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Anno III - N° 1 - Gennaio 2003

Lavori originali




Il trattamento degli adolescenti antisociali nei servizi della giustizia minorile*

Alfio Maggiolini



Presupposti nel lavoro psicologico con gli adolescenti antisociali

Il comportamento antisociale degli adolescenti pu essere inteso come l’espressione di una difficoltà evolutiva, che impedisce l’acquisizione di un’identità sociale (un compito di sviluppo fase specifico). Questa difficoltà, a livello psicologico, si manifesta in particolare come incapacità di assumersi la responsabilità del proprio comportamento.
Il concetto di responsabilità, da un punto di vista psicologico, non coincide con la capacità di intendere e volere. La responsabilità un atto soggettivo, che implica la capacit di assumersi un impegno all’interno di un legame sociale riconosciuto, di riconoscere le conseguenze del proprio comportamento indipendentemente dalle proprie intenzioni e di essere disponibile a riparare errori commessi. Questo concetto fa quindi riferimento a capacità di entrare in rapporto con l’altro all’interno di una relazione di ruolo, e non ad una particolare abilità cognitiva o al mantenimento dell’esame di realàt.
Gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della capacità di assumersi responsabilità possono essere, di caso in caso, costituiti da conflitti evolutivi, da una psicopatologia, individuale o familiare, ma anche da un disagio psicosociale o da una cultura deviante d’appartenenza. Di conseguenza, l’intervento psicologico con gli adolescenti antisociali dovrebbe essere soprattutto rivolto ad una valutazione delle problematiche evolutive dell’adolescente, che impediscono la sua capacità di assumersi responsabilità, e a fornire un sostegno a lui e al suo contesto di crescita, perch sia in grado di acquisire un’identità sociale.
In questa prospettiva, il cambiamento terapeutico che si propone l’intervento psicologico con gli adolescenti antisociali collocato in una logica evolutiva pi che di cura.
Nel lavoro istituzionale con gli adolescenti sottoposti a procedimenti penali, all’interno dei Servizi della Giustizia minorile, questo punto di vista porta, tra l’altro, ad annullare una troppo netta distinzione tra pena e cura: l’intervento psicologico non consiste nell’effettuare una diagnosi volta soprattutto a discriminare tra normalità, alla quale applicare pene, e patologia, da indirizzare ad un sistema di cura; l’obiettivo in ogni caso di sostenere il processo di responsabilizzazione del minore, quale che sia il livello di difficoltà che ostacola il suo percorso di inserimento sociale.

La valutazione dell’antisocialità

Poiché il comportamento trasgressivo in adolescenza un tratto fase-specifico, importante distinguere gli adolescenti trasgressivi da quelli che hanno una pi grave o pi stabile tendenza delinquenziale. Gli adolescenti che tendono a persistere nel commettere reati sono pi probabilmente maschi, con problemi di comportamenti infantile, con difficoltà scolastiche gravi, meno integrati socialmente e appartengono a famiglie problematiche e disgregate. Di norma hanno anche altri problemi di comportamento e hanno incominciato prima degli altri a manifestare tendenze trasgressive. Non vi sono, invece, particolari differenze per tipo di reato (ci significa che dal primo reato difficile prevedere l’evoluzione successiva) (Rutter et al., 1998).
Da un punto di vista evolutivo i bambini che tendono a diventare adolescenti antisociali hanno difficoltà nel processo d’internalizzazione dei controlli (mancanza di senso di colpa, deficit d’attenzione, difficolt nel controllo dell’impulsivit). Essendo poco capaci di elaborare gli impulsi, di pensare alle conseguenze della proprie azioni e di sentirsi in colpa, hanno difficolt a diventare adolescenti responsabili (Loeber et. al. 1998).
Le difficolt di controllo del comportamento possono essere spiegate non solo con problemi cognitivi (come la capacit di pensare alle conseguenze delle proprie azioni o di prestare attenzione), ma anche e soprattutto con problemi narcisistici (difficolt a costruire un’idea di s di valore) e con difficolt di costruire legami d’attaccamento (insensibilità o freddezza, che alla base della mancanza di senso di colpa).
In effetti, il disturbo antisociale pu essere collocato all’estremo dello spettro del disturbo narcisistico (Kernberg, 1999) e gli aspetti psicopatologici che ne sono costitutivi, al di l della definizione più descrittiva del DSM IV, sono stati individuati in due fattori stabili, che costituiscono il nucleo psicopatico del comportamento antisociale (Hare, 1993). Il primo fattore è narcisismo aggressivo, che caratterizzato da egocentrismo, insensibilit, mancanza di rimorso e di colpa (che correlato con un basso livello d’ansia e una bassa empatia). Il secondo fattore lo stile di vita antisociale: uno stile di vita irresponsabile, non convenzionale, impulsivo, in cui l’individuo spesso alla ricerca di situazioni eccitanti; questo fattore fortemente correlato con difficolt di simbolizzazione: una scarsa intelligenza, un basso livello socio economico e un livello di istruzione particolarmente basso.
I ragazzi antisociali si distribuirebbero allora lungo due assi: un asse impulsivo, in cui l’aggressivit soprattutto reattiva (l’antisocialit vera e propria, responsabile dei reati pi frequenti) e un asse pi freddo e insensibile, in cui l’aggressivit di tipo sadico-predatorio (la psicopatia, responsabile dei reati pi gravi).
Anche se la maggior parte dei reati minorili sono commessi da questi adolescenti, antisociali o psicopatici, vi sono reati che hanno a che fare con altre dimensioni psicopatologiche. In questi casi ci si trova confrontati con un disturbo mentale, in cui si pu perdere il senso di realt, pi che con un disturbo di personalità e del comportamento. La connessione tra questo tipo di psicopatologia e reati riguarda soprattutto i crimini violenti, e spesso pi i reati commessi da donne che da uomini (Skodol, 1998).

Strumenti per la valutazione dei minori che commettono reati

Nella valutazione degli adolescenti sottoposti a procedimenti penali è fondamentale l’individuazione del senso soggettivo (simbolico ed evolutivo) del reato, per l’adolescente e il suo contesto, nel quadro di una valutazione pi complessiva della sua personalit, intesa come modalit in cui va costruendo la sua identit sociale e la sua capacit di responsabilizzarsi del suo comportamento.
Oltre al colloquio clinico e all’eventuale uso di strumenti diagnostici tradizionali, come il test di Rorschach o il TAT, per la valutazione dei minori sottoposti a procedimenti penali sarebbe utile disporre di strumenti specifici, che abbiano come obiettivo non tanto la diagnosi, ma la valutazione dei rischi di recidiva, dei suoi bisogni evolutivi, della sua capacit di assumersi la responsabilit del suo comportamento e di quella del suo contesto di vita, la famiglia in primo luogo, nel sostegno delle sue esigenze di sviluppo. Questa valutazione dovrebbe essere orientata non tanto alla formulazione di un progetto terapeutico, ma di un progetto istituzionale di intervento, che combini il trattamento psicologico con quello sociale e educativo.
All’interno dei Servizi della Giustizia minorile di Milano, stiamo cercando di mettere a punto diversi strumenti di lavoro orientati da queste esigenze. Oltre a strumenti che sintetizzino il rischio di recidiva, prendendo in considerazione il percorso penale precedente e alcuni dati di contesto, utilizziamo una check list per la valutazione dei fattori di rischio del contesto sociofamiliare e una per la valutazione degli aspetti di personalit del minore che appaiono di particolare rilevanza anche per la definizione di un progetto di intervento.
La check list per la valutazione del contesto sociofamiliare un elenco di fattori di rischio del contesto e pu essere compilata dallo psicologo in collaborazione con l’assistente sociale o l’educatore. La compilazione della lista consente di avere un indicatore grezzo del livello di rischio del contesto di sviluppo dell’adolescente.
La check list per la valutazione della personalità cerca di ricavare un profilo individuale in diverse aree significative del comportamento e della personalit: gli atteggiamenti narcisistici, le difficolt di controllo dell’impulsivit e nell’assunzione di responsabilit, gli atteggiamenti sospettosi e persecutori, la tendenza all’isolamento o alla passivit. A differenza dalla versione della PCL-R (Psychopathy Check List-Revised) di Hare adattata per gli adolescenti da Forth e Mailloux (2000), che misura la psicopatia, cerchiamo di valutare diversi aspetti di personalit dei minori sottoposti a procedimenti penali (la valutazione della psicopatia ha mostrato, per esempio, che la maggior parte degli adolescenti in carcere segue i criteri per il disturbo della condotta o antisociale, circa otto su dieci, ma solo tre su dieci incontrano i criteri per la psicopatia).
Altri strumenti possono essere costituiti da griglie di valutazione del rischio di recidiva o di particolari bisogni di supporto all’interno dell’intervento istituzionale. Interessanti sono, per esempio, il questionario MAYSI-2, che in 52 items valuta alcune aree di rischio come quello di mettere in atto comportamenti autolesivi o aggressivi (Grisso, Bamum, Famularo Kinscherff, 2000) e la CBCL di Achenbach, che valuta i problemi di comportamento del bambino e dell’adolescente.

L’efficacia del trattamento

Il lavoro psicologico con gli adolescenti antisociali spesso tanto scoraggiante da apparire impossibile. Per questo importante chiedersi quali siano le forme di trattamento pi efficaci. Tra gli interventi sull’antisocialit minorile sono soprattutto efficaci i trattamenti che hanno le caratteristiche di progetti multimodali (che agiscono su diversi contesti) e integrati (in cui la psicoterapia si combina con l’intervento sociale e educativo).
Fino agli anni Ô70/80 vi era un diffuso pessimismo sull’efficacia del trattamento della delinquenza minorile, a partire da una verifica dei risultati dei diversi tipi di trattamento (Martinson, 1974). Questo pessimismo si ora ridotto, sia a seguito dei risultati più incoraggianti delle nuove analisi dei dati sugli esiti dei diversi tipi di trattamento, sia come conseguenza di un progressivo miglioramento delle forme d’intervento. Ricerche meta-analitiche pi recenti (Mc Guire, 1995) stimano che l’effetto del trattamento in media collocabile intorno al 10-20% (un intervento sulla delinquenza minorile, confrontato con un non intervento, riduce del 10-20% le probabilità di recidiva). Questi risultati sono quindi complessivamente modesti. Non solo gli interventi punitivi hanno un effetto sostanzialmente negativo, perch peggiorano le percentuali di recidivismo, ma anche gli esiti degli interventi di psicoterapia non sono incoraggianti, cos come quelli degli interventi farmacologici, se sono effettuati in assenza di un’associazione con paralleli interventi psicosociali. La media dell’efficacia degli interventi, d’altra parte, occulta profonde diversit: gli interventi multimodali e integrati arrivano in genere a risultati pi soddisfacenti, intorno al 50% di miglioramento. Questi dati, comunque, sono tuttora poco significativi, perch spesso le valutazioni in ingresso dei minori sottoposti a procedimenti penali sono limitate a poche caratteristiche (come l’et, il tipo, la gravit e la frequenza dei reati) e prendono poco in considerazione aspetti pi profondi della loro personalit e le loro problematiche evolutive. Un miglioramento della nostra capacit di valutazione delle caratteristiche degli adolescenti che commettono reati indispensabile per la progettazione di interventi pi mirati ed efficaci.

Il trattamento: la psicoterapia evolutiva

Il nostro modello di intervento con gli adolescenti antisociali può essere definito di “psicoterapia evolutiva”, poich il cambiamento concepito come evoluzione e non come cura. Si tratta di un tipo di intervento che, in realt, è espressione di un modello psicoterapeutico pi generale, che da un punto di vista teorico si basa sui concetti di simbolizzazione affettiva, di ruolo affettivo e di crisi della cultura affettiva di fronte ad un compito evolutivo (Pietropolli Charmet, Maggiolini, 1995). Da un punto di vista epistemologico coerente con i risultati delle ricerche metaanalitiche sull’efficacia della psicoterapia, che mettono in questione il modello medico della psicoterapia, con i dati sull’uso della terapia attraverso episodi terapeutici e in genere con teorie di psicopatologia evolutiva. Recenti ricerche sull’efficacia della psicoterapia (Wampold, 2001) hanno mostrato la scarsa importanza dei fattori specifici, caratteristici dei diversi modelli teorici (come la ristrutturazione cognitiva, la desensibilizzazione sistematica, l’interpretazione del transfert o la prescrizione del sintomo). Questo risultato ha portato ad enfatizzare piuttosto i fattori comuni alla base dei risultati psicoterapeutici (come l’alleanza terapeutica) e alla definizione di due modelli epistemologici generali nel funzionamento della psicoterapia. Secondo il primo modello, un modello “medico”, una maggiore efficacia garantita da una sempre maggiore precisione della diagnosi, dall’individuazione del tipo di trattamento adatto ad uno specifico disturbo e dalla precisa manualizzazione degli interventi psicoterapeutici, sul modello dei protocolli medici di cura (in questo caso la scarsa efficacia dei diversi trattamenti sarebbe da imputare ad una insufficiente precisione di diagnosi e cura corrispondente). Nel secondo modello, dei fattori comuni, si svaluta l’importanza della diagnosi, dei diversi riferimenti teorici alla base degli interventi e delle specifiche operazioni prescritte, a favore di elementi comuni alla relazione terapeutica, come l’alleanza terapeutica o l’effetto generale di riaccensione della speranza implicito nel ricorso alla psicoterapia.
In realt, oltre a questi due modelli epistemologici, una terza concezione pu essere alla base del lavoro psicoterapeutico. In ambito psicoanalitico questo presupposto generale alla base delle riflessioni del gruppo psicoanalitico di San Francisco (Weiss, 1993). Secondo questa prospettiva, l’elemento centrale nel lavoro terapeutico costituito dalla relazione tra gli interventi dello psicoterapeuta e il punto di vista del paziente, il senso che egli soggettivamente ed emotivamente attribuisce ai propri problemi. La differenza, rispetto all’esito terapeutico, di un’interpretazione di transfert, piuttosto che di un consiglio o di una decisione che riguarda il setting, come l’aumento o la diminuzione delle sedute, non sta tanto nel tipo di intervento tecnico, ma dipende dal rapporto con le pre-rappresentazioni del paziente. L’efficacia di un intervento si misura, allora, in funzione della sintonia con il piano inconscio del paziente e, all’opposto, la sua inefficacia in funzione della mancata disconferma delle sue credenze patogene. Nel modello di Weiss e Sampson si ipotizza un funzionamento inconscio superiore, un soggetto inconscio in grado di produrre rappresentazioni del S e dell’oggetto, e di valutarle in relazione ai propri bisogni di sopravvivenza e sviluppo. In questa prospettiva, un intervento non efficace in relazione al tipo di tecnica utilizzata o alla diagnosi formulata, ma semplicemente se in sintonia con le esigenze profonde di quel paziente e se è in grado di disconfermare le sue credenze patogene.
Dal nostro punto di vista, il piano inconscio espressione delle esigenze evolutive del soggetto, in rapporto ad un certo compito evolutivo. Il soggetto inconscio in realtà un soggetto di ruolo plurale, pi che un Io inconscio, e si attiva in funzione delle diverse fasi del ciclo di vita e dei diversi ambiti relazionali in cui una persona si trova coinvolta. Questi sistemi motivazionali soggettivi sono stati variamente definiti, ma rimandano, comunque, a motivazioni di base come l’attaccamento, l’accudimento, la protezione, la competizione, il corteggiamento e la seduzione, l’esplorazione e l’acquisizione di competenze o la difesa dal nemico. A queste motivazioni di base corrispondono sistemi relazionali, che definiscono cio una certa relazione tra soggetto e oggetto in funzione di un compito evolutivo. Per esempio, il sistema dell’attaccamento, che caratterizza originariamente la relazione madre-figlio, tipico del figlio, e trova nella madre il corrispondente sistema motivazionale (affettivo e comportamentale) dell’accudimento. Sia in ambito psicoanalitico sia in quello cognitivista, sono state sviluppate concezioni “plurali” del S, che possono costituire un importante presupposto teorico al riconoscimento della specificit delle diverse fasi del ciclo di vita e per un trattamento ispirato ad una concezione evolutiva della psicoterapia (Fornari 1977; Lichtenberg, 1995; Liotti, 1998; Stevens, Price, 2000).
Questa prospettiva si differenzia da quella della psicoterapia ad orientamento evolutivo (Greenspan, 1997), che soprattutto una concezione che sostiene la necessit di un adattamento della tecnica psicoterapeutica al livello evolutivo dell’Io del paziente (le sue capacit di comprensione ed elaborazione). Nella nostra prospettiva non si tratta nemmeno di favorire un recupero di funzioni o lo sviluppo di capacit, ma di tentare di produrre un migliore adattamento nel rapporto tra bisogni evolutivi e ambiente, che consenta una ripresa evolutiva.

Simbolizzazione e risimbolizzazione

Questa prospettiva, che appare particolarmente adatta al lavoro con gli adolescenti, comporta, quindi, una concezione semiotica del processo terapeutico, poich lavora sull’analisi delle rappresentazioni, per lo pi inconsce: il cambiamento avviene quando un intervento si sintonizza con i bisogni evolutivi, mentre interventi che contrastino lo sviluppo portano ad un peggioramento della psicopatologia.
Tra gli interventi dello psicoterapeuta centrale la risimbolizzazione, definita come cambiamento della rappresentazione affettiva del soggetto in relazione all’oggetto e in funzione di un compito (il simbolismo in questo caso non inteso come un linguaggio, ma come un modo di pensare, un sistema di rappresentazioni, e “simbolico” nella nostra accezione significa “rappresentazione affettiva di sé in relazione ad un ruolo affettivo”).
Nel lavoro con gli adolescenti antisociali l’attenzione ai processi di simbolizzazione e alle esigenze evolutive è particolarmente importante. Questo intervento avviene nella fase iniziale di valutazione, in un setting di consultazione con l’adolescente e la sua famiglia. Lo scopo che sia il paziente sia il suo contesto di sviluppo (famiglia e scuola in primo luogo) producano o modifichino la rappresentazione dei bisogni e delle capacit, in un modo che consenta di rappresentare in modo positivo le esigenze evolutive. Per esempio, simbolizzare significa riconoscere il senso in rapporto ai bisogni evolutivi di una certa azione dell’adolescente e una risimbolizzazione costituita dall’aiuto ad individuare e sostenere la positivit di esigenze di separazione negate dal soggetto o dal suo contesto, oppure da interventi di rivalorizzazione narcisistica, che modificano il valore che l’adolescente attribuisce a se stesso o che il suo ambiente gli attribuisce.
La consultazione porta alla formulazione di un progetto, in cui l’intervento psicoterapeutico rivolto al minore e alla sua famiglia integrato con quello socioeducativo. Per esempio, una rappresentazione positiva della separazione o una rivalorizzazione narcisistica possono essere raggiunte parallelamente attraverso un lavoro sull’immagine di s, un aiuto alla famiglia a vedere questi aspetti nel figlio o attraverso pratiche educative che siano volte ad ottenere lo stesso scopo. Un intervento comportamentale, come ad esempio un inserimento lavorativo, per noi acquista importanza non solo in quanto toglie un ragazzo dalla frequentazione delle situazioni a rischio o gli fornisce occasioni di guadagno che riducono la sua necessit di commettere furti, ecc., ma soprattutto in quanto modificano simbolicamente l’idea di s dell’adolescente, facendolo sentire competente e fornendogli la speranza di un’evoluzione positiva verso lo status d’adulto (Kammerer, 2000). Per questo importante ogni intervento che cerca di dare senso al comportamento antisociale, non solo collocandolo nella relazione con il contesto, ma soprattutto interpretandolo in rapporto ai bisogni evolutivi, svelandone la fantasia di recupero maturativo implicita nel reato (Novelletto, 1986).

Confronto con altri modelli

Questo intervento si differenzia da prospettive psicoterapeutiche in cui la dimensione evolutiva consiste soprattutto nell’aumentare le competenze dell’adolescente, come quelle orientate a compensare un deficit di funzione riflessiva (Fonagy, Target, 1999; Bleiberg, 1999). In questi casi, l’accento posto sulla competenza metacognitiva (la capacità di avere un’idea di s e delle proprie reazioni e sentimenti come rappresentazione), come funzione centrale nell’elaborazione dell’impulsivit aggressiva. La psicoterapia cerca di attivare questa funzione riflessiva come focus del trattamento dei problemi di comportamento, affiancando l’intervento penale. Anche in questa prospettiva, comunque, l’orientamento multimodale, in quanto include interventi farmacologici e psicoeducativi, in aggiunta alla terapia familiare e individuale, con l’obiettivo di arrivare alla creazione di una coerente narrativa autobiografica, alla formazione di un senso d’efficacia personale e di sentimenti d’empatia intersoggettiva. Lo psicoterapeuta cerca soprattutto d’attivare sistemi di rappresentazioni che siano alla base di nuove capacit di autoregolazione e di una maggiore autostima, mantenendo contatti non solo con la famiglia, ma anche con l’istituzione, l’ospedale o la comunit, anche per avere informazioni sulla vita reale del paziente. Nel modello di Bleiberg, una psicoterapia familiare, che procede parallelamente a quella individuale, cerca di individuare e rimuovere le collusioni tra genitori e figli. Programmi educativi e altre attivit, condotte parallelamente, promuovono una reale competenza e capacit di padronanza del comportamento. L’attivazione della funzione riflessiva rappresenta lo scopo centrale di questo lavoro psicoterapeutico, anche se l’accento spostato dall’insight e dalla risoluzione del conflitto, ad una psicoterapia che, anche in questo caso, pu essere definita come “evolutiva”, ma solo in quanto si propone di favorire lo sviluppo di una funzione, quella di mentalizzazione, più che di sostenere un bisogno evolutivo (di separazione, di acquisizione di identit sociale, di valorizzazione di s e cos via).
A differenza da una vera e propria psicoterapia cognitiva, che è in genere pi direttiva e pi focalizzata sull’individuazione e l’analisi di specifici schemi cognitivi disadattativi, questa prospettiva psicoanalitica, proposta da Fonagy e Bleiberg, tende comunque a promuovere capacit pi che a compensare deficit.
In una prospettiva di psicoterapia cognitiva (cfr. per esempio, il Cognitive Self Change Program; Bush, 1995) spesso centrale un obiettivo di apprendimento: in interventi, anche di gruppo, con diversi operatori (agenti, assistenti sociali e psicologi), s’insegna soprattutto ai ragazzi ad osservare i propri comportamenti e a riconoscere le proprie sequenze di pensiero. Questo lavoro porta ad individuare rappresentazioni soggettive di base, di tipo preconscio (per esempio, “Io sento i limiti come offese alla mia autonomia”), che portano a cercare soluzioni comportamentali (come “Quando supero i limiti e infrango le regole, torno padrone di me stesso”). L’obiettivo dell’intervento terapeutico il chiarimento di queste rappresentazioni, che sottostanno al comportamento antisociale, insegnando agli adolescenti a trovare soluzioni alternative, in modo da conciliare i bisogni individuali e le norme sociali (per esempio, il messaggio di fondo che dagli operatori rivolto ai minori : “Tu hai il diritto di essere padrone di te stesso, ma non di fare tutto quello che vuoi”). Si tratta di un trattamento basato sull’apprendimento, con esercizi e “compiti a casa”, che pu durare anche per anni, che non particolarmente focalizzato sulle esigenze evolutive, che restano sullo sfondo dell’intervento.
E’ evidente in questi esempi l’attenzione ai processi di rappresentazione preconsci, che tuttavia non sono letti in relazione ai bisogni evolutivi e alle problematiche di ruolo (per esempio, riportando alcuni atteggiamenti di difesa al codice maschile o alle esigenze di autonomia adolescenziale).
Nella nostra prospettiva, non posta una particolare enfasi sull’aumento di comprensione. Se una psicopatologia evolutiva, infatti, determinata da forti inadeguatezze ambientali o dall’impossibilità reale di sviluppare una parte di s, sar solo un cambiamento del contesto che consentir lo sviluppo di una parte del S. Questo presupposto comporta che si possa intervenire di volta in volta, sia sull’adolescente sia sui suoi contesti di sviluppo, con una grande flessibilit di setting e un forte relativismo tecnico (non eclettismo).
L’importanza dell’intervento sul contesto è sottolineata anche da altri orientamenti come quello multisistemico - MTS - (Henggeler et al., 1988), che ispirato alla logica dell’ecologia sociale e che utilizza soprattutto tecniche cognitivo-comportamentali. Un principio importante che sta a fondamento di questo modello che sia la valutazione del comportamento antisociale sia l’intervento debbano essere condotti all’interno del contesto di sviluppo (scuola, casa, quartiere di residenza). Si tratta di interventi psicoterapeutici, condotti da operatori che svolgono in realt una funzione di supporto educativo nei confronti della famiglia e della scuola oltre che del minore. La competenza psicologica serve a decodificare il senso del comportamento antisociale, e il successivo intervento prevalentemente educativo-comportamentale, svolto non in studio, ma nel contesto di vita dell’adolescente.
Questo intervento cerca di capire il rapporto tra i problemi e il contesto, per formulare, quindi, progetti di sviluppo, sottolineando gli aspetti positivi degli utenti e cercano di usare le forze del contesto come leve per il cambiamento. Gli interventi sono programmati per promuovere un comportamento responsabile e diminuire il comportamento irresponsabile tra i membri della famiglia, invece di essere rivolti a curare una psicopatologia: l’obiettivo l’aumento della responsabilit, pi che della consapevolezza. Il setting della presa in carico prevede che ogni operatore segua da tre a sei famiglie. Ogni quipe composta da tre o quattro operatori, che garantiscono una disponibilit totale, sette giorni su sette, prendendo appuntamenti in accordo con gli orari della famiglia. E’ importante che vi siano contatti quotidiani, domiciliari o per telefono. Gli operatori, che hanno in realt un ruolo che potrebbe essere definito da formatori o supervisori educativi, hanno a loro volta una supervisione settimanale (anche telefonica), in cui cercano soprattutto di individuare con l’aiuto del supervisore il senso del comportamento dell’adolescente nel contesto, di descrivere gli schemi relazionali osservati e di interpretarne le ragioni. In realtà, il focus dell’intervento sono soprattutto i genitori, con i quali si cerca una forte alleanza, individuandone le esigenze e valutando continuamente se e quanto sono d’accordo con gli obiettivi dell’intervento.
A differenza dal modello MTS, nella nostra prospettiva, comunque, il peso maggiore dato al senso simbolico dell’intervento, pi che di regolazione comportamentale, sia nella fase di consultazione sia in quella di intervento.

Prospettive

E’ a partire da questi presupposti che abbiamo finora interpretato la nostra collaborazione con i Servizi della Giustizia minorile di Milano e della collaborazione con il Servizio minori con procedimenti penali del Comune di Milano. Queste esperienze hanno consentito lapertura presso il Minotauro di un Centro per la prevenzione e lintervento sullantisocialit minorile, attraverso due progetti finanziati dal Comune di Milano con la legge 285: il progetto “Non imputabilit e responsabilit: intervento a favore dei minori di quattordici anni denunciati”, in collaborazione con il Servizio minori con procedimenti penali, e il progetto “Trattamento psicoterapeutico e educativo intergrato per minori sottoposti a procedimenti penali”, in collaborazione con il Centro per la Giustizia minorile di Milano.
Nei prossimi anni cercheremo anche di sperimentare un trattamento psicoterapeutico e socio-educativo integrato in un Servizio esterno ai Servizi della Giustizia minorile. Il progetto da una parte prevede la presa in carico di una decina di minori per anno sottoposti a procedimenti penali con gravi disturbi di personalit, e dallaltra un intervento a valenza preventiva, su preadolescenti minori di quattordici anni denunciati o con comportamenti antisociali a scuola.
Se i comportamenti antisociali in adolescenza segnalano la difficolt a costruire un ideale dellIo (come sistema di valori e idea di sé orientata al futuro, il cui equivalente patologico un Io ideale grandioso, centrato sul presente), il nostro compito, nell’intervento psicosociale e nella relazione psicoterapeutica, è di aiutare ladolescente a costruire un ideale, che svolgendo una funzione di riequilibrio narcisistico, laiuti ad assumersi la responsabilit sociale del suo comportamento.

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Riassunto

L’articolo presenta riflessioni che sono state elaborate nel lavoro con i Servizi della Giustizia minorile di Milano. Poiché i comportamenti antisociali in adolescenza segnalano la difficoltà a costruire un ideale dell’Io, l’obiettivo dell’intervento psicologico è di aiutare l’adolescente a costruire un ideale, che svolgendo una funzione di riequilibrio narcisistico, l’aiuti ad assumersi la responsabilità sociale del suo comportamento. Viene presentato un modello di intervento con gli adolescenti antisociali, definito come “psicoterapia evolutiva”, in cui il cambiamento è concepito come evoluzione e non come cura, che si basa sui concetti di simbolizzazione affettiva, di ruolo affettivo e di crisi della cultura affettiva di fronte ad un compito evolutivo. Questa prospettiva, che appare particolarmente adatta al lavoro con gli adolescenti, comporta una concezione semiotica del processo terapeutico, poiché lavora sull’analisi delle rappresentazioni affettive.
Un intervento efficace con gli adolescenti antisociali deve essere multimodale (in quanto agisce su diversi contesti) e integrato (in quanto la psicoterapia si combina con l’intervento sociale e educativo). L’intervento si articola in una fase di consultazione e in una fase di trattamento, che si organizza attorno ad un progetto psicosocioeducativo.
Nella valutazione degli adolescenti sottoposti a procedimenti penali è fondamentale l’individuazione del senso soggettivo (simbolico ed evolutivo) del reato, nel quadro di una valutazione più complessiva della loro personalità. Tra gli interventi dello psicoterapeuta è centrale la risimbolizzazione, definita come cambiamento della rappresentazione affettiva del soggetto in relazione all’oggetto e in funzione di un compito.

Note:
* Relazione al 5° Convegno Nazionale di Psicoterapia dell’adolescenza “L’adolescente tra contesti naturali e contesti terapeutici” 18 e 19 ottobre 2002-Firenze





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