Riassunto
Si comunicano i risultati di unindagine promossa dal Centro di Psicologia
e Analisi Transazionale di Milano con lo scopo di evidenziare alcuni indicatori
della specificità del counseling nelle esperienze dirette di alcuni counselor
con una formazione, tra le altre, analitico transazionale.
Abstract
Protagonists, places and manners of counseling
The results of a survey promoted by the Center Psychology and Transactional
Analysis of Milan are reported below in order to highlight some indicators of
counseling in specific, through the direct experience of a number of counselors
who have also trained in Transactional Analysis in addition to other training.
Introduzione
Nel corso degli ultimi quindici anni sono state date alcune definizioni di counseling
e di counselor sufficientemente chiare nel definire la finalità generale
di questa professione e alquanto riduttive o generiche, invece, nellindicare
i fattori che ne denotano la specificità e i confini.
Il counseling è un insieme di tecniche, abilità e atteggiamenti
per aiutare le persone a gestire i loro problemi utilizzando le loro risorse
personali. (Reddy, 1994)
Il counseling in Analisi Transazionale è una forma metodologica tesa
a ottenere un cambiamento attraverso una tecnica appropriata basata sul qui-e-ora;
lintento è favorire il recupero autonomo di soluzioni più
produttive rispetto a quelle precedentemente adottate. In un setting di consulenza
sono risolte problematiche prevalentemente di tipo cognitivo. (Vinella, 1990)
... il suo ethos dominante è quello di agevolare, piuttosto che offrire
consigli. (Feltham e Dryden, 1993)
La finalità del counseling, nei suoi molti aspetti (prevenzione del disagio,
promozione della salute, reinserimento sociale...), è di promuovere lo
sviluppo e la crescita delle persone, in una relazione e in unazione che
tenga conto della dimensione psicologica ed esistenziale, nel corso di un tempo
definito. (Grégoire, 1994)
Il counseling analitico transazionale è unattività professionale
allinterno di una relazione contrattuale. Il processo di counseling permette
ai clienti o sistemi di clienti di sviluppare consapevolezze, opzioni e capacità
di gestione dei problemi, facilita lo sviluppo personale nella vita quotidiana,
attraverso il potenziamento dei loro punti di forza e delle loro risorse. Scopo
ultimo è incrementare lautonomia in relazione al proprio ambiente
sociale, professionale e culturale. Il campo del counseling è scelto
da professionisti che lavorano in ambiti psicosociali e culturali, per esempio,
assistenza sociale, sanità, lavoro pastorale, prevenzione, mediazione,
facilitazione di processo, lavoro multiculturale e attività umanitarie.
(E.A.T.A., 1995)
Counseling
E' un processo di apprendimento interattivo, che si stabilisce tra counselor
e clienti, siano essi individui, famiglie, gruppi o istituzioni, che affronta
con metodo olistico problematiche sociali, culturali, economiche e/o culturali.
Il counseling può occuparsi di come indirizzare e risolvere specifiche
questioni, prendere decisioni, affrontare le crisi, migliorare le relazioni,
affrontare problematiche evolutive, promuovere e sviluppare una maggiore consapevolezza
personale, lavorare con sentimenti, pensieri, percezioni e conflitti interni
ed esterni. Lobiettivo principale rimane quello di fornire ai clienti
unopportunità di procedere in modo più autonomo, verso una
vita più soddisfacente e piena di risorse, come individui e membri di
una società più ampia. [Definizione di Counseling adottata dalla
European Association for Counseling (EAC) nel 1995]
Counselor
Colui che offre un servizio di counseling a dei clienti, in linea con la definizione
di counseling data dallEAC, e che possiede il livello di abilità
e di training specificato dagli standard posti dallEAC.
Cliente. Una persona, coppia, famiglia, organizzazione, in situazione di bisogno
o di domanda che necessita di essere indirizzata tramite una guida, un orientamento,
delle operazioni di supporto, di incremento dellinsight, di training o
di sostegno nello sviluppo personale.
Relazione professionale. Una relazione tra un counselor e un cliente con un
comune intento di trattamento, ricerca, orientamento, guida, supporto, training
o sviluppo personale... (Di Fabio A.M., Counseling, Giunti, 1999, pp. 319-20)
Il counselor è la figura professionale che, avendo seguito un corso di
studi almeno triennale, e in possesso pertanto di un diploma rilasciato da specifiche
scuole di formazione di differenti orientamenti teorici, è in grado di
favorire la soluzione di disagi esistenziali di origine psichica che non comportino
tuttavia una ristrutturazione profonda della personalità. Lintervento
di Counseling può essere definito come la possibilità di offrire
un orientamento o un sostegno a singoli individui o gruppi, favorendo lo sviluppo
e lutilizzazione delle potenzialità del cliente. Allinterno
di Comunità: ospedali, scuole, università, aziende, comunità
religiose, lintervento di Counseling è mirato da un lato a risolvere
nel singolo individuo il conflitto esistenziale o il disagio emotivo che ne
compromettono una espressione piena e creativa, dallaltro può inserirsi
come elemento facilitante il dialogo tra la struttura e il dipendente. [S.I.Co.
(Società Italiana di Counseling), 2000]
Linsieme di queste definizioni ci dice, essenzialmente, che la finalità
specifica del counseling è quella di agevolare la prevenzione del disagio,
la promozione del benessere e il reinserimento sociale e che gli obiettivi coerenti
con tale finalità sono perseguiti allinterno di una relazione contrattuale,
in un tempo definito.
Le diverse definizioni appaiono meno omogenee e meno esplicative per quanto
riguarda la metodologia e le tecniche. Si va da enunciazioni piuttosto ampie
e generiche come quella di Reddy: «un insieme di tecniche, abilità
e atteggiamenti per aiutare le persone a gestire i loro problemi utilizzando
le loro risorse personali» ad affermazioni più specifiche, come
quella della E.A.C. «un processo di apprendimento interattivo [...] che
affronta con metodo olistico problematiche sociali, culturali, economiche e/o
culturali», o della S.I.Co. «lavorare con sentimenti, pensieri,
percezioni e conflitti interni ed esterni», che comunque lasciano aperto
il problema della specificità del counseling rispetto alla psicoterapia.
Daltra parte, laccento posto sulluso di «tecniche basate
sul qui-e-ora [...] per agevolare la soluzione di problematiche prevalentemente
di tipo cognitivo» forse non aiuta a capire in che cosa il counseling
differisca dalla formazione.
Gli articoli pubblicati su questo stesso numero dei «Quaderni» aiutano
a riconoscere altri indicatori del counseling.
Ci riferiamo in modo particolare allarticolo di William F. Cornell e Jenni
Hine, dal quale estraiamo alcuni passi esplicativi di un aspetto del counseling:
il lavoro con i processi emotivi, svolto con tecniche differenti da quelle adottate
in campo clinico.
... un aspetto essenziale dei contratti di counseling basati sullAnalisi
Transazionale è che essi formino unalleanza di lavoro con gli aspetti
progressivi del funzionamento emotivo. Siamo pertanto convinti che, anche se
la forma dei loro interventi sarà diversa, clinici e counselor debbano
avere unapprofondita conoscenza teorica del ruolo delle emozioni nello
sviluppo, nella salute e nella capacità di rapporto degli esseri umani...
Gli psicoterapeuti con una formazione clinica possono avere limmagine
del funzionamento umano orientata prevalentemente allindividuazione della
psicopatologia, mentre i counselor con una formazione centrata sulla crescita
personale e sui problemi sociali possono avere unimmagine troppo
razionale del funzionamento umano, tendendo a ignorare o a razionalizzare
il substrato emotivo [...]
... Allo scopo di informare la teoria psicoanalitica contemporanea delle implicazioni
delle attuali ricerche nel campo delle neuroscienze, Pally recentemente osservava:
La neuroscienza ci dimostra che lemozione e lespressione dellemozione
sono presenti in tutte le attività umane più importanti, incluse
quelle che non siamo soliti considerare emotive, come per esempio il processo
decisionale razionale [...] Lemozione facilita un comportamento adattativo,
contribuisce a risolvere problemi in modo adattativo e organizza i rapporti
sociali importanti [...]
Nel processo di counseling, lavorare esclusivamente con le funzioni sociali
e cognitive comporta il rischio di rafforzare nei clienti una limitazione dellesperienza
e dellespressione di sé separate dalla ricchezza e dalla vitalità
di una base emotiva. Se il lavoro si limita a un intervento a livello cognitivo/comportamentale
si riesce a ottenere una certa comprensione e un certo controllo dei sintomi,
ma lAnalisi Transazionale auspica lintegrazione del pensiero, dei
sentimenti e del comportamento per poter sviluppare un funzionamento intimo
e autonomo. I counselor lavorano prevalentemente con il pensiero e il comportamento
del cliente, ma questo non significa che le emozioni debbano essere escluse
dal processo di counseling. Il punto è come lavorare con le emozioni
nel counseling per aiutare i clienti, o i sistemi clienti, a sviluppare la consapevolezza
e le capacità per trovare e valutare alternative per la soluzione dei
problemi e per la crescita personale, facilitando in questo modo gli innati
processi di maturazione e di vitalità dei clienti.
Per Cornell e Hine, dunque, un indicatore forte della specificità del
counseling condotto secondo il modello teorico dellAnalisi Transazionale
è unalleanza di lavoro con gli aspetti progressivi del funzionamento
emotivo, costruita con e attraverso lo stato dellIo Adulto.
Il Centro di Psicologia e Analisi Transazionale di Milano ha promosso unindagine,
finalizzata a identificare alcuni indicatori della specificità del fare
counseling secondo la prospettiva dellAnalisi Transazionale, avendo
come fonte di informazione lesperienza concreta di alcuni counselor.
Sono stati interpellati, attraverso un questionario semistrutturato ed eterosomministrato,
analisti transazionali certificati e in formazione del Centro di Psicologia
e Analisi Transazionale di Milano, del Centro Giovanni Castagna di Bergamo e
del Form.AT di Genova, con linvito a fornire informazioni sulla loro identità
professionale e su una loro esperienza di counseling.
Il campione esaminato è risultato alla fine composto da quarantatré
professionisti intervistati. Si tratta di un campione limitato, che ovviamente
non ha pretese di significatività statistica, ma che comunque offre uno
spaccato interessante delle diverse articolazioni delle possibilità evolutive
e degli aspetti critici del fare counseling.
Rivolgiamo un vivo ringraziamento ai counselor intervistati, per il loro prezioso
contributo, e a Francesco Dettori, ricercatore dellIRS, per aver realizzato
le elaborazioni statistiche e tradotto in tabelle e grafici i dati quantitativi.
Ringraziamo infine Anna Rotondo, Dela Ranci e Susanna Ligabue del Centro di
Psicologia e Analisi Transazionale di Milano, per aver sostenuto lidea
che vale la pena investire risorse nella riflessione e nella ricerca sul counseling.
Eterogeneità dei professionisti e del campo di intervento
I counselor che hanno risposto al nostro questionario si presentano come caratterizzati
da forti eterogeneità per quanto riguarda:
1. la formazione di base
2. i campi applicativi
3. i destinatari (target) del loro intervento.
1. Rispetto alla formazione di base la tabella 1 e la figura 1, relative al
titolo di studio, ci dicono, come era prevedibile, che i counselor provengono
da esperienze di studio molto diverse: medicina, psicologia, scienze sociali,
scienze delleducazione, dellorganizzazione.
Sembrerebbe pertanto che «counselor non si nasce, si diventa», poiché
la formazione di base non è di per sé caratterizzante il futuro
percorso professionale dei counselor. Il counselor, più di altri professionisti,
acquisisce le competenze specifiche della sua professione dopo la laurea o il
diploma, nei corsi di specializzazione a orientamento clinico o psicosociale,
e sul campo.
Si tratta di una diversità per molti versi simmetrica alla varietà
dei campi di applicazione del counseling.
2. Rispetto ai campi applicativi, infatti, dai dati raccolti si evince che il
counseling viene praticato in unampia varietà di contesti: scuole
pubbliche o private, carceri, università, cooperative sociali che si
occupano di prevenzione (per esempio, attraverso centri di aggregazione per
adolescenti o ludoteche) o di recupero (per esempio, di tossicodipendenti),
cliniche pediatriche, aziende, associazioni di volontariato studi privati, amministrazioni
comunali, provinciali, regionali.
Per quanto riguarda lambito lavorativo prevalente, osserviamo che cè
un sostanziale equilibrio tra counselor impegnati nelle istituzioni pubbliche
(41,5%) e counselor impegnati nel privato sociale (41,5%), mentre in azienda,
o nel privato for profit, è impegnato il 10% (fig. 2).
Il counseling emerge pertanto come esercitato, pur con diversa intensità,
in tanti campi applicativi; non si definisce pertanto in relazione a un campo
particolare, ma come funzione professionale versatile, che si adatta a molteplici
settori di intervento.
Il counselor stesso non ricopre quasi mai esclusivamente questo solo ruolo professionale,
egli è, infatti, simultaneamente counselor e formatore (nel 60,5% del
nostro campione), counselor e docente (nel 37%), counselor e terapeuta (nel
32,6%), counselor e ricercatore (nel 25,6%).
3. In relazione, infine, ai destinatari degli interventi, dallindagine
emerge che il counseling non ha un target specifico. Chi fa counseling può
rivolgersi a categorie deboli, con particolari disagi e bisogni (malati di AIDS,
tossicodipendenti, persone senza fissa dimora, detenuti, immigrati, prostitute...);
altri counselor si rivolgono invece a specifiche categorie sociali caratterizzate
da esigenze legate ai propri bisogni evolutivi (adolescenti), o al ruolo sociale
ricoperto (genitori...); altri ancora si dedicano in particolare a specifiche
professioni o ruoli organizzativi, per esempio assistenti sociali o educatori,
fra le professioni, e dirigenti, insegnanti, formatori, fra i ruoli organizzativi
(fig. 3).
Da questi primi dati si direbbe pertanto che la nostra indagine empirica conferma
quanto affermato da Timms e Timms (1982): «Il counseling è difficile
da definire, ma spunta fuori un po da tutte le parti».
Una funzione professionale soddisfacente e in espansione
Un terzo circa dei nostri intervistati fa counseling da meno di tre anni, un
terzo da tre a otto anni e un terzo da dieci e più anni. Si tratta pertanto
di professionisti che, nella larga maggioranza dei casi, hanno già consolidato
una loro competenza e una loro identità di counselor.
Fra costoro, circa uno su 3 (il 27,9%) ha dichiarato di essere molto soddisfatto
della propria attività di counseling; il 60,5% si è dichiarato
abbastanza soddisfatto di tale attività, solo il 7% si dichiara poco
soddisfatto; nessuno si è dichiarato per nulla soddisfatto.
Fare counseling pertanto piace (molto o abbastanza) alla quasi totalità
dei professionisti interpellati, che evidentemente traggono da questa funzione
riconoscimenti e gratificazioni che danno vitalità e energia alla loro
pratica professionale.
Inoltre, tre professionisti su cinque, a una precisa domanda relativa allo sviluppo
della propria attività di counseling nel prossimi anni, allinterno
delleconomia professionale di ciascuno, hanno dichiarato che nel prossimo
quinquennio la loro attività di counseling aumenterà sensibilmente.
Il campione intervistato presenta pertanto una visione espansiva e positiva
nei confronti delle potenzialità di sviluppo del counseling. Si ritiene
infatti che fra cinque anni si farà più counseling di oggi, perché
tale pratica si va consolidando sia attraverso successi professionali diffusi,
sia per laumento della richiesta specifica di interventi di counseling.
Dalla lettura di questi primi dati quantitativi dedotti dal questionario, sembra
che il counseling, considerato come una funzione soddisfacente e in espansione,
sia definibile nella sua specificità non tanto in relazione ai contesti,
campi applicativi e destinatari (che si sono rivelati decisamente eterogenei)
né in relazione alla specifica formazione di base dei professionisti.
In che cosa si determina allora la specificità del Counseling?
Lipotesi interpretativa che abbiamo approfondito nella seconda parte dellindagine
è che la specificità del counseling si determini attraverso le
peculiarità metodologiche dellintervento.
Per esplorare questa dimensione e verificare tale ipotesi, nella seconda parte
del questionario abbiamo posto una serie di domande aperte, tendenti a raccogliere
informazioni sulla metodologia che caratterizza gli interventi di counseling.
Di seguito presentiamo i risultati di questa esplorazione.
Scopi, modi, esiti del counseling
Le esperienze illustrate sono tutte fondate sulla logica del potenziamento della
normalità ed evidenziano due livelli di counseling.
Un primo livello interessa gli interventi tendenti a potenziare lefficacia
della comunicazione e a facilitare levoluzione di dinamiche interpersonali
bloccate, anche ai fini del miglioramento delle prestazioni in termini di qualità
ed efficacia.
Un secondo livello riguarda interventi specialistici, sempre sul versante della
prevenzione, mirati allampliamento della consapevolezza dellesistenza
di aree problematiche non croniche e al superamento dello stress emotivo prodotto
da perdite o da indecisione, ambiguità e confusione rispetto ad alcune
scelte importanti (separazione coniugale, scelte scolastiche e professionali,
gestione del ruolo genitoriale...).
Le esperienze presentate aiutano a focalizzare lattenzione su alcuni aspetti
rilevanti del fare counseling: lelaborazione della domanda, la gestione
del rapporto con i committenti e lattenzione al contesto.
Tali aspetti non sono messi in evidenza nelle definizioni prese in considerazione
in apertura, quantunque siano decisivi rispetto allesito dellintervento.
La domanda
Sembra utile evidenziare un dato confermato dallindagine: la professione
del counselor non è ancora oggetto di un sistema univoco di aspettative
che orienti i fruitori, perciò uno dei compiti del counselor è
quello di facilitare lo sviluppo della capacità della committenza di
richiedere interventi professionali adeguati alla professione.
Spesso, chi chiede lintervento non è colui che paga, né
il destinatario ultimo dellintervento stesso. La committenza multipla
e la scissione committenza-utenza è uno dei fattori di complessità
della conduzione di alcuni interventi.
Si ha a che fare con la complessità anche quando il committente è
unico, dal momento che non di rado chiede di «curare un altro»,
più che di sostenere un processo di crescita e di sviluppo.
La domanda, per il counselor, è comunque viva e importante. Quasi sempre
è motivata dalla sofferenza e rimanda allintegrazione degli individui
entro i contesti sociali, essendo generata da problemi di relazione interpersonale,
anche quando riguarda le singole persone. Spesso manifesta lincapacità
del cliente di formulare la domanda stessa in termini di rapporto tra individuo
e contesto.
Nel caso in cui evidenzi lassenza di consapevolezza, chiarezza e definizione,
il counselor si dà lobiettivo di «focalizzare le contaminazioni
circa il problema e arrivare a una domanda di aiuto più consapevole e
definita».
Il contesto
Lattenzione al contesto e al processo che dà origine al problema
posto dal committente è fondamentale per la comprensione dei bisogni
specifici degli individui e dei gruppi che fruiscono del counseling: i problemi
di convivenza non sono affrontabili tramite un intervento con utenti scissi
dal contesto entro il quale si è posto il problema, specialmente se lobiettivo
dellintervento è il ripristino di funzioni adattative.
Obiettivi dei counselor
I diversi counselor si danno, oltre agli obiettivi specifici della particolare
richiesta di aiuto, obiettivi comuni, coerenti con i principi fondamentali della
psicologia umanistica.
Alcuni di questi riguardano la costruzione delle premesse per lalleanza
di lavoro:
«creare un clima di fiducia e intimità...»;
«creare un legame significativo».
Altri riguardano la costruzione e lo sviluppo della capacità di contrattare:
«... conoscere e definire il problema, fornire informazioni, esporre ciò
che si è in grado di affrontare con il cliente e verificare con lui ciò
che è disponibile ad affrontare»;
«condurre committente e cliente a un obiettivo condiviso; lavorare su
quello».
Nella fase contrattuale e in quelle successive tutti i counselor tendono a:
«energizzare lAdulto»;
«valorizzare le risorse»;
«favorire il recupero di opzioni relazionali più produttive rispetto
a quelle usate precedentemente»;
«fare acquisire nuove capacità comunicative»;
«favorire nel cliente un processo di auto-aiuto in termini di consapevolezza
e spinta allattivazione personale in vista di un riposizionamento professionale».
Talora il counselor si pone un obiettivo molto elevato, come quello, per esempio,
di aiutare alcuni detenuti stranieri «ad amare qualcosa (alcuni valori
sociali, la poesia, la propria terra di origine, lItalia)». E succede
che i destinatari dellintervento, dopo pochissimi incontri, si percepiscono
come «un gruppo democratico»: una percezione che può preludere
«allamare qualcosa» e, quindi, al superamento della disperazione
propria di chi ha perso la libertà, dopo aver interrotto il legame con
la sua terra, suo malgrado.
Esiti degli interventi secondo i counselor
Abbiamo osservato quanto vari siano i luoghi, i modi e i protagonisti del counseling.
Rileveremo ora, attraverso le stesse parole dei counselor, la varietà
degli esiti raggiunti.
Alcuni risultati riguardano la costruzione dellalleanza di lavoro:
«la persona è in atteggiamento di ascolto»;
«affidamento e disponibilità alla relazione»;
«chiarificazione e definizione del problema».
Altri risultati si riferiscono alla decontaminazione dellAdulto, al potenziamento
del Bambino libero e del Genitore affettivo interno:
«maggiore consapevolezza»;
«esito discreto rispetto al riflettere sul proprio ruolo genitoriale e
sul proprio malessere...»;
«sviluppo di risorse nascoste e di legami»;
«valorizzazione e integrazione delle risorse umane; potenziamento della
capacità di darsi obiettivi realistici e condivisi»;
«unimmagine più realistica del padre e della loro storia
familiare»;
«diminuzione dello stress e delle paure»;
«forte diminuzione del ricattamento»;
«è diminuita lansia da prestazione»;
«il cliente ha riconosciuto il suo bisogno di formazione»;
«la coppia ha imparato a riconoscere la natura dei giochi messi in atto
e a interromperli. È uscita dalla crisi, riscoprendo e accrescendo le
proprie risorse»;
«... linvestimento emotivo si sposta e muta dintensità.
Il problema si ridimensiona. I genitori si rasserenano. Si attivano risorse.
Si mostra curiosità per le caratteristiche evolutive del figlio. Si concorda
con la necessità di rispettare la sua crescita e i suoi tempi. Muta,
in mia presenza, la relazione tra i coniugi e tra questi e il figlio, che anche
a scuola va meglio»;
«integrazione/aumento delle conoscenze, aumento della consapevolezza dei
propri comportamenti; comprensione dellimportanza di tutelare la propria
salute in prima persona e della necessità di attuare comportamenti preventivi»;
«il superamento di un passaggio faticoso della crescita»;
«cè stato un buon cambiamento complessivo: il cliente si
prende cura di sé, lavora, ...spinta allattivazione
(per esempio, ingresso in formazione e attuazione di un progetto professionale)»;
«superamento delle impasse, riduzione del disagio, nuovo modo di vedere
il problema, quindi maggior capacità di affrontarlo in modo
autonomo; per le situazioni più gravi, spesso il lavoro di rete o di
coinvolgimento dei genitori non è stato sufficiente o possibile. In questi
casi ho dato ascolto e ho aiutato ad acquisire una maggiore consapevolezza del
disagio, sul quale io stessa mi sto interrogando, visto che il mio vissuto è
stato quello di aver aiutato a guardare dentro un pentolone in ebollizione,
senza avere strumenti adeguati e tempo per...»;
«contenimento emotivo, possibilità di confrontarsi con laltro,
attivazione dellAdulto»;
«cura di sé, appartenenza, riconoscimento dei limiti, parziale
autonomia rispetto allalcool»;
«presa di coscienza delle manipolazioni e delle responsabilità»;
«forse con più tempo questa persona avrebbe potuto prendere in
mano la propria storia e anche iniziare una terapia»;
«la persona ha recuperato il controllo della propria esistenza con sufficiente
stabilità. Attualmente svolge il servizio civile presso un centro per
persone disabili»;
«... sta sperimentando scelte autonome con la famiglia di origine, con
il marito, con i colleghi di lavoro».
La maggior parte di questi risultati non sarebbero stati possibili senza una
elevata competenza del counselor relativamente al rispetto dei confini del counseling
e alla costruzione di unalleanza di lavoro con gli aspetti progressivi
del funzionamento emotivo.
A dimostrazione di ciò, proponiamo la lettura di tre esempi dettagliati
di intervento.
Il primo è un esempio di consulenza di processo, che ha reso possibile
il raggiungimento degli obiettivi di un intervento formativo in azienda, articolato
in sei incontri di due giornate consecutive, a cadenza mensile.
Il secondo è un esempio di counseling clinico. Il terzo è un esempio
di counseling realizzato in area di intersezione con la formazione. Infatti,
anche in un intervento di carattere formativo-informativo può avvenire
qualcosa che permette di raggiungere un obiettivo specifico del counseling e
della terapia: lo sviluppo della capacità di sentire, nominare, vivere
le emozioni e, quindi, di comunicare e relazionarsi con se stessi e con gli
altri in modo funzionale e soddisfacente.
Counseling organizzativo
Ho dedicato circa sessanta ore di lavoro agli incontri con il cliente, prima
dellintervento formativo, e dodici ore dopo. Ho inoltre impiegato mediamente
sei, sette ore per la preparazione di ciascun incontro.
I committenti erano il Direttore Generale (il committente), il Direttore del
Personale e della Formazione interna (committente diretto e mio interlocutore),
il Responsabile della Formazione e il suo Assistente, impegnati a collaborare
alla costruzione del progetto (committenti a latere).
I clienti erano gli stessi committenti, diretto e a latere, con il fantasma
del Direttore Generale e con i conti da fare con i Responsabili di Settore,
capi degli utenti, cui far approvare il progetto. Gli utenti erano funzionari
aziendali, quadri e dirigenti.
La domanda iniziale era di fare un intervento formativo sul gruppo, al fine
di fornire e sviluppare sensibilità e attenzioni per lavori di gruppo
efficaci.
Nella riunione di presentazione dellipotesi di macroprogetto ai Responsabili
di Settore, la reazione è stata ambivalente e ambigua: bello, però
ora abbiamo bisogno di approfondimenti tecnici... ci sono priorità...
si potrebbe fare così, nel tentativo di salvare capra e cavoli... Mentre
i miei committenti litigavano, ho proposto qualcosa che tenesse conto delle
esigenze di sviluppo delle competenze, che fosse trasversale e non settoriale,
che toccasse comunque le capacità e le risorse degli utenti. Ho stabilito
con i miei interlocutori che avrei condotto un intervento sulle competenze altre
che rendono più o meno efficace lesercizio del ruolo e le relazioni
di ruolo.
La definizione del microprogetto era fondata, naturalmente, sugli obiettivi
praticabili.
Obiettivo dei committenti era migliorare la consapevolezza delle risorse e abilità
personali messe in gioco da ciascuno e fornire strumenti di scoperta. Il metaobiettivo
era migliorare il clima interno, con unattenzione e un ascolto specifico,
e favorire la comunicazione tra settori diversi. I committenti desideravano
soprattutto fare un intervento di successo: erano preoccupati e in ansia, perché
lintervento precedente aveva sollevato problemi e alimentato insoddisfazioni,
arrivate anche alle orecchie del Direttore Generale, che era intervenuto.
Obiettivo degli utenti era innanzitutto migliorare e scoprire le proprie capacità,
stando meglio con se stessi nel lavoro, quindi migliorare le relazioni orizzontali,
con una comunicazione più aperta, e verticali, almeno per quanto riguardava
la loro parte (non grande perplessità di alcuni sulla disponibilità
dei gradi più elevati a modificare il loro comportamento).
Il mio obiettivo era migliorare la consapevolezza degli utenti e dei committenti
rispetto alle responsabilità soggettive giocate nel ruolo e approfondire
la consapevolezza delle risorse soggettive, usate e non usate, spesso talmente
ovvie da risultare invisibili.
Per il raggiungimento di tali obiettivi, ho adottato le strategie seguenti:
1. Non accettare un tema che non era considerato utile o prioritario
dallinsieme dei dirigenti (Direttori di Settore): farlo avrebbe significato
stabilire unalleanza non solo debolissima, ma addirittura di parte. (Avevo
il sospetto che fosse un desiderio dei responsabili della formazione).
I miei committenti diretti avevano confuso il loro auspicabile con leffettivo
del contesto.
2. Salvare la faccia a tutti, con un argomento (le competenze altre)
che rispondeva sia alle esigenze di approfondimento tecnico sia
a quelle di attenzione alle risorse umane, sia alle esigenze di
una formazione trasversale che coinvolgesse tutti i settori.
3. Proporre un intervento che prevedesse tempo e spazio adeguati per:
- lelaborazione delle insoddisfazioni
- la costruzione con gli utenti dei passi del processo e di alcuni contenuti.
4. Ottenere una presentazione ufficiale dellintervento a tutti gli utenti,
con la presenza e lintervento del Direttore Generale, del Committente
diretto e del consulente.
La presentazione ha collocato lintervento, gli ha dato alcuni
confini condivisi, senza dire troppo rispetto ai contenuti, con la creazione
di un effetto mistero che ha stimolato la curiosità (risultato
quantitativo: la partecipazione è stata totale!).
5. Gestire laula in modo flessibile, con attenzione particolare ai processi
e con lutilizzo di accadimenti, temi e protagonismo degli utenti per una
ricollocazione nel filo rosso del percorso (modalità dichiarata dallinizio
con linguaggio metaforico).
6. Usare quindi limprevisto come spostamento di quadri di riferimento,
per permettere lemergere di altro.
7. Pattuire lutilizzo di materiali e informazioni dopo il corso: un coerente
percorso di trasparenza.
8. Ottenere una presentazione ufficiale della relazione conclusiva, con la presenza
e lintervento del Direttore Generale, del consulente e di tutti i committenti,
capi compresi.
(La relazione, corredata dai dati elaborati del feed-back finale, sarebbe stata
data a tutti gli utenti, oltre che ai committenti.
La presentazione pubblica e ufficiale avrebbe permesso di sottolineare limportanza
della comunicazione e della trasparenza, per lorganizzazione; inoltre
avrebbe reso visibile lutilità della formazione. Infine sarebbe
servita da introduzione agli interventi formativi previsti per questanno.)
Alla fine dellesperienza formativa, il committente finale considera buoni
i risultati dellintervento. In particolare è soddisfatto per lequilibrio
della gestione, il coinvolgimento e la partecipazione degli utenti, lindividuazione
chiara ed esplicita di alcuni punti nodali della comunicazione interna.
I committenti diretti si sentono sollevati e sono soddisfatti per diversi motivi:
lequilibrio, il coinvolgimento, la novità dellintervento
e il suo successo, il clima buono e la definizione chiara dei punti da curare,
indicatori di interventi successivi.
Gli utenti esprimono una valutazione tra buono e ottimo. In particolare dichiarano
di apprezzare molto la gestione daula, il processo di scoperta progressiva
costruito con Gli utenti esprimono una valutazione tra buono e ottimo. In particolare
dichiarano di apprezzare molto la gestione daula, il processo di scoperta
progressiva costruito con loro, lascolto e il rispetto nelle relazioni,
la trasparenza nella comunicazione e nelle prese di posizione.
Io considero soddisfacente lesito dellintervento rispetto agli obiettivi.
Ritengo di aver lavorato sul fronte della committenza e dellutenza stimolando
e fornendo con chiarezza i canali per un incontro possibile. Considero meno
soddisfacente il rapporto tra tempo dedicato e guadagno: spesso, nelle aziende,
il tempo dedicato alla consulenza per successivi interventi formativi è
considerato parte integrante, quasi ovvia, e retribuita con le giornate di formazione
o, al massimo, con un riconoscimento per la progettazione, come in questo caso.
La valutazione globale è positiva, considerata la complessità
del contesto. Da un intervento formativo, che alcuni volevano indolore e insapore,
è scaturito un processo di maggiore comunicazione tra i ruoli. Il coinvolgimento
diretto dei ruoli verticali e la chiarezza sui punti da affrontare per un miglioramento
delle relazioni e della comunicazione interna è senza dubbio un punto
di partenza qualitativamente importante.
Questo esempio di counseling organizzativo mostra come nel counseling orientato
al cliente lintervento necessiti di una duplice competenza: la competenza
tecnica professionale, cioè la capacità di fornire risposte tecnicamente
adeguate al problema posto dalla committenza e la competenza organizzativa,
cioè la capacità di analizzare la domanda del committente e di
integrare la competenza tecnica entro la problematica del committente stesso,
in modo da tradurre la domanda in obiettivo perseguibile, attraverso una sapiente
contrattazione.
Counseling clinico
Una bambina di sette anni non tollera la separazione dalla madre, mostra atteggiamenti
regressivi e accentuate paure in presenza dei genitori, quantunque si gestisca
con eccessiva autonomia durante le obbligate assenze per lavoro degli stessi.
I genitori chiedono una consulenza psicologica esprimendo il desiderio di una
figlia serena, più autonoma e donnina.
Inizio la consulenza con lobiettivo di facilitare il riconoscimento del
bisogno della figlia di avere una base sicura e di essere vista come bimba.
Emergono però alcuni elementi che mi fanno decidere per un cambiamento
di strategia: i coniugi sono immigrati quindici anni fa dalla Sicilia con lobiettivo
di ritornare alla terra di origine in capo a qualche anno, per questo motivo
hanno chiesto più volte, senza successo, un trasferimento lavorativo.
Al tempo stesso, recentemente, hanno acquistato unabitazione al nord,
anche se considerano provvisorio il loro trasferimento qui.
Immigrati quindici anni fa dalla Sicilia, i coniugi vivevano sospesi tra due
mondi, con un forte attaccamento alla terra di origine, lasciata e idealizzata,
e senza un legame con il luogo di vita attuale, senza appartenenza.
Ipotizzo che abbiano subito e non scelto la permanenza nella terra nuova
e che vivano sospesi tra due mondi: il mondo lasciato, amato e idealizzato,
e il mondo nel quale vivono, per necessità contingenti, senza legami
significativi. Mi torna in mente che nei primi minuti del primo colloquio hanno
parlato delle bellissime vacanze in Sicilia e mi hanno spiegato che a casa
anche la loro bambina è serena e non mostra i comportamenti per i quali
hanno chiesto la consulenza: forse la Sicilia a lei manca di più perché
è lunica persona della famiglia a non essere nata là.
Mi pare che lacquisto della casa rappresenti il bisogno di radici che
non riesce, tuttavia, a tradursi in appartenenza. Decido quindi di spostare
lattenzione dalle difficoltà inerenti la gestione del ruolo genitoriale
al progetto migratorio, individuale e di coppia, e propongo ai coniugi la narrazione
della storia migratoria.
Lobiettivo condiviso è che i coniugi possano sentirsi protagonisti
del loro essere qui e che possano utilizzare le loro risorse per ridefinire
il progetto migratorio e i suoi obiettivi, scegliendo di creare nuovi legami
e di appartenere, anche, al luogo che abitano con i propri figli.
Lintervento si è sviluppato in dodici incontri con frequenza trisettimanale.
Attualmente la bimba è più serena ed è in grado di tollerare
meglio la separazione dalla madre. I coniugi stanno superando lidealizzazione
della Sicilia e la svalutazione del luogo in cui vivono e iniziano a integrare
in modo realistico limiti e risorse dei due contesti. Il marito, con il gruppo
escursionistico locale, sta organizzando per il prossimo anno una vacanza sullEtna:
un segno della possibilità di mettere in contatto i due mondi, anziché
transitare semplicemente dalluno allaltro.
Questo caso mostra come sia possibile fare un intervento significativo, con
verifica comportamentale, in tempi molto brevi. Il counselor, ponendo laccento
sul funzionamento normale piuttosto che sulla patologia, senza fare ricorso
a tecniche regressive, a interpretazioni e al confronto delle difese, ha dato
il Permesso di appartenere e, al tempo stesso, di andare, ritornare, integrare,
accentuando la potenza e la responsabilità dei clienti nel qui-e-ora.
Area di intersezione formazione-counseling
UnAssociazione per linfanzia, che dirige e organizza una Ludoteca,
chiede un corso di quattro incontri di due ore ciascuno, a cadenza quindicinale,
per genitori di bambini da zero a sei anni. La presidente dellAssociazione
propone inizialmente una domanda molto complessa e ampia: riflettere intorno
allidentità di genere.
Noi formatori iniziamo un lavoro di contrattazione con il committente per arrivare
a definire obiettivi di lavoro possibili.
Così costruiamo insieme la seguente riflessione iniziale, che vuole tenere
conto della motivazione generale che il committente riporta.
La richiesta di formazione nasce da considerazioni di ordine storico e sociologico.
Infatti negli ultimi decenni i cambiamenti politici, economici e culturali della
nostra società, laccresciuto numero di donne che lavorano fuori
casa, lelevato grado di istruzione, la diminuzione della natalità
hanno comportato un cambiamento nel modo di intendere i ruoli sessuali e hanno
dato avvio a più modi di rapportarsi luno allaltro sia allinterno
della coppia sia nella gestione delle competenze genitoriali. Attualmente non
si osservano competenze rigide allinterno del ruolo paterno e materno,
né compiti che riguardano nettamente la donna o luomo. Si conviene
che, attraverso la interconnessione tra i due e la possibilità di entrambi
di contare sullappoggio dellaltro e sullintercambiabilità
dei ruoli, si può raggiungere una maggiore capacità di vivere
in modo personalizzato la propria paternità e maternità. Andare
oltre la rigida divisione dei compiti, che spettano al padre e alla madre, non
significa ignorare le differenze che esistono tra i sessi, nel prendersi cura
dei bambini, ma sottolineare la possibilità che ciascuno dei due componenti
la coppia possa esprimere quanto finora censurato perché ritenuto di
competenza dellaltro.
Successivamente alla chiarificazione del retroterra motivazionale del committente
condividiamo la necessità di stabilire degli obiettivi intermedi:
1. ampliare la consapevolezza dei vissuti personali rispetto alla propria identità
maschile e femminile;
2. ampliare la consapevolezza dei modelli materni e paterni interiorizzati;
3. ampliare la consapevolezza delle convinzioni che guidano nellessere
padre e madre;
4. consolidare la possibilità di personale il proprio ruolo paterno e
materno costruendo nuove strategie.
Il passo successivo è quello della verifica della congruenza tra gli
obiettivi del committente e quelli degli utenti, i quali durante il primo incontro
esprimono la fatica di fermarsi sullargomento relativo alle differenze
di genere, mentre dichiarano di voler: conoscere altri genitori, condividere
lesperienza genitoriale, sviluppare insieme delle idee, imparare a collaborare.
Un genitore esprime il bisogno di imparare qualcosa sulla gestione del ruolo
paterno e materno.
Stimolati da alcune domande («Come ricordo il/la bambino/a che sono stato/a?»,
«Come ricordo i miei genitori?», «Cosa era solo di mamma?
cosa era solo di papà?», «Come definisco oggi il ruolo paterno
e materno?», «Cosa può fare, il papà, assieme alla
figlia femmina e al figlio maschio?», «Cosa può fare, la
mamma, assieme al figlio maschio e alla figlia femmina?»), lavorando in
piccoli gruppi, i genitori hanno fatto unesperienza cognitivo-emotiva
che li ha aiutati a dare nuova energia a risorse sottoutilizzate: visualizzare,
ricordare («Ho rispolverato ricordi che pensavo di aver dimenticato: come
ero da bambino, come erano i miei genitori...»), fermarsi («È
importante fermarsi, siamo sempre di corsa e non cè mai tempo per
noi»), dialogare, come coppia, con altre coppie («È bello
che ci avete chiesto di venire in coppia, perché siamo sempre divisi
per i troppi impegni, qui ci siamo ritrovati a parlare come coppia»).
Il committente ha espresso una valutazione positiva dellintervento e ne
ha chiesto la prosecuzione.
Noi formatori siamo soddisfatti, perché riteniamo di aver costruito assieme
al cliente uno spazio per la persona, nel quale cè la possibilità
di stare insieme, di ascoltarsi e di condividere le esperienze, un luogo dove
pensare tenendo conto anche dei vissuti emotivi. Riteniamo inoltre che i genitori
abbiano ampliato la consapevolezza del loro ruolo sessuale nello svolgere il
compito di mamma e papà e abbiano valorizzato il ruolo dellaltro,
nella coppia, ruolo che inizialmente era invece visto come il più comodo.
In questo caso non è facile dire dove finisce la formazione e dove incomincia
la consulenza. E forse non è necessario.
Da alcuni segnali («E' importante fermarsi, siamo sempre di corsa e non
cè mai tempo per noi...», «E' bello che ci avete chiesto
di venire in coppia, perché siamo sempre divisi per i troppi impegni,
qui ci siamo ritrovati a parlare come coppia...»), sembra che sia scattato
un processo di consapevolezza emotiva, oltre che cognitiva, su cui può
fondarsi un cambiamento comportamentale di tipo evolutivo.
Considerazioni conclusive
Ci sembra che nelle tre esperienze qui riportate in modo dettagliato siano stati
rispettati gli involucri di coerenza, cioè i criteri suggeriti
da José Grégoire per stabilire le frontiere dei diversi campi
di applicazione dellAnalisi Transazionale: contratto coerente con le finalità
del counseling; attenzione alla protezione offerta dal setting.
Gli esempi di counseling presentati mostrano come gli analisti transazionali,
pur operando in contesti molto differenti, fondamentalmente applicano il metodo
contrattuale e accompagnano la ricerca di opzioni comportamentali, in vista
di livelli sempre più alti di autonomia, offrendo alle persone informazioni,
Permessi, Protezione e Potenza.
Mostrano inoltre che, a seconda delle finalità specifiche, i counselor
fondano la loro competenza su saperi propri della psicologia, delle scienze
dellorganizzazione, delleducazione o delle scienze sociali, sulla
base di una matrice comune, caratterizzata dallapplicazione di alcuni
principi della psicologia umanistica, che danno unicità al counseling.
Il primo di questi è laccettazione dellaltro (okness), basata
sul riconoscimento della competenza, della libertà e responsabilità
di ogni essere umano.
Un altro principio fondativo è la non direttività della relazione,
che permette al cliente di essere protagonista principale del percorso di autoconsapevolezza
e del processo decisionale. Infatti il counselor si pone come risorsa che facilita
lo sviluppo delle capacità dei clienti di raggiungere i loro obiettivi.
In stretta relazione con i precedenti principi è la particolare attenzione
alla relazione. Infatti, in ogni setting, il counselor si qualifica come esperto
di comunicazione-relazione. Per questo, il principale strumento di lavoro è
lascolto empatico, che non sfocia in giudizi o interpretazioni, ma in
unalleanza di lavoro e in un colloquio maieutico attraverso il quale il
counselor aiuta la persona o il gruppo ad aiutarsi, cioè
a usare le proprie risorse provvisoriamente inutilizzate o bloccate, per definire
il problema in termini di obiettivo concreto e per formulare, valutare e scegliere
strategie che rendano possibile il conseguimento dellobiettivo stesso.
Nel complesso, anche le informazioni di tipo qualitativo confermano la difficoltà
a definire la specificità del counseling.
Ciò che avviene in un intervento di counseling non è sempre esclusivo
di questa professione. Anche in un setting clinico o nella formazione è
possibile rilevare alcuni degli indicatori di specificità segnalati dai
counselor intervistati:
«obiettivi specifici e già programmati, anche se sono ricalibrati
nel contesto»;
«uso di un linguaggio chiaro e comprensibile»;
«la contrattualità»;
«centralità della persona (lavorare con il cliente), dimensione
contrattuale della relazione daiuto, attenzione alle transazioni, tenere
presente la dimensione del sentimento, del pensiero e del comportamento».
Più specifici, ma anchessi non esclusivi, appaiono i seguenti indicatori:
«restituzione costante di ciò che avviene in seduta e fuori; verifica
a livello comportamentale»;
«setting definito nel tempo, meno nello spazio; tecniche berniane dirette
allAdulto, contratti di controllo sociale, cambiamenti attesi
definiti e contrattati, alcuni compiti operativi (aspetti psico-educativi),
alleggerimento delle difese iper-ragionevoli del paziente, senza
smantellarle»;
«non regressione, non interpretazione, non confronto delle difese»;
«restituzione al cliente della propria competenza rispetto alla soluzione
del problema; counselor come facilitatore»;
«alto livello di competenza e professionalità del counselor».
Sembra dunque difficile indicare in modo preciso ed esauriente le caratteristiche
di una professione poliedrica ed emergente quale è il counseling. Forse
non è neppure auspicabile definire questa professione, dal momento che
il counseling ha il compito di agevolare levoluzione della sua stessa
identità, oltre che delle persone.
Uno dei counselor intervistati ha compilato il questionario con la matita. La
scrittura a matita potrebbe essere letta come una sorta di metafora dellessenza
e del fascino del counseling, una professione che oggi sfugge a definizioni
puntuali e che, al tempo stesso, si caratterizza per gli interventi ben delimitati
nel tempo, che prevedono la possibilità di inventare, scrivere, cancellare,
reinventare nuove strategie, poiché ogni processo di espansione e di
crescita non può che fondarsi sullapertura a nuove intuizioni e,
quindi, sulla provvisorietà della scrittura.
Ma anche questa è una caratteristica che dovrebbe essere di ogni professione,
di ogni mestiere.
Forse cè qualcosa che fa del counseling una professione con una
fisionomia inconfondibile: paradossalmente, un indicatore di specificità
nel counseling potrebbe essere proprio la non-definizione, o meglio limpossibilità
di definire in modo univoco, chiuso e rigido questa professione, a causa della
forte trasversalità con altri campi di intervento (clinico,
organizzativo, formativo...). Infatti, la funzione professionale di counselor
viene esercitata da professionisti con specializzazioni molto differenti che,
comunque, aiutano a cancellare tratti poco funzionali dellesistenza
(ancora una volta ci piace evocare la metafora della scrittura a matita), così
che le persone possano disegnarne altri, più armoniosi e ricchi di senso.
Ci auguriamo che questo articolo stimoli un dibattito tendente a favorire la
prosecuzione della ricerca sulla specificità e sulle frontiere del counseling,
senza la presunzione che possa essere esaustiva e definitiva.
Lindagine potrebbe continuare, fra laltro, con domande come «Quale
immagine ha, di sé, il counselor?», «Quale immagine ha, del
counselor e del counseling, lutenza reale e potenziale?».
Dare alcune risposte a queste domande può servire a progettare azioni
volte allo sviluppo qualitativo della professione.
Bibliografia
AA.VV., Simposio, in «Rivista di Psicologi e psicoterapeuti», 13,
2000.
Cornell W. - Hine J., Cognitive and social functions of emotions: a model for
Transactional Analysis counselor training, in «TAJ», XXIX, 3, 1999;
trad. it. Funzioni cognitive e sociali delle emozioni: un modello per la formazione
di Analisti Transazionali nellarea del Counseling, in «Quaderni
di Psicologia Analisi Transazionale e Scienze Umane», 32-33, 2001.
Di Fabio A.M., Counseling, Giunti, 1999.
Feltham C. - Dryden W., Dizionario di counseling, Sovera, Roma 1995.
Grégoire J., Sur quels critères fonder la cohérence et
les frontières dun champ dapplication de lA.T., ou
de la formation?, in «Actualites en Analyse Transactionelle», XVIII,
72, 1994; trad. it. Confini e coerenza dei campi di applicazione e formazione
dellAnalisi Transazionale: quali i criteri fondanti?, in «Quaderni
di Psicologia Analisi Transazionale e Scienze Umane», 32-33, 2001.
Reddy M. (1987), trad. it. Il counseling aziendale, Sovera, Roma 1994.
Vinella P., Il setting nel counseling, in M. Novellino (a cura di), Lapproccio
clinico dellAnalisi Transazionale, FrancoAngeli, Milano 1998.
* Laura Pentimalli Vergerio, psicologa, analista transazionale in Counseling,
didatta e supervisore in formazione. Centro Giovanni Castagna di Bergamo. Centro
di Psicologia e Analisi Transazionale di Milano.
** Ugo De Ambrogio, sociologo, analista transazionale in campo organizzativo,
responsabile dellarea Servizi Sociali e Sanitari dellIstituto per
la Ricerca Sociale (IRS), Milano. Collabora con il Centro di Psicologia e Analisi
Transazionale di Milano.
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