale acustico, risponde contemporaneamente a due contrapposti bisogni: quello di continuare a sentirsi indipendenti e quello di fondersi nella relazione.
A differenza di ciò che accade nelle consultazioni classiche (psicologiche, mediche, legali) in cui chi "ha bisogno" viene ricevuto da chi "offre un servizio" e le modalità, i tempi e la frequenza degli appuntamenti vengono stabiliti in modo contrattuale, nelle consulenze telefoniche vi è una maggiore possibilità per l'utente di essere un attivo costruttore del setting: può chiamare all'interno di un orario ampio, può utilizzare di volta in volta delle competenze diverse di differenti operatori, può assentarsi per lunghi periodi, non deve alcuna corresponsione economica. Il paziente, si sente quindi più indipendente. Allo stesso tempo, però, questo incontrarsi senza vedersi, comporta la possibilità di ritrovarsi in un clima prenatale, simbiotico, dove la fantasia inconscia può essere quella dell'incontro con un altro immaginario, idealizzato, sempre disponibile, proprio per il fatto che l'incontro è gratuito ed avviene esclusivamente attraverso il canale uditivo.
La gratificazione dell'incontro telefonico è quella, particolarissima, di ritrovare la fusione, la dipendenza da un oggetto idealizzato, in una situazione che autonomizza, al tempo stesso, il paziente/utente del Servizio.

Linee-guida

Da queste riflessioni derivano alcune semplici linee-guida che possono essere proposte in margine a questo lavoro sul caso di Carla.
L'équipe del Servizio telefonico deve avere delle caratteristiche tali da consentire l'analisi di queste dinamiche inconsce, il riconoscimento di situazioni di pazienti/utenti che si difendono in modo pericoloso dalla consapevolezza (rispetto alla prevenzione o alla malattia).
Questo significa:

1. che l'équipe deve essere costituita da professionisti non solo qualificati ma anche naturalmente dotati di sensibilità ed esperienza di vita, in modo da comunicare, già con la loro voce, una sensazione di sicurezza ed affidabilità;
2. che i membri dell'équipe devono adottare un metodo che consenta di scambiarsi le proprie esperienze al fine di identificare i casi a rischio di uso massivo di difese di disconoscimento;
3. che nei confronti di questi utenti/pazienti è necessario progettare, in équipe, delle strategie mirate al superamento delle inibizioni difensive o (paradossalmente) al loro rispetto se si ritiene rischioso un atteggiamento interventista piuttosto che di attesa.


Conclusioni

Nel caso di Carla, ad esempio, possiamo chiederci se non sarebbe stato possibile inventarsi qualcosa per tentare di farle avere comunque un riconoscimento di invalidità, aggirando i suoi agiti inconsci volti a disconoscere la serietà della sua duplice diagnosi, oncologica e psichiatrica.
Possiamo però anche chiederci se non ci sia stata, in questa strategia del disconoscimento utilizzata dalla paziente, una saggezza più profonda...
Detto in modo più semplice: se riconoscere lo stato di malattia significava, per Carla, desiderare di "suicidarsi" perché lo stato di malata di cancro o lo stato ansioso-depressivo erano intollerabili per il suo senso di integrità ed identità, allora il compito dell'équipe del Servizio non era quello di forzare la sua situazione ma di elaborarla al proprio interno, semplicemente interrogandosi su cosa fare e limitandosi a mandarle un segnale sulla propria disponibilità.
Mentre nello specifico di questa vicenda sarà il futuro a darci delle indicazioni sulle possibili risposte a questi interrogativi, lo scritto che proponiamo vuole essere una riflessione preliminare sul fatto che l'uso della comunicazione telefonica crea una situazione psicodinamica particolare, che riteniamo meritevole di ulteriori esplorazioni e sulla quale speriamo di attirare l'attenzione di altri operatori che lavorano in questo settore, attualmente molto poco studiato.


Bibliografia
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Minkowski E. (1933) Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia. Einaudi, Torino, 2004.
Nesci D. A., Mingo E., Poliseno T. A. (1989) La ferita narcisistica nelle trasformazioni chirurgiche. In De Risio, Ferro, Orlandelli (Eds.) Narcisismo, Nomos, Trasgressione, Teda Edizioni, Catrovillari.
Nesci D. A., Poliseno T. A., Squillacioti M., Linardos M. (2009a) Il tempo vissuto: riflessioni psico-oncologiche sul pensiero di Minkowski, Strumenti in Psico-Oncologia 3, Gennaio 2009. http://www.psychomedia.it/psic-onco/n3-09/a-nesci.htm
Nesci D. A., Poliseno T. A., Salvatore G., Squillacioti M., Linardos M., Barra A (2009b) Stati borderline transitori nei pazienti oncologici: dall'esperienza clinica al disegno di un possibile protocollo di ricerca. In Bria, Nesci, Pasnau (Eds.) Psichiatria di Consultazione e Collegamento:
Teoria, Clinica, Ricerca, Formazione, Alpes Edizioni, Roma.
Palacio Espasa F. (2004) Depressione di vita, depressione di morte. Raffaello Cortina, Milano.
Winnicott Donald W. (1995) Esplorazioni psicoanalitiche, Raffaello Cortina, Milano.


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