Riassunto
Ogni persona tende a realizzarsi, a essere felice. Come essere felice, in un mondo in cui il male è onnipresente? L'autore, dopo aver dato una precisa definizione dei singoli termini del titolo, facendo incursioni nel campo della filosofia e della logica, mostra come la speranza di uscire dall'infelicità di ogni giorno sia fondata sulla possibilità di fare salti da un mondo attuale a uno o più mondi possibili, attraverso la conversazione felice. Il Conversazionalismo applica la pratica e l'etica dei mondi possibili nelle conversazioni terapeutiche e non terapeutiche professionali, nelle supervisioni dei terapeuti e dei counselor, nelle conversazioni quotidiane.
Abstract
ETHICS OF POSSIBLE WORLDS
A possible world is a group of sentences and other linguistic elements. A possible world is the containing group of sentences and which is made of. The word embeds, in its material substance, the form, the narration, of all beings and of created and possible events. Word in itself is God's child and creates the world, the possible worlds. And in this function, word, the speaking soul, is the perfect achievement, entelechy, of man's utmost good, that only man can develop and use, i.d. eudaemony, conversational happiness.
Connessione
Anna Rotondo ha appena chiuso la sua relazione(1) evocando situazioni drammatiche di persone colpite dai mali del mondo oltre i limiti del tollerabile. E si è chiesta, assieme a noi, comprensibilmente, come queste persone possano continuare a vivere. Come non si lascino vincere dalla rabbia e dalla disperazione. La risposta provvisoria di Anna è stata che forse vivono perché, finché, continuano a mantenere viva la speranza. La speranza che abita il centro della persona, là dove convergono la partecipazione e l'amore e il legame con il futuro.
Enunciati di credenza. Il sostantivo esistenziale "speranza" usato da Anna ci aiuta a saltare al verbo "sperare", che introduce immediatamente al nostro discorso dei mondi possibili. E anche a saltare dall'ontologia alla logica della proposizione. La nozione di mondo possibile ha un solido fondamento intuitivo. Il pensare consiste, in larga misura, nel fare ipotesi, e il fare ipotesi implica la costruzione di mondi alternativi al nostro mondo attuale, di mondi del desiderio o dell'orrore in cui mettiamo le immagini di come il mondo potrebbe essere, indipendentemente da com'è. In particolare, la semantica dei mondi possibili la applichiamo agli enunciati che contengono verbi come "credere", "sapere", "dubitare", "temere", "sperare". Sono verbi che, in logica, introducono atteggiamenti proposizionali differenti che ci dicono l'orientamento del parlante nei confronti dei contenuti proposizionali, espressi dalla frase oggettiva che li completa. "Credo che il Milan passerà il turno alla Champions League"; "Temo che alla fine ci sarà la guerra in Iraq"; "Dubito che l'inflazione si ridurrà sotto il 2 per cento nei prossimi mesi"; "Spero che la fanciullina mi telefoni". Nel Conversazionalismo, i verbi di atteggiamento proposizionale vengono chiamati "predicati finzionali", per significare che aprono ai mondi del possibile dove il Milan passa il turno, la guerra non ci sarà, l'inflazione si riduce sotto il 2 per cento e la fanciullina telefona, consentendo di uscire dalle opposte contingenze attuali.
Enunciati contro-fattuali. La semantica dei mondi possibili si applica anche ai condizionali contro-fattuali. "Se gli uomini nascessero senza orecchie, le fabbriche di cappelli fallirebbero." "Se Venezia fosse al Polo Nord, le gondole avrebbero i pattini." "Se non avessi sposato Pierrette, avrei sposato Adriana." "Si j'eusse étudié au temps de ma jeunesse folle / j'eusse maison et couche molle." Questi enunciati si chiamano contro-fattuali perché l'uso del congiuntivo suggerisce che la situazione descritta nell'antecedente (Venezia costruita al Polo Nord, il non aver sposato Pierrette, gli uomini che nascono senza orecchie, Villon che ha condotto una giovinezza di studi) è contraria al modo in cui le cose stanno. È falsa nel mondo attuale. Chiunque asserisce una cosa del genere si sbaglia, dice il falso. Ebbene, l'uso dei mondi possibili consente di evitare giudizi di valore di verità: afferma infatti che la situazione presentata nell'antecedente, descrive uno stato di cose in mondi possibili, dove Venezia è al Polo Nord, dove tutti gli uomini nascono senza orecchie, dove Giampaolo non ha sposato Pierrette, e se ne pente, dove Villon ha passato la sua adolescenza sui banchi di scuola. Come vedete, ci siamo già immersi nei mondi possibili, anche se non abbiamo ancora definito che cosa sono precisamente, come tenteremo ora di fare.
Il fenomeno dei salti da un mondo attuale ad altri mondi possibili. Mi sono proposto di ragionare oggi assieme a voi su un fenomeno straordinario che ci è stato dato di osservare, isolare, descrivere, nel corso di conversazioni terapeutiche professionali. In particolare, nelle terapie conversazionali. Si tratta del fenomeno che chiameremo dei "salti da un mondo a un altro mondo", più precisamente dei "salti dal mondo attuale a un mondo possibile, o a più di un mondo possibile, a più mondi possibili". Per procedere non arbitrariamente nella nostra argomentazione, dovremo rispettare alcuni passaggi logici.
1. Prima di tutto, dovremo cercare di mostrare l'oggetto che abbiamo definito con il termine di "salti da un mondo attuale a mondi possibili", in modo che sia chiaro a noi, quando via via ne parleremo, che stiamo utilizzando le stesse parole per riferirci alla stessa cosa. Dovremo cioè fornire esempi di ciò di cui parliamo. Comincerò quindi con il leggervi un brevissimo testo registrato dove il fenomeno in questione si osserva.
2. Successivamente dovremo concordare l'accezione nella quale utilizzo i singoli termini che compongono il titolo della mia relazione: L'etica dei mondi possibili. Dovrò necessariamente, per far questo, compiere incursioni nel campo della filosofia e della logica, cercando di essere il più leggero possibile, anche trattando di Aristotele, che sarà nostra guida.
3. Poi tornerò a mostravi altri esempi di salti dal mondo attuale nei mondi possibili, scegliendo le conversazioni con una anziana signora, Carlotta, con diagnosi di probabile malattia di Alzheimer, seguita da Emanuela Lo Re e poi la conversazione con una giovanissima ragazzina di vent'anni, con diagnosi di probabili disordini dissociativi di personalità, in trattamento conversazionale.
4. Via via dovrebbero emergere le ampie possibilità di uso della tecnica, del metodo, dell'etica dei mondi possibili in tre ambiti precisi:
a) in terapia
b) nella formazione degli operatori di counselling
c) nelle supervisioni.
Degli argomenti che non riuscirò a toccare nel tempo che mi è concesso, parleremo nel gruppo del pomeriggio.
Un esempio di salto dal mondo attuale ai mondi possibili
Osserviamo, intanto, ascoltiamo piuttosto, la trascrizione di alcuni turni verbali di una conversazione raccolta da Emanuela Lo Re con Carlotta, il 5 marzo 2001, una paziente di oltre settant'anni, ospite di una residenza protetta, con diagnosi di probabile malattia di Alzheimer.
6. CARLOTTA: Preferito perché ho fatto tre gare e tre le ho vinte.
7. EMANUELA: Ha vinto tre gare.
7. CARLOTTA: Tre gare con il valzer.
8. EMANUELA: Il valzer quello, le piace il valzer viennese.
8. CARLOTTA: Quello lì normale che fanno, allora facevano le gare. Ci mettevamo là tutti in fila e man mano che toccava andava avanti sempre il primo e via e via e via, e poi arriviamo alle votazioni , io ero lì che tremavo.
9. EMANUELA: Chissà che emozione.
9. CARLOTTA: Ero emozionata sì, perché dicevo: "Mah, chissà se ci sarò dentro", o seconda o terza, ho detto: "Penso di esserci", e invece (batte le mani) la prima.
10. EMANUELA: E ha vinto qualcosa di bello?
10. CARLOTTA: Sì, mi hanno dato cinquantamila lire.
11. EMANUELA: Madonna mia.
11. CARLOTTA: Mi hanno dato cinquantamila lire, poi c'erano tre bottiglie, una di liquore e due di vino bianco e uno nero, poi c'era il panettone, e poi cosa c'era? Non mi ricordo neanche più. Insomma, è stata una bella serata, bellissima proprio, i miei figli m'han fatto gli onori, eh.
12. EMANUELA: Quindi una bellissima serata, un bellissimo premio.
12. CARLOTTA: Davvero e i miei figli tutti che mi lodavano proprio perché loro che eran più giovani non sono riusciti a fare quello che ho fatto io.
Commento
L'apertura al mondo possibile consente il va e vieni dal mondo di una volta, circonfuso dalla luce incerta di un frammento di ricordo, dove Carlotta ballava il valzer e vinceva premi, al tempo della sera precedente, dove Carlotta ha continuato a ballare il valzer e a vincere premi, sfidando l'invidia dei figli grandi, uscendo così, a tratti, dalla contingenza del mondo attuale di una signora un po' in là con gli anni che vive nel silenzio e nell'ovatta di una tra le tante serate sempre uguali in una residenza per anziani. Emanuela segue la sua interlocutrice nel mondo finzionale aperto da Carlotta, condividendo il piacere da questa mostrato nella conversazione attuale. E per ora ciò basti a circoscrivere provvisoriamente il concetto di salto dal mondo attuale nei mondi possibili, con gli effetti etici, nel senso di felicità conversazionale, dei partecipanti alla migrazione.
Definizioni di etica
Ma torniamo al titolo della nostra relazione: L'etica dei mondi possibili. È il titolo che mi è stato suggerito da Anna Rotondo e Dela Ranci. È un titolo molto bello. E buono. Se ciò che riuscirò a dirvi sarà buono, il merito andrà quindi a Dela e Anna. Se non sarà buono, il demerito apparterrà solo a me. Allora: che cosa è "etica"? che cosa è "mondo"? che cosa sono i "possibili"? Per risalire, composizionalmente, a che cosa è, a che cosa si intende con la formula: "L'etica dei mondi possibili". Che cosa è dunque "etica"? Il termine greco éthika, da éthos, "costume", tradotto da Cicerone con moralis, "morale", da mos, "costume", è preso nelle due accezioni di "indole" e di "costume", e sta a significare il comportamento, l'atteggiamento, nei confronti del bene e del male. Prenderemo per guida, nella nostra escursione sull'etica, sulla filosofia "etica", "il maestro di color che sanno", come Dante (Inferno, IV, 131) chiama Aristotele. E, di Aristotele, il suo libro, probabilmente più famoso e fecondo, in ogni caso attuale, l'Etica Nicomachea. I due termini chiave relativi all'etica, nell'Etica Nicomachea, sono areté e eudaimonía. Areté è tradotto abitualmente con il termine "virtù". Il suo significato più ampio e completo, tuttavia, è "bontà, eccellenza, perfezione in ogni sorta di essere, atto o funzione". Sarà nella sua accezione più ampia che lo utilizzeremo. In tal modo il termine "virtù" designerà non unicamente ciò a cui si riferisce per lo più, e per così dire abitualmente, ossia l'insieme delle virtù della vita pratica dell'uomo: giustizia, magnanimità, liberalità, coraggio, amicizia, saggezza, sapienza. Ma anche proprietà degli animali e delle cose, come quando Aristotele dice: «Per esempio la virtù dell'occhio rende valente l'occhio e la sua funzione: noi infatti vediamo bene per la virtù dell'occhio. Similmente la virtù del cavallo rende il cavallo valente, abile alla corsa, a portare il cavaliere e a resistere ai nemici. Se dunque è così per tutte le cose...» (Etica Nicomachea, 2.1106a15-21). La proposizione condizionale: "Se dunque è così per tutte le cose", ci consente di estendere il termine "virtù", a tutte le cose, appunto, per cui si può parlare della virtù di un farmaco, della virtù di un argomento, e, per quanto ci riguarda, della virtù della conversazione, della bontà della conversazione, della buona conversazione, della conversazione felice.
Abbiamo così introdotto il secondo termine chiave dell'etica: eudaimonía, tradotto abitualmente appunto con "felicità", che va tuttavia intesa non tanto come uno stato, una disposizione d'animo stabile, quanto nel significato kinetico di realizzarsi, di realizzazione, di aver successo nella vita. E, come per areté, la virtù, che abbiamo esteso, dalla connotazione di proprietà dell'uomo, a definire proprietà degli animali e delle cose, così estenderemo il termine di felicità, eudaimonía, a proprietà anche delle cose, in particolare delle parole, delle frasi. Come quando si dice: "Ha usato un'espressione felice", o quando si dice: "Una frase buona", ma anche, tecnicamente, in linguistica e in logica: "Una frase ben formata".
Si è così preparato il terreno, in senso logico-linguistico-etimologico, per precisare che cosa è l'etica, la filosofia "etica", per Aristotele, e per il nostro titolo. «L'eudaimonia, la felicità, è il sommo bene» (Etica Nicomachea, 7.1097b22-23). Ognuno di noi, su questo Aristotele sembra non avere dubbi, vuole realizzarsi, avere successo, essere felice, raggiungere il sommo bene. Ma, data la presenza del male nel mondo, forse rischia di restare un utopico miraggio obsoleto la ricerca di felicità, se ognuno di noi, ogni giorno, da ogni parte, «sopporta i colpi di fionda e i dardi della fortuna insensata, ... il mare di guai ... lo strazio del cuore e i mille traumi che la carne eredita ... questo groviglio funesto ... di una vita così lunga alla nostra sciagura ... le frustate e le ingiurie del tempo, il torto dell'oppressore, l'oltraggio del superbo, le angosce dell'amore disprezzato, le lentezze della legge, l'insolenza delle autorità, e le umiliazioni che il merito paziente riceve dagli indegni» (Amleto, Atto III, scena 1a). Anche Aristotele, d'altra parte, che aveva gambe lunghe e magre, soffriva di sciatica, o forse di artrosi dell'anca, negli anni maturi della sua vita, ciò che lo obbligava a camminare nelle strade di Atene, prima dell'esilio, sostenuto da un amico o da uno schiavo o da un bastone. La domanda, quindi, che si impone a questo punto, è quella che abbiamo posto come stella polare e guida sicura nel Conversazionalismo e suona così: "Come se ne esce?". Come si esce dall'infelicità di ogni giorno? dall'infelicità conversazionale, in particolare? Qual è la strada verso la felicità? Come si può conseguire l'eudaimonía, la felicità, la riuscita, la realizzazione? in tutti i campi, compresa la felicità nella conversazione? Come vedete, si tratta di una domanda squisitamente etica. Che riguarda cioè la pratica, i modi in cui gli uomini agiscono in varie circostanze della vita, con maggiore o minore eccellenza o perfezione, ossia virtù. Ricordiamo che Aristotele divide la conoscenza, la scienza del mondo e dell'uomo, in tre classi: scienza teoretica, scienza pratica, scienza produttiva. «Ogni pensiero è o pratico o produttivo e teoretico» (Metafisica, 6.1.1025b25). La scienza produttiva comprende le arti in generale, e in particolare la poetica e la retorica, che ci interessano direttamente per la conduzione delle conversazioni. La scienza teoretica o contemplativa comprende le scienze naturali, la matematica, la geometria, la metafisica, la logica, la teologia. E infine, per riprendere il filo del nostro discorso, la scienza pratica ha al suo centro l'etica (oltre che la politica, che però non prenderemo qui in considerazione). Il modo con il quale Aristotele si avvicina all'etica è esplicito nel passaggio seguente: «La presente trattazione non è, come le altre, intrapresa a fini teorici ( perché conduciamo questa indagine non per sapere che cos'è il bene ma per diventare uomini buoni» (Etica Nicomachea, 2.2.1003b26-28). Che è la medesima prospettiva da noi adottata nel nostro cammino in psicoanalisi ormai molti anni fa, quando facevamo ricerche sulla "tecnica senza teoria" (Lai G., 1980, 1982). Comunque, nella prospettiva dell'etica, si cerca il sommo bene, e il sommo bene è la felicità. E che cosa è la felicità? Ecco la risposta: «La felicità è dunque un'attività dell'anima conforme a una virtù perfetta» (Etica Nicomachea, 1.13.1002a5.6); la felicità, «il bene sommo è un'attività dell'anima secondo virtù» (Etica Nicomachea, 1.7.1098a16). Ma dire che il bene sommo, l'eudaimonía, la felicità, la realizzazione perfetta di sé è un'attività dell'anima secondo virtù, areté, secondo bontà, eccellenza, perfezione, apre il discorso sull'anima, in particolare per sapere che cosa è "anima".
L'anima
«L'anima è il principio primo per il quale viviamo, sentiamo e pensiamo» (Dell'anima, 2.2.414a12). In quanto presiede al vivere, abbiamo l'anima vegetativa, che condividiamo con le piante e gli animali. In quanto presiede al sentire, abbiamo l'anima sensitiva, o concupiscibile, o irascibile, che condividiamo con gli animali. In quanto presiede al pensare, abbiamo l'anima razionale o intellettiva, che è quella che ci distingue dagli altri animali, perché nell'intelletto gli uomini contengono qualcosa di divino. L'intelletto è «il divino in noi» (Etica Nicomachea, 10.7.1178a2-.3); gli uomini «contengono qualcosa di divino ( ciò che chiamiamo intelletto è il divino in noi» (La generazione degli animali, 2.3.737a10-11). Non è stata ancora scritta una fenomenologia che correli forme specifiche di terapia all'una o all'altra delle tre anime, anche se alcune corrispondenze sono intuitivamente facili da stabilire. A ogni modo, dalla tripartizione dell'anima, se la felicità è un'attività dell'anima secondo virtù, se le anime sono tre, e se, di queste, solo l'anima intellettiva è quella che distingue l'uomo dagli animali, ne consegue, per Aristotele, che la felicità propria dell'uomo è l'attività dell'anima intellettiva secondo virtù. Ma se corretta sembra la procedura del filosofo di situare il sommo bene, l'eudaimonía, laddove si trova, in cima di una scala architettonica, nel senso che solo l'uomo all'ultimo gradino possiede e nessun'altra creatura dell'universo, bisogna dire che Aristotele si è fermato troppo presto, interrompendosi alle funzioni mentali dell'intelletto. Perché, se è vero che la ragione e l'intelletto sono i cieli nei quali l'uomo ha disteso più ampiamente di altri animali le sue ali, tuttavia è improprio dire che le funzioni mentali della ragione e dell'intelletto sono prerogative sue specifiche: anche gli animali ragionano, anche gli animali emettono giudizi, hanno i loro criteri per discriminare l'affermazione dalla negazione, il bene dal male, costruiscono i loro sillogismi che li orientano nel mondo e li fanno agire sul mondo con articolate modalità volte alla realizzazione di un fine, analoghe alle attività intenzionali dell'uomo. Questo, Aristotele lo aveva intravisto quando scriveva: «Ma in particolar modo ciò è manifesto negli altri animali che non agiscono né per arte né per ricerca né per volontà: tanto che alcuni si chiedono se alcuni di essi, come i ragni e le formiche o altri di tal genere, lavorino con la mente o con qualche altro organo. E per chi procede così gradatamente, anche nelle piante appare che le cose utili sono prodotte per il fine, come le foglie per proteggere il frutto. Se, dunque, secondo natura in vista di un fine la rondine crea il suo nido, e il ragno la tela, e le piante mettono le foglie per i frutti, e le radici non su ma giù per il nutrimento, è evidente che tale causa è appunto nelle cose che sono generate ed esistono per natura. E poiché la natura è duplice, cioè come materia e come forma, e poiché quest'ultima è il fine e tutto il resto è in virtù del fine, questa sarà anche la causa, anzi, la causa finale» (Fisica 2.8.199a). Ma se le funzioni mentali dell'intelletto e della ragione non sono sufficienti a tracciare il discrimine tra uomo e animali, discrimine che tuttavia intuitivamente ha una sua solida esigenza, in quali altre funzioni o attività potremo cercarlo? Il nodo che aveva trattenuto Aristotele al di qua del possibile salto viene per noi sciolto dal Vangelo secondo Giovanni.
In principium erat Verbum
Nel principio era la Parola, In principium erat Verbum
la Parola era con Dio, et Verbum erat apud Deum
e la Parola era Dio. et Verbum erat Deus.
(Giovanni, 1,14)
A questi versetti vertiginosi non posso avvicinarmi se non con l'abito dimesso del logico e del linguista; e del conversazionalista, che di un testo considera unicamente il suo aspetto di senso, identificato nei motivi narrativi, e non l'aspetto di significato, che ha a che fare con il riferimento di un testo, e quindi con i suoi valori di verità e in definitiva con la dimensione ontologica o metafisica dell'essere. Non oserei mai tentarne un'esegesi teologica, che ha a che fare appunto con l'aspetto di significato dei segni, e che mi vede, ovviamente, incompetente. Limitiamoci quindi a richiamare che, nei due misteri grandiosi dell'incarnazione e della trinità, la Parola è la seconda persona della Trinità, il figlio di Dio, disceso in terra e incarnato in una sola persona ma in due nature. «Unio est facta in Verbi persona, non autem in natura» (Tomaso, Summa Theologica, III, q.II, 2). Nell'incarnazione la carne è la materia della Parola e la Parola è la forma della carne. Ricordiamo anche che i Vangeli sono tutti scritti nella lingua più piana e diretta necessaria a rendere accessibile a tutte le persone più semplici la buona novella che annunciano (lat. cristiano evangelium, adattamento del greco cristiano euangelium, composto di eu-, "bene, buono", e angelos, "messaggero, annunzio"). Riprendiamo ancora un passo di Giovanni (5, 24): «Amen, amen dico vobis, quia qui verbum meum audit, et credit ei, qui misit me, habet vitam aeternam»; «In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna». Con ogni evidenza, quindi, utilizzando il termine verbum, Giovanni intendeva richiamare, dirigere, l'attenzione del lettore proprio sulla parola, sulla parola che può venire pronunciata e udita: «qui verbum meum audit». E tuttavia, l'esegesi più tarda, di matrice scolastica, fatta propria da Dante, prende il termine verbum nell'accezione di "sapienza". «Fecemi la divina Potestate, / la somma Sapienza e 'l primo Amore» (Inferno, III, 5-6); la «potenza somma del Padre ..., la somma sapienza del figliuolo..., la somma e ferventissima caritade dello Spirito santo» (Convivio, II, V). Ma noi ci atterremo alla lezione originaria di Giovanni, dove, nell'incarnazione, la carne è la materia della Parola, e la Parola è la forma della carne. Dove la parola materiale è pronunciata e udita mentre la parola immateriale sta presso Dio, essendo Dio. Dove la parola è il divino nell'uomo che solo l'uomo possiede e nessun'altra creatura, animale o vegetale. Se mi è permessa un'autocitazione, scrivevo anni fa: "Il dualismo tra Dio e la natura, tra il creatore e le creature, sta tutto qui, nella parola che è con Dio e non è con la natura. La distinzione, precisata da filosofi e logici, in termini di corpo e di anima, corpo e mente, e poi in termini di scienze della natura e scienze dell'uomo, è segnata dal limite della parola, che situa nell'universo divino la parola, e nell'universo della natura tutte le creature della creazione, luce, tenebre, firmamento, acqua, terra, erbe, alberi, sole, luna, pesci, uccelli e bestie selvagge, l'uomo e la donna. L'uomo e la donna sono sul crinale del naturale e del divino, tra le creature e Dio. Sono creature tra le altre della natura, perché come esse palpitano e respirano, si muovono, mangiano, procreano, pensano, ragionano, patiscono e gioiscono. Sono individui divini, per la parola, immortale in Dio, come Dio» (G. Lai, Il labile sogno di normalizzare il caos, 1995-1996, pp. 43-55).
L'anima locutiva.
Dal periglioso, ancorché appassionante, viaggio nei mondi di Aristotele e del vangelo di Giovanni, ritorniamo con il dono di una ultima anima, che, aggiunta alle altre tre, dà la somma di quattro anime, abitanti in ogni persona: 1. l'anima vegetativa; 2. l'anima sensitiva, concupiscibile e irascibile; 3. l'anima razionale e intellettiva; 4. l'anima della parola, l'anima verbale, che propongo di chiamare, facendomi officiante di un battesimo, l'anima locutiva. Allora, se il bene sommo, l'eudaimonía, la felicità, sta nell'attività, nell'opera, che l'uomo solo sa svolgere; il bene proprio dell'uomo è l'attività dell'anima della parola, dell'anima locutiva, secondo virtù, esercitata nel modo migliore, con eccellenza. L'eudaimonía, la felicità, è l'attività dell'anima verbale esercitata con eccellenza, cioè una buona conversazione. La parola, l'anima locutiva, è la forma, l'atto, l'entelechia, di ciò che nella sostanza della parola, cioè nell'articolazione dei suoni, nell'assemblaggio delle vocali e delle sillabe e del lessico, è la sua potenza. O, in altri termini: L'anima locutiva è l'entelechía prima, cioè essenziale, del corpo naturale dei fonemi articolati che ha il suo atto perfetto, la sua entelechia, nelle frasi ben formate di una conversazione.
Il Conversazionalismo pone al centro della sua attività pratica l'anima locutiva. La causa finale delle attività del conversante è una buona conversazione, una conversazione felice. L'obiettivo, lo scopo, il télos, l'aim, "ciò al fine di cui" il conversante utilizza le proprie parole e i propri silenzi, la propria tecnica conversazionale, sono le parole ben formate di una buona conversazione. È questa l'etica del Conversazionalismo. Una buona conversazione, una conversazione felice, è l'entelechía dell'etica del conversante e della potenza insita nell'interlocutore paziente che si traduce in atto. E ciò basti per quanto riguarda il termine "etica" del nostro titolo, con i concetti correlati di "eudaimonía" e di "anima locutiva". Ci resta da concordare l'accezione nella quale utilizzeremo i termini di "mondo", di "possibili" e, composizionalmente, di "mondi possibili". Prima ascoltiamo assieme una conversazione raccolta il 12 settembre 2002, al ritorno dalla pausa estiva, con Greta, una ragazzina di circa vent'anni, per la quale è stata posta la diagnosi di probabile disturbo dissociativo di personalità, in terapia già da qualche mese.
I Malumorati.
1 GRETA (al 23° minuto della conversazione, brano 3): Non so cosa sia, ma io mi sento di vivere questa cosa così sola (piange) e di, e di, non so, di, ecco, di essere abbandonata ai miei fantasmi, no, se non, voglio dire, se non l'avessi conosciuto, se non ci fosse nessuno in vista, avrebbero continuato a dormire, invece questo fatto, che si crea questo, questo, questa fuga di me, e nessuno che se ne occupi, no.
1 CONVERSANTE: E sono lì, questi suoi fantasmi, autonomi rispetto al ragazzo che li ha solo svegliati, e torneranno a farsi sentire ancora, se non troviamo il modo di parlare con loro, con questi fantasmi inquilini del suo palazzo.
2 GRETA: Certo, tant'è che, poi dopo un po' sono riuscita a capire questo, che erano già dentro di me, e che c'erano indipendentemente da lui. E adesso io vorrei proprio scappare, cioè, vorrei, vorrei, non so (i singhiozzi soffocano a tratti le parole), perché questo fatto che, che, che tutte queste cose accadono dentro di me, cioè, da un lato io le vorrei condividere con lui, no, perché sento, perché, ecco, perché in qualche modo è lui che le scopre e poi mi lascia, mi lascia sola ad occuparmene, no, e quindi io vorrei, vorrei essere, è quello che dico, cioè, come dicevo prima, vorrei essere sincera nel senso di, di aprirmi, no, e invece no, e allora questa mattina gli facevo dei discorsi, gli dicevo delle cose che mentalmente avrei voluto dirgli, no, ed era terribile, perché, perché mi accorgevo che, che era (sic) ancora più sola, e queste cose non gliele avrei mai potuto dire, no, perché non, perché non era possibile, per i motivi che, e quindi, era, era (soffoca nel pianto) era talmente, talmente brutto, era, cioè, non so, mi sta, e allora, dall'altra parte, vorrei, cioè vorrei proprio scappare (25'), non so.
2 CONVERSANTE: Ma anche se scappa per il mare con la sua nave, loro abitano con lei in una o nell'altra cuccetta della medesima nave.
3 GRETA: Non so, tipo, cancellarlo da, da, da, dall'esistenza, non pensarci più. Infatti non mi piace nominarlo perché, perché, perché mi ricorda proprio, mi butta, il fatto soltanto di pronunciare il suo nome, mi, mi, mi opprime, mi, tutte queste cose, no, mi, e, ho paura, proprio, e quindi, ho l'impressione ecco, e questo, questo, miii, mi mette in difficoltà nei suoi confronti, perché è come se lui mi volesse male, no, cioè il fatto che si scatenano tutte queste cose, mi sembra quasi che lui, che lui mi voglia del male, non so come dire, e lui evidentemente non ne sa niente, non può, però è come se questa cosa me lo rendesse, me lo rendesse, cioè, non lo potessi sentire come mio complice, lo sento come un nemico, e quindi questo mi mette in difficoltà, mi fa sentire, così, a dover dominare tutte queste, non mi sento in confidenza, di riuscire a fare questa cosa, e di aver paura invece dello scacco e, insomma, insomma, io me ne vorrei andare (27'33"), vorrei andarmene, vorrei, vorrei, proprio, ecco ieri capivo proprio la gente che, la gente che si droga, proprio, proprio perdere la coscienza, della propria esistenza, ecco, mi sembra fantastico, (singhiozza) ecco, e e poi mi pesa un sacco, ecco, questa cosa di non poter di non poter, di non potergliene parlare, di dover fare sempre finta.
3 CONVERSANTE: Sì, ma intanto proviamo, qui può parlarne, e così possiamo guardarli in faccia questi fantasmi.
4 GRETA: Eh.
4 CONVERSANTE: Se prova a lasciarli venire fuori, dalla loro stanza, che scorazzino per questa stanza, possiamo vedere che aspetto hanno, e poi ascoltare che cosa hanno da dire, e se fanno troppo rumore li chiudiamo dentro un cassetto.
5 GRETA: Che ridere, quando ero piccola c'erano i Malumorati, li chiamavamo.
5 CONVERSANTE: Come?
6 GRETA: I Malumorati.
6 CONVERSANTE: I Malumorati.
7 GRETA: Quand'ero di cattivo umore la mat, quand'ero triste la mattina, ma quand'ero molto piccola, andavo a letto dai miei genitori e quand'ero, quand'ero di cattivo umore mio padre diceva che metteva i Malumorati fuori dalla, dalla finestra.
7 CONVERSANTE: Ecco.
8 GRETA: Ma io avevo talmente, ero veramente, talmente vicina, talmente, anche con i Malumorati, che avevo pietà di loro, che avessero freddo, (ride) allora mio padre gli metteva il cappottino (riso squillante; silenzio dal 28'59" fino al 29'21"). Non lo so, penso che, la, che mi, forse, non lo so. Non so. Forse proprio questo, questo fatto.
Commento
Greta ci ha offerto un toccante e bellissimo esempio di salti da un mondo a un altro, dal mondo attuale a un mondo possibile, anzi, di due salti per così dire in parallelo. Mentre, infatti, dal mondo attuale della conversazione in corso (dove patisce i dolori e i pensieri brutti di solitudine) salta a un mondo alternativo possibile (dove i pensieri e le emozioni diventano individui che abitano le camere dei palazzi o le cuccette delle navi o scorazzano nello studio dell'analista o possono essere rinchiusi in cassetti), Greta evoca un salto analogo, del quale è stata testimone tanti anni prima, sempre da un mondo attuale fatto di pensieri sgradevoli e di umore scontroso, a un mondo possibile dove le inquietudini diventano piccoli personaggi ai quali il padre di Greta mette il cappottino perché non prendano freddo quando sono esiliati fuori dalla finestra. La tecnica conversazionale del terapeuta è sostanzialmente analoga a quella del padre di Greta. L'uno e l'altro procedono alla concretizzazione e alla personificazione di entità naturali: i pensieri e le emozioni si fanno persone. Inoltre il padre di Greta utilizza anche una procedura specifica del Conversazionalismo, cioè la tecnica dei battesimi, dando un nome alle entità naturali personificate: i Malumorati. Nell'esempio di Greta, inoltre, vediamo da presso confermata la nostra posizione, che la parola è il divino in noi. È infatti la parola del padre di Greta, come quella del conversante e di Greta, che crea i mondi possibili e i suoi abitanti, e che, in quanto creatrice dal nulla, è divina. Ma non perché la parola è il principio divino dell'Intelligenza, e della Ragione: «Le Verbe divin, en tant que raison universelle, renferme dans sa substance les idées primordiales de tous les (tres ou créés ou possibiles» (Malebranche, Entretiens Métaphysiques, III, 2). Semplicemente perché la parola, in quanto parola, è figlia di Dio.
I mondi
Passiamo ora a precisare l'accezione nella quale utilizzeremo i termini di "mondo", di "possibili" e, composizionalmente, di "mondi possibili". Cominciamo a chiederci: Che cos'è un mondo, il mondo; che cosa sono i mondi? Un mondo è un insieme di oggetti, dotati di proprietà, e di relazioni che li connettono gli uni con gli altri: proprietà e relazioni che ubbidiscono a regole e leggi proprie del mondo in questione. In virtù delle leggi proprie di ogni mondo, alcuni mondi sono accessibili da altri mondi, se le reciproche leggi sono compatibili, mentre sono inaccessibili, se le rispettive leggi sono incompatibili. Quando un mondo A è accessibile da un mondo B, diciamo che, per B, A è un mondo possibile. Così, il mondo dei Malumorati (A) era accessibile dal mondo attuale (B) di Greta bambina. Il mondo dei fantasmi dove vigono leggi che consentono loro di scorazzare nella stanza dell'analista e di venire rinchiusi nei cassetti che non ci sono (la stanza in questione è fatta di pareti di legno lisce) è accessibile dal mondo dove Greta e il conversante attualmente parlano. Nella logica modale contemporanea, le relazioni fra i mondi di Greta che conversa con l'analista e i mondi dei fantasmi e i mondi dei Malumorati trovano espressaione nella seguente formula: uRv. Nella quale u e v sono mondi. R una relazione di possibilità relativa tra mondi. Intuitivamente, la formula ci dice che v è accessibile da u. Ciò significa che, relativamente a u, la situazione v è possibile.
Possibile
Che cos'è "possibile"? Ci occuperemo del "possibile" nella prospettiva della logica modale. La distinzione moderna tra logica proposizionale classica e logica modale corrisponde in qualche modo alla differenza, in Aristotele, tra sillogismi non modali, chiamati categorici, e sillogismi modali. I sillogismi non modali categorici utilizzano i quantificatori universale: "tutti", "nessuno", e esistenziale: "qualche". La logica modale, nel senso di modalità aletica, quella nota a Aristotele, utilizza gli operatori necessario, possibile, impossibile, contingente. Attraverso lo studio delle modalità aletiche, Aristotele cercava di risolvere, da una parte, i problemi metafisici della distinzione fra potenza e atto, e, dall'altra, i problemi logici della distinzione tra proprietà essenziali, necessarie e proprietà accidentali, contingenti. La distinzione tra potenza e atto, parallela alla distinzione tra sostanza e forma, cruciali nella metafisica di Aristotele, è anche al centro delle nostre riflessioni sui mondi possibili. Se il Perseo di Cellini è la forma data dall'artista alla materia del bronzo in cui era in potenza, il mutamento dal bronzo alla statua è il passaggio dalla potenza all'atto della statua realizzata. I fonemi, il lessico, le facoltà materiali del linguaggio di Greta sono la sostanza che contiene in potenza la capacità di ricevere e di assumere la forma dell'atto perfettamente realizzato nella formulazione del motivo narrativo dei Malumorati. Si intuisce da questi brevi accenni la centralità per il Conversazionalismo delle due coppie di concetti: potenza versus atto e sostanza versus forma (forma realizzata nel motivo narrativo). Comunque, la logica modale, in quanto estensione sintattica della logica classica, studia i principi del ragionamento che implicano la necessità e la possibilità. Il linguaggio della logica modale si ottiene aggiungendo, al linguaggio della logica classica, l'operatore "L" come simbolo della necessità e l'operatore "M" come simbolo della possibilità. Intuitivamente, ponendo p come variabile proposizionale suscettibile di qualsiasi valore sintattico e lessicale (p = "i corvi sono neri"', "il sole sorge dopo la notte", "il mio ragazzo è mio nemico"), Lp si legge come "è necessariamente il caso che p"; "è necessariamente il caso che il giorno sorga dopo la notte", "è necessariamente il caso che i corvi siano neri", "è necessariamente il caso che il mio ragazzo sia mio nemico". Mentre Mp si legge come "è possibile il caso che p", "è possibile il caso che il 6 ottobre io sia a Parma". Necessità e possibilità sono interdefinibili attraverso la negazione (simbolo ():
1) Lp = ( M ( p
2) Mp = ( L ( p
Dire "è necessariamente il caso che il giorno sorga dopo la notte", per la 1, equivale a dire "non è possibile che il giorno non sorga dopo la notte". Dire "è possibile il caso che il 6 ottobre io sia a Parma", per la 2, equivale a dire che "non è necessariamente il caso che il 6 ottobre io non sia a Parma".
I mondi possibili
Siamo ora in grado di definire, composizionalmente, il concetto di "mondo possibile". Per cominciare, lasciamoci prendere dall'incantamento della bella favola con la quale Leibniz chiude la terza parte della Teodicea (III, 414-416). Invitato da Giove a far visita alla figlia Pallade, il gran sacerdote «Teodoro fa il viaggio ad Atene. Gli si comanda di dormire nel tempio della dea. Sognando, si trova trasportato in un paese sconosciuto. V'era là un palazzo d'inconcepibile splendore e di grandezza immensa. La dea Pallade appare alla porta, circondata dai raggi di una maestà abbagliante, qualisque videri / Coelicolis et quanta solet, così grande e come sogliono vederla i celesti. La dea tocca il volto di Teodoro con un ramo d'olivo che tiene in mano: ed eccolo divenuto capace di sostenere i divini splendori della figlia di Giove, e di tutto ciò ch'ella deve mostrare. Giove, che ti ama, gli dice Pallade, ti ha raccomandato a me perché tu fossi istruito. Vedi qui il palazzo dei destini, di cui sono custode. Vi si trova rappresentato non soltanto ciò che avviene, ma anche tutto ciò che è possibile. E Giove, avendone fatto la rassegna prima che il mondo cominciasse a esistere, ordinò le possibilità in mondi, e scelse il migliore di tutti ... Questi mondi sono tutti qui, vale a dire, in idea. Te ne mostrerò alcuni in cui troverai non già il medesimo Sesto che hai visto (questo non è possibile: egli porta sempre con sé ciò che sarà), ma Sesti che gli si avvicinano. Essi avranno tutto ciò che tu conosci già del vero Sesto, ma non tutto ciò che è già in lui, senza che egli se ne accorga; e neppure, di conseguenza, tutto ciò che gli dovrà in seguito accadere. Tu troverai, in un mondo, un Sesto molto felice e molto educato; in un altro, un Sesto contento della propria condizione mediocre; e Sesti di ogni genere, in un'infinità di modi. A questo punto la dea conduce Teodoro in uno degli appartamenti. Quando vi giunge, questo non è più un appartamento ma un mondo ... Gli appartamenti erano disposti a piramide: a mano a mano che si saliva verso il vertice, diventavano sempre più belli e rappresentavano mondi migliori. La piramide aveva un vertice, ma non aveva basi: andava crescendo all'infinito. E questo perché, spiega la dea, tra un'infinità di mondi possibili vi è il migliore di tutti, altrimenti Dio non si sarebbe determinato a crearne neppure uno; ma non ve n'è nessuno che non ne abbia altri, meno perfetti, al di sotto di sé. Per questo la piramide scende sempre, all'infinito».
Il palazzo dei destini di Cecilia
Cecilia è una signora piccola, minuta, che vedo immobile, il viso ripiegato sul petto, nell'ampio salone dell'istituto geriatrico in cui soggiorna. Arriva nella stanza dove avviene la conversazione procedendo a passettini strascicati, le due mani protese sostenute dall'infermiera che procede a ritroso. Quando, dopo la conversazione, la riaccompagno nel salone, si siede e riprende la medesima postura in cui l'ho trovata, immobile e silenziosa, apparentemente ignara del via vai delle infermiere e delle donne della pulizia e delle altre ospiti. Riportiamo qui di seguito alcuni turni verbali, contrassegnati dalla sequenza dei numeri, della nostra conversazione.
4 CECILIA: Mio marito è andato via con la mia bambina, non la mia bambina, con la mia nipotina.
5 CONVERSANTE: E dove è andato?
5 CECILIA: Eh, non lo so dove. So che non è tornato più indietro, né lui, né la nipotina.
6 CONVERSANTE: Dove saranno andati?
6 CECILIA: Eh, non lo so.
7 CONVERSANTE: Dove, dove pensa che siano andati? Sono andati (interrotto).
7 CECILIA: Io pensavo che fossero da qualche parente, ma non, ma se fosse stato là, vi, dai parenti, mi, mi avrebbero i parenti telefonato: "Guarda, guarda che tuo marito è qui". E invece non mi ha telefonato nessuno.
[...]
13 CECILIA: Sì, io penso che è andato in qualche posto o che l'hanno tenuto in quel posto.
14 CONVERSANTE: Ah. Ah.
14 CECILIA: È capitato anche a me che mi hanno fermato, mi hanno trattenuto in questo posto. Ma poi mi hanno lasciato libera.
15 CONVERSANTE: Ah, ho capito. Mi dica, mi dica di più, mi racconti ancora.
15 CECILIA: E mi hanno lasciato libera, dice: «Se tu non parli, non metti in giro voci, noi ti lasciamo libera». E io non ho parlato, ma visto che non usciva niente da questo brutto ricordo ho pensato che ci fosse di peggio, che questa gentaglia hanno tenuto loro prigioniero mio marito.
16 CONVERSANTE: Con la nipote.
16 CECILIA: Con la nipote. E poi non ho saputo più niente, perché non sapevo né l'indirizzo né niente, e, e sono andata avanti così, senza saper niente.
17 CONVERSANTE: È una storia drammatica quella che lei mi racconta.
17 CECILIA: Però, ho sempre fatto dei sogni strani, che mi sembravano realtà, e speravo che mio marito tornasse, invece non tornava mai. Mah. Perché è già un po' che è successo, questo, che lui è stato fermato da questo uomo.
18 CONVERSANTE: Da questo uomo.
18 CECILIA: Sì. E che ne aveva dato conto la storia che era stato fermato, e che se lui non parlava non, lo lasciavano libero, invece non l'ho visto più.
18 bis CONVERSANTE: E chi era questo uomo?
18 bis CECILIA: Io non l'ho mai visto.
19 CONVERSANTE: Ah, non l'ha mai visto. Uhm. Ma chiediamoci di vedere assieme. Cosa sarà successo. Cosa avrà voluto fare questo uomo.
19 CECILIA: Ma avrà voluto tenerlo là per indagare per qualche cosa che magari lui voleva sapere.
20 CONVERSANTE: Di che cosa poteva trattarsi? Proviamo a fare gli investigatori, lei e io, facciamo gli investigatori. Immaginiamo.
20 CECILIA: Eh, non so cosa pensare. Voleva appunto sapere qualche cosa che lui non ha potuto sapere. Io pensavo quello, si vede che gli ha fatto dire qualche cosa che lui voleva sapere. E basta, io non so cosa dire.
21 CONVERSANTE: Cerchiamo qui assieme, cerchiamo di investigare, di trovare.
21 CECILIA: O era uno che lui conosceva, voleva appunto fargli dire qualche cosa che lui voleva sapere.
22 CONVERSANTE (sovrapponendosi): Qualche segreto.
22 CECILIA: Sì, e invece non è, mio marito non ha parlato. Che l'hanno trattato magari male, e lui è stato costretto a dire qualche cosa. Quando hanno saputo magari quello, di, cosa che dico io, però, eh, quando hanno saputo quello che lui non, loro volevano sapere, allora l'hanno castigato, io dico castigato per non dire l'hanno preso e hanno fatto quello che volevano loro.
23 CONVERSANTE: È una triste storia. Tragica.
23 CECILIA: Sì, perché han, l'han preso la bambina con lui, che era piccola, setto o otto anni, e l'han fatta parlare, sin che le ha fatto dire quanto volevano sapere.
24 CONVERSANTE: Anche la nipotina, anche la nipotina sapeva.
24 CECILIA: Sapeva qualche cosa senz'altro, perché dopo, che non era la, lasciavano, non l'hanno più lasciata libera, tutto è andato, dico io, a posto. Loro hanno ottenuto quella ca, che volevano e la bambina l'hanno castigati, per, nel modo che loro volevano. Le avevan detto: «Se tu parli, noi ti facciamo qualche cosa che non va».
25 CONVERSANTE: E lei non l'hanno presa.
25 CECILIA: No.
26 CONVERSANTE: Lei non è stata presa.
26 CECILIA: No.
27 CONVERSANTE: È scappata via.
27 CECILIA: Io sono andata via. «Noi ti lasciamo andare, hanno detto, se tu confessi quello che mi hai detto.» Io naturalmente non ho parlato.
Commento
Come Teodoro, e come prima Greta, e Carlotta, anche Cecilia attraversa il palazzo dei destini, entrando in questo o quell'appartamento, in questo o quel mondo, mondo possibile alternativo a quello attuale, nel quale viene accompagnata dal conversante. In un mondo possibile di Cecilia accadono vicende drammatiche, dove il marito è tenuto prigioniero da personaggi cattivi, che nessuno ha mai visto, che avanzano strane e crudeli pretese, promettendo la libertà in cambio di parole dette o di parole taciute. In un altro mondo possibile, Cecilia e il conversante fanno gli investigatori, alla ricerca del marito. Non è difficile cogliere in entrambi i mondi possibili di Cecilia la medesima struttura narrativa, propria delle favole e del folklore, del viaggio nel regno dei morti e della ricerca dell'eroe scomparso (cfr. Lai. et al., 2002). Ma dalla prospettiva che ci ha guidato nel nostro incontro, che tratta dell'etica dei mondi possibili, non possiamo non considerare questo: Cecilia, accedendo al mondo possibile, trasforma la necessità brutale della morte definitiva del marito in una possibilità di ritrovare il marito che non è morto ma prigioniero di personaggi dell'altro mondo. Non solo, ma Cecilia, costruendo con la materia delle parole la forma di un possibile ritrovamento del marito scomparso, per un momento, per tutto il momento della conversazione, esce dalla palude dell'immobilità infelice e si immerge nella felicità conversazionale. Come aveva fatto Carlotta, sciogliendo le membra rattrappite dall'artrosi del mondo attuale in gambe leggere che ballano il valzer e vincono il primo premio nel mondo possibile. Come aveva fatto Greta, mutando il pianto irredimibile in un riso divertito alla vista dei Malumorati che aveva creato assieme alle parole del padre una prima volta e che ricrea nel mondo possibile con il Conversante.
Conclusioni
Un mondo possibile è un insieme di proposizioni, o di altri elementi linguistici. Un mondo possibile è l'insieme delle proposizioni che contiene, e che lo compongono. La parola racchiude, nella sua sostanza materiale, la forma, il motivo narrativo, di tutti gli esseri e di tutti gli eventi creati o possibili. Perché la parola, in quanto parola, è figlia di Dio, e crea il mondo, i mondi possibili. E in questa sua funzione, la parola, l'anima locutiva, è la realizzazione perfetta, l'entelechia, del bene sommo dell'uomo, che l'uomo solo sa svolgere e attingere, cioè l'eudaimonía, la felicità conversazionale.
Applicazioni dell'etica dei mondi possibili
La pratica dei mondi possibili che abbiamo descritto, il Conversazionalismo la applica:
1) nelle conversazioni terapeutiche professionali; 2) nelle conversazioni professionali non terapeutiche, esemplificate nel counselling e nelle attività di assessment e di formazione dei quadri aziendali; 3) nelle supervisioni dei terapeuti e dei counsellor; 4) nelle conversazioni del quotidiano, come quelle tra una madre e una figlia, tra due amiche, tra due fidanzati. Mi piace chiudere questi appunti con le parole che chiudono la presentazione del prossimo IV convegno sul Conversazionalismo, dal titolo "Le parole sospese", che si terrà a Parma: «Il convegno è considerato da diverse angolature ... ma questa è la prospettiva che racchiude tutte le altre, quella di guardare a qualcosa di trascendente rispetto sia alla tecnica sia al metodo che si configuri, nei tre gradini ascendenti di tecnica, metodo, etica, come un'etica del Conversazionalismo, l'etica della felicità conversazionale».
Note:
* Giampaolo Lai, psicoanalista, conversazionalista, direttore di «Tecniche conversazionali», docente alla Scuola di specializzazione in psicoterapia del Centro di Psicologia e Analisi Transazionale, Milano.
1) Il testo si riferisce alla giornata di studio "Un'etica per il nostro tempo", Palazzo delle Stelline, Milano il 20 settembre 2002
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MALEBRANCHE, Entretiens Métaphysiques, III, 2. (controllare alla Cattolica, citato da appunti)
Pizzi C., (controllare da Feltrinelli, rivedere, citato a Memoria.)
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VILLON F. (da controllare, ho citato a memoria).
* Per gli "enunciati di credenza" e i "predicati finzionali" cfr. Lai G., 1993, Hintikka J., 1968
* Per i "condizionali controfattuali" cfr. Pizzi C., Priest G., 2001, Casalegno P., 1997; Villon F.
* Per la pratica della "tecnica senza teoria" cfr. Lai G., 1980, 1982.
* Per la Conversazione felice cfr. Lai G., 1985.
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