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C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 40/2003

QUADERNI DI PSICOLOGIA,
ANALISI TRANSAZIONALE
E SCIENZE UMANE

Dal n° 40 - 2003


Tracce per la conduzione dei primi incontri con le coppie

Simone Filippi



Riassunto
Mi occupo da alcuni anni, insieme a Evita Cassoni, di incontrare per la prima volte le coppie che fanno richiesta di consulenza al Centro di Psicologia e Analisi Transazionale. Questa esperienza mi offre l’opportunità di accompagnare il lettore nel conoscere le modalità operative che adottiamo durante questi colloqui. Per raggiungere tale obiettivo ho cercato di “coniugare” informazioni relative ai diversi scenari possibili, la descrizione di strumenti concreti del nostro lavoro e alcune considerazioni teoriche che da esso derivano e che mi auguro ne approfondiscano il senso.

Abstract
HANDLING THE FIRST INTERVIEWS WITH COUPLES
For some years now I have been conducting together with Evita Cassoni the first interviews with the couples that come to Centro di Psicologia e Analisi Transazionale for counseling, thus I can help the readers to learn how to do it. In the article I give informations about different possible scenarios, I describe the operative instruments we use and draw from our work some theoretical considerations that I hope serve for a deeper understanding.


Son qui, giovane, carico d’amore, come può il mio amore non piacerle, cosa mai vuole costei che non mi prende, che non mi ama, cosa può volere di più di quel che io sento di poterle e di doverle dare? e così imperversa e non si dà ragione e a un certo punto l’innamoramento di lei è pure innamoramento di sé, di sé innamorato di lei, è innamoramento di quel che potrebbero essere loro due insieme, e non sono.
(Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, Einaudi, Torino 1959).


Una premessa necessaria
La nascita e l’evoluzione della vita di ogni coppia rappresenta un fenomeno talmente unico da non poter essere ridotto a categorie.
Anna Fabbrini (2000) definisce la coppia un mistero. L’immagine metaforica che a mio avviso rappresenta al meglio l’essenza della coppia, è quella del mare; come del mare possiamo stabilirne i confini, conoscerne le reazioni, attraversarlo e condividerne la forza, subirne il fascino e assaporare le emozioni che ci dona. Non è possibile, però, di qualsiasi coppia, così come del mare, tracciare una mappa precisa, percorribile in modo uguale volta per volta, come se vi fosse una strada dai limiti stabili e precisi. Per questi motivi, dinnanzi al misterioso legame che unisce due partner che in difficoltà chiedono aiuto, dobbiamo essere disposti ad affrontare quella contraddizione che ci porta ad accogliere il dolore, il male di vivere a due, delineandone alcuni possibili confini, senza aver però la presunzione di definire i più intimi segreti della sua essenza.
Traducendo queste prime impressioni in termini teorici, mi sembra che i primi colloqui con le coppie siano certamente momenti che mettono a dura prova la nostra capacità di trovare un equilibrio dinamico tra l’esigenza di formulare una rassicurante valutazione clinica e la disposizione ad ascoltare senza schematismi riduttivi qualsiasi sistema di valori, convinzioni, sentimenti ed esperienze, che i partner convenuti si accingono a mostrare.
Abbiamo dunque imparato, passo dopo passo e senza mai considerare finita questa impresa, a selezionare durante i primi colloqui alcuni dati significativi per la valutazione e, contemporaneamente, a considerare la relazione tra noi e la coppia come elemento fondamentale di conoscenza e di intervento.

Il contesto di riferimento: dove, con chi
I primi incontri con le coppie, fonte di queste mie riflessioni, avvengono presso il Centro di Psicologia e Analisi Transazionale e solitamente sono condotti da due terapeuti. Questa particolare scelta è dettata dalla constatazione che la coterapia risponde in modo più adeguato ai complicati aspetti relazionali che questi colloqui presentano. La sintonia tra i due terapeuti di coppia fornisce una risorsa più completa ed efficace nell’affrontare la tensione che emerge tra coinvolgimento e osservazione. Inoltre, consideriamo primo colloquio la sessione iniziale di un percorso di consulenza che potrà svolgersi in seguito con setting diversi e con gli stessi terapeuti. Gli incontri durano un’ora e mezza, un tempo che ci sembra sufficiente a ottenere informazioni importanti, fare restituzioni utili a costruire un’iniziale alleanza e proporre un piano di lavoro.
È impossibile fare psicoterapia o consulenza senza avere un fondamento teorico: disponendoci ad ascoltare una coppia abbiamo in mente le linee guida di un modello di cui apprezziamo sia le qualità organizzative che la flessibilità.
Dal punto di vista strutturale, pensiamo la coppia come un sistema relazionale formato da due persone, distinto rispetto all’ambiente esterno: essa, come insegna il paradigma sistemico, non è la semplice somma di due individui diversi e non può nemmeno essere strettamente inclusa, se non a rischio di gravi disagi, in un sistema più ampio e complesso. Pensiamo, quindi, che due persone generino una coppia facendo convivere l’esistenza di due personalità distinte, fondando allo stesso tempo un nuovo soggetto autonomo, creativo, originale; che, come in ogni altra tipologia di gruppo (Berne, 1963), questo insieme a due abbia un confine esterno che ne definisce e protegge lo spazio vitale e con esso l’esistenza e la crescita della relazione stessa.
Inoltre, pensiamo che tali limiti esterni cambino nel tempo e attraverso il tempo vadano tutelati dalle contaminazioni che possono renderne difficile la sopravvivenza. Dal punto di vista funzionale vediamo la relazione a due come un sistema dinamico, che nasce e si sviluppa attraverso una serie di intimi accordi, alcuni consapevoli altri inconsapevoli, e da eventi più generali, come l’innamoramento, la condivisione di progetti di vita, la convivenza o il matrimonio, l’eventuale nascita di figli.
Ogni situazione di cambiamento prevede il superamento delle sopravvenute distanze, la costruzione di differenti equilibri, con la formulazione di nuovi obiettivi comuni. Spesso questi passaggi sono dolorosi, in alcuni casi a tal punto da essere destrutturanti; altre volte il disagio può essere attraversato e superato più facilmente, con un ulteriore arricchimento dello stesso legame.
Come alcuni autori dell’Analisi Transazionale (Bilelo, 1979; Bader, 1980), pensiamo la coppia come un sistema che si sviluppa in stadi successivi: innamoramento, separazione-differenziazione, riavvicinamento, nuovo legame. Nella nostra esperienza clinica leggiamo le crisi come possibili espressioni di stallo in una di queste fasi: spesso i partner vivono posizioni differenti in altrettanti stadi di sviluppo, sperimentando delusione, frustrazione, rancore, distanza emotiva, di pensiero, di comportamento. Individuare queste reciproche posizioni può essere un passo cruciale per avviare la ricerca di nuove basi di una relazione condivisa.
Le successive descrizioni delle differenti fasi dei primi colloqui, offrono una guida per un’applicazione possibile dei concetti esposti sinora.

Prima di iniziare
Il primo contatto avviene quasi sempre per via telefonica. Le richieste di consultazione arrivano alla segreteria del Centro e sono inoltrate successivamente ai terapeuti. A questo punto del percorso, solitamente conosciamo solo i nomi dei partner e attraverso quali canali essi sono giunti sino a noi.
Contattiamo quindi di persona i clienti per concordare la data dell’incontro. Durante questa fase ascoltiamo la persona che si è fatta portavoce del disagio comune, raccogliamo le prime informazioni relative alle motivazioni che hanno portato la coppia a richiedere una consulenza e cerchiamo di riconoscere con quale grado di accordo i partner hanno preso questa decisione. Nel caso che sia solo uno dei due a volere un incontro per un problema di coppia, chiediamo ulteriori informazioni e, se accertiamo che il disagio è verosimilmente relativo alla relazione duale, cerchiamo di ottenere la presenza di entrambi al primo colloquio. Quando questo non sia possibile, proponiamo un incontro di orientamento individuale con un solo terapeuta, durante il quale prendere decisioni sulla strategia da seguire successivamente.
Per tali motivi e per tutelare la privacy dei clienti, soprattutto quando chiamiamo per la prima volta, ci presentiamo dicendo solo il nostro nome e cognome; alcune persone potrebbero, infatti, non aver comunicato al coniuge o ad altri parenti l’intenzione di iniziare un percorso di consulenza.

L’incontro
Al momento del primo appuntamento, stiamo per essere coinvolti in quei giochi, ruoli, regole dai quali le persone che si sono rivolte a noi vogliono liberarsi. Entreremo rapidamente in contatto anche con i sogni, i bisogni, le speranze e le risorse che hanno alimentato la vita della coppia. Da questi elementi dovremo trarre informazioni preziose.
Dopo semplici presentazioni, raggiungiamo la stanza del colloquio e facciamo scegliere ai partner dove sedersi, tra le diverse possibilità che l’arredamento dello studio offre. Successivamente, ci accomodiamo di fronte ai due, in modo da poter guardare entrambi con facilità. In questo momento, il primo strumento che abbiamo a disposizione è la vista. Adottando il quadro di riferimento berniano, questo vuol dire che cominciamo aeffettuare una diagnosi comportamentale. Osservando ciò che sta avvenendo dinnanzi a noi, abbiamo già alcuni elementi importanti per compiere questa operazione (Cattaneo, Sambin, 1993).
La disposizione spaziale scelta dai partner è un indizio significativo della disponibilità alla comunicazione reciproca; osserviamo la loro distanza una volta seduti, il loro orientamento corporeo, la possibilità in quella posizione di incrociare gli sguardi con facilità.
L’alleanza relativa al raggiungimento dell’obiettivo per cui sono giunti a noi, non sarà determinata in modo lineare dalla quantità di sguardi rivolti al compagno; gli sguardi reciproci indicano che i partner sono impegnati nello scambio, ma nel caso che questi siano molto insistenti, possono essere segnale di disturbo del racconto individuale o di reciproco controllo.

Il colloquio
Il colloquio vero e proprio inizia quando domandiamo ai membri della coppia che cosa li ha portati a chiedere un appuntamento con noi. In questo momento è essenziale riuscire a comunicare che ci stiamo rivolgendo a entrambi i partner e dare a ciascuno la medesima possibilità di esprimere liberamente il proprio punto di vista.
La descrizione del disagio personale è un momento delicato e importante: come Anna Fabbrini (2000) ha efficacemente descritto, le persone che abbiamo di fronte spesso sono arrivate a chiedere aiuto dopo lunghi momenti di crisi, dopo aver tentato molte altre soluzioni e aver probabilmente vissuto altrettanti fallimenti. Spesso sono persone stanche, con poca fiducia, arrabbiate e deluse. Tali condizioni meritano, quindi, un ascolto attento e paziente.
Dopo alcuni minuti di tale ascolto è possibile, a livello intuitivo, incominciare a distinguere se i partner che abbiamo di fronte siano intenzionati a seguire un percorso per rimanere uniti o se l’obiettivo di uno o di entrambi i partner sia invece la ricerca di un modo possibile per separarsi dall’altro.
Più frequentemente incontriamo persone che chiedono aiuto perché sentono il bisogno di un sostegno esterno, di una guida per recuperare significati in grado di restituire felicità alla loro unione.
In queste circostanze, come potrebbe forse descrivere Joseph Weiss (1999), i partner cercano nella consulenza e nei terapeuti validi alleati per disconfermare convinzioni patogene relative alla loro attuale relazione, così come alle rispettive precedenti esperienze di rapporto duale.
Abbiamo in mente che il semplice fatto di essere ancora decisi a trovare una soluzione mettendosi in gioco con altre persone, solitamente rappresenta l’esistenza di solidi intenti costruttivi.
Sappiamo che restituire ai partner questa lettura con il valore del percorso che si accingono a compiere, può rapidamente alleviare il peso angosciante di questi primi momenti, fare aumentare la speranza e la fiducia reciproca, liberando energie nuove per lavorare insieme.
Più raramente incontriamo coppie per le quali il tema dominante si rivela essere la volontà di separazione. A volte la consultazione diventa dunque un espediente – o, forse, una risorsa? – per esplicitare questa motivazione. Anche nelle circostanze in cui questo piano non viene espresso in modo manifesto, se entrambi i partner condividono la volontà di porre fine alla loro unione, ci è abbastanza agevole restituire tale significato alla coppia.
Diverse ma non meno frequenti sono le circostanze in cui solo un partner è determinato a sciogliere la relazione e sceglie la neutralità del setting terapeutico per dare la notizia all’altro di una decisione già presa. In queste situazioni abbiamo la cura di ascoltare le decisioni di uno, rispettare la sorpresa che talvolta è sgomento e il dolore dell’altro, verificare insieme aentrambi la potenza e la solidità della posizione che decreta la parola fine sulla vita della coppia, accertandoci che possano essere mantenute le risorse relazionali per percorrere con sufficiente equilibrio il processo di separazione.
Quando quest’ultimo punto ci appare delicato, possiamo offrire una consulenza mirata, di coppia o individuale, inviando i clienti ad altri colleghi quando la nostra impressione è di essere stati consapevolmente utilizzati al solo scopo di svelare un segreto di tale entità; proteggiamo così noi stessi e la coppia da eventuali reazioni controtransferali.
Ritorniamo ora al colloquio di primo tipo; uno alla volta i due compagni incominciano a descrivere le forme della loro crisi. Ciò che stiamo ascoltando può riguardare incomprensioni reciproche, una sessualità insoddisfacente, l’organizzazione della quotidianità, i rapporti con i figli o la famiglia di origine. Talvolta i partner offrono rappresentazioni compatibili e coerenti del proprio malessere ed entrambi colgono una forma di corresponsabilità rispetto alla nascita della loro crisi e al suo mantenimento. In queste circostanze stiamo attenti a cogliere se i primi segnali che ci hanno guidato nella comprensione del processo comunicativo sono concordanti o si allontanano dai contenuti delle parole dei due compagni. Se le due tipologie di dati coincidono, pensiamo di essere di fronte a una coppia che ha mantenuto al suo interno una solida alleanza e che possiede buone risorse per risolvere la crisi.
Se invece il contenuto conciliante e comprensivo delle loro parole è dissonante rispetto ad altri indici comportamentali quali interruzioni frequenti dei turni verbali, assenza di sguardi di intesa o posizioni corporee molto distanti, probabilmente stiamo assistendo al mascheramento di un conflitto più profondo, che in seguito avremo cura di verificare o fare emergere.
A questo punto, seguendo Berne (1961), stiamo facendo una diagnosi sociale della relazione, ascoltando le transazioni tra le persone e verificando che diagnosi sociale e diagnosi comportamentale coincidano.
Qualche volta appare evidente, dopo i primi scambi, che solo uno dei partner è disposto a raccontare il proprio disagio mettendo in discussione il rapporto; ci troviamo così di fronte alla situazione che Anna Fabbrini (2000) chiama «asimmetria della crisi».
In questi frangenti è probabile che esista da parte di uno dei due una implicita negazione di responsabilità o la svalutazione dello stesso legame di coppia. Partendo dalla considerazione che perché la crisi sia reale è sufficiente che un polo solo della coppia sia insoddisfatto, l’esistenza di simili asimmetrie, di tale forte negazione, spesso preannuncia una maggiore profondità del disagio.
In altre circostanze può accadere che, nonostante il nostro incoraggiamento a esprimere la propria versione, un partner rimanga silenzioso o in disparte per gran parte del tempo.
Il silenzio ha sempre un significato preciso. Chi non vuole coinvolgersi in questa esperienza può avere differenti motivazioni. Può pensare di essere un capro espiatorio all’interno della relazione e temere di essere mal giudicato dai terapeuti; può ritenere la terapia un nuovo modo per esercitare pressioni, potere e controllo su di lui.
Un partner potrebbe essere stato trascinato da noi dall’altro polo della coppia, ma non credere nell’utilità della psicoterapia e liquidare quindi l’incontro, definendolo una perdita di tempo. In queste situazioni abbiamo cura di non incalzare la persona riluttante per non replicare un possibile modello familiare fatto di pressioni e recriminazioni, cercando semplicemente di comunicare che siamo interessati ad ascoltare ciò che pensa e che prova e che quando sarà pronto a esprimersi, gli daremo l’opportunità di farlo.
Un’attenzione particolare meritano i primi colloqui in cui incontriamo coppie in crisi a causa di una relazione extraconiugale.
La scoperta del tradimento da parte di un partner crea traumi emotivi e reazioni caotiche che precipitano la coppia in una condizione limite per la sua sopravvivenza. Il tradimento rappresenta, infatti, l’uscita drammatica dal patto condiviso di esclusiva appartenenza tra i due compagni, svelando con cruda efficacia al soggetto collettivo, al noi di coppia, la sua effettiva fragilità.
Per tali premesse, durante le prime consultazioni restituiamo ai partner la visione del tradimento tanto come aggressione verso l’altro componente della coppia, quanto come comportamento diretto, in modo più o meno intenzionale, all’abbandono delle modalità relazionali attuali del legame a due.
Per quanto doloroso, questo evento può essere l’espressione simbolica dell’estraneamento da una situazione insoddisfacente e contenere quindi il desiderio di portare la coppia a condizioni più felici e più sane. Altre volte può, invece, rappresentare una definitiva volontà di distruzione del rapporto.
Nel primo caso il tradimento può svelare al tradito, così come al traditore, che è stato messo in atto un tentativo estremo di cambiamento, la rischiosa ma risoluta ridefinizione di un rapporto ormai logoro; nella seconda eventualità può rappresentare l’agito della decisione volta a porre fine alla vita della coppia come organismo unico.
È quindi ora persino banale ricordare l’importanza per la coppia e per i terapeuti di una rapida e precisa comprensione della reale natura del messaggio che il tradimento porta con sé, ai fini sia dell’equilibrio della relazione tra i partner che della definizione della natura del rapporto terapeutico.

La restituzione
Per dare struttura alle molteplici impressioni scaturite dai primi momenti di ascolto e per rendere più semplice l’obiettivo centrale di recare aiuto concreto alla coppia, cerchiamo di organizzare il nostro pensiero intorno a un numero definito di domande e di relative possibili decisioni operative. Ci chiediamo, quindi, come possiamo costruire una buona alleanza con la coppia, quale descrizione della crisi da parte dei partner possiamo raccogliere, restituendo con essa nuove informazioni o punti di vista, su quale obiettivo focalizzare la nostra attenzione e quale setting sia utile proporre per la prosecuzione degli incontri. Queste tracce, intersecandosi, ci conducono tutte all’importanza, sin dal primo incontro, degli aspetti relazionali tra coppia e terapeuti.
Sappiamo che le prime restituzioni che diamo ai partner sono di importanza cruciale; abbiamo perciò alcune attenzioni precise.
Le osservazioni che seguono sono naturalmente valide per tutta la durata del lavoro terapeutico, ma pensiamo che, una volta stabilita una solida alleanza di lavoro con la coppia, alcuni “fallimenti” non saranno importanti o decisivi come all’inizio della consulenza.
Nelle restituzioni iniziali abbiamo la cura, ancora una volta, di mantenere una prospettiva equilibrata, sistemica, rivolgendoci a entrambi i partner prescindendo dai temi emersi e dalle rispettive modalità comunicative. I convenuti, come ricordato in precedenza, spesso decidono di affrontare la terapia perché vedono o sentono la loro realtà in modo differente; per i terapeuti è di importanza primaria, soprattutto nei casi in cui la polarizzazione è forte, non prendere le parti o sposare la versione di uno dei due.
Noi partiamo dall’idea che non dobbiamo accertare fatti reali, ma mettere a confronto sensibilità differenti che hanno costruito mondi tra loro ormai distanti e aiutare i pazienti a uscire da rigide rappresentazioni di sé e dell’altro, iniziando a esplorare empaticamente le reciproche esperienze soggettive. I terapeuti hanno dunque il compito di con-prendere e restituire la prospettiva di entrambi.
Recentemente Mary Morgan (2003) definisce compito primario del terapeuta «mantenere uno stato mentale di coppia». Per l’autrice tale funzione consiste nel conservare contemporaneamente nella propria mente la presenza di entrambi i partner e delle loro modalità relazionali. Questa capacità, tra l’altro, permette ai terapeuti di comprendere e restituire alla coppia le aree tematiche in cui si svolgono i conflitti e in cui si trovano «...le loro angosce condivise e le fantasie inconsce».
Per noi giungere a una definizione condivisa del disagio di coppia è il momento che permette di formulare un primo contratto di meta. Questo accordo sulla natura del problema stimola la ricerca e l’individuazione di obiettivi comuni, orienta il lavoro futuro, consente ai terapeuti di organizzare priorità e di prefigurare scelte operative. Avere un contratto iniziale non vuole dire concentrare l’attenzione in modo esclusivo su quanto già emerso; esso potrà essere successivamente ampliato o cambiato.
Individuare un problema condividendone i contenuti, costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente per iniziare il percorso terapeutico. I terapeuti, pur assumendo che la definizione di un primo contratto costituisce un obiettivo primario intorno al quale muoversi, devono conservare un’attenzione vigile sia al processo relazionale tra i partner che a quello tra loro stessi e la coppia, devono continuare a dare forma ai modi in cui le persone si bloccano allontanandosi dalle reali possibilità di risolvere i loro disagi. In questa prospettiva, è utile cominciare sin dal primo incontro a mettere in evidenza qualità e intensità delle emozioni dei partner, accennare ai vantaggi ottenuti dalle dinamiche di gioco che i due partner tendono a interpretare, iniziare delicatamente a svelare forme di potere con le quali ciascuno manipola l’altro, far emergere i modi in cui disperdono le energie necessarie al raggiungimento degli obiettivi comuni che hanno esplicitato.
Un altro compito dei terapeuti è quello di individuare e restituire, sin dal primo incontro, le risorse, i “semi di sviluppi creativi” (Morgan, 2003) della coppia. A volte, nel momento in cui i partner chiedono aiuto, possono sentire o credere di avere definitivamente perso tali capacità autorigeneranti, svalutando la possibilità di recuperare validi alleati per la salute della loro unione.
In altre coppie, raramente, tali competenze possono non essersi ancora sviluppate a sufficienza; in questi casi siamo dinnanzi a un Adulto di coppia (Rotondo, 1991) non sufficientemente organizzato, e i terapeuti dovranno scegliere se orientarsi a far maturare le sue funzioni.
Dopo aver ascoltato le reazioni dei partner ai nostri interventi e individuato un primo livello possibile di condivisione del problema, con alcune domande mirate cerchiamo di avere quelle informazioni importanti che non sono ancora emerse e che sono utili a situare la crisi in un contesto più ampio. Solitamente vogliamo conoscere l’ambiente familiare allargato dei partner attraverso notizie sulle rispettive famiglie d’origine, sapere se queste esercitano o hanno esercitato forti influenze affettive o materiali, la eventuale presenza di figli e la loro età.
Talvolta abbiamo constatato che una semplice restituzione che definisca l’importanza di mantenere puliti e distinti i confini della coppia da contaminazioni provenienti da altri sistemi sociali, può essere determinante nello sbloccare tensioni trattenute all’interno del rapporto duale.
In questi casi, i partner riescono a utilizzare un potente permesso che li conduce ad allontanarsi da vecchie regole familiari simbiotizzanti e costrittive, oppure a riscoprire una dimensione di intimità esclusiva, perduta dopo la nascita di un figlio.

Il congedo
Quando mancano circa venti minuti alla fine dell’incontro, ci prepariamo a chiudere il primo colloquio. Se abbiamo bisogno di chiarire, tra noi terapeuti, alcuni punti nodali emersi durante la seduta, usciamo dalla stanza per pochi minuti e ci accordiamo per la restituzione conclusiva.
Questi ultimi momenti sono anche dedicati alla scelta del setting da proporre. Avere differenti possibilità per lavorare assieme ai partner consente di aprire nuovi scenari rispetto alle immagini di coppia cristallizzate che possono essere state portate dalle persone. Possiamo proporre incontri per la singola coppia, a volte con la possibilità di vedere singolarmente i partner una o più volte, per poi tornare a incontri a quattro; seminari di due giornate o incontri di gruppo quindicinali.
Tendenzialmente, preferiamo un setting riservato alla sola coppia quando emerge chiaramente, durante il colloquio, un tema condiviso su cui lavorare. In queste situazioni, è stato spesso sufficiente formulare contratti precisi e un numero limitato di incontri per ottenere risultati positivi e stabili.
Altre volte, proponiamo lo stesso tipo di setting quando siamo di fronte a conflitti con alto contenuto emotivo e a giochi di grado elevato. In questo caso il nostro obiettivo è quello di favorire le proiezioni transferali sulla coppia terapeutica, evitando di proporre un gruppo per proteggere le altre coppie presenti.
Presentiamo la possibilità di un lavoro gruppale a quelle coppie che possiedono un Adulto sufficientemente decontaminato e sviluppato e che si mostrano interessate a scambiare le proprie esperienze con altre persone (Cassoni, Filippi, 2000; Cassoni 2002).
Gli ultimi minuti del primo colloquio sono dedicati a raccogliere i feedback finali dei clienti e a sincerarci se siano stati evitati argomenti molto importanti.
Offriamo una sintesi di quanto è avvenuto durante l’incontro e di ciò che è stato ottenuto in relazione agli obiettivi espressi dai partner. Infine, lasciamo loro del tempo per decidere se continuare i colloqui, indicando loro di comunicarci comunque la scelta fatta.
Se sono già determinati a proseguire questa esperienza con noi, fissiamo la data dell’appuntamento successivo, per stabilire una chiara cornice di riferimento.

Conclusioni
Gli esempi che ho riportato, relativi alle motivazioni che spingono una coppia alla consultazione, sono, ovviamente, solo uno spaccato molto ridotto delle molteplici forme di relazione che possono presentarsi alla nostra attenzione. Per questo motivo, ricordo ancora l’immagine iniziale della coppia come infinitamente mutevole, e quindi sorprendente, realtà affettiva e sociale.
Ciò che dell’esperienza di questi primi incontri mi sembra essere un insegnamento solido, sono l’attenzione alla coppia come continua interazione tra i disagi di distinte individualità e il bisogno di rinnovamento del senso di unicità intersoggettiva tra i partner e, per l’aspetto più operativo, la tensione a cogliere e restituire le complessità che vengono presentate dai protagonisti principali di questi primi colloqui.


Bibliografia

BADER E., A cured family has problems, in «TAJ», X, 2, 1980.
BERNE E. (1961), trad. it. Analisi Transazionale e psicoterapia, Astrolabio, Roma 1971.
BILELO F., Making marriage grow, in «TAJ», IX, 1979.
CASSONI E., Il gruppo delle coppie, in «Quaderni di Psicologia, Analisi Transazionale e Scienze umane», 35-36, 2002, pp. 49-65.
CASSONI E., FILIPPI S., Compagni di viaggio, in «Quaderni di Psicologia, Analisi Transazionale e Scienze umane», 31, 2000, pp. 65-78.
CATTANEO L., SAMBIN M., Diagnosi e primo colloquio, in «Quaderni del Centro di Psicologia e Analisi Transazionale», 11, 1993, pp. 47-65.
FABBRINI A., Psicoterapia di coppia o l’arte di rammendare la crisi, in «Quaderni di Psicologia, Analisi Transazionale e Scienze umane», 31, 2000, pp. 34-62.
MORGAN M. (2001), trad. it. I primi contatti: lo stato mentale di coppia del terapeuta come fattore nel contenimento di coppie incontrate in una consultazione, in Grier F. (a cura di), Brevi incontri con le coppie, Borla, Roma 2003.
ROTONDO A., La coppia competente o l’Adulto nella terapia di coppia, Atti del Convegno Italiano di Analisi Transazionale A.T. teorica e applicata: Stato dell’Arte, Roma 1-3 novembre 1991, AIAT-SIMPAT.
WEISS J. (1993), trad. it. Come funziona la psicoterapia, Bollati Boringhieri, Torino 1999.
LE MANI SCALZE


Non chiedo non voglio che il mondo capisca,
che il mondo cambi.
Mi piace così com’è il fiore del nespolo,
il gusto dell’acqua, la tonalità bruna della pelle
d’estate, l’aspetto raggrinzito delle mani.
Vorrei cambiare solo me stesso, capire
il perché dei sensi di tutte queste strade
in cui mi perdo.


Manuel Forcano, Le mani scalze, in «Poesia», a. XII, n. 130, Crocetti 1999.


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