Riassunto
L'Autore descrive, dapprima, tre forme di supervisione, ciascuna adatta all'una o all'altra delle tre principali correnti di psicoanalisi apparse negli ultimi sessant'anni: la psicoanalisi classica, le psicoanalisi non-classiche delle relazioni d'oggetto, le psicoanalisi non-classiche interpersonali. Alla prima corrente, conviene la supervisione che pedagogicamente aiuta l'allievo in training a cogliere il transfert del paziente; alla seconda, meglio si adatta la supervisione che mette a nudo il controtransfert dell'allievo, come in una sua supplementare psicoanalisi; alla terza, la supervisione più propria svolge la funzione di individuare i comportamenti presenti per esercitare su di essi una sorta di problem-solving. La quarta forma di supervisione che, in conclusione, l'Autore presenta è specifica per la conversazione immateriale. L'allievo in training viene addestrato a calcolare le figure logico-modali alle quali si conforma il testo delle conversazioni registrate e trascritte, in una prospettiva logico-algebrica sintattica che esclude come irrilevanti gli aspetti semantici della psicologia e della narratologia.
Abstract
THE IMMATERIAL SUPERVISION
The Author describes three forms of supervision, each suitable for the one or the other stream of psychoanalysis appeared in the last six decades: the classical psychoanalysis, the non-classical psychoanalysis of the object relations, the non-classical interpersonal psychoanalysis. To the first stream of psychoanalysis becomes the supervision that enables the analyst in training to grasp the patient's transfert; the second stream requires a sort of supervision akin to a psychoanalytic treatment, in order to allow the analyst in training to get in touch with his/her countertransference; in the third stream of psychoanalysis the supervision enables the trainee to become an expert in behavioural problem-solving related to the actual interpersonal relationship. The fourth form of supervision that the Author eventually presents is peculiar to the immaterial conversation. The trainee is taught to calculate the modal logic figures of the recorded conversations' texts, from a syntactic point of view that counts out as irrelevant the semantic features of psychology and narratology.
1. STATUTO E COMPITI DELLA SUPERVISIONE. La supervisione, una delle istituzioni più interessanti in psicoanalisi, assolve tre funzioni principali: 1) pedagogica, 2) terapeutica, 3) amministrativa. Quanto alla sua funzione amministrativa, la supervisione regola e garantisce l'accesso a un gruppo di affiliazione desiderata. La funzione terapeutica della supervisione si esercita sulle ansie depressive e persecutorie che l'allievo si procura nelle sue terapie. Infine, e forse caratteristicamente, la funzione pedagogica della supervisione permette la trasmissione, rispettivamente l'acquisizione, tra supervisore e allievo, del sapere che ha come sbocco la trasformazione di un apprendista in un esperto nella disciplina della psicoanalisi.
2. UN'OSSERVAZIONE SU CINQUE DECENNI. Lungo i quattro o cinque ultimi decenni, la supervisione ha subito mutamenti decisivi, nella sua pratica, nelle sue ideologie, nelle sue finalità dichiarate, paralleli ai mutamenti che frattanto si osservavano nella psicoanalisi, in particolare nel passaggio dalla psicoanalisi classica alle psicoanalisi non classiche, se ci è concesso utilizzare la contrapposizione mutuata alla dicotomia omofona di logica classica e di logiche non classiche (Priest, 2000).
3. DAGLI ANNI 1940 AGLI ANNI 1970. LA SUPERVISIONE CENTRATA SUL TRANSFERT. Per i primi due o tre decenni successivi alla seconda guerra mondiale, la psicoanalisi si è presentata, se è possibile schematizzare, nel modo della psicoanalisi classica. Con il termine di psicoanalisi classica intendiamo la psicoanalisi che ha i suoi pilastri costitutivi: a) nel concetto di inconscio, b) nel fenomeno del transfert, c) nella pratica dell'interpretazione, in definitiva nella nevrosi di transfert. Le regole normative della psicoanalisi classica, poi, sono quelle che stabiliscono il setting più adatto alla realizzazione dello scopo principale della psicoanalisi classica, che è l'interpretazione dell'inconscio del paziente, e che si riassumono nei tre parametri relativi, il primo, d) ai tempi delle sedute, della durata raccomandata di 45/50 minuti ciascuna, con una frequenza consigliata di tre o quattro o cinque per settimana, il secondo, e) alla discrezione dell'analista, che dovrebbe essere il più neutro e anonimo possibile in modo da ridurre al minimo le interferenze alla produzione del transfert del paziente, il terzo, f) alla prossimità fisica nelle sedute, che tollera, mettiamo, una stretta di mano, ma che sconsiglia carezze, baci e altre effusioni simili. Da questa cornice della psicoanalisi classica, discende logicamente il tipo di missione attribuito alla supervisione dagli anni '40 ai '70. Compito della supervisione era di aiutare l'allievo, ma anche qualsiasi analista in difficoltà, a cogliere nei sintomi presentati dal paziente, nelle incoerenze del suo discorso, nei sogni, nei lapsus, negli acting out, ciò che stava al di dietro dei fenomeni comportamentali, e che rivelava l'inconscio. Il supervisore si poneva, per così dire, a fianco dell'allievo, un po' come il maestro di una scuola guida, mostrando dove si annidano le difese, come si mascherano le resistenze, come qualsiasi discorso infine rinvia alla struttura triangolare del complesso di Edipo. La situazione di supervisione era etero-centrata, cioè il fuoco della ricerca veniva posto al di fuori del discorso tra supervisore e allievo. Parallelamente, la situazione psicoanalitica si descriveva e si trattava come se fosse mono-personale, nel senso che tutto ciò di cui era questione si trovava nel paziente, nell'inconscio del paziente. Se l'allievo, o lo psicoanalista in difficoltà, non vedevano aspetti del transfert del paziente, che il supervisore li aiutava a cogliere, ciò era dovuto a macchie cieche dell'inconscio dell'analista, non abbastanza esaminate nell'analisi didattica, e che l'analista apprendista veniva invitato a esaminare eventualmente con un supplemento di analisi, "une tranche", "una fetta" di analisi. (Greenson, 1967.) Erano di questo tipo le supervisioni che ho sperimentato come apprendista, con Johannes Cremerius e Gaetano Benedetti nel gruppo di Psicoterapia e Scienze Umane di Pier Francesco Galli a Milano; in supervisioni individuali e di gruppo con Michel Gressot a Ginevra, con Franco Fornari e Giancarlo Zapparoli a Milano, con Germaine Guex a Losanna, nelle quali mi si insegnava a vedere con gli strumenti più adeguati l'inconscio del mio paziente. L'impresa della supervisione centrata sul transfert del paziente faceva appello in gran parte agli strumenti intellettivi e cognitivi dell'allievo.
4. DAGLI ANNI 1970 AGLI ANNI 1990. LA SUPERVISIONE ORIENTATA DAL CONTROTRANSFERT. Dagli anni '70 agli anni '90, due mutamenti cruciali caratterizzano la scena psicoanalitica, in nome del controtransfert e della relazione. Il controtransfert prende il posto del transfert. La relazione sostituisce l'interpretazione. Ci occuperemo della relazione nel paragrafo successivo. Qui ci limiteremo al concetto di controtransfert. Di controtransfert si parlava naturalmente già prima degli anni settanta, negli ambienti psicoanalitici e nella letteratura. Ma è negli anni dal '70 al '90 che il controtransfert, da strumento tra gli altri del lavoro psicoanalitico, diventa il catalizzatore privilegiato di concetti fino allora diffusi e sparsi. In senso descrittivo, il controtransfert si riferisce alle risposte emozionali coscienti e inconsapevoli, evocate nell'analista nel suo commercio con il paziente. È questa la concezione ristretta del controtransfert, sovrapponibile al modo che aveva Freud di intendere il controtransfert. A un certo punto, la concezione ristretta di controtransfert viene sostituita dalla concezione allargata, secondo la quale con il termine di controtransfert si designano tutte le manifestazioni emotive, di pensiero, consce e inconsce, del terapeuta. Dalla concezione allargata di controtransfert si passa poi alla nozione che il controtransfert dell'analista viene prima del transfert del paziente che in qualche modo struttura e orienta. La scena analitica, prima rigidamente mono-personale, occupata totalmente dai problemi del paziente e dalla sua storia, è diventata bi-personale. Attraverso la percezione che può avere della propria situazione contro-transferale, l'analista viene a disporre di uno strumento privilegiato per l'accesso al transfert e all'inconscio del paziente. Con l'introduzione del concetto di controtransfert, in quanto strumento che sostituisce la conoscenza del transfert per la scoperta dell'inconscio del paziente, si modifica logicamente anche la pratica della supervisione. Invece di aiutare l'allievo a focalizzare l'attenzione sul transfert, per conoscere l'inconscio del paziente, il supervisore lo aiuterà a centrare la sua attenzione sul proprio controtransfert, sul controtransfert dell'analista apprendista. La scena della supervisione cambia radicalmente. Da etero-centrata, che era prima, quando apprendista e supervisore erano etero-, al di fuori, della loro relazione di supervisione, la scena della supervisione diventa auto-centrata, cioè si concentra sulla coppia supervisore-apprendista (Lai, 1973). Il paziente viene in qualche modo escluso dalla supervisione. Scoprendo ciò che accade nell'inconscio dell'allievo, nel suo controtransfert, si osserverà ciò che accade nel transfert, senza occuparsi direttamente del transfert del paziente. La supervisione, da impresa pedagogica e conoscitiva, diventa impresa di profondo coinvolgimento emozionale, a valenza terapeutica e psicoanalitica. Sia nella svolta che porta a centrare l'analisi sul controtransfert dell'analista, sia nella svolta parallela in supervisione, che invita a studiare il controtransfert dell'apprendista, hanno giocato un ruolo importante di snodo i concetti di Melanie Klein e della sua scuola delle relazioni di oggetto, della identificazione proiettiva, secondo la quale il paziente mette dentro l'analista frammenti del proprio inconscio dei quali l'analista diventa il depositario, con la facoltà sia di conoscerli, nel controtransfert, che di evacuarli. (Heimann, 1950; Little, 1951; Klein, 1952).) Erano un po' di questo tipo le supervisioni con Christian Müller e Pierre-Claude Racamier a Losanna e aux Rives de Prangins, dove, ad esempio, Müller mi invitava a osservare in me se ci fossero segni di movimenti erotici verso una mia giovane paziente psicotica, considerando questi segni come un preciso segnale che la paziente in questione usciva da un transfert verso di me di tipo pre-genitale e cominciava a muoversi in un transfert edipico, e dove, a esempio, Racamier, cercava di farmi sentire il mio desiderio di dire a un paziente: "vous m'emmerdez, lei mi rompe i coglioni", cosa che in verità sono riuscito a non dire mai. Allo stesso tipo di supervisioni ho avuto la fortuna di assistere a Washington, come osservatore, nei gruppi di Chestnut Lodge, dove Harold Searle faceva ampio uso del controtransfert nel trattamento psicoanalitico dei pazienti psicotici. Bisogna ricordare che anche Christian Müller e Pierre-Claude Racamier, come chi scrive, lavoravano soprattutto, in quegli anni, secondo l'orientamento psicoanalitico con pazienti psicotici, allora in gran parte ospedalizzati (Lai, Lavanchy, 1967; Lai, Kaufmann, Muller, 1967).
5. DAGLI ANNI '80 AGLI ANNI 2000. LA SUPERVISIONE NELL'AMBITO DELLA RELAZIONE. THE END OF THE ROAD. Già nel paragrafo precedente, assieme alla sostituzione, entro la cornice dell'analisi classica, del transfert con il controtransfert, si era accennato alla introduzione del concetto di relazione, la quale viene, nel periodo che va dagli anni Ottanta agli anni Duemila, a sostituire l'interpretazione. Che cosa si intende con il termine di relazione nella cornice delle psicoanalisi non classiche? La relazione descrive fenomenologicamente il fatto che, nella situazione analitica, non c'è solo il paziente da una parte, e l'analista dall'altra, separati da un'asimmetria di ruoli precisa, come quella che può valere, esagerando un po', tra un chirurgo e un paziente in sala operatoria, o tra un salumaio e un cliente in cerca del cibo, ma ci sono due persone, due soggetti, due realtà, che consentono il passaggio dalla dimensione mono-personale, intrapsichica, propria della psicoanalisi classica, alla dimensione bi-personale, inter-psichica, intersoggettiva, interpersonale, propria delle psicoanalisi non classiche. Non c'è più la differenza tra un terapeuta che cura e un paziente che cerca una cura per i suoi disturbi, ma c'è una situazione che rappresenta un'impresa comune tra paziente e analista alla quale entrambi partecipano. Il passaggio dal transfert al controtransfert ha naturalmente facilitato questi sbocchi nelle psicoanalisi non classiche. La nozione di relazione ha precisi richiami con il concetto e il termine di rapporto, introdotto agli albori della psicologia dinamica nell'ottocento, dal magnetismo, al mesmerismo, all'ipnotismo, fino a Pierre Janet. Inoltre, sono netti e precisi i legami della nozione di relazione con la filosofia esistenziale, da cui deriva l'immagine di due persone, paziente e analista, gettati nel mondo della cura, per un'avventura esistenziale di patire e agire condivisi. Assieme alla nozione di relazione, e quindi alle nozioni di inter-psichico, inter-personale, inter-soggettivo, nelle psicoanalisi non classiche si dà una grande importanza alla nozione e alla funzione della persona dell'analista (Widlöcher, 2003). Più che ciò che l'analista fa, conta ciò che è; d'altra parte, l'analista fa quello che fa perché è quello che è. L'avvento della relazione e del controtransfert, che hanno preso il posto dell'interpretazione e del transfert, di fatto emarginandoli, ha avuto una specie di effetto domino su tutti i pilastri della psicoanalisi classica. In particolare, si è assistito alla scomparsa o alla irrilevanza dell'inconscio. Infatti, l'inconscio appartenendo alla storia e al passato del paziente, o eventualmente dell'analista, ha un senso, teorico e pratico, solo se l'analista si pone nella prospettiva di andare a cercarlo nel suo paziente. Se invece si prende sul serio il concetto di relazione tra due persone, occorre riconoscere che la relazione non ha inconscio, non avendo una storia, un passato, ma ha solo l'immediatezza dell'attualità presente nella quale si costruisce, co-costruisce, tra il paziente e l'analista che la condividono. Nella relazione che in tal modo si costruisce, hanno il medesimo statuto logico e la medesima importanza pratica sia le storie che racconta il paziente, svelando il suo passato, sia il parallelo autodisvelamento, self-disclosure dell'analista, (Renik, 1995) che gioca a carte scoperte, sia l'acting del transfert del paziente sia l'enactment del controtransfert dell'analista (Jacobs, 1986). L'uno e l'altro interlocutore portano nella situazione analitica i loro racconti, senza preoccupazioni di andare alla ricerca di una qualche verità legata a un riferimento nel passato o nell'inconscio. Ciò che conta è la verità narrativa. Ciò che importa è il piacere estetico della narrazione. In questa cornice, anche il setting, con la relativa rigidità propria della analisi classica, si dissolve. Il lettino è intercambiabile con la sedia o la poltrona; le sedute passano da tre o quattro a una per settimana, o una al mese, o una secondo la richiesta del paziente, at request; alle sedute individuali si aggiungono, se viene giudicato opportuno, sedute di gruppo, fino alla ricerca di una sperimentale bi-focalizzazione transferale, (dove il medesimo terapeuta vede a esempio la medesima paziente sia in gruppo sia in individuale,) (Lai, de Perrot, Lavanchy,1966) che dovrebbe, si pensa, rendere più maneggevole un transfert altrimenti troppo intenso; alla terapia con le parole si abbina, a volte, qualche sussidio psico-farmacologico. Globalmente, il setting della psicoanalisi classica viene considerato un setting come qualsiasi altro, né migliore né peggiore (Migone, 2003). Come appare evidente, il retroterra culturale e filosofico delle psicoanalisi non classiche è il filone cosiddetto post-moderno, del pensiero debole, della filosofia esistenziale, dello scetticismo e dell'anarchismo metodologico dell'anything goes. Conseguentemente a queste premesse, se nella psicoanalisi classica la supervisione si focalizza sul transfert del paziente, nelle psicoanalisi non classiche la supervisione si concentra sul controtransfert dell'analista, come abbiamo visto, o, nelle forme più nette, unicamente sulla relazione. Quando la supervisione è centrata sul controtransfert, compito del supervisore è di aiutare l'allievo in supervisione a scorgere i suoi propri processi di resistenza e delle difese indotte in particolare dalle identificazioni proiettive del paziente che l'allievo per ragioni sue proprie, nevrotiche o altro, non ha adeguatamente metabolizzato. La supervisione in questo caso si avvicina a un supplemento di psicoanalisi, che può comprendere l'analisi del transfert dell'allievo sul supervisore. Quando, sempre nelle psicoanalisi non classiche, la supervisione è centrata non tanto sul controtransfert, bensì sulla relazione co-costruita da paziente e terapeuta, compito del supervisore diventa quello di aiutare l'allievo in supervisione a studiare assieme al supervisore quali strategie negoziabili più opportune utilizzare al suo ritorno nelle sedute con il paziente, che siano il più adatte possibili a far superare al paziente un qualche impasse o far risolvere un qualche problema (Mitchell, Aron, 1999; Eagle, 2000). Se dovessimo riassumere concisamente, ci sembra che, nella psicoanalisi classica, la supervisione è una procedura essenzialmente pedagogica, abbastanza intellettualizzata; nelle psicoanalisi non classiche centrate sul controtransfert, la supervisione è una procedura a forte impatto emozionale, riconducibile alla situazione di terapia analitica individuale; la supervisione nelle psicoanalisi non classiche centrate sulla relazione ci appare (dico "ci appare" perché, mentre delle supervisioni precedenti ho esperienza diretta, di questa ultima ho solo esperienza indiretta, attraverso i racconti di esperti che ne hanno parlato) dicevo dunque che ci appare come un'impresa conoscitivo-pragmatica, dando al termine "conoscitivo" l'accezione che ha nelle scienze cognitivo-comportamentali, e al termine "pragmatico" il valore che ha nelle scienze della pragmatica della comunicazione.
6. DAGLI ANNI 1990 AL 2005. LA SUPERVISIONE IMMATERIALE NEL CONVERSAZIONALISMO CENTRATA SUL TESTO TRASCRITTO CON LE CHIAVI LOGICO-MODALI. Negli ultimi venti anni, mentre si precisavano, specialmente negli Stati Uniti, ma anche in Italia e in Francia, le psicoanalisi non classiche intersoggettive, interpersonali, centrate sulla relazione, nell'Accademia delle tecniche conversazionali lavoravamo alla costruzione del conversazionalismo. Per via della mia lunga collaborazione con il Centro di Psicologia e Analisi Transazionale, penso che buona parte dei lettori del «Quaderno» che mi ospita conoscano all'ingrosso di che cosa si tratta. Comunque, per rendere conto dell'apporto del conversazionalismo al problema della supervisione, conviene partire da una premessa e da una cornice. Ecco la premessa: Il conversazionalismo si innesta sulla psicoanalisi classica come le logiche non classiche si innestano sulla logica classica. Ed ecco la cornice, che ci aiuta a prendere il discorso un po' alla larga, partendo dalla distinzione tra conversazione materiale e conversazione immateriale.
6.1. La conversazione materiale è la conversazione creata attualmente in diretta, una volta per tutte, tra paziente e terapeuta mentre parlano e ascoltano, dove gli oggetti della conversazione sono oggetti pratici, in particolare parole dette, atti di parola ovvero comportamenti verbali, che veicolano pensieri, emozioni, intenzioni di un parlante e che caratteristicamente agiscono in senso causale sui turni verbali dell'interlocutore. La conversazione materiale è quella che accade nello spazio acustico dell'incontro tra paziente e terapeuta, e che può venire catturata dal registratore.
6.2. La conversazione immateriale è la conversazione che può essere visitata in differita, quando si vuole, ogni volta che si vuole, come un cielo stellato nel quale si va alla ricerca delle figure geometriche, o forme logiche, alle quali le stelle più o meno si conformano. La conversazione materiale ha a che fare con la semantica e la pragmatica; la conversazione immateriale ha a che fare con gli aspetti logico-sintattici del testo. In particolare, nella conversazione immateriale andiamo alla ricerca delle forme foniche, FF1, FF2, FF3, e delle forme logiche, FL, ovvero del motivo narrativo e delle figure logico-modali. La conversazione immateriale è quella che avviene nello spazio visivo del terapeuta, sempre in differita rispetto alla conversazione materiale, sia quando il terapeuta guarda con gli occhi della mente le parole che sono state appena udite dai sensi acustici, sia quando, successivamente, il terapeuta legge la trascrizione della conversazione registrata (Lai, 1995).
6.3 LA SUPERVISIONE CENTRATA SIA SUL TRANSFERT, SIA SUL CONTROTRANSFERT, SIA SULLA RELAZIONE, HA A CHE FARE CON LA CONVERSAZIONE MATERIALE. Relativamente alla fase della conversazione materiale, il conversazionalismo non ha molto da dire sulla supervisione. Nel senso preciso che il transfert, come il controtransfert, come la relazione, abitano la conversazione materiale. E la conversazione materiale può essere condotta da qualsiasi professionista secondo i tragitti formativi peculiari della scuola che ha percorso. Conseguentemente, il supervisore conversazionalista cercherà di sintonizzarsi sul punto di vista dell'apprendista che, di volta in volta, sia interessato a farsi più esperto sul transfert del paziente di cui parla in supervisione (secondo il modello intra-psichico mono-personale della psicoanalisi classica), o a venire in un contatto più diretto con il proprio controtransfert (secondo il modello ancora intra-psichico anche se bi-personale di una delle psicoanalisi non classiche centrate sul controtransfert dell'analista), oppure a focalizzarsi su ciò che accade tra analista e paziente, sulla relazione, in termini inter-psichici o inter-personali o inter-soggettivi (secondo le psicoanalisi non classiche centrate sulla relazione). In altri termini, la supervisione verrà fatta secondo il modello proprio di una delle differenti scuole, di psicoanalisi classica o di psicoanalisi non-classiche, alle quali appartiene l'allievo apprendista. Questo in generale. In particolare, per quanto mi riguarda, nel contratto che cerco di stabilire con un apprendista (a qualsiasi scuola appartenga) preciso la mia intenzione di lavorare unicamente sul transfert che il paziente ha con l'analista in supervisione, trascurando il controtransfert dell'apprendista, e trascurando pure la sua relazione inter-soggettiva o inter-personale con il paziente. Prendiamo l'esempio di una analista, Lucia, la quale mi racconta, in supervisione, che una sua giovane paziente, Chiara, trascina una storia con un uomo, Lorenzo, molto più vecchio di lei, senza lavoro e con numerosi fallimenti professionali alle spalle. Lucia sente una rabbia sorda contro questa sua paziente, e vorrebbe aiutarla a trovarsi un uomo più adatto a lei, che non sia per lei una palla al piede. Dal canto mio, in quanto supervisore, cerco di condurre l'analista a considerare ciò che accade al di fuori della seduta, nella vita di ogni giorno di Chiara, come irrilevante, se non in quanto materiale per costruire la forma di un triangolo edipico, dove l'analista è la madre, la paziente è la figlia, e l'amante Lorenzo è, al contempo, il padre dell'analista e il marito della madre. Precisato in tal modo il modello di transfert, l'analista, quando torna nella situazione analitica, potrà mostrare alla sua paziente come questa, raccontandole la sua storia di dolore con un uomo inetto, in verità si identifica alla madre sacrificata con il padre inetto e sanguisuga, e tuttavia in tal modo prendendosi una masochistica rivincita edipica in cui dichiara alla madre: "non varrà niente, questo uomo, ma intanto me lo tengo, te lo porto via".
7. LA SUPERVISIONE CENTRATA SULLE FIGURE LOGICO-MODALI DEL TESTO. L'apporto originale che il conversazionalismo può dare alla supervisione si situa invece nella conversazione immateriale, costituita, per semplificare, dal testo trascritto del frammento di conversazione che l'apprendista porta in supervisione, o dal testo che il conversante legge con gli occhi della mente, nella situazione analitica, in differita rispetto alle parole appena ascoltate in diretta. Nella conversazione immateriale il conversante, sul testo trascritto, sul testo che legge, va in cerca delle forme logiche, sia nel senso dei motivi narrativi, sia nel senso delle figure logico-modali. L'uso dei motivi narrativi e la competenza nell'uso delle figure logico-modali, dà al conversante, per così dire, uno strumento in più, ma anche un nuovo metodo, per cogliere ciò che si trova in quanto transfert nella parola del paziente, oppure, per quanto riguarda il controtransfert, nelle parole dette o non dette dell'analista (Lai, Lavanchy, 2003).
8. IL CALCOLO DELLE FIGURE LOGICO-MODALI. Il calcolo delle figure logico-modali su un testo si fa un po' come quando, guardando un cielo stellato, si cercano le corrispondenze tra agglomerati di stelle e figure geometriche o mitologiche, mettiamo un triangolo, un trapezio, il sagittario. Le figure logico-modali delle quali si serve il conversazionalismo sono le quattro o cinque che si trovano nella tavola n° 1 seguente:
tavola n. 1 delle 5 figure logico-modali con gli operatori corrispondenti, indicati con i simboli in lettere maiuscole; mentre il contenuto proposizionale, rispetto al quale ciascun operatore palesa l'atteggiamento proposizionale della frase, è indicato con il simbolo p; il simbolo ~ sta per la negazione, 'non'. Gli asterischi, che in FL5 precedono i due simboli delle figure logico-modali del tempo, *Pp e *Gp, servono a differenziarli rispetto ai simboli della figura assiologica del Bene, in FL3, Gp, e della figura deontica del Permesso, in FL2, Pp.
Per definizione, tutti gli agglomerati possibili di stelle apparterranno all'una o all'altra delle quattro modalità logiche, e a nessun'altra; e, inoltre, di nessuna stella potrà dirsi che non appartiene all'una o all'altra delle modalità logiche in questione. In verità, occorre sfumare questa formula, che è valida per le figure della logica modale. Ma la logica comprende, oltre alla logica modale, anche la logica vero-funzionale, ovvero la logica che ci consente di dire, di una proposizione, se è vera (V) o se è falsa (F). Prendiamo la proposizione: «il treno delle 17.30 è arrivato in orario». Di questa proposizione si può dire che è vera, se a un controllo verifico che veramente il treno è arrivato alle 17.30, che è falsa in caso contrario. Ma della proposizione: «Non so se il treno delle 17.30 è arrivato in orario», non ha senso dire se è vera o falsa. Perché è una proposizione modale, introdotta dall'atteggiamento proposizionale "non so", che, essendo un operatore epistemico, ~Kp, la rende una figura logico-modale epistemica. Ma proviamo a esercitarci al calcolo delle figure logico-modali su un testo filtrando, attraverso le figure della tavola 1, il testo di un sogno, registrato e trascritto, che riportiamo.
Dall'inizio della 3° conversazione con Carlo del 19.7.2004.
1 CARLO: Ho fatto dei sogni, allora, uno, questo qui non lo ricordo più, sono su un pulmino, sono con un gruppo di amici, mi ricordo la mia collega Mirta, e un mio amico, Patrizio, dobbiamo andare una sera in città, poi mi accorgo che il pulmino ha il numero di targa della mia macchina, tenga conto che la mia macchina è stata demolita e non mi sono mai ricordato il numero della macchina, però nel sogno riesco a riconoscere nel pulmino il numero della targa, ed è la macchina che ho fatto demolire. Allora a questo punto dico: «Qui, mi han rubato, hanno rubato la targa, evidentemente sono queste persone che hanno, che mi hanno dato il pulmino, non sono delle persone oneste». Allora prima le vorrei denunciare. Ne parlo con Mirta che dice: «Sì, sì, denuncia». Poi ho paura che mi possano fare del male. Poi dico alla Mirta: «In fin dei conti», mi ricordo questo particolare, «insomma, cioè, se anche hanno fatto questa azione non è che hanno fatto del male a qualcuno, questi qui semplicemente si sono impossessati della targa, e quindi se anche non li denuncio non è che vengo meno al mio dovere». Poi siamo in una trattoria, parliamo con un signore, e scopriamo che è un giudice. Allora a questo punto vorrei dirlo a lui, vorrei chiedergli un consiglio, però, a un certo punto, ho la sensazione che sia un complice di quelli del pulmino. E a questo punto, visto che non si può andare in un'altra città, perché i voli sono tutti occupati, decidiamo di tornare a casa.
2 CONVERSANTE: Vediamo, vediamo un po' di ragionare su questo sogno. Era su un pulmino, di cui leggeva il numero (interrotto)
3 CARLO: No, ero sul pulmino, sapevo che aveva il numero della mia targa.
9. L'INVENTARIO DELLE FIGURE LOGICO-MODALI. Nella supervisione della conversazione immateriale, avendo a disposizione il testo registrato del frammento di conversazione, qui del sogno, l'apprendista viene invitato a inventariare le figure logico-modali del testo, ovvero a filtrare il testo attraverso le figure della tavola n. 1. Già a una prima scorsa del testo, come, ragionevolmente, all'occhio della mente un po' addestrato durante la conversazione immateriale in differita, appaiono alcune frasi vero-funzionali, V.F., delle quali conviene dire unicamente se sono vere o false, e di cui non ci occuperemo qui nei nostri calcoli. Sono in tutto dieci o dodici. Ne riportiamo alcune, lasciando al lettore contare le altre per proprio conto. «Ho fatto dei sogni», «sono su un pulmino», «sono con un gruppo di amici», «il pulmino ha il numero di targa della mia macchina», «la mia macchina è stata demolita», «Allora a questo punto dico», «Ne parlo con Mirta che dice», «Poi dico alla Mirta», «Poi siamo in una trattoria», «parliamo con un signore». Concentriamoci invece sull'individuazione e sul calcolo delle figure logico-modali. Nella frase 2 troviamo: «uno di questi [sogni] non lo ricordo più». L'elemento lessicale "ricordare", nel senso di "sapere", e, quindi di "non sapere", orienta verso qualcosa che si sapeva e non si sa più, verso una non conoscenza attuale relativa a una conoscenza di un tempo, in qualche modo verso un oggetto nascosto alla conoscenza, come un segreto, e, in definitiva, verso la figura logico-modale epistemica del non-Sapere, ~Kp. Il medesimo elemento lessicale lo troviamo nella frase 5: «mi ricordo la mia collega». Anche qui, siamo orientati verso la figura logico-modale epistemica, questa volta del sapere, Kp. La frase 6: «dobbiamo andare» richiama la figura deontica, dell'Obbligatorio, Op. La frase 7, «mi accorgo», nel senso di prendere coscienza di qualche cosa, con i sinonimi di "vedere", "scorgere", "capire", "comprendere", torna a orientare verso la figura logico-modale epistemica, del Sapere, Kp. La frase 9 è più complessa. In quanto forma verbale imperativa, orienta verso la figura deontica, dell'Obbligo: Op. In quanto però contiene l'elemento lessicale "conto" di «tenga conto», che viene a significare "sappia", orienta verso la figura epistemica del sapere, Kp. Avremmo qui una figura multimodale, che può essere resa con: "è obbligatorio che sappia", in formula: O(Kp). Anche la frase 11: «non mi sono mai ricordato il numero della macchina» ha l'elemento lessicale epistemico che abbiamo già incontrato nelle frasi 2 e 5, che rinvia alla figura del non-Sapere, ~Kp. Nella frase 12 c'è la figura epistemica del non-Sapere, evidenziata dall'elemento lessicale "riconoscere", «non riesco a riconoscere il numero della targa», quindi: ~Kp. Alla 16 osserviamo un cambio di registro modale netto. Dalle figure del Sapere passiamo alle figure del Male. La 16 è: «mi han rubato». Un criterio utile e importante per la rilevazione degli elementi valoriali, assiologici, del testo, del Bene e del Male (Lai, Andò, 2004), è che, come ogni termine valoriale ha il suo contrario, a esempio nelle coppie bene/male, vincere/perdere, giustizia/ingiustizia, salute/malattia, amore/odio, così il primo termine di ogni coppia, in posizione di Gp, si abbina al significato di approvazione, di felicità, di virtù, e il secondo a quello di disapprovazione, infelicità, di incompletezza. La frase 16 richiede dunque ~Gp. E così pure la 17: «mi han rubato la targa». E così la 21, con il richiamo al vizio: «non sono delle persone oneste», ~Gp. La 25, per via della forma imperativa del verbo "denuncia", rientra nella figura deontica, dell'obbligatorio: Op. Ma nuovamente, per via dell'elemento lessicale "paura", la 26 ritorna alle figure assiologiche, del Male, ~Gp. La 27 è una frase complessa, multimodale, nel senso che allude alla figura del Male con il sintagma: "fare del male", ma allude anche al Possibile con il sintagma: "che mi possano", dando luogo alla formula M[~Gp] = "è possibile il Male". La frase 29: «mi ricordo», in posizione anaforica rispetto alla 2: «non lo ricordo» e alla 5: «mi ricordo», può venire presa come conforme alla figura epistemica del sapere, Kp. Il periodo 30 è quanto mai complesso e di difficile soluzione modale. Vi troviamo due condizionali. Il primo: "se anche hanno rubato non hanno fatto del male", il quale rinvia a un condizionale contrario, di cui rappresenta la negazione: "hanno rubato e quindi hanno fatto del male", "se hanno rubato hanno fatto del male", "se avessero rubato avrebbero fatto del male". Il secondo: "se anche non li denuncio non vengo meno al mio dovere", "non li denuncio e quindi vengo meno al mio dovere", "se non li denunciassi verrei meno al mio dovere". Tutto quello che può dirsi ora, in attesa di studiare la 30 in maniera più approfondita, è che, siccome apre mondi possibili in alternativa, allora si conforma alla figure logico-modali del possibile, Mp. Anche se ci sono elementi lessicali: "azione = furto", "male", "impossessarsi", "denuncio", "vengo meno al dovere" che orientano verso le figure assiologiche, sia del Bene sia del Male. Nella 33/34 l'elemento lessicale "scopriamo", anafora imperfetta della 7: «mi accorgo» e della 12: «riesco a riconoscere», si trova un'indicazione per la figura epistemica del Sapere, Kp. Così pure la 37: «ho la sensazione» = "scopro attraverso indizi dei sensi". L'elemento lessicale della 38: "complice" vuole l'assiologico: ~Gp. La 35/36, «vorrei dirlo a lui, vorrei chiedergli un consiglio», per il modo condizionale che contiene apre alla figura del Possibile, Mp. La 40: «i voli sono tutti occupati», potrebbe essere una figura assiologica, ~Gp, nel senso che è un male che siano occupati, ma anche rinviare a una figura dell'Impossibile, ~Mp, "non è possibile tornare in aereo se i voli sono occupati".
10. LA SUBORDINAZIONE ARCHITETTONICA DELLE FIGURE LOGICO-MODALI. Alla fine di questo lungo conteggio delle figure logico-modali, l'apprendista ai suoi inizi rischia di vedere aumentata, anziché diminuita, l'oscurità e complessità di un testo. Infatti, si trova di fronte a più di una figura logico-modale. Le sceglie tutte? Ma allora, così facendo, non dispone di una bussola attendibile di orientamento, ma da ogni parte si sente tirare e pendere. Empiricamente, il conversazionalismo ha tuttavia scelto un criterio semplice, che è quello della subordinazione architettonica di tutte le figure logico-modali inventariate in un testo a una che si stabilisce essere prioritaria rispetto alle altre, e alle quali le altre architettonicamente si subordinano. Nel testo del sogno di Carlo, siamo facilitati nella nostra subordinazione architettonica, per il fatto che si tratta di scegliere tra le figure logico-modali epistemiche, che sono in numero di circa 10, e le assiologiche, in numero di circa 7; le altre, aletiche e deontiche essendo in numero particolarmente esiguo. Nel testo, c'è dunque il Male e c'è il Bene; c'è il Sapere e il non-Sapere. Ma pur solo tra queste due, quale è la figura dominante? Prendiamola alla larga, ma sempre restando ancorati al testo. Infatti, l'indagine immateriale sul testo è sintattica, cioè non si occupa della semantica, ovvero delle relazioni del testo con il mondo extratestuale. Allora, chiediamoci, sia in quanto supervisore di un allievo, sia in quanto supervisore di noi stessi nella situazione materiale di cura, chiediamoci: il Male, qual è? La risposta è abbastanza immediata: è il furto della targa. D'accordo. Allora chiediamoci: che cosa ne fa il protagonista del sogno, nel racconto del sogno, di questo Male? La risposta questa volta è meno immediata, tuttavia intuitivamente è abbastanza obbligata: il Male, il protagonista del sogno lo nasconde al giudice, altro personaggio del testo del sogno. Come si vede, restiamo sempre nella dimensione sintattica, cioè con esclusione di ogni riferimento extratestuale. In termini logici, non attribuiamo, ancora, alcun valore ai simboli, cioè al lessico del testo. Ma dal testo, possiamo spremere ancora qualche altra informazione, qualche altro collegamento. Abbiamo detto che il Male, che il protagonista del sogno nasconde al giudice, è il furto della targa. Ma che cosa è il furto della targa, che cosa è la targa? Il valore lessicale, non semantico, di targa, il suo senso, non il suo significato, ha a che fare con il riconoscimento, quindi con l'identità, con la precisa appartenenza, con l'inequivocabile possibilità di identificazione di un oggetto. Abbiamo fatto un passo avanti. Il protagonista del sogno nasconde al giudice un furto di identità. Ma perché qualcuno può essere interessato a nascondere a qualcun altro, a un giudice, un furto di identità, o una sostituzione di identità? Quando ciò accade nella vita quotidiana, la sostituzione di una targa, il furto di una targa, ha a che fare con un delitto che si vuole compiere dirottando le indagini da un colpevole, quello che ha rubato la targa, a un innocente, quello al quale la targa è stato trafugata. Ora, la targa può significare, certo, di primo acchito, alla lettera, la piastra di metallo che porta inciso il numero e le altre indicazioni di riconoscimento pertinenti a un veicolo. Ma può anche significare, in modo figurato, la carta di identità di una persona, l'identità di una persona. Allora, forse è consentito un ultimo passo, limitato al lessico del testo, dove la targa della macchina demolita di Carlo, trafugata, sta per l'identità di Carlo. E infine, ma proprio infine, il primo tratto che consente l'individuazione di una persona nella carta di identità è la sua identità sessuale. In conclusione, il protagonista del sogno nasconde al giudice il furto della sua identità, eventualmente della sua identità sessuale. La formula di questo lungo cammino sintattico sul testo è la figura logico-multi-modale: ~K(~Gp) = "non conoscere il male", o, eventualmente: "nascondere il male del trafugamento dell'identità, forse dell'identità sessuale".
11. SUPERVISIONE E AUTO-SUPERVISIONE. Lo svolgimento retorico del paragrafo precedente dovrebbe aiutarci a vedere ciò che accade, sia in una situazione di supervisione esplicita nella quale il supervisore accompagna l'allievo a interrogarsi sul testo trascritto, sia in una situazione di cura nella quale l'analista fa la supervisione a sé stesso, mentre fa l'analisi al suo paziente, interrogandosi sul testo che legge in differita, con gli occhi della mente, il medesimo frammento di testo che ha appena ascoltato in diretta con i sensi dello spazio acustico.
12. L'ATTRIBUZIONE DI VALORI ALLE VARIABILI SINTATTICHE DEL TESTO. Nei paragrafi 9 e 10 abbiamo presentato la cornice dell'investigazione sintattica sul testo, cornice che formalizziamo nella coppia: <W, R>, dove W è un insieme di mondi, o, in altri termini, un insieme di elementi lessicali e sintattici del testo, e R è una specificazione dei modi in cui ciascuno dei mondi di W è collegato agli altri, se lo è. Il simbolo &Mac183; significa "appartiene a". Quando noi passiamo dall'indagine sintattica all'indagine semantica del testo, attribuiamo agli elementi del mondo W un determinato valore che collega gli elementi in questione al mondo extratestuale, valore che indichiamo con V. Con l'introduzione del parametro V passiamo dalla cornice al modello, e dalla coppia a una tripla: <W, R, V>, nella quale W e R si leggono come prima specificato, e V sta per un assegnamento di valori agli elementi dei mondi di W, (p, q, r) &Mac183; W, tale che V(p, a), V(q, b), V(r, g). Per esempio, l'elemento "giudice" resta una variabile all'interno del testo nella prospettiva sintattica, variabile che possiamo indicare con la lettera p, che può essere legata alle altre variabili del testo, q, r. Ma mettiamo che al terapeuta venga in mente che il giudice, al quale il protagonista del sogno evita di svelare i suoi segreti, sia l'analista stesso, prenda il valore di "analista". Il valore V di "analista", indicato con la lettera a, al termine lessicale "giudice", dà "analista = giudice", con V(p, a), nel senso che con la procedura di attribuzione di significato a p si ha la proposizione a. Siamo passati dalla sintassi del testo alla sua semantica. Siamo passati dalla lettura matematica e algebrica del testo, nella quale i calcoli avvengono tra i simboli, indipendentemente dalla realtà al posto della quale stanno, alla lettura semantica del testo, cioè alla sua interpretazione, secondo questa o quella chiave. Grazie a questa attribuzione di valore ai simboli del testo, sui quali già il conversante ha fatto un lungo lavoro, il conversante medesimo può orientare il seguito della conversazione così, come di fatto è accaduto (i numeri indicano i turni verbali in sequenza):
20 CONVERSANTE: Mah, vede, è un sogno costruito come un film americano, dove i giudici sono spesso in combutta con i malfattori.
21 CARLO: Sì, ma non amo i film americani, preferisco i film francesi.
22 CONVERSANTE: Sì, comunque, proviamo a passare dai film a lei. Diciamo che tutto ciò che accade in un sogno siamo noi, è il sognatore. Allora, è come se avessero fatto un furto della sua identità, una sostituzione di identità, in qualche modo, e poi di questa vicenda che le è accaduta, lei non sa bene se parlarne o se non parlarne. Poi arriva da un giudice, che deve dirimere, risolvere il problema. Allora, mi sembra che tutto converga a descrivere una relazione tra lei e me, come se fossi io il giudice. Anche se mi ha visto con delle caratteristiche un po' losche (il conversante si riferisce a alcune associazioni di Carlo relative all'aspetto poco rassicurante del giudice nel sogno).
23 CARLO (ride): Scusi.
24 CONVERSANTE (ride): Si dice che l'inconscio non è responsabile di ciò che dice. Comunque, è a me, come persona che può dare dei giudizi, lei l'altra volta mi chiedeva di dirle la sua diagnosi, emettere un giudizio.
25 CARLO: Calza benissimo. Sì, sì.
26 CONVERSANTE: È come se avesse ragionato su qualcosa relativo alla sua identità, c'è stato un furto di identità, e la prima caratteristica dell'identità è l'identità sessuale. Chissà che cosa vuol dire. Però, è come se dicesse: «Andiamoci con cautela prima di raccontare le cose a Lai, non si sa bene da che parte sta».
13. L'INNESTO DELLA PROCEDURA CONVERSAZIONALE SULLA PROCEDURA DELL'INTERPRETAZIONE DI TRANSFERT. Nel frammento di conversazione che comprende i turni verbali dal 20 al 26, siamo passati dalla cornice sintattica della conversazione immateriale alla cornice psicoanalitica della conversazione materiale, nella quale ultima abbiamo utilizzato il criterio che guida l'interpretazione di transfert. Abbiamo innestato l'interpretazione di transfert sul calcolo logico-modale. Sarebbe, l'analista, ugualmente arrivato alla interpretazione di transfert che ha dato al turno 26, ipotizzando di essere il giudice che il Carlo ha ragione di pensare in combutta con i trafugatori di targhe: «Andiamoci con cautela prima di raccontare le cose a Lai, non si sa bene da che parte sta»? Forse sì, forse no. A ogni modo, a noi sembra che la procedura sintattica, del calcolo delle figure logico-modali abbia consentito una semplificazione elegante della complessità e della molteplicità di significati possibili del testo. Il problema che resta aperto è quello della validità dell'attribuzione di significati agli elementi lessicali e sintattici del testo. Intuitivamente si potrebbe dire, e operativamente noi diciamo, che la proposizione (sia a, che b, che g, o altre) conseguente a una determinata attribuzione di valori, V, a un elemento testuale (sia p, che q, che r, o altri), per esempio l'attribuzione all'elemento lessicale "giudice" = p, del valore di "analista" = a, è valido, ovvero V(p, a) = 1, (cioè la formula è vera), se risulta vera per qualsiasi sostituzione della medesima variabile di ogni testo, mettiamo "giudice", con proposizioni riferite al mondo extratestuale nei termini di "analista". In altri termini, definiamo la validità di un'operazione di attribuzione di significato, nel salto dal mondo del testo al mondo extratestuale, dicendo che una proposizione come: "l'analista che sono io che parla nella situazione analitica è il giudice del racconto del sogno di cui lei parla, al quale desidera tenere nascosti i suoi segreti" è vera in una cornice <W, R> se, per qualsiasi modello <W, R, V>, basato su <W, R>, e per ogni p &Mac183; W, V(p, a) è = 1, cioè è vera. Ma il problema della validità dell'attribuzione di significati, oltre che di difficile soluzione, come si vede, va comunque ben oltre il tema della supervisione che stiamo qui trattando.
14. CONCLUSIONI. Abbiamo presentato il concetto e la pratica della supervisione immateriale. La supervisione immateriale si esercita sulla conversazione immateriale. La conversazione immateriale è il testo registrato e trascritto di una conversazione, che si legge in differita, rispetto alla conversazione materiale la quale accade in diretta nello spazio acustico di una seduta analitica. Nella supervisione immateriale il supervisore addestra l'allievo a cogliere, riconoscere e inventariare le figure logico-modali alle quali si conforma la conversazione, come in un cielo stellato ammassi informi di stelle si conformano alle figure geometriche o mitologiche del triangolo, del trapezio, del sagittario. Il testo, oggetto linguistico narrativo, confuso, caotico, infinito, oscuro, viene così trasformato in un insieme finito di simboli logici, chiari, semplici, distinti. I calcoli sui simboli logici, ovvero le operazioni che mettono in relazione i vari simboli tra di loro, vengono poi fatti secondo una procedura sintattica, che esclude ogni riferimento dei simboli al mondo extratestuale. Nell'esempio che abbiamo portato, lavorando sulle relazioni tra i simboli del testo, i simboli del non Sapere, ~Kp e del Male, ~Gp, il risultato della operazione per Carlo porta a una formula multi-modale elementare del tipo: ~K[~Gp], che si legge "nascostamente il male", "nascondere il male", "non far sapere il male". Che cosa ne fa a questo punto il conversante della proposizione risultato dei suoi calcoli? Si tratta, praticamente, di trasferirla alla conversazione materiale, quando l'analista tornerà in contatto con Carlo. Ma la conversazione materiale è ordinariamente considerata nel suo aspetto semantico. Per trascrivere la formula sintattica in una frase semantica, occorre attribuire ai simboli della formula valori adeguati, cioè correlarla agli oggetti del mondo extratestuale, nei modi dettati dalla teoria di riferimento dell'analista. Per restare nel nostro esempio, in funzione della interpretazione trasferale della psicoanalisi classica, la formula ~K[~Gp] diventa: "l'analista che sono io che parla nella situazione analitica è il giudice del racconto del sogno di cui lei parla, al quale desidera tenere nascosti i suoi segreti". Concludendo, la supervisione immateriale logico-sintattica studia non le relazioni tra fatti, non le relazioni tra racconti, ma le relazioni tra proposizioni logiche. Metodologicamente, quindi, esclude le procedure semantiche, proprie sia alla psicologia conscia e inconscia, sia al narrativismo, sia al cognitivismo. La de-psicologizzazione, la de-narrativizzazione, la de-cognitivizzazione del testo che ne conseguono possono essere viste come un vantaggio da alcuni, come un danno da altri.
Bibliografia essenziale ragionata
Per i concetti della psicoanalisi classica:
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Per le psicoanalisi non classiche centrate sul controtransfert:
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LAI G., Gruppi di apprendimento, Boringhieri, Torino 1973 (per i termini e i concetti di autocentrato e eterocentrato).
LITTLE M., Countertransference and the patient's response, in «International Journal of Psychoanalysis», 32, 1951 pp. 32-40
Per le psicoanalisi non classiche centrate sulla relazione:
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Per la distinzione tra conversazione materiale e conversazione immateriale nel conversazionalismo:
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Per il calcolo delle figure logiche modali:
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