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Dipartimento di Salute Mentale
S.O.C. Psicologia Clinica e della Salute



Il concetto di dissociazione nella psicoanalisi relazionale

Cesare Albasi
Ricercatore in Psicologia Clinica, docente di Psicoterapia, Facoltà di Psicologia, Università degli Studi di Torino. Già psicologo e psicoterapeuta presso il CAD


Oggi assistiamo alla ripresa di un grande interesse per i problemi legati al trauma, all'abuso e ai disturbi dissociativi. Incontriamo, sull'argomento, sempre più saggi scientifici e clinici, convegni e congressi, associazioni e siti web (divulgativi, di auto-aiuto o scientifici), scale di misura e interviste semi-strutturate per la ricerca empirica sistematica, tecniche terapeutiche.
Discipline come l'antropologia, nello studio della trance e del sciamanismo, la religione, nel tentativo di comprendere il misticismo e l'estasi, la giurisprudenza, nella ricerca di strumenti legali per il giudizio di alcuni crimini violenti e per l'utilizzo delle testimonianze dei bambini, si sono occupate del fenomeno con differenti approcci e obiettivi.
Le molte definizioni del fenomeno della dissociazione, presenti in letteratura, si riferiscono alla perdita della capacità del soggetto integrare e associare informazioni e significati delle esperienze vissute in modo mediamente prevedibile.
Sul piano descrittivo, la dissociazione non è un processo che può essere sempre considerato patologico e brevi esperienze di stati alterati della coscienza e del senso di Sé sono rintracciabili in alcuni ambiti della nostra quotidianità (gli automatismi, lo sport agonistico o estremo, l'assunsione di sostanze con effetto psicotropo, i rapporti sessuali, le realtà virtuali offerte da computer e televisione)(1).
Nella psicoanalisi relazionale statunitense (Mitchell, Aron 1999), grazie al lavoro di un gruppo sempre più folto di autori (Frankel 1993, 2000; Bromberg 1998; Davies 1996a, b, 1998; Harris 1996; Mitchell 1993; Pizer 1996, Stern 1997), vediamo coniugare i contributi di Ferenczi sulla dissociazione con quelli di Sullivan e di Janet, e degli autori indipendenti britannici, da Fairbairn a Bollas.
Nonostante nel contesto psichiatrico attuale il dibattito sulle Sindromi dissociative(2) sia molto fervido, nell'ambito teorico della psicoanalisi relazionale statunitense il concetto di dissociazione non viene utilizzato semplicemente per indicare i sintomi classificati nel DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994), ma, in un modo più ampio e sfaccettato, per parlare di processi fini che contribuiscono ad articolare la struttura della soggettività nelle sue uniche ed assolutamente individuali modalità di costruzione del significato dell'esperienza personale. I processi dissociativi vengono considerati come costitutivi la mente umana, ad essa inerenti.
Ferenczi avanzava già alcune riflessioni in questo senso nelle sue personali annotazioni:

Un "adulto" non è mai "non scisso" - solo il bambino o chi è ritornato bambino non lo sono. Un adulto deve "badare a se stesso" ... Ogni "adulto" che "bada a se stesso" è scisso (non è un'unità completa) (1920-32, p. 258).

I processi dissociativi concorrono ad organizzare la soggettività in ambiti di significato distinti; se i confini tra questi ambiti si irrigidiscono, i processi dissociativi possono dare vita a sintomi o a psicopatologia severa, sia, ad un primo livello, creando un'impossibilità di comunicazione tra diversi significati della propria esperienza di sé e delle relazioni, sia, ad un secondo livello, nel rendere impossibile l'accesso ad alcuni significati troppo angoscianti e mortificanti che quindi, oltre a non essere in comunicazione con altri aspetti del funzionamento mentale, rimangono primitivi e grezzi.
Da questo punto di vista la psicopatologia dissociativa (i sintomi della classe dei Disturbi dissociativi del DSM-IV) è l'esito distorto di processi che sono presenti anche nel funzionamento fisiologico della mente umana, ma che degenerano provocando disturbi.
Studiando i pazienti vittime di abuso parentale, Davies (1996a,b) propone di definire come traumatica la dissociazione patologica, che dipende da esperienze fortemente traumatiche. La dissociazione traumatica nasce da un'alterazione della struttura psichica, determinata dall'esigenza di integrare rappresentazioni inconciliabili e contraddittorie di Sé e dei genitori (per esempio Sé come buono e Sé come abusato, e i genitori come accudenti e come abusanti).
L'aberrazione della struttura psichica che si rileva nei Disturbi dissociativi è un'esagerazione patologica di processi di base del funzionamento mentale, presenti fin dalla nascita (Albasi 2003a,b)(3).
Secondo Bromberg (1998) i disturbi di personalità hanno una base psicopatologica comune nella dissociazione traumatica. La personalità, in questi casi, si organizza sulla dissociazione come forma di difesa anticipatoria rispetto alla potenziale ripetizione di un trauma precoce. La dissociazione permette di isolare delle versioni di Sé da altre versioni di Sé in modo molto rigido, impedendo l'accesso contemporaneo alla coscienza di significati incompatibili.
Quindi, a differenza delle organizzazioni di personalità non disturbate, nelle quali l'esperienza del conflitto è strutturalmente possibile anche se evitata psicodinamicamente da difese come la rimozione, nel disturbo di personalità l'individuo non può sostenere rappresentazioni conflittuali sé-altro all'interno di uno stesso stato esperienziale, abbastanza duraturo da poter sperimentare soggettivamente affetti contradditori. Questo funzionamento rende anche estremamente difficoltosa l'autoriflessione, il pensiero sui propri affetti, desideri, credenze e sulle proprie rappresentazioni mentali, la funzione riflessiva (Fonagy, Target 2001).
Se la dissociazione non è rigida, non è traumatica (Davies, 1996a,b), essa é il processo psichico che permette alle persone di funzionare in modo adattivo nonostante l'esperienza dell'angoscia o della depressione ecc. (che caratterizzano alcuni stati del Sé), e che permette l'esperienza dell'autenticità grazie all'immersione profonda in particolari stati del Sé temporaneamente isolati dalle associazioni con le molteplici altre possibili esperienze di sé (Bromberg 1998).
In linea con le idee di Ferenczi (1920-32, 1932a, 1932b), possiamo ipotizzare che la tensione dialettica tra processi dissociativi e processi integrativi della mente viene persa a causa della profonda distorsione nella relazione di accudimento, che avrebbe invece il compito di favorire questa tensione ottimale tramite un controbilanciamento di forze centrifughe e centripete, che legherebbero le parti alla funzione, come un sistema di movimenti interni stabili anche se contengono la possibilità di andare fuori dal controllo.
Come affermava già Ferenczi in Introiezione e transfert (1909) e poi nel Diario clinico (1932b, p. 210): il senso di sé come esistente e significativo può essere raggiunto soltanto se l'ambiente dà una controspinta alla tendenza della mente a dissolversi nell'universo. L'individuo cerca primariamente la relazione con la figura di attaccamento ma se questa non offre un legame costruttivo l'individuo si disperde. La fisiologica molteplicità deve essere contenuta attraverso il riconoscimento, operato dall'ambiente, dell'esperienza del bambino come esperienza reale (realmente in corso) e quindi in qualche modo significativa.
Nella teoria psicoanalitica assistiamo alla riscoperta del pensiero clinico di alcuni autori, oltre a Ferenczi (Borgogno, 1999), come Sullivan (Conci 2000; Stern 1997), Janet (Davies 1996a,b; Liotti 1999) e Fairbairn (Mitchell 2000), che si sono occupati in modo articolato del concetto di dissociazione, fino a farne il pilastro per un nuovo modello mentale(4).
L'obiettivo del nostro lavoro è quello di offrire alcune riflessioni sugli autori che, nella tradizione psicoanalitica, hanno sviluppato in modo più significativo il tema della dissociazione, per favorire un confronto su quelle che sono le radici dell'attuale dibattito.

L'impostazione data inizialmente da Freud al problema della dissociazione

Freud ha elaborato un modello complesso del funzionamento mentale, fornendoci una prospettiva ampia sulla mente costruita attraverso l'uso di concetti che sono diventati patrimonio comune della cultura psicologica del secolo passato.
La struttura teorica del modello pulsionale, delle difese, della partizione tra sistemi consci e inconsci, nonostante le molte contraddizioni irrisolte, è stata sviluppata da Freud come un edificio robusto e carico di implicazioni operative.
Attualmente, all'interno della psicoanalisi, possiamo trovare molti modelli teorici che modificano alcuni aspetti di quell'edificio mantenendone la struttura di fondo; altri, come gli orientamenti relazionali, ne ricostruiscono radicalmente l'impalcatura confezionando proposte che presentano la teoria psicoanalitica della mente come qualcosa di rinnovato, proprio attraverso la rilettura delle sue origini, dal primo Freud a Ferenczi.
È in questo contesto che possiamo collocare la discussione del concetto di dissociazione, un tema sicuramente molto sentito dal primo Freud degli Studi sull'isteria (Breuer, Freud 1892-95) e poi abbandonato sul sentiero di una teoresi che aveva forse, come virtuale interlocutore, più il consesso dell'accademia che non la realtà dei problemi clinici incontrati nel lavoro con i pazienti.
La metapsicologia di Freud ha spinto generazioni di clinici ad osservare la fenomenologia presentata dall'esperienza di lavoro con i pazienti a partire da concetti cardine come quelli di conflitto, difesa, inconscio. In quest'ottica, il paziente si trova in uno stato di sofferenza in quanto nella sua mente un intenso conflitto non permette soluzioni difensive adeguate. Il paradigma di difesa che regge questa concezione è quello della rimozione (e della repressione): quando un contenuto mentale è sgradito alla coscienza (e genera conflitto) deve essere sospinto nell'inconscio.
Anche se l'armamentario delle difese nel modello classico è molto ampio, il modello di apparato psichico che si offre come contesto teorico per la loro concettualizzazione è quello messo a punto da Freud nell'Interpretazione dei sogni (1899), nel quale la mente umana è un'unità complessiva che si struttura linearmente, attraverso gradi progressivi di accesso dei contenuti mentali alla coscienza (Inconscio-Preconscio-Coscienza) regolati dalle difese dell'Io. Ma, come sappiamo, Freud non l'ha sempre pensata così.
Influenzato dalle opinioni di Janet(5) e Charcot, Freud negli Studi sull'isteria, scritti insieme a Breuer, utilizza il concetto di dissociazione per comprendere la sofferenza presentata dai pazienti giunti alla sua attenzione. Egli osserva come vi sia una netta distinzione tra gli stati di coscienza vigile dei pazienti e quelli di trance indotta nell'ipnosi: nello stato di veglia i pazienti ricordavano ciò che era successo nello stato vigile precedente, ma erano completamente ignari di ciò che era avvenuto nello stato ipnotico. Lo stesso avveniva per gli stati di trance.
A partire da queste considerazioni, Freud ipotizza che la dissociazione di questi due stati di coscienza sia alla base dell'insorgenza dell'isteria e che rappresenti una forma rudimentale di personalità multipla:

Ora, quanto più abbiamo continuato ad occuparci di questo fenomeno, tanto più sicura è divenuta la nostra convinzione che quella scissione della coscienza così sorprendente nei noti casi classici di double conscience [coscienza doppia], esiste in stato rudimentale in ogni isteria, e che la tendenza a tale dissociazione e quindi al manifestarsi di stati anormali della coscienza, che chiameremo congiuntamente "ipnoidi", è il fenomeno basilare di tale nevrosi (Breuer, Freud 1892-95, pp. 182-183).

In particolare, ciò che predisporrebbe alla malattia isterica sarebbe secondo Freud "l'abituale sognare ad occhi aperti (teatro privato), col quale si pone il fondamento per la dissociazione della personalità intellettuale" (idem, p. 207) che si trasforma dapprima in un'assenza allucinatoria organizzandosi poi definitivamente in double conscience.
Freud pensa dunque che nell'isteria la coscienza si organizzi in gruppi di contenuti mentali (come se fossero centri multipli di consapevolezza) che non sono fra loro connessi, dando così vita alla cosiddetta condition second o "stato ipnoide". Questa idea è legata alla descrizione di Janet e di Ferenczi della "dissociazione traumatica", più di quanto non sia legata al successivo pensiero di Freud stesso sulla rimozione come meccanismo difensivo all'interno del modello topografico dell'apparato psichico (inconscio, preconscio, conscio) e del modello strutturale costituito da Es, Io, Super-io. Come Freud anticipa discutendo il caso di "Lucy R" (Breuer, Freud 1892-95), è possibile distinguere i modelli come quelli topografici (che avrebbe poi privilegiato), che implicano la creazione di contenuti conflittuali ai quali viene strutturalmente impedito l'accesso alla coscienza in modo continuo, dai modelli basati su disconnessioni (dissociazioni) di insiemi di significati che pur essendo incompatibili fra loro possono alternarsi nella coscienza.
Dobbiamo notare però che, pur considerando la dissociazione come importante nella genesi delle isterie, Freud mostra fin da questa sua iniziale opera la tendenza a riconcettualizzare l'impatto dei traumi subiti nell'infanzia in un modello centrato sui meccanismi intrapsichici. Infatti, benché tutti i casi trattati negli Studi sull'isteria presentino storie infantili costellate da traumi, per Freud:

il momento veramente traumatico [...] è quello nel quale la contraddizione si impone all'Io e l'Io stesso decreta il bando alla rappresentazione contraddicente. Con tale bando quella rappresentazione non viene però annullata, ma soltanto sospinta nell'inconscio; quando questo processo si produce per la prima volta, si forma con ciò un nucleo e centro di cristallizzazione per la formazione di un gruppo psichico distinto dall'Io, attorno al quale si raccoglie successivamente tutto ciò che avrebbe per presupposto l'accettazione della rappresentazione contraddicente. La scissione della coscienza in tali casi di isteria acquisita è quindi voluta, intenzionale, o per lo meno promossa per lo più da un atto volontaristico. Di fatto accade una cosa diversa da quella che l'individuo si propone; egli vorrebbe eliminare una rappresentazione come se non si fosse mai prodotta, ma riesce soltanto a isolarla psichicamente (Breuer, Freud 1892-95, p. 278).

A partire dal 1897 (Freud, 1887-1904), Freud comincia a sviluppare l'idea per cui l'esperienza infantile può divenire patogena solo attraverso l'attivarsi (anche cronologicamente posteriore) di pulsioni sessuali che ne determinano il significato traumatico.
L'impostazione eziologica che Freud sceglierà prevede che il sintomo sia legato alla soddisfazione di un desiderio di origine pulsionale, non tanto a una mancata risposta dell'ambiente a un bisogno fondamentale dell'individuo (che sarà invece la conclusione di Ferenczi).
Secondo Davies (1996b), il rifiuto di Freud dell'ipotesi della seduzione fece molto più che ostacolare e ritardare la nostra comprensione dei postumi a lungo termine di un trauma infantile. Questo cambiamento nel pensiero di Freud portò l'attenzione della comunità clinica lontano dal modello della mente basato sulla dissociazione, che enfatizzava la molteplicità degli stati del Sé, l'organizzazione multipla dei centri di consapevolezza e significato, la dimensione relazionale e l'importanza dell'ambiente, e la orientò verso un modello della mente basato sulla rimozione e il conflitto intrapsichico.

Il contributo seminale di Ferenczi, origine delle attuali prospettive

Il contributo che Sándor Ferenczi ha dato alla costruzione di una teoria del trauma e del traumatico ha fornito strumenti fondamentali per pensare il fenomeno della dissociazione, per comprendere le possibilità del suo utilizzo clinico e, più in generale, ha offerto le basi per una concezione relazionale della psicopatologia. Ferenczi delinea, parallelamente alla sua prospettiva sul trauma, anche una teoria della mente relazionale e una teoria del Sé come molteplice nelle quali viene sottolineato che l'ambiente che accoglie il bambino segna e informa in modo primario e fondamentale la nascita psicologica dell'individuo (Borgogno 1999). La concezione di mente così come egli va gradatamente formulando non può inscriversi, dunque, se non con notevoli forzature concettuali, nelle topiche freudiane.
A differenza dell'iniziale pensiero di Freud sul trauma, per Ferenczi il processo traumatico non consiste tanto nell'insediarsi nella mente di una rappresentazione patogena, ma nello sconvolgimento prodotto da una relazione, significativa per l'individuo, nell'organizzazione del suo mondo interno (Bonomi 2001). Quello che non poteva essere accolto dalla metapsicologia pulsionale di Freud era la posizione teorica che Ferenczi stava inaugurando, che guardava alla clinica dei fenomeni dissociativi in un'ottica profondamente relazionale.
Ferenczi si interessa degli stati dissociati di coscienza e dei fenomeni paranormali fin dal suo esordio come giovane medico nella Budapest di fine ottocento; è intorno a questo interesse del suo periodo pre-analitico che conquista l'ammirazione di Freud (Sechi, 1995; Albasi, Sechi, 2003).

Ciò che noi sappiamo mostra in modo decisivo che esistono nello spirito umano degli elementi inconsci e subconsci che partecipano al funzionamento dello spirito, è altresì probabile che un grande numero di fenomeni occulti siano l'espressione invece di queste divisioni dello spirito in cui una o più parti dello spirito si riflettono alla coscienza, mentre altre funzionano al di fuori di essa e in qualche modo automaticamente".

Queste considerazioni mostrano che Ferenczi ipotizza nel 1899 un concetto di inconscio molto vicino a come lo descrivono gli Studi sull'isteria di Freud e Breuer(6). Ma, a partire da analoghi interessi su processi dissociativi e di "divisione dello spirito", Freud sceglierà la via teoretica ed elaborerà il concetto di rimozione come modello di difesa prototipico della sua prospettiva metapsicologica, mentre Ferenczi, percorrendo la strada dell'esplorazione attenta del materiale clinico offerto dai suoi pazienti, svilupperà l'idea di una molteplicità di sé inconsci e la sua personale riflessione sui processi dissociativi, che saranno tra i suoi contributi più importanti, ed estremamente attuali all'interno della psicoanalisi relazionale (Bromberg 1998; Davies 1996; Mitchell 1993). Ferenczi costruisce, nel corso della sua opera, idee dell'inconscio e dell'Es differenti da Freud, non concependoli come insiemi di frammenti pulsionali esplosivi e disorganizzati ma come insiemi più o meno grezzi di significati residuali legati alle relazioni di accudimento. Pur attraverso l'uso di categorie concettuali differenti (teratoma e gemello interno, 1930; Io eterogeneo e trapianti estranei, Orpha, angelo custode, sostituto materno, Io dolore, poppante saggio; 1930-32, 1932b; cfr. anche Borgogno 1999), possiamo osservare come Ferenczi offra una riflessione sull'Inconscio in termini di costellazioni di significati organizzati attorno a relazioni o parti di personalità e una concezione dell'Es come implicante un modo di essere, un senso del Sé, una collezione di parti di persone e personificazioni in rapporto tra loro. Se per Freud il conflitto intrapsichico era determinato dallo scontro di pulsioni, esigenze morali (Super-io), esigenze della realtà e funzioni regolatrici (Io), nella teoria di Ferenczi in tensione dinamica nella mente ci sono organizzazioni di significato contrastanti che legano l'individuo a impegni e lealtà con le figure della sua storia.
Se la rimozione freudiana può essere intesa, per utilizzare la terminologia cara a Kohut (1977), come un meccanismo di scissione orizzontale tra conscio e inconscio, in quanto regioni della mente distinte tra loro in modo costante, Ferenczi concepisce la dissociazione come una scissione verticale tra parti del Sé(7).
Ferenczi parla della dissociazione come di una reazione specifica al trauma, legando fortemente questi due concetti tra di loro12. Egli afferma che: "non c'è trauma né spavento che non abbia come conseguenza un accenno di scissione della personalità" (Ferenczi 1932a, p. 98). Un forte shock infatti "equivale all'annientamento della coscienza di sé, della capacità di resistere, di agire e di pensare in difesa del proprio Sé" (Ferenczi 1934, p. 101). Nel Diario clinico Ferenczi (1932b, p. 103) paragona il trauma nel bambino ad un'aggressione in piena notte: la persona che dorme tranquilla è del tutto impreparata e non può difendersi.
Il trauma è un violento attacco alla possibilità di comprendere il senso dell'esperienza, un attacco quindi all'essenza stessa della mente, che non può vivere se non attribuendo senso. Il trauma in Ferenczi assume tutta la sua profonda valenza psichica in quanto viene descritto e contestualizzato nelle relazioni interpersonali dell'individuo con il suo ambiente evolutivo, essendo sostanzialmente determinato dai processi di diniego del significato delle esperienze messi in atto dalle figure adulte da cui il bambino dipende (Borgogno 1999). Il bambino, arrendendosi all'adulto che lo aggredisce e ne viola la specificità di bisogni, in questo modo rinuncia al proprio senso di sé, ai suoi sentimenti, ai suoi desideri, dissociando parte della propria esperienza e creando un vuoto che viene riempito tramite processi di identificazione con l'aggressore(8). La personalità del bambino si rafforzerà seguendo queste linee patologiche in quanto la relazione con i genitori ha inevitabilmente caratteristiche costanti lungo l'arco evolutivo (dato che il carattere dei genitori è quel che è)(9). I genitori continueranno a legare a sé i figli attraverso il terrorismo della sofferenza(10), l'amore passionale e la punizione passionale (Ferenczi 1932a, 1932b) e lo sviluppo procederà perpetuando i processi dissociativi. La mente del bambino opera quindi un'autotomia e una divisione del Sé, organizzandone le parti come personalità distinte, in modo che possano sopravvivere separatamente. Ferenczi sottolinea molto lucidamente che l'autoscissione narcisistica (1931, p. 72) messa in atto dal bambino rappresenta una sorta di tentativo di autoguarigione, un modo per salvarsi, per trovare una "via di fuga quando non c'è nessun'altra via di fuga" (Putnam, 1992):

Un fatto sorprendente, ma apparentemente di validità generale, nel processo di autosmembramento è l'improvvisa trasformazione della relazione oggettuale, divenuta impossibile, in una relazione narcisistica. L'individuo, abbandonato da tutti gli dei, si sottrae completamente alla realtà e si crea un altro mondo nel quale, non ostacolato, può avere tutto ciò che vuole. Se finora non solo non era amato, ma addirittura martirizzato, egli stacca da sé un pezzo che, sotto forma di persona che lo assiste con amore e sollecitudine, perlopiù materna, compiange la residua parte tormentata dell'individuo, si occupa di lui, decide per lui, e tutto questo con la massima saggezza e con penetrante intelligenza. Questa persona è l'intelligenza e la bontà stessa, per così dire un angelo custode (Ferenczi 1934, p. 108)(11).

Nel processo di dissociazione, una parte del Sé subisce un definitivo arresto, mentre un'altra è esposta ad una precoce maturazione che Ferenczi definisce di progressione traumatica(12). In questa situazione il bambino diventa emotivamente capace, in poco tempo, di ri-organizzarsi e di sopravvivere restando indifferente all'esperienza traumatica19 un po' come l'animale che per ingannare il predatore cerca di mimetizzarsi nell'ambiente, arrivando a volte a fingersi morto per poter essere risparmiato.
Il dolore traumatico sembra aver interdetto, in questi pazienti, la possibilità di mantenere in rapporto dialettico le diverse rappresentazioni del Sé in un funzionamento unitario della soggettività, al punto tale da far pensare che sia proprio in questa "assenza di nessi" che si annidi in realtà l'unica vera forma di sopravvivenza del soggetto.
L'esperienza di Ferenczi con pazienti traumatizzati lo ha portato per via empirica, a partire cioè dalle sue osservazioni cliniche, ha ipotizzare il meccanismo dissociativo alla base della psicopatologia della personalità multipla:

Se i traumi si ripetono nel corso dello sviluppo, aumentano anche il numero e la varietà delle dissociazioni, cosicché diventa ben presto difficile - senza cadere nella confusione - mantenere il contatto con i vari frammenti, che si comportano come personalità distinte, di cui ciascuna non sa nulla dell'altra. Alla fine può verificarsi una condizione che, volendo proseguire la metafora della frammentazione, possiamo senz'altro definire atomizzazione, di fronte alla quale ci vuole molto ottimismo per non perdersi d'animo" (Ferenczi 1932a, p. 99).

Di fronte alla presa di coscienza della propria impotenza, per evitare la tremenda sensazione di dolore, il bambino entra in uno stato di torpore, uno stato appunto di tipo ipnoide (dissociato) e vede la realtà dal di fuori, come se fosse un'altra persona. In questo modo vede compromessa la capacità di vivere il significato soggettivo delle esperienze affettivamente importanti(13).

La centralità del concetto di dissociazione nel pensiero di Sullivan

Vogliamo ora prendere in considerazione le idee di Sullivan (1940, 1945, 1950, 1953, 1956) sulla dissociazione, che si collocano in un contesto filosofico pragmatista (ed epistemologico operazionista), distante da quello di Ferenczi, in quanto grazie all'integrazione dei loro rispettivi punti di vista è possibile approfondire aspetti concettuali della dissociazione che ne presentano tutta la potenzialità teorica e clinica.
Sullivan intende la dissociazione come un'operazione di sicurezza. Le operazioni di sicurezza sono "attività interpersonali per fuggire o minimizzare l'angoscia" (Sullivan 1940, p. 300).
Sullivan considera tra le operazioni di sicurezza più comuni tutti quei modi in cui distogliamo la nostra attenzione da quel che ci potrebbe disturbare, e che sono forme di disattenzione selettiva. A quest'ultima collega la dissociazione:

Ogni volta che c'è un sistema motivazionale dissociato si riscontra una relativa sospensione della coscienza per quanto concerne le motivazioni corrispondenti. La sospensione della coscienza può essere minima, come nel disturbo relativamente poco importante e comunissimo che io chiamo disattenzione selettiva, e che consiste semplicemente nel non notare una serie quasi infinita di dettagli più o meno insignificanti della propria vita (Sullivan 1953, p. 357).

Sullivan osserva in particolare, in modo molto distante da Freud (anche quello degli Studi sull'isteria), come i processi dissociativi si originino in una relazione disfunzionale con i genitori, nella quale parti della personalità del bambino vengono disapprovate.
Dice Sullivan:

Il punto è questo: l'io è approvato dalle altre persone importanti; ogni tendenza della personalità che non sia approvata, ma che anzi sia fortemente disapprovata, viene dissociata dalla coscienza personale. [...] Questa dissociazione delle componenti delle personalità non si limita alla ricerca della soddisfazione. Alcuni fra i processi di acquisizione del potere che il lattante, il bambino e forse anche il fanciullo, hanno trovato efficaci vengono disapprovati così severamente in uno stadio successivo della personalità, che anch'essi vengono dissociati, e da quel momento in poi si manifestano al fuori della coscienza della persona. (Sullivan 1953, p. 52)(14).

Solo le esperienze a cui i genitori o gli altri significativi reagiscono e a cui prestano attenzione possono quindi diventare parte integrante del Sé. Le esperienze ignorate, quelle che gli altri significativi non mettono in rilievo, a cui non rispondono a causa della loro stessa dissociazione, soccombono alla dissociazione. L'esperienza, proprio perché non riceve l'approvazione interpersonale di cui avrebbe bisogno per essere riconosciuta non entra nella coscienza. I genitori stessi sarebbero in pericolo di fare esperienza di un'ansia insopportabile. In altre parole, essi sanno inconsciamente che sarebbe pericoloso per loro riconoscere le espressioni interpersonali del bambino relative ad una certa motivazione (Lionells et all. 1995).
In questi passaggi, Sullivan utilizza il concetto di dissociazione per descrivere un ampio spettro di fenomeni evolutivi e non solo per descrivere gli esiti gravemente distorti di traumi severi.
In modo analogo a Ferenczi, Sullivan (1940, 1949, 1953) assegna importanza essenziale dell'empatia nella comunicazione umana, e sottolinea che nella relazione madre bambino l'empatia è il mezzo per creare o contenere l'ansia(15). L'ansia intollerabile nasce non per il fatto di aver avuto una madre "cattiva', ma per il fatto che il bambino non è mai sicuro se la madre sarà "buona" o "cattiva" nel rapportarsi a lui. Questa imprevedibilità, causata dall'ansia della madre, e la relativa ambiguità irrisolvibile inducono il bambino ad un disorientamento profondo nel senso soggettivo di sé e ad una continua dissociazione delle esperienze che sono legate ad ansia intensa.
L'individuo che dissocia in modo cronico costruisce il proprio sé attorno a buchi nell'esperienza e l'improvvisa consapevolezza di questi vuoti provocherebbe a sua volta ansia. Anche se all'inizio della vita la dissociazione è soltanto uno spazio vuoto nello sviluppo dell'esperienza, con il passare del tempo essa diviene un elemento costitutivo del sé.
In altri passi della sua opera Sullivan sottolinea il legame della dissociazione con la psicopatologia:

In generale possiamo dire che un sano sviluppo della personalità è inversamente proporzionale alla quantità delle tendenze che si sono venute a trovare in dissociazione. E in altre parole: se nulla è dissociato, allora l'individuo, sia egli un genio o un imbecille, sarà certo sano di mente. [...] Ma se invece una persona, anche di grande talento, è costretta dall'esperienza, e cioè dalle persone importanti che influiscono su di lui nelle varie fasi del suo sviluppo, a dissociare dalla coscienza un numero considerevole di sistemi motivazionali potenti e duraturi, allora quella persona sarà molto esposta alla malattia mentale. Sarà inevitabilmente disadattata in alcune situazioni della sua vita, perché nella sua attività complessiva c'è una divisione fra gli atti di cui è consapevole e gli atti che compie senza saperlo" (1940, pp. 53-54).

Come per Ferenczi, anche per Sullivan la dissociazione lavora grazie ad uno stato di allerta continuo della coscienza. Le motivazioni dissociate divengono parte del non-me (Sullivan 1953), non possono cioè assolutamente essere vissute come proprie. La dissociazione spinge, secondo Sullivan, all'enorme fatica di essere costantemente vigili ma, più che verso una forza interna, nei confronti del significato delle relazioni vissute dall'individuo, che gli fornirebbero un accesso diretto e possibili elaborazioni associative con il materiale dissociato.

Frankel afferma che per Ferenczi

la dissociazione è qualcosa di più che separare in compartimenti stagni aree diverse dell'esperienza in maniera relativamente permanente: è un processo continuo di anticipazione e di evitamento di ciò che ci si attende come pericoloso nel "mondo reale" e che con tutta probabilità si realizza se, nella situazione presente, certi pensieri e sentimenti vengono vissuti e, di conseguenza, inevitabilmente espressi (Frankel 2001, pp. 203-204).

Il precoce interesse di Fairbairn per la dissociazione

Risulta estremamente interessante notare che Fairbairn discute nel 1929 la sua tesi di Laurea in Medicina (Fairbairn 1929) con una dissertazione che contiene un capitolo, il primo, intitolato Dissociation and Repression. Fairbairn affronta già qui i temi che costituiranno poi il nucleo del suo pensiero clinico(16).
Scrive Fairbairn:

La Dissociazione viene definita come: un processo mentale attivo attraverso il quale dei contenuti mentali inaccettabili o una funzione mentale inaccettabile vengono isolati dalla consapevolezza della persona senza per questo motivo cessare di essere mentali - essendo "inaccettabile" un tale contenuto mentale o una tale funzione mentale all'interno del significato di questa definizione in quanto irrilevante, incompatibile o spiacevole in relazione ad un interesse attivo. La Repressione è definita solo come: un processo mentale attivo attraverso il quale certi elementi mentali, la cui comparsa nel mondo cosciente causerebbe spiacevolezza, vengono esclusi dalla coscienza della persona senza per questo motivo cessare di essere mentali. È perciò ovvio che la repressione è in sostanza la dissociazione dello spiacevole. (1929, p. 69).

In questo primo scritto Fairbairn considera dunque la dissociazione come l'operazione psichica più primitiva, sottolineando la funzione primaria che essa svolge per la psiche. Il suo interesse per la dissociazione anticipa quindi quello per la scissione e per l'universalità del meccanismo schizoide in tutte le fasi di sviluppo della personalità.
Fairbairn ritiene che la repressione sia possibile solo quando la coscienza può riconoscere le incompatibilità fra diversi contenuti psichici; cioè solo quando si raggiunge un livello di integrazione dove è possibile connettere le idee fra di loro e formare concetti e sia possibile per l'individuo accedere all'autoconsapevolezza e vedere l'esistenza di diverse tendenze all'interno del sé e riconoscere l'incompatibilità tra queste stesse tendenze conflittuali. In questo modo di procedere il contributo di Fairbairn appare molto simile a quelli contemporanei di Bromberg (1998) e Davies (1996a, 1996b, 1998; cfr. Boschiroli in questo volume).
Un decennio dopo, nell'elaborazione matura della sua teoria, Fairbairn (1941, 1943a, 1943b, 1944, 1946, 1949) giunge a considerare le scissioni del sé come un processo fondamentale della natura e della struttura della psiche. Soprattutto nello scritto Osservazioni sulla natura degli stati isterici, del 1954, Fairbairn torna direttamente a sottolineare le molteplici implicazioni della dissociazione.
Anche secondo Rubens (1996), contrariamente a quanto sostengono Scharff e Birtles (i curatori del volume dedicato a Fairbairn nel 1995), egli non confina il processo della dissociazione in alcune sindromi e fenomeni ipnagocici e di personalità multipla. Fairbairn (1944) ritiene che le scissioni dell'Io (dissociazioni, per come oggi intendiamo il concetto) siano strutturali nella mente umana e afferma che tutti gli individui, in questo senso, sono alle prese con il dilemma schizoide.
La breve panoramica che abbiamo offerto sui contributi di Ferenczi, di Sullivan e di Fairbarn ci mostra come il loro pensiero sulla dissociazione sia di grande interesse nell'attuale dibattito psicoanalitico e psicopatologico, e si riveli seminale rispetto alla ricerca della fondazione di un paradigma relazionale della mente e del processo terapeutico.

Note sul concetto di dissociazione nella psicoanalisi relazionale contemporanea

Riprendiamo ora alcune delle considerazioni iniziali di questo contributo. Ferenczi, Fairbairn e Sullivan hanno gettato le basi per la comprensione relazionale contemporanea del fenomeno della dissociazione, nella quale si inserisce il pensiero di D.B. Stern, di J.M. Davies, P. Goldberg e soprattutto P. Bromberg.
Nel libro Unformulated Experience Donnel B. Stern ipotizza che la coscienza sia un fenomeno attivo e fa propria la visione costruttivista della percezione: l'esperienza viene costruita dall'individuo attraverso progressivi livelli di differenziazione e elaborazione. In quest'ottica la dissociazione risulta essere un blocco preventivo della costruzione di significati, una prevenzione dell'elaborazione e dell'interpretazione nella consapevolezza riflessiva, piuttosto che l'esclusione difensiva dalla consapevolezza di significati già acquisiti. Le esperienze non formulate, per ragioni difensive, e ciò che Stern definisce come 'caos familiare' sono il modo in cui l'inconscio dinamico appare in un modello costruttivista basato sulla dissociazione. Le esperienze non formulate rappresentano il materiale che non è mai entrato nella coscienza e non il materiale che è stato espulso da essa. Il caos familiare è per la dissociazione ciò che il contenuto conflittuale è per la rimozione. La dissociazione, in questa cornice di riferimento, rappresenta un'incapacità di riflettere sull'esperienza, non un evitamento inconscio di farlo. Si tratta di sopravvivenza e necessità: non sono implicati elementi di scelta inconscia. Stern vuole sottolineare l'aspetto deficitario più che quello conflittuale.
Stern definisce quindi la dissociazione nel seguente modo:

"La dissociazione è l'evitamento di certe formulazioni dell'esperienza presente. È parte dell'attività con la quale organizziamo l'esperienza; è parte della nostra disponibilità a costruire l'esperienza in modo particolarmente stabile. Come i processi che chiamiamo "contenuti mentali" o "rappresentazioni", la dissociazione è un canale o una corrente lungo la quale alcuni significati possono fluire e altri no. Dissociare è semplicemente restringere le interpretazioni che una persona fa dell'esperienza. O forse meglio, dato che l'interpretazione è difficile da separare dall'esperienza stessa, la dissociazione è una restrizione dell'esperienza che permettiamo a noi stessi di avere. Anche la memoria è un'esperienza nel presente; perciò una memoria dissociata è una memoria a cui noi permettiamo di essere costruita solo in un certo modo - e specialmente non in altri" (idem, p. 88, trad. nostra).

Per Stern il contrario di dissociazione non è semplicemente la cognizione dell'esperienza in corso, ma la libertà di immaginazione, intesa come articolazione vivida, carica di sensazioni emotive, simboliche e metaforiche(17).
Stern distingue due tipi di dissociazione: forte (o attiva) e debole (o passiva). La prima rappresenta un processo difensivo attivo che soffoca l'immaginazione, la seconda concerne l'impossibilità di prestare attenzione in modo da non notare significati alternativi. I processi dissociativi possono offrire combinazioni di forme forti e forme deboli. La formulazione di un significato che è già strutturato è prevenuta difensivamente e quindi la possibilità di formulare altri significati semplicemente non viene alla luce. In altre parole, una versione degli eventi non deve essere raccontata e, di conseguenza, altre versioni non possono essere raccontati perché sfuggono completamente all'attenzione. Il materiale dissociato, in entrambi i modi, rimane non formulato.
Lo sviluppo della dissociazione è una funzione del campo interpersonale all'interno del quale l'individuo si trova.
La Davies (1996a,b; 1998) sottolinea che il concetto di inconscio strutturato dal trauma e dalla dissociazione, piuttosto che dal conflitto e dalla rimozione, spinge a concepirlo come organizzato in modo fluido su molteplici configurazioni relazionali e ridefinito contestualmente alle interazioni in corso. Le strutture psichiche devono essere intese in termini di processi associativi e dissociativi in continua interazione reciproca. L' "inconscio relazionale" si articola lungo un continuum di integrazione e frammentazione nel quale il processo difensivo operante è la dissociazione (e non la rimozione). Il sistema di rappresentazioni mentali dissociate possono essere omogeneizzate, generalizzate, modulate affettivamente e, in ultimo, decodificate linguisticamente e nei sottosistemi di memoria andranno a formare la "colla" essenziale dell'integrità psichica - il senso conscio di identità e continuità nel tempo, l'esperienza di possedere un carattere, un'organizzazione interna, intenzionalità. L' "inconscio relazionale" sarà composto di esperienze del sé mutuamente incompatibili in relazione ad aspetti inconciliabili dell'altro che non possono essere mantenuti simultaneamente nella consapevolezza, aspetti dell'esperienza del sé troppo stimolanti emozionalmente e disorganizzanti cognitivamente per essere codificate linguisticamente. Tuttavia, un sistema di questo tipo non esclude difese di tipo repressivo (come la rimozione): ma anche le difese repressive operano nel contesto di una particolare diade interiorizzata sé-oggetto, evocate dalle interazioni interpersonali in corso. Che caratterizza la dissociazione è l'offuscamento delle contraddizioni interne e la scotomizzazione della percezione degli eventi interpersonali, scelte inconsce che sono preferibili ad un'esperienza profonda e intollerabile di confusione, ambiguità ed incertezza.
Davies afferma che la dissociazione è un meccanismo difensivo che protegge il mondo interno dal ricordo di memorie traumatiche relative ad abusi subiti durante l'infanzia e dalle fantasie regressive innescate da esse. Nella mente di persone che hanno subito abusi infantili è come se ci fossero più organizzazioni interne di significato che non entrano in contatto fra loro a causa della dissociazione. Una di queste organizzazioni viene chiamata "adulto" e media la ricerca del contatto con gli altri, il tentativo di dimenticare il passato; un'altra organizzazione è il "bambino" che lotta per ricordare e gridare al mondo il torto che ha subito. Queste organizzazione si basano su funzioni differenti: il "bambino" possiede un sistema di difesa più primitivo e fragile, ricordi emotivamente più intensi ed è custode della rabbia, della vergogna e del senso di colpa. Inoltre, anche a livello comportamentale, mostra abbigliamento, posture e tono di voce diversi dall' "adulto". L'organizzazione "bambino" racchiude una molteplicità di sfumature: tra queste si trovano solitamente il bambino buono e perfetto, il bambino impertinente ed onnipotente, e, infine, il bambino terrorizzato e abusato. L' "adulto" e il "bambino" sono parzialmente consapevoli della propria reciproca esistenza: il segreto incestuoso del Bambino e la rabbia per quello che l'Adulto spesso ignora.
Peter Goldberg (1995) offre un interessante contributo alla comprensione del funzionamento del diniego e della dissociazione. Egli ritiene che il processo dissociativo consista in un ritiro della mente dall'apparato sensoriale in modo da consentire all'individuo di affrontare adattivamente le minacce all'esistenza del proprio sé. Egli afferma:

"Inizialmente ci sono alcune minacce all'esistenza del sé che sembrano provenire dall' "esterno": impingment, sovrastimolazioni, traumi o minacce dall'esterno sono la condizione definitiva, il sine qua non della dissociazione. Ma tutte queste minacce sono registrate dai sensi e perciò è proprio qui che l'azione specifica della dissociazione ha luogo - tra la mente e i sensi. Così il primo e definitivo movimento nel processo dissociativo è il ritiro difensivo della mente dal sistema sensorio. Il pericolo proveniente dall'esterno ora è stato placato, o almeno distanziato e quindi portato sotto un certo grado di controllo" (Goldberg, 1995, p. 496, trad. nostra).

La dissociazione è il processo che permette di ritrarsi dal contatto affettivo con il mondo interpersonale quando il senso soggettivo di minaccia è troppo intenso. A differenza del ritiro psicotico, che si struttura attraverso una sorta di ricostruzione profonda del mondo sostanziata da processi mentali primitivi, la dissociazione comporta un ritiro dai sensi. Infatti, i "sintomi" della dissociazione (fuga, amnesia, le esperienze di essere al di fuori del corpo, autoipnosi, distorsioni percettive, senso di morte affettiva, cambio di identità, depersonalizzazione, derealizzazione) riflettono tutti le ripercussioni sui sensi, della realtà somatica. Alcune combinazioni di questi "sintomi" possono essere trovati in un gran numero di disturbi come isteria, personalità borderline, perversioni e disturbo di personalità multipla.
I sintomi dissociativi gravi sono evidenti dove questa organizzazione difensiva fallisce nel provvedere ad una pseudo-integrazione(18).
Tra i più importanti autori che si sono occupati in modo sistematico del tema della dissociazione spicca Bromberg (1998). Egli presenta una teoria clinica che fa del concetto di dissociazione il pilastro portante. Come abbiamo osservato, nella sua ipotesi la mente all'origine non è unitaria ma nasce come una molteplicità di stati discontinui e discreti. Nel funzionamento sano della psiche vi è una dialettica continua tra separatezza e unità di questi stati, che permette ad ogni versione di sé di funzionare in maniera ottimale senza precludere comunicazione e negoziazione tra di essi. L'individuo non è consapevole dell'esistenza di stati multipli e separati del sé, in quanto, come già intuito da Sullivan, ciascuno di essi funziona come parte di una sana illusione di identità personale, uno stato esperienziale e cognitivo sovrastante, esperito come "me". Bromberg afferma:

"La dissociazione, come la repressione, è una funzione salutare e adattativa della mente umana. È il processo di base che permette agli stati individuali del sé di funzionare in modo ottimale (non semplicemente in modo difensivo) quando una completa immersione in una singola realtà, un singolo affetto forte e una sospensione della capacità autoriflessiva di una persona sono esattamente ciò che è richiesto o desiderato" (Bromberg, 1996, pp. 514-515, trad. nostra).

La dissociazione è un mezzo attraverso il quale un essere umano mantiene la continuità personale, la coerenza e l'integrità del senso del sé.
È solo quando questa illusione di continuità diviene troppo pericolosa per essere mantenuta, nel momento in cui emozioni e percezioni tra di loro incompatibili richiedono di essere elaborate all'interno di una stessa relazione e questo processo va oltre le capacità dell'individuo di contenerle in un'esperienza unitaria, allora ad una di esse viene negato l'accesso alla coscienza. L'esperienza che ha generato l'emozione o la percezione incompatibile viene dissociata e rimane semplicemente presente come dato crudo, che non può essere elaborato cognitivamente all'interno della rappresentazione di sé con l'altro, essa non può essere processata simbolicamente e affrontata come uno stato di conflitto.
In accordo con le idee di Goldberg, Bromberg pensa che "La dissociazione patologica è l'indebolimento difensivo della capacità riflessiva causata dal distacco della mente dal sé - da ciò che Winnicott (1949) chiamava 'psiche-soma' " (idem, p. 519, trad. nostra).
La dissociazione, in questo modo, protegge l'individuo dalla frammentazione e reintegra un senso di coesione staccando gli stati incompatibili del sé e permettendo loro di accedere alla coscienza solo come esperienze mentali discontinue e non narrate consapevolmente.
Nella concezione di Bromberg le esperienze dissociate non vengono comunicate a parole, ma possono essere osservate nei patterns di comportamento delle relazioni interpersonali. Egli suggerisce che la relazione tra analista e paziente funzioni da "matrice terapeutica" senza la quale il sé non potrebbe emergere. L'analista deve essere attento perciò a cogliere gli stati dissociati del sé che compaiono nella seduta sotto forma di enactment cercando di vedere oltre le parole del paziente la voce dissociata che cerca di farsi sentire. In questo spazio relazionale si realizzano due narrazioni: una viene raccontata, mentre l'altra, discrepante rispetto alla prima, viene drammatizzata tramite l'enacment. È a questo punto che la parte dissociata può cominciare ad essere elaborata sempre all'interno dello spazio relazionale.

In questo breve excursus abbiamo visto come, in importanti autori dell'orientamento psicoanalitico, i processi dissociativi vengano considerati intrinseci all'organizzarsi dei significati dell'esperienza personale, e la mente non venga concepita come una struttura primariamente unitaria ma come una molteplicità di stati che, nel corso dello sviluppo, vengono integrati permettendo il sentimento di coesione interna. La dissociazione diviene patologica quando il contesto interpersonale nel quale l'individuo si sviluppa non riconosce e non convalida le esperienze fondanti la sua soggettività, impedendone l'articolazione e lo sviluppo.

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Note:

1 Come afferma Goldberg, "non ci possono essere dubbi che la dissociazione è indispensabile in un'ampia gamma di attività "normali", come ad esempio nel lavoro e nella preservazione quotidiana del sé. Se la sopravvivenza psichica di fronte ad eventi e circostanze traumatiche dipende dalla capacità psicologica di dissociare, dobbiamo presumere che questa capacità sia una capacità arcaica della psicologia umana e che certi rituali in società tradizionali - inclusi l'induzione del trance, lo sfregio del corpo e rituali che provocano sofferenza - possono essere visti come contributo alla istituzionalizzazione della dissociazione. Nelle moderne società industrializzate il tipo di lavoro "produttivo" che ci si aspetta dai cittadini spesso richiede di essere sostenuto dall'uso della dissociazione. Anche l'attività creativa sembra implicare un certo uso della dissociazione, come fanno molte forme di svago e di divertimento" (1995, pp. 500-501, trad. nostra). Goldberg procede oltre nella sua argomentazione, ipotizzando una relazione tra la dissociazione e le ideologie dominanti nelle società occidentali che ne presuppongono l'esistenza come forma di organizzazione psichica sulla quale strutturare l'imposizione della programmazione forzosa dell'esistenza individuale, le rigidità delle diete e degli esercizi nell'industria del benessere, la ritualizzazione della creatività, la codificazione tecnologica del lavoro, delle comunicazioni, delle relazioni sociali.

2 In psicopatologia s'indicano con Disturbi dissociativi quegli stati alterati delle funzioni integrative riguardanti il senso dell'identità, la memoria, la percezione e la coscienza (American Psychiatric Association 1994; Monaco, Torta 2002). Nel DSM-IV sono inclusi in questa classe di disturbi: l'Amnesia Dissociativa, la Fuga Dissociativa, il Disturbo Dissociativo dell'Identità, il Disturbo di Depersonalizzazione, il Disturbo Dissociativo Non Altrimenti Specificato.

3 La ricerca neonatologica attuale (Albasi 2003) descrive il sorgere della mente all'interno della relazione madre-neonato. La mente non nasce né si sviluppa a partire da spinte interne biologicamente determinate che solo accidentalmente si incontrano con le persone che accolgono il neonato (come previsto dalla metapsicologia pulsionale freudiana), ma bensì prende vita da una matrice che è relazionale fin dall'inizio, che implica fin da subito le figure di attaccamento, i caregiver. La madre e il bambino formano un sistema diadico che interviene nella regolazione dei reciproci stati interni: gli autori ci parlano di autoregolazione e di regolazione reciproca proprio per indicare il forte legame che esiste fin dall'inizio nella coppia madre-bambino. La ricerca neonatologica ci illustra quindi come la nostra mente, al suo livello primario di funzionamento, elabora informazioni che concernono la propria regolazione o la regolazione del rapporto con l'altro, creando la discontinuità strutturale che caratterizza il funzionamento mentale adulto (impegnato continuamente nell'attività di integrazione tra il Sé e la relazione come origine di significati). La vita mentale del bambino viene descritta come un susseguirsi di stati discontinui. Ogni stato (come il sonno, la veglia, i diversi stati di attivazione, di bisogno o quelli di appagamento di un bisogno) ha una rapporto di soluzione della continuità con il successivo. La discontinuità dell'esperienza del bambino viene organizzata lungo lo sviluppo ma costituisce una caratteristica di fondo della mente. Grazie a questa caratteristica possono prendere forma i processi dissociativi che aiuteranno il bambino sia ad escludere dalla sua coscienza le esperienze traumatiche, sia ad articolare in modo complesso i significati della sua esperienza di sé e delle sue relazioni.

4 La psicoanalisi relazionale statunitense nasce prevalentemente come sviluppo ed elaborazione delle tradizioni della psicoanalisi interpersonale statunitense e del pensiero indipendente britannico (Mitchell 1988), e queste due tradizioni sono legate direttamente a Ferenczi.

5 Janet parla dei sintomi isterici come correlati "all'esistenza di frammenti scissi della personalità (idee fisse subconsce), dotate di vita e sviluppo autonomi" (Ellenberger 1970, p. 421), e di aspetti divisi della personalità che si sviluppano come centri autonomi di coscienza e attività. Per Janet si parla di trauma psichico quando eventi carichi affettivamente non possono essere assimilati agli schemi preesistenti e quindi vanno a formare le idee fisse subconsce.

6 Jones (cit. in Antonelli 1997, p. 25) sostiene che Studi sull'isteria è il testo prediletto da Ferenczi tra quelli di Freud (la chiusa degli Studien sulla "miseria isterica e la sofferenza comune" è spesso citata negli scritti di Ferenczi). Secondo Lorin è a partire dalla pubblicazione degli Studien (nel 1896) che inizia ad esercitarsi su Ferenczi l'influenza della psicoanalisi. E ancora nel 1932 Ferenczi stesso scriverà nel Diario clinico il 15 marzo (1932b, p. 119): "Il modello che più seguo in questo processo è per lo più quello del dottor Breuer, che non ha rinunciato a cercare e trovare la verità presente nelle dichiarazioni più insensate di un'isterica".

7 Ferenczi introduce il concetto di scissione (utilizzandolo nel senso della dissociazione per come lo intendiamo in questo libro) nella relazione che presenta nell'agosto del 1929 ad Oxford e che poi viene pubblicata con il titolo di Principio di distensione e neocatarsi nel 1931. Con grande acutezza clinica suggerisce implicitamente che l'amnesia non è sempre frutto di rimozione e repressione ma può anche essere determinata dalla dissociazione (1931, p. 61).

8 Dice Ferenczi (1932a, p.96): "i bambini si sentono indifesi fisicamente e moralmente, la loro personalità è ancora troppo debole per poter protestare, sia pure solo mentalmente; la forza prepotente e l'autorità degli adulti li ammutolisce, spesso toglie a loro la facoltà di pensare. Ma questa stessa paura, quando raggiunge il culmine, li costringe automaticamente a sottomettersi alla volontà dell'aggressore, a indovinarne tutti i desideri, a obbedirgli ciecamente, a identificarsi completamente con lui. Con l'identificazione, o meglio con l'introiezione dell'aggressore, quest'ultimo scompare come realtà esterna e diventa intrapsichico; ma tutto ciò che è intrapsichico soggiace, in uno stato simile al sogno come è appunto la trance traumatica, al processo primario, vale a dire ciò che è intrapsichico può essere, in base al principio del piacere, plasmato e trasformato in modo allucinatorio, positivo o negativo. In ogni caso, l'aggressione cessa di esistere come rigida realtà esterna e, nella trance traumatica, il bambino riesce a mantenere in vita la precedente situazione di tenerezza. Ma il mutamento più significativo, provocato nella psiche del bambino dall'identificazione per paura con il partner adulto, è l'introiezione del senso di colpa dell'adulto, che fa apparire come un'azione colpevole un gioco ritenuto fino a quel momento innocente.
Se il bambino si riprende dopo una simile aggressione, si sente enormemente confuso, o meglio egli è già scisso, al tempo stesso innocente e colpevole, ha perso fiducia in ciò che dicono i suoi sensi". Abbiamo riportato per esteso questa lunga citazione di Ferenczi in quanto pensiamo (Seganti, Albasi 2002; Albasi 2001a, b, 2003; Sechi 1995) che sia una descrizione di una finezza e profondità mirabile e, come dire, quasi definitiva della relazione traumatica; intendiamo, come Borgogno, (1999), la relazione traumatica in senso ampio, e non solo la violenza sessuale, fino ad includervi la carenza di possibilità e strumenti offerti dall'ambiente alla mente in via di sviluppo (una violazione per difetto oltre che per eccesso).

9 A questo proposito, Mitchell (1988) sottolinea l'importanza di ragionare evolutivamente considerando l'impatto traumatico che possono avere le relazioni con i genitori lungo tutto l'arco evolutivo proprio a causa della rigidità e della ripetitività coartante e costrittiva delle loro patologie caratteriali.

10 Ferenczi fa questo esempio (1932a, p. 99): "una madre che si lamenta continuamente delle proprie sofferenze può trasformare la figlia in un'infermiera, vale a dire in un autentico sostituto della madre, senza tenere in alcun conto i veri interessi della figlia".

11 Si cfr. anche questo passo tratto dal Diario clinico: "Questo tipo di spiegazione implica tuttavia la possibilità che nei momenti di estremo pericolo l'intelligenza si stacchi dall'io e che forse anche tutti gli affetti fino allora al servizio della conservazione della propria persona (paura, angoscia ecc.), in vista dell'inutilità degli affetti in generale, siano bloccati e trasformati in un'intelligenza anaffettiva con una sfera d'azione molto più vasta. Nasce, per così dire, in noi, nell'estremo bisogno, un angelo custode che utilizza le nostre forze fisiche in modo migliore di quanto siamo in grado di fare noi nella vita ordinaria" (Ferenczi 1932b, p. 178).

12 "Viene fatto di pensare ai frutti beccati dagli uccelli, che maturano più rapidamente o diventano più dolci e così pure al precoce maturare dei frutti bacati. In seguito ad uno shock, una persona può maturare improvvisamente in una sua parte e non solo a livello emozionale ma anche intellettuale" (Ferenczi 1932a, p. 98).

13 Come dice Ferenczi nel Diario il 21 febbraio (1932b, p. 95) il trauma viene colto dal di fuori, senza il sentimento della convinzione; cioè senza il senso che sia qualcosa che riguarda se stessi, come un osservatore esterno, dissociato dal senso di soggettività personale. Viene smarrita la capacità di comprendere il significato relazionale di quel che succede nella propria vita affettiva, di riflettere sulla propria esperienza, con una compromissione di ciò che Fonagy e Target (2001) intendono con reflective function.

14 Cfr. Anche: "Dell'espressione di tutte le caratteristiche esistenti nella personalità, che non siano quelle che furono approvate o disapprovate dai genitori e da altre persone importanti, l'io, per così dire, rifiuta la consapevolezza, non ammette che vi sia coscienza e non le nota; così questi impulsi, desideri e bisogni vengono fuori senza associazione con l'io, cioè dissociati. Quando cioè vengono espressi, la loro espressione non viene notata dalla persona. La consapevolezza che abbiamo dei nostri atti e di quelli degli altri è limitata in modo permanente solo ad una parte di tutto ciò che accade, e la struttura ed il carattere di tale parte sono determinati dalla prima educazione ricevuta; i suoi limiti vengono mantenuti, un anno dopo l'altro, dall'angoscia che proviamo ogni qual volta tentiamo di passare il confine" (Sullivan 1953, p. 29).

15 Sullivan pensa che l'ansia intensa che si genera nella figura di attaccamento (anche in seguito al contatto con aspetti non tollerabili del bambino) provochi (attraverso il legame empatico) nel bambino potenti amnesie (retrogade e anterograde): queste esperienze del bambino non vengono considerate, né dal genitore né dal bambino, come aspetti del bambino, come parti del suo Sé; diventano invece quelle che Sullivan chiama esperienze non-me, stati di dissociazione.

16 Fa notare Rubens (1996) che, nonostante Fairbarn dimostra negli anni "40 di essere influenzato dagli scritti degli anni "30 di Melanie Klein, già nei suoi primi lavori possiamo osservare gli aspetti cruciali del suo pensiero successivo.

17 Scrive Stern: "Non è necessariamente vero quindi che una memoria dissociata non può essere ricordata. Potrebbe benissimo essere possibile ri-catturare le circostanze di eventi rilevanti, ma la sequenza sarebbe soltanto un fatto; non avrebbe un posto nella nostra esperienza. Chiarificare non è semplicemente portare un evento nella coscienza riflessiva, ma creargli ciò che Donald Spence chiamava molto appropriatamente una "casa narrativa". Quindi l'opposto della dissociazione non è l'articolazione dell'esperienza, almeno non nel senso in cui articolazione significa creazione di mera chiarezza, come nell'idea di Sullivan di validazione consensuale. L'opposto di dissociazione è il particolare tipo di articolazione vivida e piena di sensazioni che noi descriviamo come immaginazione" (1997, p. 94, trad. nostra).

18 La dissociazione impone un regime sofisticato di autocontrollo coercitivo, un costante autoesame e un attento monitoraggio degli stati di arousal fisici ed emotivi, per mezzo dei quali viene minimizzato il rischio di fare esperienze di alienazione o di depersonalizzazione. La dissociazione stabile viene mantenuta al meglio in regimi compulsivi nei quali lo sfruttamento degli istinti e del sensorio viene realizzato regolarmente. Il consumo giornaliero di cibo e di certi stimolanti come caffè ed alcool e l'uso di immagini visive e uditive come stimolanti somatici (entrambi provenienti da fonti esterne, quali musica e televisione e dalle immagini della fantasia interna) forniscono un livello omeostatico costante di attivazioni e di controllo sensoriale. È solo quando questo regime si rilassa che subentra la sofferenza sintomatica o sotto forma di torpore, depersonalizzazione, depressione vuota, amnesia, o sotto forma di perdita del controllo dei pensieri o degli impulsi - assalto emotivo, attacchi di panico, pensieri intrusivi, flashback, distorsioni percettive.

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