L'idea di questo «Quaderno» è nata, in primo luogo, dalla constatazione che ben poco è stato pubblicato, in Italia, sul tema della supervisione in Analisi Transazionale. In verità nemmeno la letteratura internazionale è molto ricca: gli articoli pubblicati in proposito sul «Transactional Analysis Journal», come è messo in evidenza dalla revisione della letteratura fatta da Keith Tudor e riportata nelle prossime pagine, non arrivano a contare le dita di due mani.
Potrebbero esserci diverse ragioni per spiegare questa realtà, e la prima, probabilmente, è quella che le considerazioni relative alla supervisione, alle sue basi teoriche e alla sua prassi, interessano una minoranza relativamente esigua di analisti transazionali: coloro che per professione si dedicano alla formazione degli allievi.
Un'altra ipotesi per spiegare una così rarefatta produzione scientifica può essere quella che non esista una teorizzazione sufficiente sull'argomento, ovvero che non esista una specifica supervisione analitico-transazionale.
In effetti, se conoscere la teoria e i metodi operativi della supervisione in Analisi Transazionale fosse una faccenda che riguarda solo i didatti, benché il loro numero, in Italia, sia senz'altro in crescita (l'Analisi Transazionale in Europa, e nel nostro paese in particolare, sta conoscendo un successo costante e crescente), probabilmente non darebbe ragione della pubblicazione di un numero dedicato della rivista. Poche decine di potenziali lettori, infatti, non giustificherebbero l'impegno.
La nostra opinione, e la motivazione principale che ci ha portato a preparare questo «Quaderno», è, invece, che la supervisione riguarda tutti i professionisti in Analisi Transazionale. Semmai una certa povertà nella produzione di letteratura scientifica sull'argomento è proprio da imputarsi, a mio parere, al pregiudizio secondo cui questo tema riguardi solo poche persone.
Per quanto riguarda, poi, la seconda ipotesi, francamente dubito che non vi sia posto per una specifica teorizzazione analitico-transazionale del processo supervisivo: a mio parere l'Analisi Transazionale, oltre a essere una teoria della personalità, della psicopatologia, della comunicazione e dello sviluppo, può essere senz'altro anche una teoria della supervisione. A condizione, beninteso, di superare il pregiudizio secondo cui la supervisione riguarda solo i didatti, e quindi di dedicare energie a svilupparne le specifiche potenzialità in Analisi Transazionale.
La supervisione non riguarda solo i didatti, perché ogni professionista etico (e l'attenzione all'etica è una delle caratteristiche di cui gli analisti transazionali vanno orgogliosi) dedica tempo ed energie a pensare al proprio lavoro, a riflettere sui casi che segue, a farsi, cioè, un'auto-supervisione. Come la filosofia dell'Analisi Transazionale in campo clinico è quella di portare il paziente all'autonomia, offrendogli gli strumenti per diventare "l'analista di se stesso", così nell'ambito formativo l'obiettivo di un didatta dev'essere, a mio avviso, quello di portare l'allievo a diventare un efficace supervisore di se stesso.
La trasparenza del pensiero, l'abitudine a mettere le carte in tavola, a spiegare le ragioni delle posizioni che prende, sono strumenti con cui il supervisore offre all'allievo, oltre alla sua consulenza, anche un modello per arrivare all'obiettivo finale di saper pensare e riflettere sulla propria attività professionale. Un'auto-supervisione è una necessità per tutti i professionisti e possiamo quindi spingerci ad affermare che, nel momento in cui facciamo gli analisti transazionali, siamo tutti anche supervisori.
Se accogliamo questa prospettiva, una rivista dedicata alla supervisione riguarda allora tutti noi. Perché riconoscere e capire un processo parallelo è uno strumento utile a tutti, così come identificare, magari con l'aiuto della matrice delle svalutazioni, il punto critico di una relazione terapeutica, o abituarsi a cogliere i segnali di pericolo e i bisogni di protezione sia nel paziente sia nel terapeuta, e le possibili prospettive di sviluppo.
L'idea che ogni analista transazionale possa diventare un buon supervisore di se stesso non deve tuttavia suggerire l'idea dell'auto-referenzialità o dell'auto-sufficienza. Sottoporsi a supervisione arricchisce un professionista lungo tutto la sua vita professionale, e io sono un caldo sostenitore dell'idea che anche professionisti esperti, didatti nel loro settore, possano giovarsene. Penso che conoscere aspetti della teoria della supervisione possa anche aiutare i professionisti a usufruire al meglio delle supervisioni cui si sottopongono.
Ho cominciato queste riflessioni partendo, come spesso avviene, dalla mia esperienza personale: ho avuto la percezione di fare un avanzamento, nella mia pratica psicoterapeutica, proprio nel momento in cui ho cominciato a lavorare come supervisore. L'attenzione ai processi, a cogliere i punti chiave, a vedere le direzioni strategiche e i possibili pericoli, che ho affinato studiando la supervisione e praticandola con gli allievi, sono stati elementi che hanno arricchito significativamente la mia attività con i pazienti. E conoscere la teoria e la prassi della supervisione mi aiuta a giovarmi delle supervisioni cui ricorro.
Al di là dell'utilizzo personale, poi, non sono pochi i colleghi psicoterapeuti che, pur non essendo supervisori clinici e formatori in senso stretto, sono talora chiamati a consultazione da altri professionisti, e si trovano a fornire consulenze che si configurano come vere e proprie supervisioni: ad esempio con gli insegnanti nella scuola, o con équipes di educatori nel campo sociale, o nel settore legale. Anche per costoro può essere utile sapere cos'è una supervisione e quali sono i parametri teorici e tecnici che la definiscono. Del resto, la reazione più comune tra i colleghi che cominciano la loro formazione come supervisori è una certa sorpresa nello scoprire che fare supervisione è qualcosa di decisamente diverso da fare terapia: è un'altra professione, con proprie regole e propri parametri che hanno bisogno di venire compresi e acquisiti. Conoscerli è un modo di proteggere la propria professionalità quando i casi della vita ci portano a offrire, per quanto saltuariamente, supervisioni nelle realtà più diverse.
Per tutte queste ragioni, offrire ai colleghi questo numero dei «Quaderni» vuole essere, oltre a un compendio di alcuni aspetti della supervisione AT per il numero ristretto dei didatti italiani, anche uno strumento utile a tutti gli operatori che vi troveranno, spero, stimoli di riflessione per la propria pratica professionale.
Il primo contributo è un'ampia revisione della letteratura sulla supervisione in Analisi Transazionale fatta da Keith Tudor per il «Transactional Analysis Journal» di qualche anno fa, che abbiamo scelto di tradurre soprattutto per la ricchezza di riferimenti che possono aiutare il supervisore a orientarsi tra la letteratura esistente. Keith Tudor integra l'analisi bibliografica con alcune sue considerazioni che hanno lo scopo di applicare alla supervisione alcuni strumenti propri dell'Analisi Transazionale, come, ad esempio, le operazioni berniane.
A far da contrappunto all'ampio lavoro di Keith Tudor, un ricco e colto articolo di Giampaolo Lai ripercorre per i lettori la storia della supervisione nella psicoanalisi: è un modo di riconoscere le nostre radici, e di conoscere cosa ci ha portato al punto in cui siamo. Giampaolo dedica la seconda parte del suo contributo alla supervisione immateriale nel conversazionalismo, la teoria psicoterapeutica da lui istituita. L'individuazione delle figure logico-modali nel testo trascritto, il loro inventario, l'analisi della subordinazione architettonica con cui si dispongono e la loro valutazione si configurano come una vera e propria epistemologia di un processo supervisivo nuovo e quanto più oggettivabile possibile.
Di seguito, un mio contributo propone il modello operativo che io utilizzo durante le supervisioni. Esso si basa in parte sulla "lista di controllo" indicata da Petruska Clarkson per valutare l'efficacia di una supervisione, e si prefigge, tra l'altro, di mostrare come esistano delle specificità proprie dell'uso dell'Analisi Transazionale in supervisione.
Evita Cassoni parla poi del processo parallelo: è uno dei temi più affascinanti della supervisione. Nato in ambito psicoanalitico in tempi relativamente recenti, ha conosciuto uno sviluppo teorico di particolare interesse, che l'autrice ripercorre con sensibilità storica e ricchezza di riferimenti, portandolo a conseguenze del tutto innovative. Evita, infatti, rilegge il processo parallelo alla luce delle scoperte delle neuroscienze, parlando di allineamento degli stati della mente: ci conduce a vedere questo fenomeno come una delle dimostrazioni più affascinanti del fatto che noi esseri umani siamo, prima di tutto, esseri-per-la-relazione.
A seguire, Barbara Classen Mayer, presidente del Comitato Etico dell'EATA, in un articolo originale scritto appositamente per i «Quaderni» percorre i sentieri nuovi dei rapporti tra etica e supervisione. Benché qualche aspetto sia discusso da tempo (ad esempio, la questione delle relazioni duplici in supervisione: si può essere al tempo stesso analista e supervisore di un paziente-allievo?), si tratta di un territorio ancora sostanzialmente inesplorato: Barbara ci si avventura con calore e creatività.
Infine, un'intervista a Isabelle Crespelle, per otto anni presidente della Commissione di Certificazione dell'EATA che gestisce gli esami per gli analisti transazionali europei, fa il punto sulla supervisione nel sistema di certificazione in Analisi Transazionale, una delle peculiarità del quale è proprio la caratteristica di esaminare dal vivo la capacità di supervisionare dei candidati.
Mi auguro che questi contributi siano, per il lettore, stimolanti quanto lo è stato per me raccoglierli. Buona lettura.
VIAGGIO
Se l'albero potesse muoversi, e avesse piedi e ali,
non penerebbe segato, né soffrirebbe ferite d'accetta.
E se il sole non viaggiasse con piedi e ali ogni notte
come potrebbe illuminarsi il mondo, all'aurora?
Se l'acqua amara non salisse dal mare al cielo
come avrebbe vita nuova il giardino, con pioggia e ruscelli?
Partì la goccia dalla patria, e tornò.
Trovò la conchiglia e divenne una perla.
Non partì Giuseppe in viaggio, dando l'addio al padre piangente?
E, viaggiando, non ottenne fortuna, e regno, e vittoria?
E Muhammad non partì forse in viaggio per Medina,
e sovranità ottenne, e fu re su cento paesi?
Anche se tu non hai piedi, scegli di viaggiare in te stesso,
come miniera di rubini, sii aperto ai raggi del sole.
Uomo, viaggia da te stesso a te stesso,
perché da un tale viaggio la terra diventi purissimo oro.
Gialal ad-Din Rumi
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