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RIVISTA SEMESTRALE

Numero 5, Aprile 2010


"RIPARAZIONE, RESTAURO E CREATIVITÀ": RIFLESSIONI SU UN ARTICOLO PUBBLICATO NEL 1975 SULLA RIVISTA DI PSICOANALISI.


A cura di Grazia Cassatella



Oltre trenta anni fa la Rivista di Psicoanalisi pubblica un articolo in cui viene fatta la distinzione tra “riparazione” e “restauro” prendendo spunto da un caso clinico (Traversa, 1975). Il tema della riparazione è centrale per questo numero del nostro Psycho-Journal, e quindi riprendo volentieri questo articolo “datato” associandolo liberamente alla problematica che ci interessa.

La paziente, figlia primogenita di una coppia di genitori in crisi, che l’avevano concepita come un “bambino protesi” (sul piano psicologico) aspettandosi dalla sua nascita la soluzione dei loro contrasti, era nata con una grave anomalia congenita (emimelia parziale) della mano sinistra. Al posto di questa aveva un grumo carnoso con solo un abbozzo del primo e del quinto dito mentre l’avambraccio era leggermente atrofico. Per il resto era una bambina intelligente e graziosa. Lo sviluppo della motricità era stato normale e la piccola aveva subito acquisito la capacità di usare anche la mano ipoplasica. All’età di un anno era andata incontro ad una osteomielite per cui era stata sottoposta ad una serie di interventi chirurgici dai quali era residuata una grossa cicatrice esteticamente “perturbante” (Freud, 1919). Il padre non era stato in grado di accettare il difetto congenito della bambina ed anche la madre aveva messo in atto meccanismi di difesa comportandosi, sul piano pratico, come se l’anomalia della figlia non esistesse ma inconsciamente servendosene per incrementare la sua tendenza al vittimismo.

La paziente si diploma con enorme fatica e, dopo vari tentativi fallimentari di studio in diversi campi, all’università, consegue una licenza come guida turistica. Giunge in analisi a ventotto anni e per un anno l’analista decide con lei di intraprendere solo una psicoterapia di sostegno, senza avventurarsi in interpretazioni profonde.

Al terzo anno di analisi la paziente porta un sogno in seduta: “Ero andata in una scuola per sapere se potevo prendere lezioni di restauro e mi era stato risposto negativamente. Mi trovavo in cima ad una scala… e sul muro del pianerottolo di fronte c’era una lastra di marmo, come una lapide, tutta scritta. Mi pareva di leggervi il nome della persona che si occupava di restauro e che cercavo, e allora pensavo che prima si dovevano essere sbagliati. Così tornavo indietro e a un signore basso coi baffi chiedevo se era vero che non c’era la scuola dato che il nome del restauratore era scritto sulla lastra. Il signore mi rispondeva che quel tale era morto da molto tempo. Io allora dicevo: “…non importa…”, e aggiungevo che era perché volevo imparare a dipingere”.

I resti diurni su cui il sogno era stato costruito corrispondevano, nella realtà, al desiderio della paziente di dedicarsi alla tecnica del restauro in campo pittorico ed al suo cercare di informarsi se esistevano scuole che potesse frequentare. Il sogno inoltre si collegava anche ad un’attività pittorica comparsa durante l’analisi, attività che il suo terapeuta aveva scelto di utilizzare in seduta come ogni altro possibile materiale analitico.

Per l’Autore, la distinzione sul piano clinico del concetto di “riparazione” da quello di “restauro” permette di fare delle ipotesi che attengono anche al processo creativo.

La “riparazione” è un’operazione effettuata dall’Io (dai suoi abbozzi originari fino al raggiungimento di uno stato stabile ed evoluto) rispetto ad eventi verificatisi nel passato dell’essere, e che si rivolge al suo presente ed eventualmente al suo futuro, reali e concreti.

Il “restauro” è invece un’operazione dell’Io che si svolge in una rappresentazione fittizia del tempo, nella negazione di eventi accaduti nel passato dell’essere, e che dunque vengono percepiti come frutto del presente o proiettati nel futuro.

Tali orientamenti opposti sono confermati anche da una ricerca etimologica sui termini in questione. “Riparare” deriva dal latino re-parare che significa “approntare”, “allestire nuovamente” un oggetto in parte danneggiato, rendendolo di nuovo abile al raggiungimento di scopi pratici, esterni all’oggetto e proporzionati ai veri bisogni del soggetto. “Restaurare” trae origine dal latino re-staurare (dove staurare sarebbe vicino a stare e confrontabile col sostantivo greco stauròs=palo), assumendo il significato letterale di “raddrizzare”, “rimettere al posto di prima”, quindi “ricostituire” un oggetto che ha perso la sua posizione, valore, significato, riportandolo ad uno stato intrinseco all’oggetto stesso e che corrisponde ai bisogni ideali del soggetto, già stabiliti nel passato. Dunque un processo riparativo implica l’aggiunta di qualcosa di nuovo per ripristinare la funzione di un oggetto parzialmente compromesso, con l’obiettivo di rispondere ad attuali bisogni del soggetto diversi da quelli del passato. Differentemente in un’opera di restauro, proprio come nell’omonima disciplina pittorica, assistiamo al realizzarsi di un rigido recupero di uno statu quo ante dell’oggetto danneggiato nell’assoluto disconoscimento dei reali bisogni di oggi del soggetto. Anche i termini italiani che sono derivati dal latino “restaurare” conservano lo sguardo contemplativo verso il passato contenuto in esso. A tal proposito possiamo pensare al termine “restaurazione” nel senso di ristabilire una forma di potere decaduta, e a “ristoro” come azione finalizzata a riportare l’organismo in uno stato di benessere avvertito come assoluto, e non semplicemente per soddisfare bisogni reali e temporanei.

Fin qui il pensiero di Carlo Traversa che associa a queste riflessioni l’uso, nell’antica Firenze, di chiamare col nome proprio “Ristoro” o “Buon Ristoro”, quel figlio che fosse venuto al mondo per sostituirne un altro morto o perduto!

In tal senso potremmo parlare dei “bambini sostitutivi” (nati da genitori che hanno perso un figlio e che non riescono ad elaborarne la perdita se non con un disconoscimento del lutto reale ed il concepimento di un bambino immaginario fantasticato come identico al precedente) come “bambini restaurativi”, figli di rimpiazzo, tragicamente destinati ad essere investiti da aspettative, proiezioni e spostamenti appartenenti al bambino morto (Sabbadini, 1988). Bambini “riparativi” sarebbero invece tutti gli altri, i bambini concepiti all’interno di un processo fisiologico di elaborazione del lutto.

Con Traversa potremmo infine concludere che molto vicino al concetto di creatività è quello di generatività, vale a dire, usando le parole dell’Autore: “quella condizione umana che accettando i propri limiti nella realtà e rompendo il circuito solipsistico (dal latino = stare da solo con se stesso) difensivo, si dispone ad accogliere positivamente l’aiuto e la collaborazione di altri esseri umani, non più ignorati e temuti insieme, appunto quando sente di dover generare qualcosa”.


Bibliografia

Freud S. (1919) Il perturbante. In Opere, vol. IX, Boringhieri, Torino, 1977.

Sabbadini, A. (1988). The replacement child. Contemporary Psychoanalysis, 24 (4) , 528-547. Versione italiana “Il bambino sostitutivo”. Doppio Sogno, n. 5 ., Dicembre 2007.

Traversa, C. (1975). Riparazione, restauro e creatività. Rivista di Psicoanalisi , 1, 3-43.


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