Un po’ di storia
Questo numero dei «Quaderni» raccoglie buona parte dei contributi che abbiamo vissuto durante il convegno Curare e prendersi cura. Creatività e cooperazione nel processo terapeutico, tenuto a Milano il 27 e 28 novembre 2009. Le due giornate di convegno celebravano i primi 20 anni di attività del Centro di psicologia e Analisi Transazionale di Milano, rendendo omaggio alla vitalità del Centro, alla creatività delle sue iniziative, alla sua visibilità e presenza nel tessuto culturale del territorio milanese e in quello nazionale e internazionale delle associazioni specifiche di categoria.
Il Centro ha origine nel 1989: a quell’epoca Susanna Ligabue e chi scrive decidono di lasciare il Centro Berne, che avevano contribuito a fondare dodici anni prima e danno avvio con i colleghi, Dela Ranci, Luisa Cattaneo e Marco Sambin al Centro di psicologia e Analisi Transazionale.
Alcune delle linee di interesse che ci muovevano a quei tempi sono vive ancora oggi a distanza di vent’anni: la collaborazione tra ‘pubblico’ e ‘privato’, l’attenzione ai problemi che la nostra società attraversa, la sperimentazione, la ricerca connessa alla attività clinica e di formazione.
Sono anni in cui incontriamo molti operatori dei servizi pubblici, in particolare dei servizi per le tossicodipendenze (serT) sia in regione Lombardia che in altre regioni italiane, condividendo problemi ‘caldi’ come la sieropositività e la malattia di Aids, le problematiche legate alla riduzione del danno e l’educativa di strada, in cui il Centro è coinvolto dal 1994 fino al 2003 attraverso i Programmi di unità di strada (Uds) della Regione Lombardia.
Con i servizi psichiatrici territoriali (CPS), per conto dell’ufficio Psichiatria della Regione Lombardia, siamo impegnati in una ricerca da cui nasce un progetto sperimentale, il Servizio Intermedio, per la prevenzione e la cura nell’area della Salute Mentale: la ricerca e il Servizio Intermedio mettono a fuoco alcuni aspetti di frontiera verso una utenza costituita da giovani adulti, la cosidetta ‘utenza che sfugge’, portatrice di una sofferenza psicologica definita poi all’interno dei disturbi di personalità.
Alcuni di noi si occupano di problemi educativi, di sostegno alla genitorialità, di prevenzione del rischio e del disagio psicologico degli adolescenti: attraverso lo Spazio Genitori realizzato con il Comune di Milano ci confrontiamo con le problematiche educative e relazionali tra genitori e figli e verifichiamo l’importanza strategica della istituzione Scuola come luogo di costruzione di cultura e di civiltà.
Anche prendiamo contatto e consolidiamo la collaborazione con le realtà del privato sociale, con i gruppi che reclamano una ‘cura’ più giusta per i propri cari, malati psichiatrici cronici, o malati terminali, con le comunità per i tossicodipendenti, con chi si occupa di diritti civili, con chi cerca strade e possibilità di intervento ponendo al centro la persona, le sue esigenze, i suoi bisogni. Partecipiamo con l’IRS (Istituto per la ricerca sociale) al movimento per l’umanizzazione degli ospedali e dell’intervento sanitario: ci sembra che la costruzione di una relazione interpersonale tra il soggetto che cura e il soggetto che riceve la cura sia una garanzia di base per la ri-composizione di una ‘guarigione’ possibile.
Ci sono compagni di strada molti colleghi, medici, psicologi, assistenti sociali, educatori, operatori e professionisti della relazione di cura; ci confrontiamo con colleghi che pur appartenendo ad altre discipline condividono i valori di fondo che via via ci sentiamo di esprimere.
Tra le alleanze ‘storiche’ del Centro, la collaborazione con la Lila di Vittorio Agnoletto, con Giampaolo Lai e la sua Accademia delle Tecniche conversazionali, con Emanuele Ranci Ortigosa e l’IRS (Istituto per le ricerche sociali), con Barrie Simmons.
Sono collaborazioni preziose: ci consentono di confrontarci con saperi differenti, di ampliare l’angolo di visuale sui problemi che ci stanno a cuore, di intravedere possibilità innovative di pensiero e di intervento sul ‘curare e prendersi cura’. Il ‘fare ricerca’ diventa una componente essenziale del nostro essere psicoterapeuti e counsellor, così come l’uso della scrittura, della parola scritta, ci sembra utensile indispensabile alla costruzione di un pensiero e alla sua comunicazione. La nostra rivista, i «Quaderni», come la collana «Controcanto» testimoniano fedelmente le attività, i pensieri, le iniziative di cui il Centro è protagonista.
Molte le conferme in questi anni di attività: la curiosità intorno alle iniziative del Centro, la partecipazione numerosa ai seminari proposti, il consolidarsi tra noi di una metodologia di intervento che via via si fa sempre più riconoscibile, i numerosi abbonati e collaboratori alle nostre pubblicazioni.
Nel maggio del 1994 il riconoscimento ministeriale della Scuola di Specializzazione (tra le prime Scuole italiane di psicoterapia riconosciute) consente di rendere attivi i già molteplici contatti con gli Enti pubblici attraverso le convenzioni per i tirocini, consolidando la rete e la collaborazione con il ‘pubblico’ e il ‘privato sociale’ e rendendo possibile la conoscenza della Analisi Transazionale in modo capillare.
A distanza di alcuni anni prima Luisa Cattaneo, poi Marco Sambin concludono la loro collaborazione con il Centro. Ciò comporta momenti di difficoltà e di conflitto come in ogni processo di separazione e di individuazione: sono colleghi stimabili e hanno contribuito in modo eccellente alla costruzione del Centro.
Si aprono nuove collaborazioni, tutt’ora attive, con Evita Cassoni e Simone Filippi, con Marco Mazzetti e Emanuela Lo Re, con Andrea Dondi: collaborazioni proficue che ci consentono di allargare la base di appartenenza e di scambio tra colleghi.
C’è un punto nella storia del Centro che segna, a mio parere, un passaggio, un pezzo di storia che fa da spartiacque tra un prima e un dopo: nel 1998, alle Stelline di Milano il Centro organizza un convegno Terrenuove: potere e solidarietà, molto partecipato, che raccoglie contributi differenti e si pone come momento di riflessione circa la ‘rivoluzione migratoria’ ai suoi primi anni in Italia .
Terrenuove prende forma a partire da quei mesi e diventa cooperativa sociale l’anno dopo. Terrenuove raccoglie come soci fondatori oltre i colleghi nominati anche i colleghi che in quegli anni, pur appartenendo ad altre visioni metodologiche condividono con noi le motivazioni per cui la cooperativa prende avvio. Non entrerò qui in merito all’attività della cooperativa: chi lo desidera può approfondire attraverso i testi delle Edizioni di Terrenuove, in particolare Etnopsichiatria e territorio. Esperienze (2009) e l’ultimo testo in corso di stampa da Franco Angeli.
Il ‘passaggio’ che a mio parere si verifica per i colleghi del Centro è un passaggio di pensiero e di metodologie di intervento: Terrenuove diventa ‘oggetto’ concreto, osservatorio privilegiato di pezzi di storia della nostra società, luogo di riflessione sulle ‘metafore’ che il processo migratorio porta con sé.
Il Servizio di consulenza psicologica e etnopsichiatrica per immigrati rende necessario uno sguardo ‘altro’circa la consueta pratica clinica e di formazione e ci aiuta ad entrare nei luoghi già intravisti del gestire l’incertezza, dell’‘imparare facendo’ e facendo con l’altro; sollecita una presenza alla relazione di consulenza che ci coinvolge sia come professionisti che come esseri umani, nel profondo.
Anche il rapporto che fino ad ora abbiamo avuto con l’Analisi Transazionale si modifica: diventa essenziale, non ricorriamo necessariamente ai contenuti teorici concreti, a volte ridondanti, teniamo fermi alcuni aspetti importanti della visione relazionale: il legame con l’esperienza e la visione fenomenologica di Eric Berne che ci sentiamo di approfondire (Dela Ranci nel 2001 parla di Relazione a legame debole); la qualità intersoggettiva, democratica della relazione, che si traduce nell’atteggiamento contrattuale e nell’attenzione ai diversi livelli di contrattualità e favorisce il lavoro di rete; il gruppo come luogo di formulazione, ricomposizione e visibilità sociale dell’esperienza (Eric Berne, medico, figlio di un medico chiamato ‘medico dei poveri’, migrante per vocazione, definiva la sua Analisi Transazionale ‘psichiatria sociale’).
La conoscenza e la pratica pluriennale dell’Analisi Transazionale ci è utile: è come un fondamento, una base di pratiche e di pensiero a cui è possibile aggiungere conoscenze e saperi che permettono di ampliare visione teorica e strumentario tecnico.
L’Analisi Transazionale che abbiamo imparato a praticare, non è un vestito teorico ‘stretto’, non impone una visione dottrinaria, non conosce improbabili ‘ortodossie’: come il suo fondatore, persona curiosa e interessata a diverse forme di sapere e di cultura psicologica e umana, l’Analisi Transazionale consente, ci ha consentito, come una base sicura, di portare avanti istanze innovative articolandole nel tessuto dell’esperienza e della pratica quotidiana.
La formazione degli adulti
Negli anni passati, accanto alla attività professionale privata di psicoterapia e di consulenza, la formazione degli adulti ha contraddistinto in modo significativo la vita del Centro di psicologia e Analisi Transazionale. Molte le occasioni di formare gli adulti, dagli operatori dei servizi pubblici e del privato sociale, ai partecipanti ai seminari proposti, agli allievi delle due scuole del Centro attive fin dalla sua nascita, la scuola di psicoterapia e la scuola di counselling psicosociale.
Nel processo di Formazione degli adulti sono in gioco molti elementi. Un adulto arriva con una sua formazione o con un insieme di formazioni, di strumenti concettuali e operativi che orientano il suo rapporto con il mondo. Sono conoscenze verso cui la persona adulta ha di solito maturato un legame, un affetto, proprio in funzione del ruolo che la conoscenza svolge nella vita adulta, un ruolo importante di orientamento all’esperienza e alle relazioni, una funzione non asettica, non neutrale. Un adulto che si forma e che sceglie un contesto culturale di formazione sta anche scegliendo qualcosa intorno a cui riorganizzerà le conoscenze già in suo possesso e intorno a cui orienterà, rinnovandola, la sua esperienza relazionale.
A questo proposito mi piace ricordare alcune cose scritte da Giampaolo Lai nella prefazione al suo saggio Gruppi di apprendimento, pubblicato nel lontano 1976 da Bollati Boringhieri, a mio parere molto attuale, come spesso succede con le cose di Giampaolo Lai che, mi sembra, ha il dono di ‘vedere avanti’, di aprire prospettive di pensiero.
Lai parla di due funzioni della ‘formazione’ degli adulti:
la prima è quella di addestrare le persone a rapporti inediti, non ripetitivi, con altre persone in una dimensione che riduca l’asimmetria e aumenti la reciprocità dei rapporti (…). La seconda è di strutturare le condizioni necessarie per formarsi a questa dimensione di rapporto che nessuno può insegnare. È il concetto di gruppo di apprendimento (Lai, 1976).
Giampaolo Lai coglie, a mio parere, gli aspetti essenziali che accompagnano la formazione degli adulti negli ambiti propri delle professioni di aiuto. Per chi desiderasse approfondire alcuni di questi aspetti, rimando al «Quaderno» 47- 48 del 2007, Processi formativi. Qualità ed etica della valutazione: lì abbiamo esposto le riflessioni legate alla formazione degli adulti maturate in questi anni.
Mi interessa qui osservare più da vicino il rapporto tra pratica formativa e strumento teorico, oggetto condiviso della formazione; nel caso che ci riguarda vorrei svolgere alcune riflessioni sullo strumento teorico specifico da noi utilizzato nella nostra pratica di formazione degli adulti, l’Analisi Transazionale.
Una premessa: a mio parere una teoria utilizzabile nella formazione degli adulti che si occupano di professioni di aiuto deve in qualche modo comprendere la complessità che emerge dall’oggetto. La complessità della psicologia umana richiede una corrispondente complessità nelle teorie che si occupano di questo. La complessità della psicologia umana è rappresentata dalla molteplicità dei ‘fenomeni’ che si esprimono all’interno dell’esperienza in un quotidiano non così riconducibile a ‘schemi’. La teoria che si occupa di questo oggetto di studio non può essere ‘data’ una volta per tutte, intoccabile, dottrinaria, emotivamente sterile: deve poter essere una teoria maneggiabile, capace di interrogarsi sugli aspetti di novità che emergono nel rapporto con il mondo, una teoria che pur mantenendo una base sicura di conoscenze, renda possibile una articolazione dei suoi costrutti in funzione di ciò che emerge dall’esperienza, e consenta una dialettica di andata e ritorno con il suo oggetto di studio: dalla teoria all’esperienza e viceversa in una reciproca dinamica trasformativa.
Forse è anche questo il significato che Eric Berne vuole dare alla sua nascente Analisi Transazionale: recuperare, al di là di alcune astrazioni teoriche della psicoanalisi del suo tempo, uno spazio per l’esperienza, per ciò che avviene e si manifesta e può essere osservato e raccontato, non solo pensato e ricondotto a schemi mentali, in un linguaggio comprensibile da esperti.
Il rapporto dialettico e di reciproca trasformazione tra teoria e esperienza nelle scienze che studiano i comportamenti della psicologia umana è, a mio parere, uno spazio aperto per l’uso della creatività, per la ricerca. Non a caso Berne, per costruire le basi della sua Analisi Transazionale, prende avvio dai suoi studi sull’intuizione.
Gli studi sull’intuizione di Eric Berne possono rappresentare una metafora di ciò che intendo: negli articoli tradotti e commentati con molta precisione da Michele Novellino e raccolti in Intuizione e Stati dell’Io, edito da Astrolabio nel 1992, possiamo riconoscere alcuni passaggi della modalità con cui è nata l’Analisi Transazionale. In questi scritti è evidente il legame di Berne con la teoria psicoanalitica, la sua base sicura, con i suoi maestri e con i suoi analisti: praticamente ogni nuova osservazione, ogni definizione, ogni pensiero vengono confrontati con il punto di partenza psicoanalitico di Berne. Accanto al legame di Eric Berne verso la psicoanalisi, accanto alla sua fedeltà verso le teorie psicoanalitiche, egli riflette su alcuni dati nati dalla osservazione dell’esperienza e si interroga su questi: significative, a mio parere, sono le pagine dedicate alla diagnosi e alla comunicazione e soprattutto alla immagine dell’io. In questa ricerca di un modo di vedere la realtà psicologica più corrispondente alla osservazione dei comportamenti concreti delle persone, Berne utilizza gli strumenti a sua disposizione: da una parte le conoscenze apprese nel suo notevole curriculum di approfondimenti culturali, legate al contesto e ai tempi in cui egli vive; dall’altra le sue capacità personali, prima tra tutte l’intuizione che Berne ha affinato nel suo lavoro nell’esercito. L’Analisi Transazionale nasce da una ricerca che a partire da dati sperimentali, osservabili, legati all’esperienza clinica, utilizzando l’intuizione come strumento, si permette di rivedere, aggiornare rendere comprensibili alcuni costrutti teorici rigidi e forse troppo legati ad una visione di intrinseca ‘verità’ di una teoria che, in questa veste “ortodossa”, rischia di perdere la vitalità dell’oggetto di cura.
L’Analisi Transazionale come teoria imperfetta
L’Analisi Transazionale che ho imparato a conoscere e nel tempo ad apprezzare si presenta con un insieme di costrutti teorici spesso incompleti, sicuramente ridondanti, forse nella ricerca di una sistematicità complessiva difficile da raggiungere: Eric Berne ha lasciato più di una incertezza. In compenso molte intuizioni lo hanno guidato nella sua ricerca di strumenti utilizzabili, comprensibili, vicini all’esperienza quotidiana delle persone. Spesso gli strumenti teorici dell’Analisi Transazionale sono anche ‘operativi’, come succede quando si costruisce una teoria legata al mondo concreto delle persone.
L’immediatezza degli strumenti dell’Analisi Transazionale di Eric Berne è evidente a partire dai ‘nomi’, che egli utilizza per indicare i differenti aspetti della sua teoria. Genitore, Adulto, Bambino; transazione; gioco psicologico; copione di vita; sono parole che risuonano in ogni esperienza umana, in ogni cultura, e richiamano pezzi di esistenza comuni nella vita di ciascuno.
La ‘pretesa’ di Berne di portare nel quotidiano parti di teorie conosciute astrattamente dai ‘tecnici’, rendendo riconoscibili e quindi fruibili alcuni significati, ha comportato a mio parere almeno due conseguenze tra loro apparentemente opposte: da una parte ha reso ‘debole’ l’Analisi Transazionale e l’ha allontanata dai ‘tecnici’, appunto.
Ancora oggi è raro vedere citato un testo di Berne, anche quando ci si sta riferendo in modo evidente all’opera di Eric Berne e si stanno usando le sue intuizioni. Anni fa mi aveva molto colpito un fatto che riporto come esempio. In un saggio dedicato alla formazione degli adulti, in quel caso degli adulti che lavorano in ospedale, La democrazia degli affetti di Gustavo Pietropolli Charmet, edito da Raffaello Cortina nel 1987, viene riportata da pag. 213 a pag. 244 una dispensa utilizzata nella formazione e che ha come titolo Introduzione a una analisi di codice: GAB. Nella dispensa chiaramente ci si riferisce a Eric Berne e viene utilizzato il linguaggio dell’Analisi Transazionale come si legge a pag. 30 del testo citato:
La dispensa, ricca di esempi di transazioni inerenti alla vita di coppia e alla vita familiare, si serve del linguaggio dell’analisi transazionale (Berne, Harris ecc.) e illustra le caratteristiche espressive del Genitore, dell’Adulto e del Bambino (nel lessico dei gruppi di formazione essa perciò finisce per essere sinteticamente denominata GAB). Nella prima parte vengono illustrate le “voci” interne soggettive che sono riconducibili all’universo infantile (Bambino), poi quelle interpretabili come effetti delle introiezioni delle figure parentali (Genitore) e da ultimo vengono illustrate le complesse mediazioni tentate dall’Io (Adulto) (Pietropolli Charmet, 1987).
Nel testo ci si riferisce in più occasioni al GAB e all’utilizzo che ne viene fatto attraverso la riformulazione dei codici affettivi di Franco Fornari: nessun testo di Eric Berne è citato in bibliografia e, a parte il breve richiamo della pagina 30 in cui i nomi di Berne e Harris (tra i primi e da tempo obsoleti divulgatori dichiarati dell’opera berniana) compaiono, non ho trovato altro che renda onestamente omaggio al pensiero di Eric Berne. Forse leggere direttamente qualcosa di Berne, visto che il GAB viene così ampiamente utilizzato, avrebbe anche potuto evitare alcuni grossolani errori nella citazione degli Stati dell’Io.
La ‘debolezza’ che mi sembra di intravvedere nella teoria della Analisi Transazionale, a mio parere, si rende esplicita nella letteratura, anche recente, di questa materia: è più facile vedere in alcuni articoli lunghe citazioni di psicoanalisti con cui gli analisti transazionali (forse alla ricerca di ‘padri’) idealmente si confrontano, piuttosto che citazioni di colleghi che pure hanno detto e scritto ‘cose’ sugli argomenti trattati.
Dall’altra parte, questa ‘accessibilità’ agli strumenti teorici e tecnici dell’Analisi Transazionale, accessibilità che rende la materia apparentemente divulgativa, il legame con l’esperienza soggettiva e con la vita nel suo svolgersi quotidiano, rappresentano anche secondo me il suo punto si forza, la sua attualità.
Forse l’Analisi Transazionale stenta a entrare nelle università, forse una sorta di ‘snobismo’ intellettuale la tiene lontana dalle ‘dotte’ citazioni di esperti, sicuramente la diffusione di questo strumento è in aumento e, come aveva previsto Berne, le persone ne parlano nel loro vivere quotidiano, non ne hanno soggezione. È uno strumento flessibile, facilmente integrabile con altre teorie, non è banale.
Come ogni teoria che si rispetti è vitale, generativa, conserva spazi che sollecitano la creatività e la partecipazione di chi la utilizza. Nella formazione degli adulti, come nell’intervento del clinico e del counsellor, come ho già detto, consente di avere una base sicura e anche di arricchire questa base, di completarla, rinegoziandola attraverso l’esperienza, integrandola con altre conoscenze.
Oggi direi che l’Analisi Transazionale è una teoria imperfetta, e come tale non ha pretese di ‘verità’ fisse e immutabili. Ritengo questo atteggiamento della teoria, attuale, vicino ai nostri tempi, alla necessità di innovazione e di conoscenze che partendo dalle reali esperienze degli esseri umani, a queste ritornino. Le ultime ricerche, le neuroscienze come le ricerche sull’attaccamento, in realtà confermano questa ipotesi di una continua interdipendenza tra teoria e esperienza.
Nella formazione degli adulti a mio parere è importante evitare le ‘ortodossie’, rendendo possibile un atteggiamento critico e ‘trasformativo’ verso gli strumenti teorici utilizzati: in qualche modo, come sollecitiamo nelle Scuole di psicoterapia e di counselling, è importante che ogni allievo abbia la possibilità di essere accompagnato a ‘ costruire’ la propria arte, appropriandosi degli strumenti teorici e tecnici posseduti, rivisti, ricollocati nelle proprie conoscenze ed esperienze personali, strumenti come luogo di partenza per comprendere e relazionarsi al mondo.
Il posto per la ricerca
Nella articolazione dinamica di teoria ed esperienza le capacità personali di chi si forma alla relazione di aiuto contano. Nella costruzione di una professionalità come quella psicoterapeutica o di counsellor a volte sottolineiamo l’importanza della ‘esperienza di vita’di una persona, la sua capacità di ‘tollerare’ le inevitabili difficoltà che incontra chi opera in questi ambiti, le incertezze, i momenti di buio; anche ci sembra utile la capacità di formulare ipotesi e costruire strategie e contemporaneamente poterle mettere in discussione e verificarle; possedere una buona intuizione e renderla ‘strumento’ utilizzabile nella pratica ci sembra apprezzabile.
Ad un professionista che opera in questi ambiti vengono richieste non poche capacità e qualità personali, formate, costruite e ri-costruite: come dice in altri contesti Francoise Sironi, lo ‘psicoterapeuta è uno strumento, un oggetto clinico’. Una antica diatriba poneva in opposizione la formazione alla relazione di aiuto come luogo di molteplici conoscenze, costruite in ambito accademico, aperte a molteplici partecipanti, dalla formazione alla relazione di aiuto come un ‘andare a bottega’, un apprendere un’arte attraverso il fare e il veder fare. Sono del parere che prepararsi alla relazione di aiuto comporti entrambi queste attenzioni da parte di chi forma: la conoscenza è importante e costituisce la base del nostro agire in questo ambito; così come appropriarsi del ‘come si fa’ può e deve probabilmente essere una delle domande di partenza. Mi sembra poi opportuno che il ‘come si fa’ diventi personale, soggettivo: io così come sono in questa relazione come faccio? cosa mi è utile? Costruirsi una propria arte implica un percorso di ricerca, di conoscenza di sé, di comprensione di ciò che sta avvenendo nel campo relazionale, implica un interrogarsi e anche un fare una scelta tra gli strumenti teorici e tecnici a disposizione, a volte rinnovandone alcuni aspetti.
Le capacità personali contano e costituiscono il ponte tra teoria e esperienza, rendendo possibile la ineliminabile unicità di ogni forma di relazione di aiuto: la ricerca si situa in questo luogo intermedio, in questo “spazio”. È possibile ‘fare ricerca’ se gli strumenti teorici che posseggo sono flessibili e accettano il confronto con ciò che sperimento nella pratica; anche è possibile ‘fare ricerca’ se ho imparato a usare le mie capacità personali la creatività, come strumenti necessari di lettura e comprensione dell’esperienza, come guida alla relazione con il mondo.
Nella formazione degli adulti in qualche modo ci incontriamo con il limite, con l’imperfezione: l’imperfezione delle teorie, il limite di sé e delle proprie capacità, la difficoltà a far coincidere ciò che sappiamo con ciò che viviamo; l’incertezza e la capacità di ‘tollerarla’ son due aspetti pregnanti, due indicatori in questo ambito di formazione. Da qui nasce la ricerca.
Pio Scilligo in una intervista a cura di Dolores Munari Poda pubblicata nei «Quaderni» n.25 del 1998, dice:
Credo sia urgente preparare analisti transazionali che facciano ricerca creativamente, che si abituino ad osservare e creare significati in quanto osservano, a pensare e a leggere criticamente e a navigare liberamente nel passato, nel presente e nel futuro senza gettare l’ancora definitivamente in nessuno dei tre porti dell’esperienza umana (Scilligo, 1998).
E questo «Quaderno» n. 53 si apre con i risultati di una ricerca condotta da Ugo De Ambrogio e da Carla Dessi su un campione di 100 psicoterapeuti, diplomati negli ultimi 15 anni presso la Scuola di Specializzazione in psicoterapia del Centro di Psicologia e Analisi Transazionale di Milano. La ricerca nasce da un insieme di curiosità intorno a cui tra colleghi docenti ci interroghiamo negli ultimi tempi: le Scuole di specializzazione sono molte, forse attualmente c’è più offerta che richiesta nella formazione alla psicoterapia. Quali garanzie di lavoro e di vita professionale soddisfacente offriamo agli allievi che si trovano poi ad operare in un ambito così ‘competitivo’, in un mercato forse già saturo? Come se la sono cavata i nostri ex allievi? E lo strumento dell’Analisi Transazionale è stato ‘utile’ nella costruzione di una professionalità? E come, cosa in particolare?
Una ricerca, quindi, dedicata alle professioni di aiuto nel nostro contesto sociale.
Alle professioni di aiuto si riferisce anche il contributo di Michel Landaiche, III tradotto dal «TAJ» n.3 del 2009 Le dinamiche del dolore sociale nei rapporti umani . Nel suo saggio l’autore mette in luce la natura “necessariamente interpersonale” di alcune dinamiche di sofferenza e di come accostarsi a tali aspetti nel lavoro di relazione di aiuto possa comportare un coinvolgimento ‘invalidante’ per il professionista, ‘influenzandone il lavoro’.
Laura Quagliotti ci parla di Ripetitività e cambiamento. Aspetti copionali e aspetti creativi nel processo terapeutico, mettendo in luce gli aspetti di rigidità di origine copionale, ‘ripetitivi al di là della intenzionalità della persona’ e i limiti e la sofferenza che da questi aspetti derivano. Il contesto terapeutico viene indicato dall’autrice come luogo di progressivo disvelamento degli schemi copionali limitanti, e la relazione terapeutica come processo di attribuzione di significato a ciò che si ripete e di possibilità di sperimentare e creare nuovi modi di esprimersi: “Aspetti ripetitivi e aspetti creativi si intrecciano nell’intervento terapeutico intorno al filo conduttore delle dimensioni di identità”.
Ne I gruppi e lo sviluppo del sé come processo creativo, Raffaele Mastromarino ci parla dei gruppi, di che cosa un terapeuta/formatore tiene presente nel formare un gruppo. Facendo riferimento alla Analisi Transazionale socio-cognitiva di Pio Scilligo, l’autore mette in evidenza i comportamenti e le competenze utili per un terapeuta/formatore “per modellare e stimolare i partecipanti al gruppo a proporsi e rispondere all’altro secondo specifiche modalità che facilitano lo sviluppo di un sé integrato e sicuro”.
I due contributi che seguono, Col corpo capisco. Incontro con il teatro e Tra realtà e fantasia. L’albo illustrato come spazio potenziale, descrivono, integrandoli con riflessioni personali e con aspetti teorici due workshop del convegno Curare e prendersi cura.
Nel primo, Brunella Andreoli, attrice e regista e Emanuela Lo Re psicoterapeuta, propongono una riflessione a due voci su alcuni concetti che “connettono l’esperienza dell’attore e l’esperienza dell’analista”, in cui il corpo è strumento comune all’attore e all’analista.
Nel secondo, Cinzia Chiesa ci conduce nel mondo dell’albo illustrato, del libro, oggetto relazionale, e anche spazio potenziale “in cui sperimentare e appropriarsi creativamente della progressiva maturazione del rapporto tra realtà e fantasia”.
In Parole Poesia, spazio creato da poco nei nostri «Quaderni», Cinzia Chiesa ci introduce alla conoscenza di Ada Maty, albo illustrato edito da Artebambini nel 2009, costruito a più mani da alcune donne africane, alcune donne italiane, musicisti e bambini, e curato da Angela Cattalan e Franca Mazzoli della associazione QB-Quanto Basta – di Bologna. Le figure presenti nelle pagine di questo testo e la copertina provengono da Ada Maty.
Seguono le consuete Linee di tendenza, idee, personaggi, occasioni in questo numero a cura di Stefano Morena, Marco Mazzetti, Susanna Ligabue.
Il «Quaderno» si chiude con la recensione di Gravidanza e contesti psicopatologici di Pierluigi Righetti, edito da Franco Angeli nel 2010. La recensione è di Sonia Gerosa.
Buona lettura. |