1 - Le politiche sociali per i giovani Con l'approvazione
della Legge 285/97 "Piano Nazionale per l'Infanzia e l'Adolescenza" si sono improvvisamente
rese disponibili, negli ultimi anni, consistenti risorse finanziarie per l'apertura
di nuovi servizi educativi e sociosanitari per adolescenti. La logica della legge
è quella della prevenzione primaria, del potenziamento delle risorse individuali
e della costruzione del benessere, piuttosto che quella tradizionale dell'assistenzialismo
e della cura. Ciò ha promosso i nuovi servizi per gli adolescenti caratterizzati
dalla bassa soglia d'accesso, dalla trasversalità dell'utenza, dall'autoreferenzialità,
dalla sviluppo diritti e della cittadinanza attiva dei giovani, che già
prima dell'approvazione della legge si stavano sperimentando nel nostro paese.
Tali servizi trovano nella promozione dell'esperienza del gruppo dei pari (gruppo
d'aggregazione, gruppo terapeutico, gruppo classe ecc.) la loro più immediata
applicazione. I promotori degli interventi sono stati fortemente spinti dal legislatore
a realizzare tali servizi secondo una metodologia integrata dell'intervento pubblico
con quello del privato sociale (quello che oggi è definito "lavoro di rete").
La legge ha raccolto l'eredità storica della legge 216/91 che aveva
l'obiettivo di intervenire nelle situazioni di rischio di coinvolgimento dei minori
in attività criminose. Una legge , dunque, che interveniva nell'area del
disagio giovanile e che aveva ben chiaro il rapporto fra quest'ultimo e la carenza
ambientale, intesa come carenza di risorse educative e preventive., di presidi
territoriali, di iniziativa e di presenza sociale nei quartieri a rischio. Iniziative
prima lasciate al volontariato ed al privato sociale (in particolare quello cattolico
degli oratori e degli scout) venivano così per la prima volta assunte dallo
Stato come proprio specifico compito.Questa nuova dignità istituzionale
dei Centri di Aggregazione Giovanile (C.A.G.)segna un importante passaggio delle
politiche sociali giovanili del nostro Paese. Dall'assistenzialismo individualizzato
e dagli interventi episodici di prevenzione del disagio, realizzati con campagne
pubblicitarie o con raid informativi nelle scuole (spacciati per educazione alla
salute) si passa gradualmente ad un impegno più continuativo, ma soprattutto
più rispettoso delle esigenze dei ragazzi, i quali vengono coinvolti nella
realizzazione del progetto, anzi ne diventano i protagonisti, mentre prima ne
erano solo destinatari passivi. L'ulteriore passo avanti, che la legge 285/97
fa compiere alle strategie di politica sociale per i giovani, è quello
di superare la categoria di "giovani a rischio", che nella legge 216/91 era inevitabilmente
correlata a condizioni familiari e sociali svantaggiate, per rivolgersi a tutti
gli adolescenti, indipendentemente dalla loro condizione socio-economica. Molte
erano ormai le osservazioni sui comportamenti a rischio dei giovani che smentivano
la correlazione classe sociale-disagio. Ad esempio, numerose ricerche hanno dimostrato
che il consumo delle "nuove droghe" coinvolge in maniera trasversale i giovani
e viene accettato nella normalità dei loro stili di vita (Lazzaroni,2000).
Finito il tempo dell'intervento preventivo su categorie specifiche di giovani
e constata la difficoltà sempre maggiore di descrivere e categorizzare
il complesso universo giovanile, la politica sociale per i giovani si orienta
maggiormente sulla scelta dei contenuti piuttosto che per l'individuazione di
specifici fasce d'utenza. I percorsi di crescita che sono stati attuati con
gli adolescenti grazie alla legge 285/97, sono i più variegati : sono stati
concordati con i ragazzi azioni legate all'uso del territorio; sono stati siglati
patti per l'utilizzo di strutture (a cominciare dalla scuola) per fare musica,
sport, teatro, computer ecc. e per incontrarsi, in cambio dell'impegno sulla loro
manutenzione da parte degli adolescenti, in un'ottica di patto. Sono state realizzate
microazioni di educativa di strada e d'informagiovani nei parchi o nei luoghi
(il muretto, il bar, la piazza) dove si riuniscono i gruppi o le compagnie; sono
stati aperti numerosi centri d'aggregazione di quartiere dove i ragazzi hanno
potuto incontrarsi con altri coetanei grazie all'impegno di educatori, assistenti
sociali e psicologi; sono stati realizzati sportelli d'ascolto nei luoghi di vita
naturali degli adolescenti (a cominciare dalla scuola) dove psicologi di formazione
clinica erano a disposizione dei ragazzi che ne avevano bisogno. Per attuare
questo tipo di azioni educative e di sostegno alla crescita è stato necessario
per gli adulti fare un passo indietro rispetto alle tradizionali prassi educative
e sanitarie, e mettersi nella condizione di porre dei "limiti frangibili" con
i quali i ragazzi potevano confrontarsi (Centro Nazionale di Documentazione ed
Analisi per l'Infanzia e l'Adolescenza, 2000) A quattro anni dalla promulgazione
della legge 285 e dell'attivazione in tutto il territorio nazionale di servizi
e progetti per adolescenti, è possibile avviare una prima riflessione su
tali esperienze, al fine anche di sostenere l'importante processo istituzionale
avviato dalla legge, che sta trasformando significativamente la cultura dei servizi
educativi e di accoglienza degli adolescenti. Significativo a tal proposito è
il lavoro che stanno svolgendo nel nostro Paese alcune istituzioni scientifiche
che operano a livello nazionale (Istituto degli Innocenti di Firenze) e a livello
locale (ad esempio l'Osservatorio sul Disagio Adolescenziale del Comune di Roma,
, istituito dall'Assessorato alle Politiche Sociali e affidato per convenzione
all'Associazione Romana di Psicoterapia dell'Adolescenza), in quanto stanno monitorando
le esperienze realizzate all'interno dei diversi servizi promossi dalla legge.
Numerosi sono i problemi con i quali si sono dovuti confrontare coloro che si
sono occupati delle esperienze attivate nei servizi e nei progetti per adolescenti
attivati con la legge 285, ma qui intendo concentrarmi sulle problematiche emergenti
nel lavoro educativo e di accoglimento psicologico realizzato all'interno dei
C.A.G., di cui ho personale esperienza. 2- Un ambiente per la promozione
della crescita degli adolescenti La nuova dimensione relazionale del lavoro
educativo aperta dai C.A.G , sta producendo un nuovo modello d'intervento che,
pur se provvisoriamente, possiamo incominciare a descrivere, coscienti della insufficienza
dei dati a nostra disposizione, ma anche della necessità di incominciare
a riflettere in maniera sistematica sull'esperienze che si stanno conducendo nel
nostro Paese. Necessità ancor più urgente, se si pensa ai rischi
insiti in una pratica educativa che ignora la complessità delle problematiche
in campo, e quindi inevitabilmente tende ad appiattirsi in una esperienza sostanzialmente
improvvisata e volontaristica. In questo caso i rischi sono molti, il più
grave dei quali mi sembra essere quello del deterioramento delle funzioni del
C.A.G. che comporta inevitabilmente la frustrazione degli operatori e la loro
conseguente demotivazione (o burn-out). Queste condizioni rappresentano le condizioni
perché il C.A.G diventi terreno di cultura di diverse patologie adolescenziali,
quali la demotivazione, l'antisocialità, l'egoismo consumistico, la delusione
e la disperazione. Il rischio più comune mi sembra essere quello di
incappare nell'iperattivismo pedagogico e vedere così drammaticamente confermata
l'inconsistenza e la superficialità delle proposte educative dei mass-media,
centrate sul consumismo e sulla strumentalizzazione a fini di mercato delle mode
giovanili. Spesso dietro allo slogan dell'aggregazione giovanile si nasconde
una tendenza autoreferenziale di attribuire significato e senso a questo tipo
di esperienze. Come se fosse sufficiente mettere insieme diversi adolescenti in
una sala prove per la musica o in un laboratorio informatico per costruire un'esperienza
che abbia senso educativo ed evolutivo.Come afferma Pietropolli Charmet (2000)
questo tipo di esperienze non aiutano l'adolescente a rapportarsi con il Sé,
non sostengono la funzione introspettiva. Al contrario non lo salvano dal gruppo
come contenitore protettivo in cui non si cresce, perché spesso fa perdere
contatto con la realtà interiore. In questi casi al rischio di realizzare
un'esperienza effimera che insegue le mode giovanili più o meno imposte
dal mercato si somma, più o meno inevitabilmente, il rischio di esautorare
la figura dell'adulto o di tecnicizzare la sua funzione (l'educatore diventa il
tecnico del computer o quello del suono a cui ricorrere in caso di necessità,
con una funzione , dunque, meramente ancillare). Insomma l'attività diventa
il fine e non il mezzo attraverso cui raggiungere il mondo interiore del ragazzo.
D'altro canto, occorre tener presente che anche nel C.A.G. meglio orientato
al mondo interno del ragazzo , ci sono dei bisogni che esulano dalle competenze
dell'educatore, il quale deve lasciare spazio a (e possibilmente introdurre l'intervento
di) altre figure professionali. L'operatore , infatti, può ricevere una
richiesta d'aiuto che va al di là dell'aggregazione o delle sue competenze
relazionali ed affettive (Marchesi, 2000). In questo caso mi sembra essenziale
il ruolo di orientamento verso altri servizi che può realizzare l'operatore
del C.A.G. Quando ciò non avviene il rischio del C.A.G.è quello
di surrogare funzioni non proprie, saturando velocemente domande e bisogni degli
adolescenti che hanno bisogno di specifici percorsi. Il C.A.G. diventa così
una specie di mondo autarchico chiuso, incapace di accedere alle risorse del territorio.
Un rischio abbastanza simile per certi ragazzi, è quello di restare
incastrati nel centro di aggregazione, continuando a frequentarlo anche quando
l'età non lo giustifica più, a volte mimetizzati nel ruolo di operatore.
In questo caso i ragazzi non vengono aiutati ad elaborare la separazione dalla
loro adolescenza ed il compito del centro di traghettarli nell'età adulta
è del tutto fallito. Ciò succede da un lato perché questo
tipo di servizi tendono in alcuni casi, per fortuna rari, a legittimarsi attraverso
il raggiungimento dei parametri quantitativi che ne fissano l'utenza, per cui
una volta raggiunto il limite massimo non si fa più attività promozionale
nel territorio. Ciò comporta inevitabilmente la difficoltà di rinnovare
l'utenza del servizio , che si trasforma in un ambiente "riservato" ad un certo
numero di aficionados, con i rischi di ghettizzazione che ciò comporta..
Mi sembra che questi rischi sono il frutto di una banalizzazione dell'esperienza
che nega la complessità delle variabili in gioco. Improvvisazione, giovanilismo,
autoreferenzialità, superficialità, dipendenza, inconsistenza sono
, dunque, alcuni delle carenze più comuni che possono caratterizzare il
funzionamento del C.A.G.. Quali allora le caratteristiche che possono permettere
al C.A.G. di funzionare in termini educativi ed evolutivi? Proviamo ad individuare
quali sono le condizioni che permettono di realizzare questi non facili ed appassionanti
compiti esistenziali nel contesto del Centro di Aggregazione Giovanile. Al
fine di poter meglio sviluppare le proprie potenzialità educative, il C.A.G
deve poter realizzare un modello d'intervento basato sulla relazione poliedrica,
che riesce cioè a tenere conto delle molteplici variabili in gioco. Tale
relazione può avere diverse facce e possiamo divertirci ad immaginare diversi
solidi geometrici per rappresentarla . Ad esempio possiamo partire dalla piramide
(fig.1) che prevede l'incontro di tre facce poligonali piane : quella dell'operatore
(con il suo gruppo di lavoro, la sua organizzazione d'apparternenza e la sua attidudine
personale mista alla sua teoria di riferimento), quella dell'adolescente (con
il gruppo dei pari, i suoi contesti di riferimento, in primis famiglia e scuola,
ed il suo Sé privato) e, infine, quella delle'istituzione (con l'aspetto
normativo che ne istituisce l'intervento, quello dei diversi ambiti d'intervento
tecnico, organizzativo, , politico e quello economico ed amministrativo che sostiene
il servizio). Ognuna di queste tre facce è composta da una figura piana
: il triangolo. Possiamo, dunque, immaginare una piramide a base triangolare,
dove la base è costituita dallo specifico ambiente per gli adolescenti
che vogliamo prendere in considerazione (in questo caso il C.A.G, ma potremmo
applicare lo stesso schema allo sportello d'ascolto nelle scuole o all'ambulatorio
riservato agli adolescenti di una A.S.L) e le tre facce laterali triangolari sono
date dal mondo dell'operatore, da quello del ragazzo e da quello dell'istituzione
di riferimento (il Comune, o la scuola, o la A.S.L.). Potremmo immaginare
poliedri con più facce, ma ciò che conta è comprendere la
complessità delle dinamiche in campo. Nella nostra piramide è
importante considerare che ogni faccia ha rapporti con le altre tre facce. Pensando
al centro di aggregazione giovanile (faccia n.1 della fig.1.) possiamo provare
ad immaginare come funziona il rapporto di una delle tre facce (ad esempio quella
degli operatori) con le altre. La faccia relativa agli operatori (faccia n.3)
ha tre lati : il primo (lato b-d), relativa al proprio gruppo di appartenenza,
è quella che forma la base (il C.A.G., cioè ha come sua componente
irrinunciabile gli operatori, e questo lo differenzia nettamente dal centro sociale
autogestito); il secondo (lato a-b) è quello relativa alla propria attitudine
personale e alle teorie di riferimento che è più direttamente in
contatto con gli aspetti profondi del Sé dell'adolescente (e comporta,
quindi, la necessità che l'operatore abbia una certa familiarità
con il proprio mondo interno ed una chiara consapevolezza dei problemi tecnici
e degli aspetti relazionali in campo, e questo differenzia il C.A.G. dall'oratorio);
il terzo lato (a-d) è quello relativo all'Istituzione d'appartenenza che
comprende aspetti come il ruolo sociale, la sicurezza economica, l'identificazione
istituzionale ecc.(e questo protegge dall'improvvisazione e dall'autoreferenzialità).
Fig. 1 : Dimensione relazionale del lavoro educativo nel C.G.A. La complessità
delle variabili in gioco, che interferiscono nel funzionamento del centro e di
ogni suo attore, come è facile dedurre, non consentono alcuna improvvisazione
o impreparazione da parte degli operatori, che altrimenti sono i primi a pagarne
le conseguenze, e da parte dei promotori del centro, che hanno una responsabilità
istituzionale forte nella costruzione di un servizio il cui funzionamento globale
rispetti standard di qualità accettabili. Come afferma Scotti (1992) l'istituzione
che si occupa di esseri umani abbandonata a se stessa tende a degenerare ed a
funzionare al livello più basso di qualità ed efficienza. A tal
proposito, aggiunge Bonfiglio (1999), occorre tenere presente che se i processi
di sviluppo non sono garantiti dal continuo monitoraggio e comprensione dell'evoluzione
delle dinamiche dell'istituzione, lasciano ben presto il posto a quelli di decadimento.
Al fine di evitare tale malfunzionamento istituzionale occorre che il C.A.G.
sia dotato di un suo assetto organizzativo che permetta di integrare tutte le
sue diverse funzioni (educative, politiche, sociali, lavorative, relazionali,
terapeutiche ecc.). A funzioni diverse devono corrispondere ruoli diversi (educatore,
coordinatore, psicologo, responsabile organizzativo ecc.) coordinati da un modello
organizzativo adeguato. Il primo compito dell'organizzazione è quello
di correlare i bisogni degli utenti e del territorio con l'offerta dei servizi
che il C.A.G. è in grado di offrire, attraverso un'attenta analisi della
domanda della comunità. Per poter assolvere questo compito l'organizzazione
deve essere in rete con gli altri servizi per adolescenti del territorio (scuole,
servizi sanitari, servizi sociali pubblici e del privato-sociale) e realizzare
con loro uno stretta alleanza, non solo per ricevere l'invio di ragazzi, ma soprattutto
per fronteggiare con il loro aiuto tutti quei problemi (ad esempio invio di un
ragazzo per una psicoterapia) che il C.A.G. non è in grado di affrontare
solo con le proprie risorse. Momenti d'incontro con questi servizi del territorio
sono estremamente utili per evitare che il C.A.G. si affidi ad una navigazione
solitaria che rischia di affondarlo durante le bufere. Accanto a questi compiti
esterni l'organizzazione deve farsi carico della gestione dei problemi interni
di tipo economico, amministrativo e del personale connessi al funzionamento del
C.A.G . Problemi come il ritardo del pagamento degli stipendi (comune ai progetti
che dipendono da finanziamenti nazionali) o il cambiamento d'orario del centro
(perché in estate, ad esempio, piuttosto che il primo pomeriggio si preferisce
tenere aperto la sera) o la rinuncia di un operatore a proseguire il proprio impegno
e la conseguente necessità di sostiuirlo, devono essere condivisi all'interno
del gruppo di lavoro e tradotti in scelte organizzative. Mi sembra importante
che questa funzione organizzativa del gruppo sia chiaramente differenziata dalla
funzione elaborativa, inerente le dinamiche affettive e relazionali del gruppo
degli operatori e di questi con i ragazzi.. Insomma occorre che il C.A.G. oltre
che del suo assetto organizzativo si prenda cura del suo assetto affettivo, consapevole
tanto dell'interrelazione fra i due che della loro precisa differenziazione..
Questo non per legittimare un funzionamento scisso del servizio, ma per evitare
una pericolosa confusione delle lingue che mischia i problemi sindacali o logistici
con gli aspetti relazionali, in uno psicologismo interpretativo onnivoro. Al fine
di evitare il rischio della scissione dei due aspetti, quando necessario, alcuni
dei problemi organizzativi possono anche essere affrontati nel gruppo esperenziale
al fine di comprendere gli aspetti affettivi o comunicativi connessi : ad esempio
un educatore può andar via perché condizioni oggettive esterne,
comunicate al gruppo di lavoro con buon anticipo, impongono tale sua decisione
(e la sua sostituzione è dunque un problema da affrontare nel gruppo organizzativo),
oppure perché si è verificato un conflitto irrimediabile con il
gruppo di lavoro e con il progetto del C.A.G.( analizzare tale conflitto, elaborarlo
e possibilmente risolverlo è compito del gruppo esperenziale). Il compito
di gestire il gruppo organizzativo è del coordinatore delle attività
o del responsabile del servizio, mentre il compito di gestire il gruppo esperenziale
deve essere affidato ad un conduttore esterno (che deve essere uno psicologo esperto
nelle dinamiche di gruppo e nei problemi dell'adolescenza) . Quest'ultima è
una condizione necessaria perché nel gruppo esperenziale possano essere
sinceramente affrontate le dinamiche affettive del gruppo di lavoro. Il gruppo
esperenziale, è stato da molti individuato come lo strumento più
adatto ad affrontare e fronteggiare la complessità del lavoro di animazione,
socio-educativo e psico-educativo che si svolge nei centri per adolescenti. E'in
questi gruppi che si possono realizzare movimenti oscillatori d'integrazione fra
i vari componenti del gruppo (conduttore compreso) che sono il riflesso degli
aspetti frammentati e scissi che gli adolescenti hanno proiettato negli operatori
(Montinari, 2001) Tutto ciò permette al Centro di funzionare al meglio
in termini relazionali ed evolutivi. Un funzionamento che permette alla C.A.G.
di funzionare per il gruppo degli adolescenti che lo frequenta come un luogo ricco
di potenzialità evolutive e di arricchimento del proprio Sé, e per
quegli adolescenti che ne hanno bisogno, in termini terapeutici. Mi sembra
importante ricordare questo doppio versante, educativo e terapeutico, su cui si
muove l'esperienza del C.A.G. Un doppio versante che vede inevitabilmente uniti
gli aspetti tecnici con quelli ideali ed etici, come bagaglio culturale specifico
del C.A.G.. Per assumersi il compito di educare le nuove generazioni, occorrono
adulti divergenti rispetto all'attuale assetto sociale che ha rinunciato all'educazione.
Per dirla con Massa : "i ragazzi oggi crescono al di fuori di un contesto educativo,
al di fuori di un ambiente dal quale trarre valori che consentano un inserimento
e anche un raccordo con le generazioni adulte" (Massa , 2000). Non solo la società
non si preoccupa di offrire ai ragazzi degli ambienti per la crescita, troppo
preoccupata com'è ad offrire prodotti da consumare ma, a complicare il
compito di quegli adulti che ancora credono nella validità formativa dell'incontro
fra le generazioni, ci sono gli stessi giovani che sono diventati sempre più
sfuggenti e giustamente diffidenti nei confronti delle iniziative (purtroppo quasi
sempre strumentali) degli adulti nei loro confronti. Per tali motivi difficilmente
il C.A.G. può funzionare al pieno delle sue potenzialità se si cristallizza
su un funzionamento burocratico o tecnicizzato privo di tensione ideale, di desiderio
di esplorare e sperimentare seriamente l'incontro trasformativo con le nuove generazioni.Privo
di quest'anima che dovrebbe coinvolgere tutte le componenti del C.A.G., tali iniziative
perdono vitalità ed incisività ( Whiteley 1998, Hinshelwood 1998).Occorrono
,dunque, operatori con una vocazione specifica , aperta alle diverse dimensioni
del loro lavoro, non cristallizzati in pratiche routinarie, ideologizzate o tecnicizzate,
ma capaci di funzionare con un'ottica elastica e multifocale coerente con la natura
più profonda del C.A.G. L'ottica organizzativa, attenta alla proposta delle
attività, alla costruzione degli spazi e dei tempi adeguati ed alle condizioni
di contesto che fanno da cornice all'esperienza del C.A.G. deve , dunque, coniugarsi
con l'ottica psicologica attenta alla dimensione profonda delle relazioni e degli
affetti che si consumano nel C.A.G., con quella pedagogica attenta a dare voce
al ragazzo , potenziarne le capacità espressive e quella sociale attenta
allo sviluppo delle competenze che facilitano l'inserimento del giovane nel mondo
del lavoro e della scuola.. Se tale vocazione multifocale del C.A.G. viene
rispettata, esso può funzionare per i ragazzi come un "porto sicuro" (Bonfiglio,1999)
nel senso che potrà offrire sempre un operatore che offrirà accoglienza,
ascolto e disponibilità a "leggere" i diversi bisogni dell'adolescente.
L'operatore riesce così a funzionare come "ruota di scorta" (Bonfiglio,
19999), del processo evolutivo, di cui ci si ricorda solo quando diviene necessaria
, altrimenti resta discretamente presente, segue senza prevaricare e nello stesso
tempo registra le dinamiche individuali e del gruppo. Tale funzionamento evolutivo
e terapeutico, nel senso lato del termine, è il risultato, come afferma
Bonfiglio, del funzionamento in toto della struttura e non è dato dalla
sommatoria delle singole attività. Ciò comporta che ogni operatore
"deve avere una qualche visione globale di ciò di cui si occupa ma, soprattutto
devono esserci momenti dedicati alla costruzione di una visione d'insieme di ciò
che accade. Mi riferisco sia al piano organizzativo che a quello dell'elaborazione
emotiva, che a quello della comprensione della comunicazione" (Bonfiglio, 1999)
Queste le condizioni di base per far funzionare un C.A.G.. A questo punto possiamo
chiederci se come psicoanalisti di adolescenti possiamo dare un contributo al
fine di creare le condizioni prima descritte. Insomma che competenza ha uno psicoanalista,
anche se si occupa di adolescenti, per collaborare con un Centro Giovani ? Una
domanda, questa, che ne contiene diverse altre : ad esempio quella inerente alla
possibilità di utilizzare strumenti conoscitivi e tecniche di una scienza
(quella psicoanalitica), all'interno di contesti e settings diversi da quelli
in cui essa viene solitamente utilizzata. Bibliografia: Bernabei
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Cortina Editore, Milano
Daniele Biondo
E-mail: d.biondo@tiscalinet.it
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