Questo numero dei «Quaderni», il numero 50, è il risultato di collaborazioni scientifiche di ambiti teorici differenti, e parla, nel suo insieme, di relazioni e del loro sviluppo: dagli attaccamenti primari ai legami dell'età adulta, di relazioni con il corpo, di relazioni terapeutiche e di relazioni tra colleghi.
Da qui il termine centrale del titolo, intersoggettività, e l'idea evolutiva e dinamica del sottotitolo, processi di attaccamento.
Comunemente, pensiamo al termine Intersoggettività come sinonimo di relazione con uno o più altri; ascoltato più da vicino questo termine aggiunge a quello più generale di relazione almeno due qualità specifiche.
La prima qualità, riferita all'etimo soggetto contenuto nella parola, è l'autorevolezza dell'essere unico e definisce il campo relazionale creato tra individui. Soggetto, termine preciso che evoca la dimensione dell'Io, dell'autonomia e della dignità personale: un soggetto è autorevole, dà forma legittimamente alla realtà, ha una voce in campo. Penso a come nasce la soggettività, al primo esserci di ciascuno, che è, già nei suoi primi attimi, fortemente presente nell'esperienza; il cominciare ad esistere riorganizza l'esperienza dei soggetti esistenti.
La seconda qualità che il termine sottolinea è la reciprocità, evocata dal prefisso relazionale che da inizio alla parola: inter-soggettività, un incipit che sottolinea come non c'è soggetto senza scambio. Sempre pensando ai primi attimi della nostra esistenza, l'apparire del soggetto coincide con un gesto relazionale. La vita di ogni umano comincia con l'annidamento, termine scientifico che spiega, immaginalmente, la trasformazione contemporanea dell'uovo fecondato e dell'utero della madre. Ogni soggetto comincia ad esistere determinando una relazione che trasforma l'uno e l'altro; nella superficie di contatto zigote e endometrio cambiano struttura per diventare altro, a partire dalla "carne e sangue" di cui sono fatti. Diventare altro e insieme diventare ancora più quello che si è.
Da un punto di vista filosofico, questa lettura etimologica del termine mi fa pensare agli assunti di base dell'Analisi Transazionale, e trovo vicina l'intersoggettività così intesa alla nostra idea di okness. La qualità umanistico esistenziale del nostro orientamento (Berne, Rotondo, Clarkson, Ranci, Nuttle) traccia una direttrice precisa nella teoria e nella teoria della tecnica, che ci definisce soggetti di cure contrattuali bilaterali, quale che sia il campo di applicazione dell'Analisi Transazionale. L'essere contrattuale in modo bilaterale descrive uno scambio relazionale paritario, nel quale esistono due o più soggetti e tutti sono riconosciuti come autorevoli, cioè possono esercitare il diritto di incidere sulla realtà.
Salutare correttamente significa vedere l'altra persona, diventarne coscienti come fenomeno, esistere per lei ed essere pronti al suo esistere per noi (Berne, 1972).
Continuo a leggere i materiali che compongono questo Quaderno. Trovo in molti scritti riferimenti agli studi neurobiologici che confermano come la nostra esperienza umana e professionale sia biologicamente disposta alla relazione.
In particolare, molti autori di questo numero fanno riferimento al filone di ricerca sul sistema dei neuroni mirror o neuroni specchio, e per questo vorrei citare qui alcuni passaggi essenziali di questi studi, a partire dal lavoro del gruppo di Giacomo Rizzolatti dell'Istituto di Fisiologia dell'Università di Parma e che approda nel 1991 alla scoperta del sistema di neuroni specchio e avvia un percorso di ricerca internazionale.
Parlare di neuroni specchio è esplorare le basi neurofisiologiche dell'interazione. Intrecciando queste scoperte con quelle legate alla teoria evoluzionistica della mente (Edelman 1987, Kandel, 1992) si forma il quadro di un sistema complesso e altamente sofisticato, che comprende livelli di funzionamento basali deputati a garantire la sopravvivenza e livelli di funzionamento più evoluti e specializzati, deputati alla qualità della vita.
Possediamo strutture di base, sottocorticali, che si occupano delle risposte automatiche all'ambiente e che, in caso di pericolo, innescano meccanismi di attacco/fuga. Garantita la sopravvivenza, abbiamo a disposizione strutture via via più specializzate, deputate a regolare la qualità della vita e che forniscono risposte più intenzionali.
Anche il sistema dei nostri neuroni specchio, è composto da livelli di base, che abbiamo in dotazione, che ci permettono di sopravvivere intuendo le intenzioni dell'altro, e, nel tempo, mentre la relazione primaria procede, anche il sistema dei neuroni specchio va sviluppandosi e acquisisce una sempre maggiore specificazione, fino a diventare il luogo biologico della "sintonia intenzionale interpersonale" (Gallese 2001, 2003 a, 2003 b, 2005 b, 2006).
Partiamo dall'inizio, la prima funzione dei neuroni specchio è simulare un movimento, cioè reagire alla visione di un gesto con l'attivazione delle zone cerebrali che mandano l'impulso per rifare quel movimento, proprio come se dovessimo riprodurlo con il nostro corpo. Una sorta di disposizione all'azione, che potrà essere compiuta o meno in un secondo tempo.
Questi stessi neuroni specchio sono specializzati ad attivarsi anche nel vedere un'immagine parziale dell'azione di un altro, come se, una volta attivati, sapessero completare l'immagine in autonomia. E ancora, si attivano con gesti comunicativi, come le espressioni del viso e si attivano con la memoria; quindi sono in grado di riconoscere e riprodurre la disposizione ad una azione anche immaginata e anche a partire dagli esiti emotivi osservabili che produce. Si attivano anche con l'immaginazione e quindi "incarnano" una rappresentazione astratta del gesto.
Sono un sistema intelligente e raffinato, che non "scarica" se il gesto è finzionale, mentre scarica anche solo con il suono prodotto da un'azione.
Una delle protezioni di questo delicato sistema è che funziona per "familiarità", cioè l'intensità dell'attivazione dei neuroni mirror è più alta quando conosco l'esperienza che sto osservando e questo lo rende specie-specifico, non permettendo che si attivi ad esempio se osservo abbaiare un cane.
I passaggi successivi della ricerca internazionale ci mostrano come i neuroni specchio ci permettono di vedere - simulare - e quindi comprendere, nel corpo, sia le azioni che l'intenzione delle azioni (Jacobson et al., 2005; Fogassi et al., 2005).
E ancora, le stesse aree del cervello che si attivano vedendo compiere un'azione si attivano ascoltandone la descrizione.
Desidero citare un ultimo studio, del 2003 (Wicker et al.) che con la tecnica della risonanza magnetica dimostra come un'area del lobo frontale, l'insula anteriore, si attiva quando proviamo personalmente una sensazione osservabile, in questo caso il disgusto per un sapore, e anche quando osserviamo l'espressione facciale di disgusto sul viso di un'altra persona. In questa situazione si attiva anche nell'osservatore una complessa catena di reazioni viscerali, motorie e neurovegetative che fonda, nel corpo, la condivisione.
Ho voluto percorrere rapidamente alcune linee essenziali degli esiti delle ricerche mondiali sui neuroni specchio per arrivare insieme a vedere come questa "risonanza motoria" ci permette di avere accesso al significato dell'azione dell'altro. Queste riflessioni ci portano a intendere l'empatia come punto di arrivo di un percorso psiconeurobiologico.
Parlare di questo significa, a mio parere, parlare di corpo nella relazione. Uscendo dall'accezione parziale di corpo come forma visibile, esplicita e allargando la visione sul corpo come presenza, implicita, costante.
Grazie a questa visione, condividere sembra essere un'esperienza profondamente radicata nel corpo di chi ascolta. Un'esperienza che si genera in automatico, un'esperienza pre-riflessiva, al di fuori dell'area dell'intenzionalità.
Quando comincia questa esperienza? Direi al momento del vedere l'altra persona, diventarne coscienti come fenomeno, esistere per lei ed essere pronti al suo esistere per noi. La scelta di metterci in contatto è intenzionale; poi, il processo si avvia.
Colwyn Trevarthen nel 1979 riprende il termine intersoggettività e lo usa nell'accezione di adattare il proprio controllo soggettivo alla soggettività dell'interlocutore e ne ricerca l'essenza attraverso ricerche microanalitiche dell'interazione faccia-a-faccia di alcune coppie madrilattante-neonato.
Veniamo al mondo dotati di sistemi per metterci in relazione con gli altri, sistemi che si sono raffi nati nel corso dello sviluppo della specie e che ad ogni stadio evolutivo del singolo si incarnano in un nuovo individuo.
Ogni passaggio evolutivo della vita individuale è anche un passaggio sociale, un aprirsi al mondo. Fisiologicamente, cioè nel corpo, passiamo da una fase di vita neonatale totalmente regolata dai ritmi neurovegetativi e centrata sulla sensorialità ad una vita sempre più orientata all'interazione con l'esterno. Pensando all'analisi strutturale di second'ordine degli stati dell'Io, passiamo dalle strutture del Bambino Somatico G0, A0, B0, a quelle più organizzate del B2, cioè in questo passaggio evolutivo cominciano a formarsi i nostri stati dell'Io Bambino G1, A1, B1, fondati nella relazione.
Analizziamo questo passaggio: è il momento della vita di un bambino che corrisponde al progressivo aumento dello sviluppo delle connessioni corticali che regolano e modulano, con procedimenti biochimici raffi nati, il funzionamento delle strutture sottocorticali. Ad esempio, come troverete citato in Lavelli, la transizione evolutiva del secondo mese di vita vede nascere lo stato di veglia attiva - intenzionale - che occupa un tempo sempre maggiore rispetto alla veglia vigile, basale.
Cominciamo intorno ai due mesi ad esercitare la nostra soggettività, diventiamo capaci, come soggetti, di reggere diritta la testa, mantenere un contatto con lo sguardo, esplorare con gli occhi l'ambiente, vivere un'attenzione affettiva.
Continuiamo a funzionare in modo prevalentemente implicito, fino a circa due anni, perché le strutture corticali e le fibre che connettono i due emisferi sono ancora in formazione. Ma già verso il secondo mese di vita cominciamo a sapere di poter incidere sulla realtà e avviamo più intenzionalmente quel processo di co-regolazione (Fogel, 1993, Sander 2002) o mutua regolazione (Beebe, Lachman, 2002), processo attraverso il quale la nostra mente continua a strutturarsi e ad ampliare le proprie connessioni.
Il filone di ricerca sulla simulazione incarnata e sulle origini e le linee di sviluppo dell'intersoggettività è ben ripreso sia nell'articolo di Manuela Lavelli che apre il Quaderno, sia nel testo Le forme di intersoggettività di Lucia Carli e Carlo Rodini, del quale trovate in questo numero una breve recensione.
Si forma, nelle pagine del «Quaderno», un filo che collega l'origine dell'intersoggettività ai primi schemi di attaccamento e, per noi, al formarsi degli stati dell'Io e del copione.
Ripercorriamo le prime tracce dell'intersoggettività e gli schemi relazionali che si attivano tra il bambino e la sua mamma, e che procedono allargandosi alle altre figure significative, prima tra tutte il padre, cominciamo ad osservare elementi primari dell'apparato di copione.
Riprendendo l'Infant Research, Manuela Lavelli parla di aspettative del neonato nell'interazione con la madre e riferisce.
... è stato trovato che già a soli due mesi, i bambini di madri depresse appaiono meno sensibili dei coetanei con madri non depresse, alla mancata contingenza dei comportamenti materni (Lavelli, 2008).
Più avanti, troviamo citati lavori sull'osservazione di bambini di sei mesi di vita, figli di madri depresse, che messi in contatto con donne non depresse e "istruite a interagire in modo sensibile e affettivamente vivace" mantenevano degli stili di interazione a basso livello di attivazione e scarsa affettività positiva.
Da questa ricerca, possiamo osservare che un bambino nato e vissuto anche solo due mesi con madre depressa si autoregola verso uno stile di interazione a basso livello di scambi emotivi. Sono evidenze empiriche di primi modelli organizzativi che il bambino si costruisce per categorizzare l'esperienza, che mi fanno pensare ai Modelli Organizzativi Interni di Bowlby (1969), alle Rappresentazioni Relazionali Internalizzate di Stern (1985) e, nel nostro linguaggio, alle prime registrazioni del copione all'interno della struttura di 2° ordine del B. Più precisamente penso che negli scambi relazionali primari, così intensi e ripetuti, si formino nella mente del bambino primi aggregati di stati dell'Io Bambino, che, se rinforzati dall'esperienza successiva, possono organizzarsi in strutture più coerenti e stabili, che definiamo G1 e B1.
Se chiamiamo con Berne protocollo le "esperienze drammatiche originarie sulle quali si basa il copione" (Berne 1966, 1972) possiamo pensare alla drammaticità dell'esperienza originaria di interazione tra un neonato normalmente intelligente e vitale con una mamma che non ha le forze per condividere tanta vitalità.
Un neonato competente, si autoregolerà abbassando il volume della sua vitalità, riducendo la quantità, la forza e la varietà dei suoi modi di interagire, perdendo in qualità della vita e guadagnando in sopravvivenza.
Modalità di autoregolazione implicite, automatiche, preverbali. E nello stesso tempo, generalizzate. Per sopravvivere. é una visione molto vicina a come pensiamo al copione come sistema di sopravvivenza: se prendiamo l'esempio della ricerca che ho citato, immagino che nella mente del bambino si registri l'esperienza di pericolo associata a livelli di attivazione troppo alti. Se sono troppo vispo la mamma non mi risponde, o mi allontana. Il nostro bambino intelligente abbasserà il volume dei bisogni del suo B1 registrando un monito nel suo G1 che mantenga la memoria di questo prezioso apprendimento, nel caso il B1, preso dall'allegria della vita, si facesse di nuovo troppo sentire. Penso dunque ai primi schemi di nucleo ingiuntivo che possono prendere forma nel G1 e all'opera di un attento piccolo professore che custodisce il nostro diritto alla vita e imbastisce la sua prima decisione di sopravvivenza. Trovo qui l'origine delle unità relazionali di cui parla Little, le unità G1-B1, che conserveranno l'imprinting relazionale del nostro bambino, cioè la traccia protocollare.
Sappiamo che Berne prevedeva l'edizione di diversi palinsesti di copione, man mano che le fasi evolutive procedono e possiamo trovare negli scritti di Maria Teresa Romanini uno sviluppo di questa idea. Quindi, questo bambino - e la sua mamma forse - avranno altre occasioni di incontro significativo per scrivere nuove informazioni e aggiornare i messaggi del G1, creando nuove unità relazionali G1-B1, più aperte a esperienze gradevoli di vita.
Il nostro copione nasce e si sviluppa nelle relazioni significative che viviamo. Si conferma come tutti gli apprendimenti e, come tutti gli apprendimenti, si cristallizza con l'aumentare dell'emotività. Possiamo anche apprezzare quanto sia prezioso e quanto ci siamo legati.
é il nostro modo per orientarci nel mondo, e sono d'accordo con Anna Rotondo quando definisce il copione come un sistema di attaccamento. Se assumiamo questo punto di osservazione, sappiamo che un sistema di attaccamento è un sistema motivazionale innato che, in quanto tale, si muove animato dalle forze vitali della sopravvivenza e della curiosità verso il nuovo.
Siamo legati al nostro G1, gli siamo grati perché custodisce le nostre memorie necessarie per vivere, siamo legati al nostro B1 che conserva i nostri bisogni e le nostre aspirazioni profonde e siamo legati al nostro A1 che si ingegna per far quadrare il sistema. Viviamo così al sicuro, permettendoci, ogni tanto, qualche aggiustamento.
Ma dicevo che le spinte vitali sono orientate sia dall'istinto alla sopravvivenza, sia dalla curiosità verso il nuovo. Penso che è con la continua mediazione tra questi due ordini di interessi che sviluppiamo il movimento evolutivo. Quel bambino, intelligente, azzarderà ancora di proporre un po' della sua vivacità, sperando che la mamma, questa volta, possa farcela e magari divertirsi con lui. Penso a una fiducia di base, innata, nella vita, una fiducia che ci fa aprire a nuovi tentativi. Solo con questa dotazione di base, che mi ricorda la physis come la pensava Berne, che possiamo fare esperienze nuove e trasformare, lentamente, gli schemi registrati.
Mi riferisco qui alle trasformazioni implicite che viviamo di continuo e che, a volte, coagulano in trasformazioni evidenti, esplicite, del nostro modo di essere e di intendere la vita e gli altri.
Se consideriamo insieme il punto di vista del corpo e teniamo presente la psicologia del cambiamento troviamo alcune connessioni interessanti, ad esempio il potenziale trasformativo che i momenti incontro (Stern, 1988) hanno sulla conoscenza relazionale implicita (Lyons Ruth, 1996).
Vorrei riflettere in particolare secondo questo angolo di osservazione.
L'idea di sé, degli altri e della vita che fonda il copione e che possiamo leggere con strumenti come il sistema ricatto di Erskine e Zalcman, corrisponde alle rappresentazioni interne o mappe mentali iscritte nel corpo, cioè negli stati dell'Io, che vengono aggiornate in un processo evolutivo continuo, in base all'interazione con l'ambiente.
Berne ci parla molto della ricerca di sopravvivenza e riprende dalla filosofia greca dei presocratici l'idea della physis, quella
forza evolutiva della natura che eternamente crea cose nuove e perfeziona quelle esistenti. Una forza che spinge gli uomini a crescere, a progredire, a migliorare (Berne, 1969).
Questa dotazione innata e che può esprimersi ad esempio nella dote che ho chiamato curiosità, è sostenuta dalla sensibilità al contesto (Thelen, Smith, 1994), è la forza vitale che ci permette di percepire l'ambiente con fiducia e di creare risposte continuamente aggiornate. é la forza vitale che autorizza un certo grado di flessibilità al sistema copione e quindi permette il cambiamento. Senza questo sostegno, non potremmo vivere il potenziale trasformativo delle relazioni significative. Possiamo dire che qualunque forma difensiva, garantisce la sopravvivenza ma contemporaneamente impone una limitazione alla flessibilità e ostacola le possibilità di sviluppo delle rappresentazioni interne e il loro trasformarsi. In altre parole se prevale la tensione alla sopravvivenza, si generano forme limitative, patologiche diciamo a volte, di esistenza.
Ogni relazione che sia intersoggettiva, per noi contrattuale bilaterale, offre un contesto paritario di sicurezza in cui la sopravvivenza è garantita: se la relazione è contrattuale, l'altro ci sta a sentire e non prevarica, se la relazione è contrattuale sento che il mio potere è riconosciuto e che ho delle responsabilità, se la relazione è contrattuale mi sento riconosciuto come soggetto, anche se sono un piccolo bambino. In una relazione di rispetto tra soggetti, possiamo rilassarci e vedere se è possibile sperimentare la curiosità e aprire qualche strada nuova. Stiamo parlando di un processo fondamentalmente implicito, che poggia sul sentirsi al sicuro. é una percezione di sicurezza relazionale che viviamo sul piano implicito e riorganizza la conoscenza relazionale implicita (Lyons Ruth 1998, Tronick e coll 1998). In una relazione paritaria, posso rilassarmi, magari non da subito e non del tutto, ma con il tempo e attraverso verifiche continue e impercettibili, posso cominciare a ricordare e risperimentare quella fiducia di base con cui sono venuto al mondo. Farò molte prove, test direbbe Joseph Weiss, giochi direbbe Berne, prima di registrare un permesso nuovo. Comincio, piano, a sentire che è possibile. Qui ci sono di conforto quelli che Daniel Stern chiama momenti di incontro (Stern 1985, 1988), quei momenti felici in cui mi sento ri-conosciuto, sento che l'altro mi comprende come io comprendo me stessa. Sono momenti felici, nei quali il corpo si distende e accede ad una gioia quasi totale. Sono i momenti che ci riconciliano con la vita, e non penso solo a relazioni professionali d'aiuto, penso a tutte le relazioni significative che ci concediamo di vivere.
Quando abbiamo la fortuna di vivere una situazione relazionale felice, allora si apre lo spazio possibile per una trasformazione degli schemi relazionali di tutti i soggetti coinvolti, dato che la conoscenza relazionale implicita porta ognuno a fidarsi e godere di un contesto che desidera rivivere.
Per rivivere questa felicità il nostro Bambino, intelligente e vitale, sarà disposto a darsi molto da fare e avrà la carica per aprire i suoi schemi difensivi. Si avvia così un processo altamente raffinato, che coinvolge tutti i livelli della mente, da quelli più automatici fino a quelli intenzionali.
In questo processo la conoscenza relazionale implicita e quella esplicita consapevole procedono insieme come "principi organizzativi separati" (Bucci 1985, Lyons-Ruth 1999) che si influenzano reciprocamente. Mi riferisco a un processo di reciprocità, che si sviluppa in tutti i soggetti della relazione, attraverso forme comunicative implicite e anche esplicite. Posso entrare in risonanza emotiva e creare risonanza emotiva. Stiamo parlando dell'incontro di due mondi, di due soggetti che possono aggiornare i propri schemi di attaccamento. La visione del cambiamento dei modelli rappresentazionali lungo l'arco della vita corrisponde a come intendo il concetto di autonomia in Analisi Transazionale. Ovvero la possibilità di trasformarci, rivisitando consapevolmente i contenuti dei nostri Stati dell'Io Genitoriale e di alcuni, quelli accessibili, dei nostri Stati dell'Io Bambino.
Un'altra qualità di questo processo, insieme alla complessità, è la velocità.
L'ambiente è così ricco di stimolazioni che non sempre consente i tempi dell'analisi intenzionale e della scelta di risposta, quindi dobbiamo accettare che buona parte delle nostre azioni sono frutto di un rapporto con l'ambiente regolato da modalità non consapevoli, innate, procedurali. Possiamo fidarci delle nostre raffinate dotazioni interne. E sapere che esistono quei felici "momenti di incontro" così carichi di emotività, che rimangono registrati nella nostra memoria, a tutelare il legame, anche quando l'altro non ci corrisponde proprio come vorremmo. E sono queste memorie che danno rinforzo e offrono nuove occasioni di riparazione alle relazioni importanti della nostra vita.
L'esito complessivo di queste mie riflessioni è che disporci alla risonanza è un'esperienza totale. Partendo da questa osservazione, sappiamo che abbiamo anni di allenamento all'esperienza intersoggettiva e questo ci rende capaci di raffi nate autoregolazioni. Penso che sta proprio qui il cuore della nostra occasione professionale: risuonare, grazie al sistema dei neuroni specchio insieme al nostro interlocutore, autoregolarci, e offrirgli un'occasione di risuonare in una modalità differente, con noi, grazie al suo sistema dei neuroni specchio, sapendo che da questo incontro anche noi importiamo un'esperienza nuova.
Tradotto nel nostro linguaggio, penso al potere che Berne attribuiva alle transazioni, capaci di energizzare lo stato dell'Io al quale sono dirette. Processi espliciti e processi impliciti che, se congruenti, si potenziano reciprocamente.
Non voglio prendere altro spazio alla presentazione dei singoli scritti e concludo queste mie riflessioni sui temi del Quaderno con uno sguardo al nostro ruolo professionale. Riprendo alcune parole di Berne ne I primi tre minuti, il terzo capitolo di Principi di terapia di gruppo. Parlando dell'atteggiamento terapeutico Eric Berne scrive:
Idealmente, diviene simile a un neonato innocente, che, valicata la soglia dello studio, è entrato in un mondo che non ha mai conosciuto (Berne, 1966).
Ho ritrovato questa idea di innocenza anche negli scritti di Donnel Stern (2003) che ne L'esperienza non formulata, dedica, nel capitolo Corteggiare la sorpresa, un paragrafo a "l'analista innocente":
L'innocenza non deve essere immacolata per essere significativa. Non è il ritorno ad una visione del mondo con gli occhi di un bambino, come nella concezione romantica. Al contrario, è il risultato dell'apprendere. La capacità di essere innocenti è un risultato che si raggiunge (Stern, 2003).
Questi riferimenti aggiungono una qualità, quella dell'innocenza, che ritengo dovuta nel disporci a far parte dell'esperienza di un'altra persona. Le ricerche che ho rapidamente citato e commentato ci danno la misura della delicatezza di questo incontro e ci ricordano la responsabilità che è necessaria nel disporci a viverlo.
Sapere di poter essere così profondamente cambiati dalla relazione con l'altro è un pensiero che ha un forte impatto emotivo. Quello che ci protegge nel nostro lavoro e nelle nostre relazioni quotidiane, è quella membrana dell'Io (Berne, 1961) che ci fa distinguere le esperienze di consonanza intenzionale dalle esperienze dirette nell'azione. Provare insieme ad un altro l'emozione riferita è diverso dall'averla provata ancora e ancora nella vita quotidiana; ciascuno è all'interno del proprio sistema di riferimento e, quindi, può distinguersi.
Di nuovo, inter-soggettività. Che è anche responsabilità e potere individuale.
Penso anche che questa è la speranza della vita, ogni relazione, quotidiana, privata o professionale che sia, ci offre l'occasione di aggiornare i nostri modelli relazionali. Certamente è necessario ripetere l'esperienza relazionale rinnovata più volte o sperimentarla in uno scambio con forte valenza affettiva, ma la possibilità che la trasformazione avvenga esiste. Ogni persona desidera aumentare la qualità della propria vita, e cerca e crea occasioni per verificarla e svilupparla.
Questa è la mia idea della physis, forza vitale positiva e innata che, gratuitamente, ci fa compagnia.
Guardiamo insieme ora la scelta di scritti che sono raccolti in questo numero.
Possiamo immaginarci il quaderno composto da tre parti:
- una prima, più generale, sulla ricerca attuale in tema di intersoggettività e attaccamento, che contiene tre contributi che sono stati tema di relazioni alla giornata di studio Le modalità di attaccamento nella relazione di cura organizzata dal Centro di Psicologia e Analisi Transazionale di Milano nel gennaio 2008 alle Stelline di Milano;
- una seconda parte composta da contributi di riflessione teorica su alcuni temi specifici;
- una terza parte dedicata alla descrizione di esperienze significative di intervento clinico e psicosociale.
Apre la prima parte l'articolo di Manuela Lavelli, che raccoglie alcune ricerche sulle origini dell'intersoggettività e le accompagna con una riflessione dinamica. Mostra e documenta la disposizione biologica alla relazione, a partire dalle prime esperienze intersoggettive fino alla comparsa delle rappresentazioni primarie dell'attaccamento. Per chi si appassiona a questi temi, rimandiamo al testo Intersoggettività. Origini e primi sviluppi, che Manuela Lavelli ha pubblicato nel 2007 con Cortina.
Segue, creando idealmente quasi una sequenza evolutiva, l'articolo di Lucia Carli e Alessandra Santona, dedicato allo snodo critico evolutivo del giovane adulto.
Qui l'aspetto quotidiano dell'incontro di mondi diversi è centrale.
Attraverso i nuovi incontri affettivi, l'individuo viene a contatto con modi diversi di relazionarsi e può, pertanto, avviare un confronto critico tra tali modelli e quelli sperimentati in seno alla famiglia. Tale confronto può sfociare in una integrazione di modalità relazionali più rispondenti ai suoi nuovi bisogni (Carli, Santona, 2008).
Lucia Carli e Alessandra Santona parlano di figli che crescendo "prendono" distanze dal programma emotivo della famiglia decidendo, in base a quello che sentono di voler diventare, cosa tenere e cosa lasciare dell'eredità emotiva, culturale, affettiva della famiglia d'origine. Le autrici aggiungono che l'autonomia del figlio "promuove" la trasformazione della relazione con i genitori da asimmetrica a quasi simmetrica e definiscono questo un percorso evolutivo congiunto, riprendendo il tema della responsabilità soggettiva anche nelle relazioni asimmetriche.
Penso, leggendo il loro scritto al lavoro di self-reparenting di cui parla Muriel James, come compito evolutivo di revisione consapevole, con l'Adulto, dei materiali del G2, compito evolutivo che iniziamo a svolgere in adolescenza e che probabilmente perfezioniamo in una vita.
Conclude la parte generale del Quaderno, l'articolo di Ivano Gamelli La presenza taciuta. La necessità del corpo nei contesti della formazione e della cura, che mette in primo piano il corpo e incarna le relazioni formative e di cura. Per un approfondimento di questi temi, Ivano Gamelli ha pubblicato con Meltemi nel 2005 il testo Sensibili al corpo.
La seconda parte del quaderno tratta temi a forte impatto sociale, la sicurezza stradale e il bullismo, e contiene riflessioni sull'intersoggettività e i legami significativi che aprono alla speranza e giustificano teoricamente la possibilità di lavorare con un'ottica preventiva.
L'articolo di Emanuela Lo Re, Sicurezza stradale tra attaccamento e percezione del rischio, è ricco di riferimenti scientifici sul tema della sicurezza, riferimenti che l'autrice intreccia con riflessioni teoriche dell'Analisi Transazionale, aprendo la strada di una prevenzione possibile:
é forse approfondendo la correlazione fra stili di attaccamento, copione e percezione del rischio, che possiamo trovare una risposta sul significato dei comportamenti rischiosi ricercati e/o messi in atto sulla strada al di fuori della consapevolezza dell'Adulto. La verifica di questa ipotesi potrebbe orientare l'attività di prevenzione degli incidenti stradali (Lo Re, 2008).
Segue l'articolo di Neda Lapertosa, Illuminiamo le parole. Riflessioni sul cyberbullismo. Poetico già nella scelta del titolo, l'articolo descrive un passaggio sociale legato al progressivo isolamento di bambini e ragazzi che sostituiscono adulti mancanti con surrogati passivizzanti come la televisione e, oggi, i videogiochi e la rete. Anche in questo scritto la visione è drammatica e sollecita il mondo adulto a riprendersi la delega educativa e ad occupare il suo posto di soggetto relazionale.
Essenziale quindi come prerequisito nella comunicazione-relazione, dapprima, la presenza "partecipata"dei soggetti e di un comune referente, riconosciuto tanto dall'emittente che dal ricevente, che determini la congruenza-trasparenza dialogica, chiarezza relazionale, rispetto tra persone (Lapertosa, 2008).
Anche in questo scritto troverete riferimenti alla neurobiologia dell'interazione e interessanti connessioni con il sistema dei neuroni specchio e gli studi sulla memoria implicita, interesse che da tempo sostiene la riflessione dell'autrice sulla teoria del copione.
La terza parte del quaderno si apre con l'articolo di Dela Ranci, Interventi di confine: emarginazione, intersoggettività e competenze sociali, che descrive tre ricerche-intervento pensate e realizzate dal Centro di Psicologia e Analisi Transazionale nell'arco di venti anni, in collaborazione con diversi partner istituzionali del pubblico e del privato sociale. Il filo rosso che collega queste esperienze è la cura delle persone e delle relazioni, intesa come risposta alla frammentazione e incertezza dei legami. In particolare, questa cura si adatta ai contesti di marginalità cui si rivolge e diventa relazione a legame debole, proponendo nuovi setting di intervento per creare occasioni di incontro significativo con le persone.
Intersoggettività per attivare uno scambio reciproco e favorire la costruzione di un'esperienza comune, per sollecitare legami di attaccamento e sostenere una fiducia di base; relazione intersoggettiva come esperienza correttiva per sviluppare competenze sociali e relazionali; per consentire lo strutturarsi di nuovi comportamenti relazionali (Ranci, 2008).
Nel descrivere i presupposti teorici, la metodologia di lavoro e le ricadute operative di queste tre ricerche-intervento, Dela Ranci percorre le tappe evolutive attraverso cui si è formata l'identità del Centro, la specificità del pensiero e le coerenti scelte operative.
Seguono, in questa terza parte dedicata alle esperienze, due articoli nati dal lavoro clinico. Sono due esempi di narrazioni, narrazioni a due voci, che sono, come scrive Susanna Ligabue nel suo editoriale del numero 49 dei «Quaderni»,
Ricostruzioni della storia individuale, ma anche collettiva: la cura della memoria per non dissociare come individui e come collettività, eventi che possono diventare insostituibili catalizzatori di pensiero e cambiamento per l'uomo come artefice della propria storia (Ligabue, 2008).
Il primo articolo è di Roberto Bestazza, che intitola Storie da un percorso diagnostico il suo racconto della narrazione con un uomo che trasforma un sintomo del corpo in un messaggio ricco di significati. Un sintomo che chiede e prefigura una trasformazione. Il secondo articolo è di Gianluca Costardi, Rivivere un ricordo per trasformare il presente, osserva i movimenti transferali e controtransferali della relazione terapeutica, e descrive una risposta relazionale che apre al cambiamento.
Entrambi gli autori intrecciano riferimenti teorici della ricerca sull'attaccamento e sulla neurobiologia delle relazioni, con l'Analisi Transazionale e altre teorie psicoanalitiche, per sostenere, scientificamente, i passaggi relazionali vissuti nell'esperienza terapeutica con i loro pazienti.
Conclude il quaderno una sezione dedicata, come tradizione, agli scambi con i colleghi della comunità scientifica.
Questa sezione contiene
- Una intervista a Maria Rhode, del Tavistock Centre di Londra, realizzata da Susanna Ligabue e Andrea Dondi, in occasione a settembre 2008 del convegno Thought in motion dedicato dal centro Tavistock ai nuovi orizzonti della cura, con scambi e dialoghi tra i diversi approcci della Psicoanalisi, della Psicobiologia e Psicoterapia del movimento.
- Le Linee di tendenza a cura di Neda Lapertosa e Marco Mazzetti che ci informano su due eventi di rilievo, quali il convegno della Società Psicoanalitica a Roma e quello dell'EATA, ITAA e WPATA a Johannesburg.
- La recensione, a mia cura, del testo Le forme di intersoggettività. L'implicito e l'esplicito nelle relazioni interpersonali di Lucia Carli e Carlo Rodini, edito da Cortina nel 2008.
- La recensione a cura di Susanna Ligabue del testo La favola dei caldomorbidi di Claude Steiner, pubblicato contestualmente a questo numero dei «Quaderni», a cura di Cinzia Chiesa. Questo libro colorato è il frutto della collaborazione tra il Centro di Psicologia e Analisi Transazionale, e Artebambini, associazione nazionale che progetta e pubblica libri per l'infanzia.
Concludo il mio editoriale con una celebrazione.
Questo numero dei «Quaderni», il numero 50, esce in occasione del ventesimo anniversario della nascita del Centro di Psicologia e Analisi Transazionale e rappresenta, idealmente, il punto in cui siamo arrivati, con una storia visibile nelle pagine dedicate all'elenco dei numeri dei «Quaderni» pubblicati dal 1990 ad oggi, grazie alle molte collaborazioni che negli anni si sono andate costruendo tra i professionisti che danno vita alla nostra associazione.
Una realtà composita, quella del Centro, che nel tempo si è sviluppata con continuità e che oggi comprende più servizi, due scuole di specializzazione, una rivista scientifica, i «Quaderni», appunto. Il potenziale creativo che, messo in comune, ha sostenuto lo sviluppo del Centro è stato tale da far nascere una Cooperativa sociale, Terrenuove, dedicata alle esperienze estreme di utenza e quindi di intervento. Molte collaborazioni si sono create e sviluppate nel tempo, ciascuna con il suo stile e con il livello personale di partecipazione, collaborazioni che hanno in comune la qualità di coniugare impegno professionale e affetto, in un sistema coerente di legami significativi.
(1) Evita Cassoni, medico, pediatra, psicoterapeuta, analista transazionale didatta, TSTA (EATA-ITAA), Direzione della Scuola di Specializzazione in psicoterapia del Centro di psicologia e Analisi Transazionale di Milano. (e-mail: at.mi@centropsi.it)
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