Riassunto
Si racconta l’esperienza di Social Dreaming realizzata con l’equipe del Servizio di consulenza psicologica ed etnopsichiatrica per immigrati a Terrenuove e condotta da Claudio Neri. Dopo una breve premessa sulla ricerca di un ambito formativo congruente con i bisogni del Servizio e sul Social Dreaming, il testo fornisce alcune informazioni essenziali dell’esperienza vissuta, attraverso la testimonianza di chi ha partecipato. Segue il testo dell’intervista fatta a Claudio Neri.
Abstract
Social Dreaming at Terrenuove
The experience is being told of Social Dreaming, made with the team of Psychological and Ethic-Psychiatric for immigrant Service team at Terrenuove and led by Claudio Neri. After a short introduction on research of a training context consistent with the needs of the Service and on Social Dreaming, the text provides some essential information of the experience made, through the witnessing of the participants. The text of the interview with Claudio Neri follows.
Il Servizio di consulenza psicologica ed etnopsichiatrica per immigrati di Terrenuove.
Il Servizio di Terrenuove è costituito da un gruppo di una decina di operatori, medici, psicologi, educatori counsellor; dal 1999 il Servizio si occupa di persone migranti offrendo un contesto di relazione d’aiuto in cui i percorsi individuali e di gruppo si intersecano tra loro.
Il Servizio, attivo quattro giorni a settimana, ha operato fino ad oggi in convenzione con il Comune di Milano e con la ASL città di Milano, costruendo negli anni una ampia rete di interlocutori sul territorio milanese con cui interagire nei percorsi di relazione di aiuto offerti ai migranti.
Tra i riferimenti culturali del Servizio è Ernesto De Martino, la sua concezione sulla presenza e la crisi della presenza, la sua modalità di concepire il lavoro sul campo in una ottica interdisciplinare, la sua visione fenomenologica. Accanto a De Martino, Sergio Mellina, tra i primi a sostenere nel 2000 la nascita del Servizio: con lui abbiamo discusso a lungo la sua psicoterapia biografica dell’esperienza migratoria, messa a punto sia negli anni in cui è primario all’ospedale psichiatrico Villa Clara di Cagliari (già contagiato dai fermenti della nuova psichiatria antistituzionale da Racamier a Basaglia) e ha a che fare con i ricoverati, emigranti sardi di ritorno; sia più tardi con il Progetto Michele Risso nella Asl Roma B, il primo progetto dei servizi pubblici aperto ai migranti, in Italia (Mellina, 2001).
Come ho già detto la consulenza individuale si interseca a Terrenuove con il lavoro di gruppo: il gruppo raccoglie amici, famigliari, persone che a diverso titolo condividono aspetti della vita attuale della persona migrante e che gli sono vicini, ed è aperto agli operatori dei servizi che ci inviano il paziente. Il gruppo, chiamato gruppo rete, accompagna il lavoro di consulenza individuale con incontri periodici più rari rispetto agli incontri di consulenza; costituisce il gruppo di riferimento territoriale del paziente migrante, il suo “campanile” direbbe De Martino (1977), il “sociale”. Il gruppo svolge molteplici funzioni, alcune simili a quelle espresse nel capitolo 5 di Principi di etnopsicoanalisi di Tobie Nathan (1996); altre, come l’intreccio tra intervento clinico e risvolti sociali, legate all’esperienza di etnopsichiatria di territorio praticata a Terrenuove con la metodologia di intervento di rete tipica del nostro Servizio (Rotondo, 2009).
In questo contesto, circa un anno fa, decidiamo di proporre a tutta l’èquipe una esperienza di gruppo che integri i consueti incontri di supervisione con Salvatore Inglese e con Françoise Sironi, nostri compagni di viaggio in questi anni. Gli incontri di supervisione, utili agli operatori di Terrenuove, sono dedicate ai nostri pazienti migranti; cerchiamo qualcosa che serva all’èquipe come tale.
Come nasce l’esperienza del Social Dreaming a Terrenuove.
Pensando all’èquipe pensiamo a una esperienza che riguardi il gruppo, in particolare a qualcosa che faciliti le relazioni all’interno del gruppo di lavoro, che sviluppi creatività ed appartenenza, qualcosa in cui possiamo essere coinvolti tutti senza dover temere valutazioni, giudizi degli uni sugli altri, e che ci aiuti in un passaggio che alcuni di noi avvertono e che il gruppo sta attraversando, il passaggio verso una età adulta del Servizio, verso una maggiore possibilità di scambio tra la generazione dei senior e la generazione più giovane. Cerchiamo quindi una esperienza di gruppo che solleciti creatività e appartenenza, svincolata dai modelli di consulenza usuale sui gruppi di lavoro, spesso centrata su aspetti del fare e del dover fare; qualcosa che ci aiuti ad andare oltre, verso dove non è così chiaro neppure a noi, forse verso ciò che pur influenzando il gesto organizzativo, non giunge ad essere però esplicitato.
In altri contesti, in questi anni, alcuni di noi stanno approfondendo gli ambiti della esperienza non formulata di cui parla Donnel Stern (2007), accostandone il concetto al conosciuto non pensato di Bollas (1989) e mettendolo in relazione con il protocollo di copione e il copione (Cornell e Landaiche, 2008). Sempre di più consideriamo la presenza di una vita sotterranea in ombra, apparentemente priva di forma, e di fatto presente e intrecciata ad una dimensione dell’esperienza più palese, non solo per i singoli individui, ma anche per i contesti sociali e organizzativi.
Il sogno, nel suo divenire da esperienza diretta a racconto ci sembra indicare la possibilità di congiungere le diverse dimensioni di vita, come un “ponte”, un filo tra un pezzo di esperienza privo di forma e tuttavia presente e una esperienza che prende forma, può essere raccontata, pensata, ricordata.
Forse è con questa dimensione che attraversa la vita del nostro gruppo di lavoro e che intuiamo essere presente nella vita istituzionale e influente nei comportamenti della nostra piccola organizzazione, che desideriamo attivare una comunicazione: Gordon Lawrence direbbe con la terza dimensione di una organizzazione, una organizzazione nel processo di essere sognata.
Desideriamo anche fare una esperienza comune, con il gruppo di professionisti che compongono l’equipe di Terrenuove, che ci coinvolga come gruppo.
Anni fa abbiamo avuto modo di conoscere il testo, a nostro parere bellissimo, di Malcolm Pines e Victor L. Schermer Il cerchio di fuoco, pubblicato nel 1998 da Cortina: lì avevamo ritrovato alcune linee dell’impostazione anche della nostra modalità di lavoro con i gruppi, una visione intersoggettiva della comunicazione, di attenzione alla comunicazione nella realtà gruppo, di riferimento al sociale. Decidiamo di cercare altri testi di questo autore, che, tra l’altro, nel 2005 ha pubblicato I sogni nella psicoterapia di gruppo con Borla; coautori sono Robi Friedman e Claudio Neri.
Qualcuno di noi ha sentito parlare anni fa, in ambito universitario, di Claudio Neri: sappiamo che si occupa di gruppi, e che insegna all’Università di Roma. In più, ne I sogni nella psicoterapia di gruppo compare un articolo di Gordon Lawrence e Hanna Biran, La complementarità tra il Social Dreaming e il sognare terapeutico, in cui gli autori dichiarano “il sogno sociale e quello terapeutico non sono in contraddizione tra loro”. Siamo interessati al Social Dreaming e sempre nella collana di Borla “Prospettive nella ricerca psicoanalitica”, troviamo il testo di Lawrence, Social Dreaming, che ci interessa e ci sorprende. Tutto questo per dire che da più interessi, da più direzioni sinteticamente raccontate nelle righe precedenti, ci orientiamo a proporre il Social Dreaming ai colleghi del Servizio di Terrenuove e chiediamo a Claudio Neri di condurlo.
Le trattative con Claudio Neri, che non conosciamo personalmente, comportano alcuni passaggi e tra la prima mail del 28 luglio 2008 e la realizzazione dell’esperienza del Social Dreaming trascorrono un po’ di mesi, con vari scambi di informazioni, e per negoziare date possibili per Claudio Neri e per le persone della équipe di Terrenuove. La richiesta esplicitata nella prima mail a Claudio Neri, dopo una brevissima presentazione del Servizio, dice testualmente: “Nel nostro lavoro attuale attraversiamo un periodo caldo, sia per alcune situazioni sociali attuali rispetto al mondo dell’immigrazione, sia per alcune dinamiche interne, sia forse per un risentire tra noi qualcosa delle situazioni difficili con cui ci confrontiamo (in questi anni abbiamo seguito più di 500 persone, spesso in situazioni difficili)”; in seguito, ormai in dirittura d’arrivo, si ritorna in una delle ultime mail sulla composizione del gruppo dei partecipanti, “i partecipanti saranno da dodici a quattordici, quasi tutti impegnati direttamente nelle équipe di lavoro del Servizio immigrati…” e su una ipotesi di utilizzo del Social Dreaming: “il Servizio è in un momento di passaggio, a mio parere, come se entrasse nella sua età adulta”. Sono riferimenti, informazioni, pareri su cui non si tornerà in seguito, a cui non si farà più riferimento.
Cosa è il Social Dreaming (SD)
Come scrive Claudio Neri (2002) il
Social Dreaming è una tecnica di lavoro di gruppo che valorizza il contributo che i sogni possono offrire alla comprensione, non del mondo interno dei sognatori, ma della realtà sociale ed istituzionale in cui vivono. Gordon Lawrence (…), che ha scoperto questa tecnica, afferma che i sogni contengono informazioni fondamentali sulla situazione in cui le persone stanno vivendo nel momento in cui sognano. Il Social Dreaming non vuole sfidare il grande valore dell’approccio ai sogni della psicoanalisi classica, ma mette in rilievo la loro dimensione sociale (Neri, 2002).
Il Social Dreaming, sognare sociale, nasce negli anni ’80, ad opera di Gordon Lawrence. Lawrence in quegli anni faceva parte dello staff scientifico del settore Relazioni Umane del Tavistock Institute. All’interno del programma Relazioni di gruppo dell’Istituto aveva messo a punto un approccio centrato sul concetto di “relazionalità”: di come, cioè, nell’esperienza e nel comportamento dell’individuo si rifletta la presenza di contenuti consapevoli o inconsapevoli relativi al gruppo o all’istituzione di appartenenza. Gradualmente, attraverso la sua concreta esperienza di consulente per le organizzazioni, Lawrence arriva alla convinzione che per conoscere a fondo una realtà sociale o istituzionale sia importante tenere in considerazione anche questi vissuti e costrutti interni e che i sogni delle persone ne costituiscono una significativa chiave di accesso. Tra i passaggi importanti in questa sua ricerca, Gordon Lawrence accenna alla conoscenza avvenuta casualmente, attraverso un libro, di un testo scritto da Charlotte Berardt (1968) The Third Reich of dreams: tra il 1933 e il 1939, anno in cui la Berardt dovette lasciare la Germania per l’America, l’autrice aveva raccolto 300 sogni di tedeschi, la maggior parte raccolti da lei, alcuni da un collega medico. A questa raccolta di sogni legati ad un particolare periodo storico la Berardt ritorna più avanti: nel valutare il materiale raccolto, l’autrice sottolinea che questi sogni
sorgevano dai conflitti a cui la gente era stata portata da un sistema pubblico (…) erano sogni che potevano avere a che fare con relazioni umane disturbate, ma era stato l’ambiente a disturbarle: essi provenivano direttamente dall’atmosfera politica nella quale queste persone vivevano… (Berardt, 1968).
Allo stesso modo nella sua ricerca Gordon Lawrence raccoglie informazioni circa alcune abitudini del sognare e del raccontare il sogno, attive in vari ambiti culturali e soprattutto presso i popoli primitivi. Per i popoli primitivi il sogno dell’individuo va al di là della vita personale di chi lo sogna, parla della vita del gruppo ed è raccontato e vissuto in un gruppo; per alcune popolazioni, i Senoi, per esempio, l’interpretare il sogno ed esprimerlo in comune era un momento regolare della vita quotidiana della tribù. Kilton Stewart, antropologo che per molti anni ha raccolto informazioni sulla vita dei Senoi, ci indica il sogno ed il sognare come il tipo più profondo di pensiero creativo:
Osservando la vita dei Senoi, mi vien fatto di pensare che la civiltà moderna può essere malata perché ha smesso o non è riuscita a sviluppare una metà della propria capacità di pensare, forse la metà più importante… (Stewart, 1969).
Queste e altre riflessioni, accanto alle esperienze condotte con il Programma di Formazione nelle Relazioni di gruppo del Tavistock Institute, portano Lawrence ad ipotizzare che
è possibile fare dei sogni che parlano delle nostre paure e angosce inconsce sulla società in cui viviamo. L’individuo sogna su alcuni temi basilari, quali la famiglia, il lavoro e le relazioni con i genitori e con altri significativi. La ‘società’ esiste tuttavia solo nella mente come una costruzione di individui basata sulle esperienze di relazioni con altri con i quali accade di essere in rapporto (Lawrence, 1988).
Ci sono le basi per pensare al sogno come ad un sogno sociale, come ad un elemento di potenziale sviluppo di creatività e di relazionalità tra gli individui e i gruppi e le istituzioni di appartenenza, tra le persone e la società in cui vivono.
Il lavoro di Lawrence, sviluppato appunto in un’ottica consulenziale, è collegato ad una visione delle organizzazioni e delle realtà sociali articolate su più livelli, da quelli espliciti, formali, a quelli più profondi, nascosti, inconsapevoli: questi ultimi sono spesso i più significativi, ma anche i meno accessibili. I sogni delle persone che vivono nelle organizzazioni possono costituire, secondo l’approccio del Social Dreaming, una chiave d’accesso. Secondo Claudio Neri:
È come se le persone che sognano (…) fossero capaci di cogliere evidenze che chi è sveglio non può o non vuole vedere. Gli occhi di chi sogna, probabilmente, sono sottratti alle costrizioni del gruppo sociale e possono quindi vedere fatti, forze e tensioni, che gli occhi di chi è sveglio non possono riconoscere (Neri, 2002).
Insieme ad altri studiosi e consulenti, sia del Tavistock che di altre provenienze, Lawrence sperimenta le sessioni di “sogno sociale”, riunioni di persone che si incontrano per condividere sogni e associare liberamente su di essi, un’esperienza che, in varie forme e contesti, è stata poi ripresa e ripetuta nel corso degli anni in numerosi paesi.
Il setting
La struttura dei seminari, di norma, prevede due fasi: la prima è dedicata alla condivisione dei sogni e alle associazioni libere ad essi; è detta “matrice”, un nome scelto sia per indicare un luogo in cui nasce e si sviluppa qualcosa, sia per differenziarla concettualmente dal contesto consueto di gruppo, che è in secondo piano nel SD. La seconda fase è costituita dai “dialoghi di riflessione sui sogni” ed è un momento di elaborazione su quanto emerso nella matrice, sugli schemi o sequenze di contenuti che si possono evidenziare e sui possibili collegamenti con la realtà sociale che si intende esplorare.
Nella “matrice” conduttore e partecipanti sono generalmente seduti sparsi nella stanza, oppure secondo una linea a spirale o anche secondo una disposizione a ‘fiocco di neve’: si cerca di evitare cioè disposizioni in cerchio e di ridurre il contatto visivo tra le persone. L’intenzione è prevenire l’attivazione di dinamiche di gruppo e facilitare invece un processo di associazione quanto più possibile libera e non condizionata. Va evidenziato peraltro che questa disposizione può generare resistenze e difficoltà, proprio per la riduzione di controllo visivo che comporta, ed essere vissuta come un ostacolo alla condivisione di sogni e riflessioni. In ogni caso quando si opta per mantenere una tradizionale disposizione in cerchio, per questioni logistiche o per altre valutazioni, questo non risulta un impedimento significativo allo svolgimento dell’esperienza.
Elemento chiave della matrice, insieme ai sogni, è il processo di libera associazione, rispetto a cui il sogno, svincolato dalla sua dimensione individuale e reso disponibile come oggetto comune, assume la funzione di “attivatore”. La libera associazione significa perdere la propria linea di pensiero, la coerenza del proprio discorso e aprire alla possibilità di nuove e divergenti linee di immagini e idee, all’accesso a qualcosa di inconsapevolmente saputo ma non pensato.
Infatti il pensiero associativo, proprio per la sua apparente casualità (…), modifica drasticamente il nostro punto di vista sugli eventi. Questi processi consentono di lasciarsi colpire da quelli che Bion definisce i pensieri senza pensatore, cioè dalle implicazioni contenute negli eventi che attraversano il contesto. Cogliere questi eventi confronta immediatamente i singoli e i gruppi con nuovi livelli di consapevolezza e di responsabilità (Ambrosiano, in Lawrence, 2001).
Nella seconda fase, dei “dialoghi”, si riprende invece il più consueto assetto circolare dei posti. Finalità dei dialoghi è l’elaborazione di quanto emerso nelle matrici: i partecipanti sono invitati ad identificare collegamenti ed elementi in comune tra i sogni, le immagini, le fantasie; ad identificare le sequenze emerse, i pattern; ad evidenziare gli aspetti dei sogni con una rilevanza sociale e i collegamenti tra questi e la realtà sociale e istituzionale che si sta indagando. Nel fare questo sono utilizzati processi di amplificazione emotiva e ideativa.
Nelle diverse esperienze svolte finora, la struttura del seminario di Social Dreaming è stata adattata di volta in volta a seconda dei contesti di applicazione. Sono state ad esempio realizzate esperienze con gruppi di 10-15 persone ed un solo conduttore così come sessioni con diverse decine di partecipanti e più conduttori, sia divisi in sottogruppi paralleli, sia operanti in un’unica assemblea.
Un punto importante è che il programma del seminario preveda una successione di più matrici, evitando di puntare tutto su un’unica seduta, dato che un elemento rilevante del metodo è permettere lo sviluppo di un “processo”, sia relativamente al funzionamento del gruppo sia per quanto riguarda i sogni. Ciò che si verifica, infatti, è un collegamento dei sogni e delle associazioni, man mano che le sessioni si svolgono:
È come se, col procedere delle ‘matrici’ di Social Dreaming, si creasse progressivamente un ‘contenitore attivo’, che tende a modificare il ‘contenuto’, facendo emergere nuovi sogni e pensieri e trasferendo i precedenti sogni e pensieri (Neri, 2002).
Un programma di lavoro utilizzato di frequente prevede da tre a cinque matrici nell’arco di due o tre giorni consecutivi di seminario. Altri schemi che vengono adottati prevedono, ad esempio, una matrice alla settimana per quattro - sei mesi, oppure una matrice ogni sette o quindici giorni, per periodi la cui durata non è definita in partenza.
Il lavoro delle matrici può iniziare in modi differenti, direttamente con il racconto di un sogno o con altri interventi dei partecipanti o del conduttore. La consegna di Gordon Lawrence è: “Il compito principale è associare il più liberamente possibile ai propri sogni e a quelli degli altri, quando questi emergono nella matrice, così da creare legami e trovare connessioni. Chi ha il primo sogno?”.
Informazioni preliminari sulle finalità e i modi di svolgimento dell’esperienza possono essere date sinteticamente in apertura della prima matrice, così come inviando ai partecipanti un testo scritto nei giorni precedenti il seminario o anche con un breve intervento all’inizio del seminario, che sarà separato con un intervallo dalla prima matrice, ad evidenziare la differenza tra le fasi di lavoro. Possono essere date altre regole, con la funzione di facilitare una partecipazione allargata e il processo di libera associazione: evitare che un singolo intervento duri più di dieci o quindici minuti; non rispondere a domande poste direttamente; evitare di impegnarsi in discussioni prevalentemente con una o due persone; fare associazioni ai sogni degli altri e non ai propri, almeno inizialmente; proporre propri sogni anche come associazione a sogni di un’altra persona. Alcune di queste regole rinforzano il concetto che, nel contesto del Social Dreaming, i sogni sono visti non come “proprietà individuali”, ma come “oggetti comuni”, resi disponibili al contesto sociale del gruppo.
Il ruolo del conduttore
Secondo Claudio Neri, “il conduttore deve facilitare i partecipanti nel raggiungimento del compito primario, garantendo che le regole del setting siano rispettate. Egli lascerà ai partecipanti l’attività di trovare significati, identificare allegorie e simboli. I suoi interventi sono sempre basati su ciò che è evidente”. Quando necessario il conduttore fornisce le informazioni sulle finalità e le modalità di svolgimento del seminario. Un elemento evidenziato anche da altri autori (ad esempio Van Beekum, Laverty, 2007) è l’attenzione ad assumere un ruolo soprattutto recettivo, di taker, predisposto a cogliere gli stimoli che vengono dalle persone, più che a proporne di propri. Talora, in un’ottica di facilitatore, il conduttore può sollecitare associazioni rispetto a un certo contenuto o proporre collegamenti tra alcuni elementi emersi, in un modo che Neri definisce “associazioni orientate”, in quanto seguono propri pensieri emersi come associazioni, ma sono anche indirizzate a chiarire aspetti potenzialmente significativi rispetto all’impostazione e al contesto del seminario.
Coerentemente con l’impostazione peculiare del Social Dreaming il conduttore non interpreta i sogni, ma ne accompagna e “protegge” l’esposizione. Van Beekum e Laverthy (2007), citando Maltz e Walker (1988), sottolineano come l’interpretazione porti il focus sull’individuo, mentre il processo associativo rende possibile far emergere ed analizzare i legami tra le persone, la dimensione sociale del sogno.
Neri attribuisce un significato particolarmente rilevante ad uno specifico impegno mentale richiesto al conduttore di una matrice, che chiama “lavoro del negativo”, riferendosi alla “capacità negativa” descritta da Bion: si tratta della capacità di
rimanere a lungo in una condizione di mancanza di certezze, evitando di saturare ciò che accade con l’attribuzione precoce di un significato. È necessario ascoltare con attenzione, accogliere, registrare e al tempo stesso allontanare ipotesi e congetture che potrebbero bloccare l’emergere di un’intuizione. Si tratta di un atteggiamento impegnativo mirato a facilitare le condizioni perché il “labile e variegato pensiero del sogno possa scorrere e procedere” (Neri, 2002).
Ambiti di utilizzo
Il Social Dreaming nasce nell’ambito del lavoro e della ricerca di Gordon Lawrence come consulente nell’area delle organizzazioni ed è in quest’area che è stato principalmente utilizzato. Lawrence (2001) afferma che con il sogno sociale si apre una nuova possibilità ai consulenti, che normalmente focalizzano la loro attenzione su due dimensioni: quella dell’organizzazione vista come processo, con i suoi ruoli, attività, finalità; e quella del divenire, relativa alla visione sul futuro dell’organizzazione. La nuova possibilità è cogliere la dimensione dell’organizzazione che viene sognata, riferendosi con questo ai livelli profondi e inconsapevoli della vita sociale, come Lawrence ha sperimentato nell’ambito del suo utilizzo del Social Dreaming presso associazioni e istituzioni di diverso tipo. Lo sviluppo di questo approccio persegue quella che viene definita una politica consulenziale della “rivelazione”, in cui obiettivo del consulente non è tanto indicare le azioni da fare, le soluzioni (politica della “salvazione”), quanto aprire alle persone dell’organizzazione la possibilità di collegarsi con i suoi livelli emotivi, inconsapevoli come base per assumere poi una posizione più attiva e responsabile sulle azioni da sviluppare.
Thomas Micheal (in Lawrence, 2001) considera l’applicazione del Social Dreaming nel contesto degli interventi di consulenza mirati a facilitare il cambiamento della cultura organizzativa e propone tre condizioni da soddisfare, per raggiungere quest’obiettivo:
Che il cambiamento sia relativamente duraturo
Che implichi esperienza e percezioni condivise
Che “ci sia un mezzo per scoprire i processi inconsci e renderli disponibili al pensiero”, dato che “la cultura nasconde tanto quanto essa rivela e poiché nasconde le cose più importanti”
L’autore conclude che l’esperienza del sognare sociale possa essere utile per facilitare sia il secondo che il terzo punto. Neri, esaminando le diverse esperienze di intervento con il Social Dreaming, sottolinea la funzione del sogno come “contenitore”, e ricorda che quando le organizzazioni attraversano momenti di crisi e forti tensioni una grande quantità di energia è impiegata per identificare “risposte” e soluzioni. Potrebbe essere più utile far emergere, invece, le “domande” profonde presenti nell’istituzione, permettere alle persone di connettersi ad esse ed elaborarle; i sogni potrebbero rappresentare allora il giusto “contenitore” per far emergere le domande e il Social Dreaming la tecnica adeguata.
Benché l’area delle organizzazioni abbia rappresentato il principale campo di applicazione del Social Dreaming, altri ambiti possono essere individuati come nel caso del lavoro tra persone che, pur non appartenendo a una medesima istituzione e non conoscendosi, sono però accomunate da una esperienza simile, come un trauma o l’esperienza del migrare. La partecipazione al Social Dreaming, con il senso di condivisione intima e personale che lo caratterizza, è stata inoltre collegata, in altre esperienze, ad un rinforzamento dei legami e del senso di partecipazione e connessione reciproca tra persone appartenenti allo stesso team.
Gli analisti transazionali conoscono il Social Dreaming?
Anche nel contesto dell’Analisi Transazionale si registrano le prime esperienze relative all’utilizzo di questa tecnica. In particolare Servaas van Beekum (TAJ, vol.37, 3, 2007), descrivendo un seminario di Social Dreaming condotto nell’ambito della 18a conferenza internazionale dell’ITAA (International Transactional Analysis Association) svoltasi a Sidney nel 2006, introduce il tema e ne analizza le connessioni con l’approccio analitico transazionale.
Van Beekum sottolinea dapprima che in A.T. l’approccio al sogno è di tipo individualistico, cioè di esplorazione del significato per il singolo sognatore. Poi, facendo riferimento ai concetti di “campo condiviso” e di “casa comunicativa comune”, che si generano quando le persone entrano in interazione e formano un’unità sociale, introduce il concetto di “inconscio collettivo”, rispetto a cui i sogni possono costituire una via d’accesso.
La Conferenza ITAA del 2006 era dedicata al tema dei gruppi, oltre a rappresentare un momento di incontro della comunità A.T. e una tappa dello sviluppo dell’A.T. in Australia. Il seminario di Social Dreaming viene articolato in tre matrici, ognuna all’inizio di ciascuna delle tre giornate della conferenza, e partecipano una sessantina di persone.
Il compito assegnato ai partecipanti è quello classico di associare ai sogni che man mano si rendono disponibili nelle matrici, in modo da identificare legami, connessioni e significati, relativi al contesto della comunità di analisti transazionali e in particolare a quello australiano. Il ruolo dei conduttori è su due fronti: da un lato presidiare organizzazione e setting, curando lo spazio fisico, gli orari, le informazioni e il rispetto delle consegne; dall’altro di proporsi come “consulenti di processo”, in stretta alleanza con le persone, attenti a connettersi ai contenuti che emergono e ad offrire stimoli e collegamenti, lasciando poi ai partecipanti la libertà di coglierli ed utilizzarli.
Una riflessione specifica riguarda il fatto che ciò che la matrice offriva era un processo di riflessione e non un risultato specifico che poteva essere “contrattato”: questo aspetto aveva creato del disagio, in quel contesto analitico transazionale, in quanto si trattava di un “diverso linguaggio” con cui confrontarsi.
Nonostante ciò Van Beekum riferisce dell’intensità della partecipazione e della ricchezza dei contenuti emersi, relativi tra l’altro al tema della fiducia/sfiducia nell’altro, dei timori e insicurezze nascoste, all’identità e al percorso professionale, alle emozioni interne, e di come questi contenuti potrebbero essere ricollegati anche ad alcuni aspetti “nascosti” tipici della cultura australiana e della sua storia.
Il Social Dreaming a Terrenuove
Setting e partecipanti
Il Social Dreaming (SD) a Terrenuove è strutturato nell’arco di tre giorni a metà maggio 2009, dal venerdì pomeriggio alla domenica mattina, come di seguito esposto. Nell’esperienza di Claudio Neri si tratta della struttura ottimale, in quanto prevede un arco di tempo utile ad attivare un processo relativo alla produzione e elaborazione dei sogni. Le matrici hanno avuto una durata di 75 minuti, i dialoghi di 45. Tra una fase e l’altra c’è un intervallo di 15 minuti.
Programma delle giornate:
Venerdì pomeriggio
- Presentazione del metodo
- Prima matrice
Sabato mattina
- Seconda matrice
- Terza matrice
- Primo dialogo di riflessione sui sogni
Domenica mattina
- Quarta matrice
- Secondo dialogo di riflessione sui sogni
- Valutazione dell’esperienza e conclusioni
Claudio Neri ci invia per tempo la scansione delle giornate, insieme ad un suo articolo, più volte citato in questo testo, sul SD. I partecipanti sono i componenti l’èquipe di Terrenuove, a cui si aggiungono uno psicologo, consulente aziendale, una psicoterapeuta dirigente di un servizio pubblico, uno psicoterapeuta impegnato come docente nella Scuola di Counselling di Terrenuove: in tutto quattordici persone. Dopo la presentazione del metodo, circa un quarto d’ora, si decide di disporsi a “cristallo di neve”. Claudio prende posto con i partecipanti. Nella breve presentazione del metodo, prima di iniziare, Claudio Neri ci parla dei requisiti fondamentali per lo svolgimento dell’esperienza: l’impegno condiviso a garantire la riservatezza sui contenuti; una stanza confortevole; l’attenzione del conduttore a seguire con un certo rigore il timing, le consegne e le regole del setting; infine, focalizzarsi sui sogni e la relazione tra i sogni (gruppo, conduttore e partecipanti sono in secondo piano).
Durante la breve presentazione, Claudio si sofferma anche su un aspetto del SD che potrebbe essere visto come un punto debole: proprio per la sua impostazione è difficile dimostrare i risultati di questa esperienza, per cui a volte è difficile raccontarla, testimoniarla. Per esempio nel mondo aziendale, con tutti i discorsi di efficacia e di verificabilità dei risultati potrebbe essere un tipo di esperienza di non facile comprensione, anche se poi di solito si verifica sia un consolidamento delle relazioni nel team di lavoro, sia una maggiore disponibilità creativa delle persone. È quindi importante una certa cautela nell’approccio e nella gestione, un accompagnamento all’esperienza e anche una sollecitazione che al SD partecipino anche i leader, che se ne facciano garanti, che stiano nel processo.
Valutazione dell’esperienza
Nelle pagine seguenti entreremo più da vicino nella valutazione che i singoli partecipanti al Social Dreaming hanno dato a conclusione del seminario della esperienza vissuta insieme. Claudio Neri interviene a tratti, parla del sogno come legame, commenta alcune valutazioni dei partecipanti, sottolineando qui e là aspetti del metodo, traendo alcune conclusioni.
La sessione di valutazione conclusiva del SD inizia con la voce di Claudio Neri che puntualizza:
«la mia idea è relativa al fatto che il sogno, il modo di raccontare dei sogni, è fortemente costitutivo del mondo, intendendo il mondo come lo spazio che sta tra le persone, in cui le persone possono esprimersi, dare senso, tirare fuori. Ho l’impressione che il mondo è costruito certamente da gesti, intuizioni, azioni, ideologie, ma molto anche da aspetti di vita quotidiana e democratica, che l’attività del sognare rappresenta bene. Uno degli elementi della migrazione o degli elementi delle persone che hanno subito degli eventi traumatici è questo senso non soltanto di perdita di se stessi, delle persone care, ma di perdita del mondo. L’ipotesi, che andrebbe risistematizzata, organizzata è che una attività straordinaria di costruzione in comune possa aiutare; certamente i dati antropologici sono di conforto. I narratori di sogni sono molti, spesso chiamati nelle comunità per questa attività di continua costruzione del mondo. In un lavoro con immigrati italiani in Australia, ho fatto una esperienza con persone che si riunivano per raccontarsi ricette e storie. Vicino a Roma alcune colleghe stanno facendo Social Dreaming con donne in attesa dello statuto di rifugiati: il sogno si dimostra come una esperienza transculturale.
Personalmente ho fatto con un collega israeliano, parecchi anni fa, una esperienza di Social Dreaming con operatori arabi, palestinesi, ebrei: lì era meno presente l’aspetto di ricostruzione del mondo, ma quello che ha fortemente colpito me e il collega e le persone era che su un certo piano i sogni rappresentavano le esperienze di smarrimento, il bisogno di protezione delle persone, il terrore di essere minacciati e uccisi: le persone provenivano da storie diverse, ma nei sogni le loro basi erano comuni.
Voglio dire alcune cose anche a proposito del metodo: il metodo del Social Dreaming come avete visto è intuitivo, un po’ come quando uno vuole andare in bicicletta, è difficile spiegare come si fa, ma quando ci va, impara: non c’è bisogno di dare molte spiegazioni, ed è intuitivo nei contesti più diversi, come se entrasse in qualcosa di costitutivo della vita sociale, della vita associativa.
Per bilanciare questa affermazione è utile segnalare altri elementi che hanno a che fare con il metodo del SD. È necessario avere un setting preciso, anche se adattabile alle variabili delle diverse situazioni, contesti. Anche in questa esperienza qui con voi c’è stata via via una capacità di contenere le cose all’interno delle sedute, di vederne una evoluzione, di convogliare una storia e ci siamo confrontati realmente con una quantità di sogni, di associazioni, di sollecitazioni interne ed esterne, e quindi c’è la necessità di avere una condizione sufficientemente protetta, come un setting preciso, per poterlo fare. Ancora alcuni punti sulla conduzione del SD. La conduzione del Social Dreaming non prevede nulla di interpretativo dal punto di vista né psicoanalitico, né di altri modelli di significato. Sicuramente però (non è così semplice come appare) richiede un certo appoggio, un confronto, dei tempi di supervisione anche brevi, in itinere tra una sessione e l’altra, ad esempio, quando si conducono più matrici e si è in più conduttori. Adesso vorrei sentire ciascuno di voi.»
La valutazione conclusiva dei partecipanti
I partecipanti sottolineano aspetti emersi dall’esperienza di SD e legati sia alle storie delle persone che alla storia del gruppo di Terrenuove:
“qui sono usciti pezzi della storia di ciascuno di noi (il nonno fabbro, il forno per cuocere il pane…) che poi abbiamo visto inserirsi in una storia collettiva, come se ci fosse un filo che lega un gruppo di persone, un filo rintracciabile nella storia di più generazioni. Noi ci conosciamo da molto tempo, ma qui abbiamo potuto parlare, attraverso i sogni e le associazioni, di alcune cose che circolavano tra noi, ad esempio della artigianalità che ci caratterizza, ma anche del nostro bisogno di proteggerci (il mettersi gli impermeabili…); del modo in cui siamo arrivati qui attraverso l’esperienza sulla marginalità, il lavoro sull’Aids prima, sul Servizio intermedio, poi e ora il lavoro con gli immigrati. Come se condividendo tra noi questi aspetti si potesse renderli presenti su una dimensione di vissuto e non solo di parlato o pensato. Mi sembra che il recupero di parti di storia e il rivederli in comune, riposiziona l’armonizzazione tra le persone rispetto al consueto: le persone sono diverse da come le vedo sempre”.
“Ho pensato molto a questo vivere il gruppo a un livello diverso, un livello molto libero: per me è stato come vivere i miei colleghi in modo insolito. Ho anche ripensato a quello che tu, Claudio, dicevi rispetto ad aver usato il SD con le donne in attesa di ricevere una risposta per l’asilo politico e mi stavo chiedendo se in queste fasi che comportano una esperienza così sospesa, il lavorare a livello di sogno, di racconto di sogno possa essere una opportunità”.
“Qui ognuno ha portato il suo sogno, poi ha preso in prestito le cose degli altri e ne è uscita una narrazione collettiva, e questo collettivo è diventato concreto, l’artigianalità, la protezione. Per me è stato rassicurante e ho apprezzato la struttura che tu hai dato, la tua presenza qui; non è una cosa che si può fare a caso”.
Riprende Claudio Neri
“Voglio aggiungere alcune cose. La prima è che la sottolineatura sui sogni è importante: è importante ricondurre le matrici ai sogni e questo solitamente ha un effetto positivo, perché è come mettersi in contatto con una fonte sorgiva. Circa la conduzione, poi, la ripetizione delle formule di apertura e di chiusura delle matrici ha una funzione di rito ma anche di cesura. Interrompiamo ogni volta, apriamo, siamo collegati con una pagina nuova, non è un continuuum e questo aiuta nella scansione dell’esperienza. È una esperienza toccante, intima: una attenzione al quadro aiuta a distinguere il dentro e il fuori. A proposito poi degli interventi del conduttore, credo che debbano filtrare una serie di interventi, possono anche essere di associazione, una associazione non troppo satura di elementi personali”.
I partecipanti
“Mi sono trovata bene ed è stata una esperienza forte. Vado via con molte immagini legate a quello che abbiamo sentito, immagine mie e immagini trasformate dall’intervento di altri: immagini, visioni, ricordi di parole e anche di silenzi, di tempi lunghi dei silenzi. Come se il gruppo si fosse fraternizzato”.
“Sono sorpresa della generosità dei sogni, sono un simbolo personale, individuale, intimo proprio di chi sogna. In questa esperienza ho visto come il sogno può essere mio, può essere di un altro e possono esserci tanti sogni e associazioni. Questa è la sorpresa, poter pensare che una cosa mia una cosa così intima possa legarsi ad altri e prendere altri significati”.
“Esperienza ricca, da metabolizzare. A volte mi sono sentito solo, a volte più inserito nel gruppo. A volte ho sentito il gruppo farsi ampio, includere altre persone”.
“Questo gruppo si è costruito qui sui sogni, sul materiale offerto dai sogni. Io speravo che uscissero i sogni perché avrebbero dato materiale in più, aspettavo i sogni, non pensavo alle persone. Sto pensando che con i ragazzi del Servizio, quando riprendo le autobiografie, partiamo da “dove vuoi tu”, “dal momento che vuoi”; si lasciano i pregiudizi, i preconcetti. Partiamo da una serie di riflessioni e poi si fanno passaggi, collegamenti, ci diciamo cose. Qui in questo caso il sogno viene da un altro mondo, appartiene ad un altro codice, non si può valutare. Un ragazzo che viene qua e ci racconta cose che possono essere vere, non vere, noi stiamo a quello che lui ci sta raccontando in quel momento, stiamo nell’okness si potrebbe dire, e mi viene da fare un parallelo e da chiedermi perché una esperienza come questa è così forte”.
Intervento di Claudio Neri
“Il sogno sembra essere una delle funzioni base della mente umana, è duttile, può essere impiegato in diversi sensi. Una funzione naturale. Lawrence insiste molto e io sono d’accordo, sul concetto di poli-verso rispetto a uni-verso: l’idea di intendere che le cose non vadano riportate ad un universo di significati, ma vi possano essere plurimi significati contemporanei. Ciò implica non solo un non giudizio, ma anche una assunzione forte della ricchezza del poli-verso. Questo è utile soprattutto in situazione di crisi, che possono essere presenti nel SD, nel senso di riuscire ad accettare l’emergere di punti di vista anche in conflitto, critici. Ma forse tu ti riferivi a Eric Berne, all’okness: già avevo notato nella cultura della associazione questa posizione come molto presente. Le persone che non si sono ancora espresse…”.
I partecipanti
“Io lavoro in ambito pubblico, in psichiatria, e trovo affascinante questa esperienza e mi stavo chiedendo come proporla all’istituzione, tenendo presente anche quello che tu dicevi circa il farsi garante da parte dei responsabili”.
“Ho aspettato molto questa occasione, ho letto quello che tu ci hai inviato, mi sono preparato. Tra ieri e oggi ho operato un passaggio da un sentirmi come con un senso di responsabilità, di controllo, come di dover imparare qualcosa a una tranquillità del partecipare con il piacere di esserci, un po’ come il sogno in cui volevo giocare a tennis ma poi rimanevo fuori perché c’erano altre persone …”.
“Io voglio dire della dimensione di fiducia che mi ha accompagnato, prima pensando a questa esperienza, poi vivendola. Progressivamente mi sono fidata anche dei sogni, delle immagini, e attribuisco questo a un livello di intimità del gruppo e alla conduzione. A volte mi sono censurata, mi son detta questa immagine è infantile, oppure magica, non la racconto, questo è troppo forte per il gruppo: come si fa con le censure? Cioè con le persone che non fanno il nostro mestiere, si dice qualcosa o no?”.
Riprende Claudio Neri
“L’ultima serie di interventi indicavano a mio parere un elemento forte del modello e anche una contraddizione dello stesso. Un elemento forte è che si faccia riferimento ai sogni e non ai sognatori; poi però sono le persone che partecipano e io (come te sono medico) sento di avere una qualche responsabilità: ne abbiamo parlato a lungo con Gordon Lawrence, un fine settimana, abbiamo discusso sui punti su cui eravamo d’accordo e non d’accordo. Di converso mi pare che prendersi responsabilità è attenersi il più possibile al metodo e quindi lasciare quello che il metodo dice come teoria: le persone sono libere di censurare e non censurare, di venire e non venire, di dire e non dire, di assentarsi mentalmente o di partecipare secondo quello che sentono possibile”.
E poi?…
Incontrandoci nei giorni seguenti tra una cosa e l’altra, nel nostro consueto ambiente di lavoro, qualche commento: “tornando a casa ho avuto una sensazione di freschezza, come qualcosa di nuovo “; “mi sono sentito leggero…”; “avevo voglia di rivedervi”; “ero stanco”: nei mesi seguenti nessuno di noi ha più accennato all’esperienza del Social Dreaming, non abbiamo riparlato di Claudio Neri e della sua conduzione. Abbiamo ripreso in mano i materiali per la sbobinatura dell’intervista e per la costruzione di questo articolo. Prima dell’estate, anche in concomitanza di un altro avvenimento, abbiamo incominciato a parlare del Servizio di Terrenuove: ci siamo interrogati su ciò che stiamo facendo, se non è troppo ampia l’offerta del Servizio, se come èquipe ci proteggiamo e proteggiamo il lavoro che facciamo, se c’è uno scambio sufficiente tra noi o se non ci perdiamo troppo nei corridoi togliendo forza ad incontri più strutturati, come possiamo appropriarci delle competenze che ci appartengono come gruppo, come rendere i progetti e le decisioni partecipate. Attualmente è in atto una riorganizzazione del Servizio che abbiamo messo a punto a metà settembre in un incontro di èquipe molto partecipato e discusso: ci siamo dati questo anno di tempo, il decimo dalla nascita del Servizio, per realizzare questo movimento. Forse un movimento anche legato al Social Dreaming.
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Anna Rotondo, psicoterapeuta, analista transazionale didatta. Lavora presso il Centro di psicologia e Analisi Transazionale di Milano e presso la cooperativa Terrenuove. (e-mail: anna.rotondo@centropsi.it)
Giuseppe Bertolini, psicologo, consulente nelle organizzazioni, docente alla Scuola di Counselling psicosociale (SCP), specialista alla Scuola di Specializzazione in psicoterapia del Centro di Psicologia e Analisi Transazionale di Milano (e-mail: giuseppebertolini@hotmail.com) |