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S.P.R.-It
Society for Psychotherapy Research
Sezione Italiana

RICERCA
in
PSICOTERAPIA


         
Volume 1
Numero 3, Settembre-Dicembre 1998

EDITORIALE
UNA NUOVA CULTURA PER LA RICERCA PSICOTERAPEUTICA?

M. Ammaniti



In un Editoriale del "The International Journal of Psycho-Analysis" curato da Robert Emde e Peter Fonagy dal titolo "An emerging Culture for Psychoanalytic Research?"1 viene sottolineato il carattere dell'impegno psicoanalitico, e aggiungerei psicoterapico, che è così intenso da ostacolare la ricerca che richiede "tempo, assistenza e opportunità per rispondere agli interrogativi e, contestualmente, i ricercatori hanno bisogno di un consistente supporto economico". Indubbiamente l'ambito della psicoterapia ha caratteristiche così specifiche da rendere difficile l'assunzione di un’ottica di ricerca. In primo luogo è un impegno fortemente individuale, che implica un coinvolgimento emotivo e un assorbimento nel mondo del paziente, da cui si riesce a riemergere solo in alcuni momenti quando il terapeuta, in seduta o al di fuori, si interroga sull'andamento del lavoro terapeutico, sul suo percorso e sugli obiettivi. Il carattere di questa riflessione, pur rappresentando un metalivello rispetto alle interazioni e agli scambi che avvengono in seduta, ha inevitabilmente un carattere fortemente personale in cui la personalità e i vissuti del terapeuta giocano un ruolo decisivo come si può facilmente riscontrare nelle presentazioni cliniche e nelle stesse discussioni fra colleghi. Oltre alla particolare ottica del lavoro psicoterapeutico lo stesso training nelle Scuole di Formazione privilegia in modo esclusivo la riflessione e la supervisione cllnica, ossia il lavoro con i pazienti, limitando, se non addirittura scoraggiando, le aperture alle conoscenze scientifiche che vengono, per esempio, dal campo della neurobiologia, della teoria dell'attaccamento, della psicologia e dello psicopatologia dello sviluppo. Non parliamo poi di metodologia della ricerca e dell'indagine sui processi e sui fattori curativi e sugli outcome degli interventi psicoterapici. Inevitabilmente vengono privilegiati meccanismi e dinamiche affìliative, come ha messo in luce Otto Kernberg,2 l'attuale Presidente dell'International PsychoAnalytical Association, rispetto al proprio psicoanalista, alla propria Associazione e al proprio orientamento teorico, per cui l'identità dello psicoterapeuta si basa sul senso di appartenenza e sulle continue conferme che gli provengono dai colleghi e dal lavoro clinico. Si instaurano delle dinamiche identifìcatorie consapevoli e inconsapevoli che se da una parte contribuiscono a rinsaldare le convinzioni e il senso di efficacia terapeutica, dall'altra creano insofferenza verso gli interrogativi e i dubbi che sono parte integrante della ricerca scientifica. In ogni caso di fronte a possibili interrogativi sulla scientificità degli interventi psicoterapici vi sono varie vie di uscita, spesso non convincenti, ma sicuramente tali da tranquillizzare lo psicoterapeuta. La più semplice e tutto sommato più ingenua è quella di affermare che l'esperienza clinica dello psicoterapeuta ampiamente dimostra che i pazienti migliorano, a conferma del detto popolare "non chiedere all'oste se il vino è buono". Più elaborata e per certi versi più solida è l'affermazione che la ricerca scientifica attuale e soprattutto l'epistemologia hanno dimostrato 1' "ipercomplessità"3 dei processi che si vogliono studiare, ancora di più quando si esplora la mente umana.
Tuttavia anche questa risposta alla fine risulta difensiva, nonostante l'ostentata sicurezza con cui si afferma che il metodo psicoterapico è scientifico in quanto da sempre ha enfatizzato il ruolo osservativo dello psicoterapeuta, mettendo in luce le dinamiche relazionale che avvengono nel setting terapeutico. Ancora di più l'ottica costruttivistica radicale che enfatizza l'impossibilità di teorizzare quello che succede nel contesto terapeutico, in quanto si crea un incontro irripetibile, frutto di troppi fattori che non possono essere adeguatamente riconosciuti. Tra i fattori che ostacolano l'approccio scientifico alla psicoterapia da non sottovalutare è la pratica professionale dello psicoterapeuta, che lo condanna a lavorare da solo, anche quando condivide lo studio con altri colleghi. Lo sforzo di tenere vivo lo scambio e in qualche caso l'elaborazione comune si scontra contro ostacoli spesso insormontabili, primo fra tutti un certo volontarismo che caratterizza queste iniziative. Incontri serali o nei ritagli di tempo, difficoltà a mettere tutti d'accordo sono il sintomo più evidente di queste difficoltà, come si riscontra molto spesso nelle riunioni scientifiche di molte Associazioni Psicoterapiche. Rispetto allo status professionale degli psicoterapeuti vi è in Italia un'organizzazione sanitaria che non richiede ne verifiche, ne aggiornamenti di chi opera in questo ambito. Infatti chi lavora nei Servizi Pubblici al massimo è costretto a effettuare periodiche verifiche burocratiche, che si limitano a definire il numero dei pazienti e degli interventi che effettuati, senza entrare in merito all'efficacia degli interventi in merito alle varie forme di psicopatologia. Ugualmente chi opera a livello privato non deve rispondere a nessuno se non al paziente, dal momento che non vi sono le Assicurazioni che coprono le spese psicoterapiche, se non in situazioni marginali. Non essendoci nessuna pressione ne da parte delle Autorità Pubbliche, ne da parte del mercato le psicoterapie proliferano lasciando il paziente solo di fronte alla molteplicità delle offerte. Al termine di questa disamina necessariamente breve e impietosa vale la pena di riproporre l'interrogativo iniziale: sta emergendo una nuova cultura per la ricerca psicoterapica ? Mi sembra che dei segni per una inversione di tendenza si comincino a intravedere, probabilmente sollecitati da cambiamenti del contesto sociale e culturale ma anche dai nuovi sviluppi scientifici. In primo luogo i progressi delle neuroscienze e soprattutto della psicofarmacologia cominciano a erodere il mercato delle psicoterapie e un numero crescente di pazienti si rivolge al medico di base e allo psichiatra per richiedere psicofarmaci, valgano per tutti i tarmaci antidepressivi. Il mercato delle psicoterapie è diventato molto più fluido e non vi è più l'egemonia culturale della psicoanalisi, che oggi spesso viene guardata con sospetto per la sua rigidità, per la sua durata e per l'intensità del trattamento e per certi versi per la relativa inefficacia in alcune situazioni cliniche, come nelle depressioni o nelle sindromi borderline. Nuove forme di trattamento dimostrano spesso una discreta efficacia, come le terapie cognitive oppure le psicoterapie focali, i cui risultati sono spesso documentati da indagini scientifiche. Le stesse persone che si rivolgono agli psicoterapeuti si pongono maggiori interrogativi rispetto all'utilità, alla durata e agli obiettivi del trattamento e per altri versi le stesse sollecitazioni che vengono dal mondo sanitario sul consenso informato obbligano gli stessi terapeuti a fornire maggiori informazioni sull'efficacia dei trattamenti. E tutto questo apre nuove possibilità di confronto fra interventi psicoterapeutici con orientamenti teorici e metodologici diversi e gli stessi trattamenti psicofarmacologici, come è stato ben documentato nel libro recentemente pubblicato in Italia "Psicoterapie e prove di efficacia" di Roth e Fonagy, commissionato dal National Health Service del Ministero della Sanità Inglese. Probabilmente le sollecitazioni che vengono dal contesto sociale e scientifico al di fuori del mondo degli psicoterapeuti sono più pressanti del travaglio che è iniziato all'interno delle Associazioni degli psicoterapeuti, che troppo spesso assumono posizioni difensive per paura di rimettere in discussione i presupposti teorici e le linee metodologiche dei propri interventi. Nonostante queste difficoltà e queste resistenze comincia a prendere corpo anche nel nostro paese un dibattito sulla ricerca in psicoterapia sia all'interno di alcuni gruppi universitari sia in alcune Associazioni, come d'altra parte viene testimoniato dalla nascita di questa Rivista.

1) Robert N. Emde and Peter Fonagy "An emerging culture for psychoanalytic research?" The International Journal of Psycho-Analysis 78, 643-651, 1997.
2) Otto F. Kernberg "Institutional problems of psychoanalytic education" Journal of the American Psychoanalytical Association 34, 799-834, 1986.
3) Andre Green "What kind of research for psychoanalysis" The Newsletter ofthe International Psychoanalyrical Association 5, 10-14, 1996.


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