"Ogni giorno, dietro fragili ripari, in tutta la terra, una parte dell'umanità perde sangue da un'oscura ferita. L'assassino è la luna".
Guido Ceronetti
Introduzione
E' ben noto come in adolescenza l'integrazione psicosomatica venga messa in crisi dalle tumultuose trasformazioni puberali che impongono - in un tempo breve - il rimaneggiamento dell'immagine di sé e delle relazioni oggettuali. In questa fase della vita, sembra, in particolare, venir meno la possibilità di oscillare armoniosamente tra i due modi fondamentali di sperimentare la presenza corporea: il corpo che sono e il corpo che ho, il corpo-soggetto e il corpo-oggetto, il leib e il koerper.
Il fatto è che la possibilità di oscillare armoniosamente tra i due modi suddetti è ritmata dai movimenti fondamentali che hanno regolato il rapporto primario con le figure genitoriali dell'infanzia. Pertanto le difficoltà ad integrare la "metamorfosi" sono proporzionali all'ambivalenza di cui i genitori sono investiti.
Come tante manifestazioni psicopatologiche mostrano (dall'anoressia all'autolesionismo, dal tentativo di suicidio alla somatizzazione) il corpo è il fulcro e l'oggetto dell'aggressione e del rifiuto.
Il nuovo corpo sessuato è molto spesso trattato difensivamente "come un oggetto che non fa parte di sé" (Birraux, 1990) o come un doppio che agisce di sua iniziativa la pubertà.
Questo corpo "altro da sé" non è però solo e necessariamente un doppio perturbante; nello sviluppo normale esso è anche il compagno segreto con cui condividere i timori e le scoperte del percorso evolutivo.
E' il corpo il nuovo e misterioso oggetto dell'investimento libidico; è lui quel "altro" che l'adolescente ama esplorare allo specchio; è grazie alla sua presenza che l'adolescente può godere l'avventura di essere solo; è il corpo l'oggetto del desiderio e del piacere autoerotico.
Ma, come la clinica ci insegna, questa scissione non è sempre funzionale e l'esperienza del nuovo corpo sessuato, del corpo "altro da sé" ha spesso un impatto fortemente traumatico, tanto più quando nel corso della storia infantile non è stato possibile introiettare delle relazioni oggettuali sufficientemente stabili e rassicuranti. In questi casi, la pubertà riporta bruscamente sulla scena oggetti interni pericolosi, come le figure genitoriali dell'infanzia troppo seduttive o troppo assenti ed il corpo, teatro dei conflitti identificatori, è bersaglio di acting e luogo di manipolazioni, aggressioni, misconoscimenti.
Queste battaglie, spesso fragorose e cruente (pensiamo per esempio a sintomi eclatanti quali i comportamenti autolesivi o i tentativi di suicidio), sono naturalmente anche un segnale carico di potenzialità comunicativa, che colpisce fortemente l'ambiente e da cui può scaturire una relazione di aiuto.
Il proposito di approfondire il senso dell'amenorrea nasce invece dall'interesse per quelle numerose forme di sofferenza, come le patologie somatiche (Carbone, 1996; Carbone e Lucarelli, 2001) o gli incidenti (Carbone, 1998; Carbone e Milo, 1999), in cui l'attacco al corpo non è guidato da una intenzionalità autolesiva esplicita e che, proprio per questo, vengono trattate esclusivamente sul piano organico.
L'amenorrea, in particolare, è un sintomo così silenzioso e inapparente da minare il progetto evolutivo nelle sue radici biologiche, senza che all'esterno nulla appaia e si manifesti. (Nota A)
Un corollario di questa sofferenza appena sussurrata, è lo scarso investimento nel campo della ricerca e soprattutto del trattamento psicoterapico: infatti, nonostante l'evidenza della relazione tra vita emozionale e secrezione ormonale (Nota B), la letteratura riporta pochissime esperienze di trattamenti alternativi alla farmaco terapia sostitutiva.
Obiettivi
Il nostro progetto è nato nell'ambito della Sezione Adolescenza del Centro Interdipartimentale di Psicologia Clinica (Facoltà di Psicologia Università degli Studi "La Sapienza" di Roma), con l'intento di integrare l'esperienza clinica e il lavoro di ricerca. In particolare eravamo interessati a strutturare un'area di approfondimento psicologico nella quale si potessero realizzare tre obiettivi fondamentali:
1. offrire alle adolescenti la possibilità di esplorare il senso del sintomo amenorrea e di reintegrarlo nella trama storica e relazionale della loro esistenza;
2. discutere regolarmente, in gruppo, il materiale clinico e riflettere sul senso del sintomo, a partire dall'esperienza condivisa;
3. creare una liaison con i ginecologi invianti.
Come è evidente tutti e tre questi obiettivi avevano in comune l'idea che, per rendere fecondo il nostro progetto, fosse necessario non solo mirare ad una migliore integrazione psicosomatica nelle nostre pazienti, ma anche ad una integrazione degli psicoterapeuti sia tra loro che con i ginecologi.
Il primo problema nella realizzazione di questi obiettivi era come sostenere la motivazione di tutte le parti in causa.
Prevedevamo infatti che la motivazione delle adolescenti amenorroiche ad un approfondimento psicologico sarebbe stata fragile, proprio a causa del particolare assetto difensivo rappresentato dal sintomo somatico. Esperienze precedenti (Carbone, 1996, 1998; Carbone e Lucarelli, 2001) ci avevano insegnato come il sintomo somatico tenda ad assorbire e a nascondere il vissuto emozionale e fantasmatico e come la sofferenza, tutta concretizzata nella malattia o nel disturbo, cerchi la soluzione altrettanto concreta rappresentata dalle analisi strumentali e dai farmaci.
Il trattamento psicoterapico di questo tipo di pazienti è notoriamente molto complesso e richiede quasi sempre una lunga fase di accompagnamento - una sorta di pre-analisi - che consenta l'affiorare dei bisogni.
Le ragazze che avremmo incontrato infatti non si rivolgevano a noi sulla base di una autonoma determinazione a ricercare un aiuto psicologico, ma per il suggerimento del ginecologo, un suggerimento che poteva facilmente essere interpretato come una prescrizione e che stava a noi trasformare in autentica richiesta.
Non poteva neppure essere data per scontata la motivazione dei ginecologi a collaborare, se per collaborare si intende l'integrazione delle reciproche competenze ad un lavoro attento sulla dinamica dell'invio. Le caratteristiche delle pazienti amenorroiche infatti non suscitano nel medico particolare preoccupazione né per la situazione somatica, né per la sintomatologia psicopatologica e la collaborazione con degli psicoterapeuti, animata da un interesse momentaneo, può non reggere nel corso del tempo.
Allo scopo di garantire al nostro progetto le condizioni minime per realizzarsi, nonostante queste prevedibili difficoltà, abbiamo puntato su due elementi fondamentali: la buona alleanza, già sperimentata, con il Servizio di Endocrinologia Ginecologica del Policlinico Umberto I, e l'interesse di un piccolo gruppo di colleghi a svolgere un lavoro clinico con un numero di pazienti limitato, avendo la tranquillità di potersi dedicare per tutto il tempo necessario all'approfondimento e all'aiuto, e la gratificazione di poter discutere i casi e di sentirsi appoggiati dal gruppo. In sintesi gli incontri regolari sia con i ginecologi che tra psicoterapeuti hanno consentito di creare una continuità e hanno aiutato a colmare la distanza tra setting diversi, come quello medico e quello psicoterapico.
Metodologia
Garantite queste condizioni di base ci siamo proposti una metodologia di incontro clinico che, pur rispettando lo stile dei diversi psicoterapeuti coinvolti nel progetto, seguisse una linea comune, pensata allo scopo di favorire il contatto delle adolescenti con le proprie problematiche e di facilitare il confronto del materiale ai fini della ricerca.
A tutte le pazienti che hanno aderito alla proposta del ginecologo abbiamo offerto un numero limitato di incontri esplorativi (4-5 sedute), associati alla somministrazione del test di Rorschach.
Il test di Rorschach è stato somministrato tra il secondo ed il terzo incontro, da un diverso psicoterapeuta del gruppo e in un giorno diverso da quello delle sedute diagnostiche; la restituzione del test invece è stata gestita dallo stesso psicoterapeuta che aveva condotto i primi incontri alla fine della fase esplorativa.
Eravamo consapevoli del fatto che l'introduzione del test può rappresentare un disturbo alla nascente alleanza terapeutica. Abbiamo a lungo ponderato questa decisione e ciò che ci ha indotto a proporla alle nostra pazienti non è solo l'interesse ad ottenere materiale per la ricerca. Nella nostra determinazione ha avuto un peso consistente la speranza di utilizzare il test come strumento di mediazione sia nella relazione con il terapeuta, sia tra mondo interno e mondo esterno, uno strumento con il quale osservarsi. Prevedevamo infatti che per questo tipo di pazienti non sarebbe stato facile passare dall'oggettività del sintomo somatico alla soggettività dei vissuti e ritenevamo che le tavole di Rorschach avrebbero potuto aiutare le nostre adolescenti ad esprimersi e a visualizzare, come in uno specchio, aree di sé celate dalla concretezza dell'evento somatico.
La macchia di Rorschach non è solo uno strumento diagnostico e può offrire - come dice Yves Marhain (1993) - un supporto all'attività fantastica ed associativa e "riparare una ferita nel vissuto più arcaico del soggetto, che può liberare la sua pulsionalità grazie all'invenzione di una storia che è sempre da inventare e sempre già inventata".
In sintesi pensavamo che la fase di valutazione con pazienti adolescenti, affette da un sintomo somatico e inviate alla consultazione in assenza di una motivazione personale, sarebbe stato un momento delicato in cui, oltre che raccogliere informazioni, avremmo dovuto cautamente saggiare la disponibilità a mettere in discussione l'equilibrio difensivo attuale; naturalmente, se nel corso dei primi incontri fosse emersa una richiesta di aiuto, lo stesso psicoterapeuta si sarebbe reso disponibile a proseguire i colloqui e a iniziare una psicoterapia.
Il passaggio dai colloqui di valutazione alla psicoterapia vera e propria non è stato sempre formalizzato nello stesso modo: in alcuni casi, di solito con le adolescenti di età più avanzata, è sembrato utile formulare un vero contratto, in altri casi si è scivolati più insensibilmente dalla fase diagnostica a quella terapeutica, secondo il modello della "diagnosi prolungata" (Novelletto, 1986). In ogni modo, la cosa più importante è che tutti i ricercatori sapevano di poter condurre i colloqui esplorativi con quel coinvolgimento nella relazione che è il primo e sostanziale motore del processo psicoterapico, ma che ci possiamo permettere di "accendere" solo quando sappiamo che - qualora se ne diano le condizioni - saremo anche disponibili ad andare oltre alla semplice fase di valutazione.
Il campione
Il nostro campione è costituito da 12 adolescenti e giovani adulte di età compresa tra i 15 e i 25 anni, inviati alla Sezione Adolescenza con la diagnosi di amenorrea secondaria. (Nota C)
Abbiamo escluso dal nostro campione i casi in cui l'amenorrea si era prodotta in seguito a patologie somatiche o psichiatriche (per esempio l'anoressia mentale) clinicamente manifeste.
Presentazione del materiale clinico
"Il corpo non è una cosa,
è una situazione"
Simone De Beauvoir
Il materiale clinico che presenteremo è costituito da 12 storie cliniche (sintetizzate a partire dagli elementi emersi nel corso dei primi colloqui di valutazione) e dai risultati dei 10 test di Rorschach.
I casi verranno presentati in ordine crescente di età.
Caso 1 : Anna
Anna ha 15 anni, l'amenorrea è insorta da più di un anno e non appare associata a nessun evento specifico. La famiglia è costituita dalla coppia genitoriale e da un fratello più grande.
Anna viene alla consultazione accompagnata dalla madre; ambedue si mostrano stupite dalla proposta avanzata dalla ginecologa, ma Anna, seppure un po' passivamente, accetta di fare i colloqui esplorativi.
Emerge un quadro di chiusura e di difficile relazione con i coetanei, in particolare Anna sembra rassegnata a svolgere un ruolo marginale: quello della confidente delle vicende sentimentali delle amiche. Anche con la cugina, che si è fidanzata proprio con il ragazzo di cui Anna si era innamorata, sembra contentarsi di questo ruolo, anzi si mostra gratificata.
Il quadro familiare è descritto come "idilliaco", infatti "con i grandi si trova meglio che con i coetanei e non c'è proprio nessun problema".
Nel corso dell'ultimo incontro Anna appare ancor più difesa e distante; le mestruazioni sono tornate in seguito alla terapia ormonale e sembra che, a questo punto, non ci sia proprio altro da dire.
Anna sembra molto impegnata a negare la frustrazione dei suoi bisogni di adolescente (far parte di un gruppo, avere un ragazzo...) e di mantenere una relazione di idealizzata dipendenza dalla famiglia (i "grandi" con cui sta meglio che con i coetanei).
I cauti tentativi della psicoterapeuta di problematizzare questa apparente armonia suscitano una irritata difesa e l'accusa di "insinuare problemi che non ci sono affatto".
Anche la fuga verso la pseudo normalità rappresentata dalla mestruazione indotta con la terapia sostitutiva, segnala l'impossibilità per Anna di affrontare le proprie difficoltà relazionali.
La psicoterapeuta sente di dover rispettare le rigide difese ma ricorda ad Anna la sua disponibilità a rincontrarla nel caso ne sentisse il desiderio.
Caso 2 : Barbara
Barbara ha 16 anni, l'amenorrea è iniziata da quattro mesi.
La famiglia è costituita dalla coppia genitoriale e da un fratello più piccolo. Barbara si presenta alla consultazione accompagnata dalla madre.
L'inizio dell'amenorrea è associato ad una dieta che ha prodotto una lieve perdita di peso (anche se il peso è rimasto nella norma).
Barbara e la madre appaiono preoccupate dall'indicazione ricevuta perché "non riescono a comprendere quale problema psicologico dovrebbe essere risolto".
Nel corso dei colloqui esplorativi Barbara descrive un quadro familiare "perfetto, in cui tutti sono in accordo e in armonia" e che contrasta con la diffidenza suscitata dal mondo dei coetanei da cui invece si tiene distante: "non si può mai sapere ciò che potrebbero dire alle tue spalle!". L'unica persona di cui si fida, e l'unica sincera amica, è la madre.
La psicoterapeuta si è sentita subito assimilata a quelle false amiche da cui bisogna guardarsi ed ha avvertito l'impossibilità di superare il clima di diffidenza e il rigido rifiuto di Barbara.
Anche la madre sembra aver vissuto le consultazioni come una minaccia alla "perfetta armonia familiare", sarà infatti concorde con la figlia nella decisione di interrompere i colloqui e affidare la soluzione alla terapia ormonale sostitutiva.
Caso 3 : Dora
Dora ha 17 anni, l'amenorrea è iniziata da due anni.
Vive con la coppia genitoriale ed è la minore di tre figlie femmine.
Dora si presenta alla consultazione accompagnata dalla madre che, pur esprimendo scetticismo nei confronti della psicologia, invade lo spazio della figlia con le molteplici ragioni della sua insoddisfazione e con il racconto dettagliato dei numerosi aborti volontari che lei ha praticato e a cui la figlia Dora è sfuggita solo per intercessione del marito, che ha impedito alla moglie di interrompere la gravidanza. Dora ascolta indifferente il racconto della madre e, inalberando un sorrisetto stereotipato, definisce i suoi familiari "tutti nervosi": il padre è gravemente invalido in seguito a due ictus e la sorella secondogenita è tossicodipendente e sieropositiva.
L'amenorrea è iniziata in coincidenza con una dieta che l'ha portata e perdere più peso del voluto, però nonostante il ritorno al peso normale, il ciclo mestruale non si è ripristinato. E' interessante notare che la dieta ha coinciso con la malattia del padre, figura verso la quale Dora ha eretto delle difese di tipo fobico, mentre un tempo condividevano una relazione intensa e complice, caratterizzata proprio dalle "abbuffate" che si godevano insieme.
Ora Dora regola la sua vita e la sua alimentazione con scrupolo ossessivo, ed il modello identificatorio è rappresentato dalla sorella maggiore, che vive fuori casa e che la consiglia nell'alimentazione.
Dora accetta volentieri di continuare gli incontri dopo la fase di valutazione.
Colpisce lo scollamento tra la drammatica atmosfera familiare ed il sorrisetto stereotipato di Dora.
L'ossessivo rispetto della dieta "giusta" ed il sintomo amenorrea appaiono coerentemente legati in un quadro caratterizzato dal controllo di ogni espressione pulsionale e dalla sospensione del processo evolutivo.
Sullo sfondo di questa sospensione difensiva, la violenza materna (gli aborti), la malattia paterna (gli infarti) e la sieropositività della sorella sembrano aver dato al sangue - che nella biologia femminile è segno di vita e fecondità - un significato distruttivo e mortifero.
Caso 4 : Giovanna
Giovanna ha 18 anni, l'amenorrea è iniziata da circa un anno.
Vive con il padre, la terza moglie del padre ed il fratello maggiore. La storia familiare è segnata dal ripetersi di eventi drammaticamente luttuosi.
Giovanna ha perso all'età di 10 anni la madre, morta per carcinoma mammario e 6 anni dopo, a 16 anni la matrigna, a cui era profondamente legata, per un tumore dell'apparato digerente. E' in coincidenza con questo secondo evento che si verifica il primo episodio di amenorrea, regredito spontaneamente dopo pochi mesi.
Il terzo matrimonio del padre suscita in ambedue i figli un rifiuto che si esprime prevalentemente con degli agiti: il fratello ha un grave incidente di moto e Giovanna, che ha iniziato una dieta dimagrante, ha un nuovo episodio di amenorrea, che non regredisce nonostante il parziale recupero di peso.
Nei primi colloqui Giovanna descrive una situazione di ritiro caratterizzata da sentimenti depressivi ed un lieve calo nel rendimento scolastico.
Grazie alla consapevolezza del suo stato di sofferenza psichica Giovanna accede facilmente al progetto di iniziare una psicoterapia.
Colpisce la relazione tra l'andamento del ciclo mestruale e le ripetute perdite delle figure materne. Sembra che le difficoltà paterne di elaborare i lutti, testimoniata dalla velocità con la quale il padre sostituisce una moglie con un'altra, abbia reso ancora più angosciosa l'identificazione con una figura femminile sessualmente matura.
Caso 5 : Iris
Iris ha 19 anni, l'amenorrea è iniziata da quattro mesi.
Vive con la coppia genitoriale ed è figlia unica.
Iris viene al primo colloquio accompagnata da ambedue i genitori ed è il padre il primo a parlare indicando la causa dell'amenorrea nell'alimentazione sbagliata della figlia, che definisce "anoressica", anche se in realtà il peso corporeo, pur essendo ai limiti inferiori della norma non è tale da giustificare questo giudizio.
Il rapporto tra i coniugi è fortemente conflittuale; il padre appare come una figura dominante, contro la cui intrusività madre e figlia si alleano.
Iris, messa completamente da parte durante il primo colloquio, accetta con interesse gli incontri successivi, commentando: "così, finalmente, potrò parlare io".
La prima interpretazione che Iris dà dell'amenorrea è in relazione all'ansia per l'esame di maturità; nei colloqui successivi emerge invece un'altra interpretazione e cioè che il sintomo sia una risposta alla presenza del padre, ancora più invadente da quando è in pensione.
Lamenta in particolare la spiacevole abitudine del padre di mettere a posto la sua stanza, toccare i suoi oggetti, aprire i cassetti... . In effetti le mestruazioni si erano ripresentate alcuni mesi prima, durante una vacanza fatta da sola "perché lontana da casa mi rilasso e, quando mio padre non c'è, mangio anche più volentieri!".
Iris è fidanzata con un ragazzo molto più grande di lei, colto e maturo, ma che ritiene "poco attraente". Questa scelta sembra funzionale al bisogno di controllare la sessualità, pensa che dovrebbe tenere nascosto al padre un eventuale rapporto sessuale e questo le costerebbe troppa fatica.
Si direbbe che le difese nei confronti della figura paterna e della sua intrusività siano incentrate sul corpo. L'amenorrea e il controllo dell'alimentazione sono più prossimi alla dinamica fobico-ossessiva che all'anoressia vera e propria.
Caso 6 : Carla
Carla ha 19 anni, l'amenorrea è iniziata da due anni.
Vive con la coppia genitoriale, e sette sorelle di cui è la terzogenita. Il padre lavora saltuariamente come manovale ed è alcolizzato. Le figlie più grandi, molto responsabili, sostengono economicamente le necessità delle più giovani; in famiglia regna un clima di scarsa confidenza e l'unico legame è la coalizione delle sorelle contro le continue intemperanze e le violenze paterne.
Questo clima di allarme e di minaccia è minimizzato da Carla che utilizza termini eufemistici quali "tensioni" o "baccano". Anche quando confiderà, con molto ritegno, il tentativo di violenza sessuale subita a dieci anni dal padre ubriaco, i sentimenti di rabbia e di protesta sono espressi velatamente e stemperati dalla razionalizzazione.
Tutte le energie di Carla sembrano impegnate a mantenere una facciata sociale di decoro (è composta, curata, brava a scuola, ha un fidanzato per bene...), nonostante il ribollire della violenza nell'ambiente familiare. Non resta spazio per investire né il rapporto di coppia: "non sento trasporto...., non so se gli voglio veramente bene...", né il rapporto d'amicizia: "non ci sono amiche sincere..., tutte ti parlano dietro...".
In questo quadro l'amenorrea è l'ultima delle sue preoccupazioni; ciò che Carla esplicitamente chiede è invece di poter parlare con qualcuno che l'aiuti a capire meglio le sue insicurezze e le sue "tensioni", viene perciò iniziata una psicoterapia.
Carla mostra notevoli difficoltà ad esprimersi: il colloquio è reso faticoso dal continuo bisogno di controllare le emozioni e da un atteggiamento nei confronti della psicoterapeuta passivo e di magica attesa.
L'amenorrea appare come l'estremo baluardo eretto nei confronti di una pulsionalità resa pericolosa dalla promiscuità e dalla violenza familiare ed è evidente il significato egosintonico della difesa.
In questo caso però il sintomo è stato anche utilizzato come "pretesto" per accedere alla consultazione psicologica e per dare inizio ad un processo di integrazione dell'esperienza.
Caso 7 : Francesca
Francesca ha 19 anni, l'amenorrea è iniziata da un anno.
Vive con la coppia genitoriale in un piccolo paese isolato del Lazio, è la terzogenita di tre figli, la sorella maggiore è morta a 16 anni in un incidente stradale avvenuto mentre il padre era alla guida. Francesca aveva allora 1 anno e liquida quel tragico evento dicendo che su di lei non può aver avuto nessun effetto dato che era troppo piccola per ricordare.
Anche una delusione sentimentale, verificatasi proprio nel mese dell'ultima mestruazione, non è considerata degna di rilievo perché "capita a tutti e poi lei lo sapeva dall'inizio che lui aveva una fidanzata". Quello che Francesca lamenta è l'ansia continua di non essere all'altezza degli impegni scolastici, che pure porta avanti con ossessiva precisione e con ottimi risultati, ed un senso di "diversità" che non le consente di sentirsi amica di qualcuno o parte di un gruppo.
Emerge l'immagine positiva di una zia madrina nella cui casa spesso si rifugia perché "c'è luce e c'è allegria".
Nonostante la negazione e la difficoltà di dar voce e senso alla sofferenza, Francesca ha immediatamente e fortemente investito l'incontro con la psicoterapeuta ed ai colloqui diagnostici è seguita una psicoterapia.
E' interessante la coincidenza tra l'età di Francesca quando è iniziata l'amenorrea e l'età che aveva la sorella quando si è verificato l'incidente mortale.
Il contrasto tra la luminosità della casa della zia ed il buio della propria, parla di un lutto che la famiglia non ha mai elaborato e di un dolore che per Francesca non è possibile pensare ("con me non c'entra, non avevo neppure un anno!").
Tuttavia l'immagine positiva della zia sembra testimoniare la possibilità di un investimento su di un oggetto apportatore di valenze vitali.
Caso 8 : Luisa
Luisa ha 21 anni, l'amenorrea è iniziata da circa un anno.
Vive con la coppia genitoriale, la nonna materna e una sorella maggiore, frequenta con successo la facoltà di filosofia.
Luisa esclude che l'amenorrea sia legata alla perdita di peso (6 -7 Kg) verificatasi un anno e mezzo prima, ma la mette piuttosto in relazione con lo stress causato da una situazione familiare "insolubile".
Da quando, due anni prima, la nonna è venuta ad abitare da loro Luisa sente di non avere più uno spazio per sé: la nonna è molto intrusiva ed ha turbato il rapporto confidenziale che lei aveva con la madre.
Neppure con il fidanzato, che vive in un'altra città e che appare poco investito libidicamente, o con le amiche, Luisa sente di poter trovare spazi per sé in cui "sfogarsi, divertirsi...".
Accetta con sollievo la proposta di continuare gli incontri ed inizia una psicoterapia.
E' evidente come Luisa tende a collocare i problemi all'esterno, razionalizzando e negando l'aspetto più interno e personale delle proprie difficoltà eppure, anche se guardare ai suoi problemi la fa soffrire, sente che: "non si può più far finta di niente".
Il tema che ricorre con maggiore frequenza è il bisogno di trovare uno spazio tutto suo e lo spazio della psicoterapia viene immediatamente investito di questo significato strutturante.
Caso 9 : Marta
Marta ha 22 anni, l'amenorrea è iniziata da otto mesi.
Vive con la coppia genitoriale ed una sorella minore. Nonostante l'età, Marta si presenta al colloquio accompagnata dai genitori. L'esistenza di Marta appare penosamente coartata, tutta l'attenzione è posta sulla malattia polmonare che si è manifestata 8 anni prima e che ha comportato numerosi episodi di pneumotorace e molte rinunce, per esempio quella di iscriversi all'ISEF dopo la maturità.
Ciò che però non è detto, ma balza agli occhi, è che la coppia genitoriale sembra impedire "amorevolmente" ogni legame ed ogni investimento extrafamiliare.
I genitori valutano positivamente la differenza tra Marta "che è una ragazza seria e le ragazze d'oggi un po' troppo svelte..." e le ricordano insistentemente che i pochi amici che ha non sono affidabili, "infatti non andavano mai a trovarla durante il ricovero in ospedale: i genitori, loro sì che ti vogliono bene, ... d'altronde se non andavamo noi ad assisterla non ci andava nessuno....".
Colpisce l'impossibilità di Marta di assumere una propria posizione o un proprio punto di vista e ogni tentativo di spostare l'accento dalla oggettività dei sintomi somatici alle risonanze soggettive dei vissuti è percepito come una minaccia.
Marta d'altra parte non perde occasione per ricordare che lei "con la famiglia sta benissimo perché loro le sono stati molto vicini" e si arrende docilmente al fatto che tutta la famiglia (compresa la sorella minore che ha dichiarato "non hai bisogno dello strizzacervelli") è contraria all'idea che lei intraprenda una psicoterapia.
Caso 10 : Ombretta
Ombretta ha 25 anni, l'amenorrea è iniziata da due anni.
Vive con la coppia genitoriale ed una sorella più giovane.
E' laureata in lettere e sta iniziando la carriera universitaria. Le mestruazioni, sempre irregolari, sono venute a mancare la prima volta a 19 anni, in seguito ad una dieta e, attualmente, in coincidenza con una grave alopecia del padre.
E' evidente il rilievo della figura paterna, Ombretta si sofferma a lungo nel descrivere il padre, la sua depressione ed i suoi problemi di lavoro.
Il sintomo amenorrea non la disturba particolarmente: "le mestruazioni non le ho mai volute perché non mi andava di crescere!".
Dal punto di vista intellettuale Ombretta è decisamente una ragazza brillante, ed ha sempre avuto successo negli studi; è però anche isolata e senza amici; i due rapporti sentimentali sono stati vissuti con poco trasporto: "ho pochi ormoni - spiega - difficile che mi piaccia qualcuno".
Fin dai primi incontri la psicoterapeuta è colpita dalla vivacità intellettuale di Ombretta e coglie, in contrasto con l'esibito rifiuto adolescenziale della pubertà, il profondo desiderio di assumere pienamente la sua identità di donna ed il forte timore di non farcela.
E' sulla base di queste conflittualità che viene concordato l'inizio della psicoterapia.
Caso 11 : Mara
Mara ha 25 anni, l'amenorrea è iniziata da un anno.
Vive con la coppia genitoriale ed un fratello più giovane.
E' laureata in fisica ed ha recentemente trovato un lavoro. Con un sorriso un po' sfuggente racconta della sua vita; gli eventi si accavallano vaghi ed imprecisi e sono dominati da esperienze somatiche: acne, irsutismo, asma e miopia.
Le mestruazioni sono state sempre regolari, un anno fa, in coincidenza di un periodo di "apatia", è aumentata di 7 Kg e da allora si sono definitivamente interrotte.
Nel corso degli incontri di valutazione Mara riesce a spostare l'accento sui vissuti depressivi che da tempo l'accompagnano, sull'isolamento, sulla mancanza di amici. Mette anche in relazione l'inizio dei vari disturbi somatici con un trasloco, avvenuto quando aveva 12 anni, in seguito al quale aveva perso tutti gli amici: "in quel periodo tutto è cominciato ad andare male: avevo l'asma e mi sentivo in colpa perché attaccavo sempre mia madre".
La psicoterapeuta percepisce, sotto la cappa depressiva, una forte aggressività repressa. Tuttavia la capacità di Mara di mettere in gioco, nel corso dei colloqui di valutazione emozioni e vissuti sempre più profondi lascia sperare nella possibilità di un'alleanza terapeutica.
Caso 12 : Paola
Paola ha 25 anni e l'amenorrea è iniziata da un anno.
Vive con la coppia genitoriale ed una sorella più piccola.
Gli studi magistrali e l'attuale lavoro la riempiono di insoddisfazione. Tutta la vita di Paola è caratterizzata da una serie di eventi negativi che si collocano sul piano somatico: mucoviscidosi, scorbuto, vene varicose, granulomi dentari. I rapporti con la famiglia vengono definiti normali, e sembra non dar rilievo al fatto che alla madre sia stato diagnosticato un anno prima un tumore.
Dai coetanei si sente incompresa e sfruttata, sulle sue relazioni aleggia un vissuto sfumatamente persecutorio.
L'unica presenza "positiva" è quella di un fisioterapista con il quale sta praticando una terapia reflessologica.
Sembra che nella vita di Paola, assediata fin dalla prima infanzia da tante malattie e da tante privazioni, non ci sia alcuno spazio per una relazione prevalentemente simbolica come la psicoterapia: "parlare a che serve? Io non ho ricordi... solo quelli di essere malata e con le occhiaie!".
La psicoterapeuta riconosce che, almeno in questa fase, un aiuto incentrato sul corpo, come quello offerto dalla fisioterapia, rappresenta un sostegno più adeguato ai bisogni di Paola.
Discussione dei casi clinici
Abbiamo sinteticamente presentato le storie di 12 ragazze; il primo elemento che ci sembra interessante sottolineare è che - nell'anno in cui si è svolta la ricerca - le pazienti amenorroiche a cui i ginecologi hanno proposto la consultazione presso la nostra Sezione, sono state 20: dunque ben 8 ragazze (3 di 15 anni, 3 di 17 anni e 2 di 22 anni) hanno rifiutato di avere un qualsivoglia contatto con la sezione.
La difficoltà di passare dall'oggettività del sintomo somatico alla soggettività dell'esperienza vissuta è, d'altra parte, risultata rilevante anche nelle 12 ragazze che abbiamo incontrato.
Aldilà delle inevitabili differenze individuali, accentuate dal fatto che il nostro campione è piuttosto eterogeneo per l'età (c'è una notevole differenza tra un'adolescente di 15 anni e una giovane adulta di 25), vorremmo ora sottolineare alcuni caratteri comuni all'intero gruppo:
1. Tutte le pazienti hanno mostrato notevoli difficoltà nel percepire e nell'esprimere sentimenti ed emozioni. Questa assenza di contatto con se stesse rappresenta una barriera profonda; il sintomo amenorrea infatti concretizza il bisogno di annullare tutti i turbamenti legati all'esperienza pubertaria e cancellando quel sangue mestruale "troppo rosso, troppo vivo" (Carbone et al., 1997), sembra mettere in sordina le passioni, gli slanci e gli affanni dell'adolescenza. Ne emerge quel quadro di pseudo normalità che altri autori hanno già attribuito ai pazienti che tendono a somatizzare (Marty e De M'Uzan, 1963; Mc Dougall, 1982, 1989; Nemiah e Sifneos, 1970; Schaefer, 1994) e anche, più specificatamente, alle pazienti amenorroiche (vedi nota A). Pensiamo, per esempio, al viso sempre sorridente di Dora, una maschera di stereotipata allegria dietro cui arginare le violenze ed i drammi familiari, oppure ad Anna che, pur descrivendo la sua vita nel ruolo di mera spettatrice, deve continuamente ribadire che "non c'è nessun problema" o a Mara che non ha ricordi e si definisce "apatica nei pensieri".
2. Tutto il nostro campione è formalmente ben adeguato ai compiti e alle aspettative sociali. Non solo non emergono problemi nel campo scolastico o lavorativo, ma anzi, in generale, ci siamo trovati di fronte a ragazze iperadattate, che - annullando le tipiche ribellioni adolescenziali - si assumono con grande responsabilità i propri impegni. Pensiamo per esempio a Carla e a Francesca che, nonostante la povertà socio-affettiva del contesto, non solo sono studentesse capaci, ma contribuiscono anche al sostentamento familiare, o a Mara, Ombretta, Paola, che a soli 25 anni sono brillantemente laureate e già lavorano.
3. Tutto il campione presenta problematiche, più o meno sfumate, nell'area alimentare. Sebbene nessuna abbia sintomi tali da giustificare una diagnosi di anoressia o di bulimia, sembra che il cibo sia investito di forti valenze conflittuali e che la dieta, spesso tinta di coloriture fobico-ossessive, sia funzionale al controllo e al distanziamento delle relazioni con oggetti primari. Dora, per esempio, segue una dieta molto precisa e ricorda, con disgusto, le complici "abbuffate" che, da bambina, la univano al padre; sulla stessa linea Giovanna ha deciso di gestire autonomamente i propri pasti da quando è giunta in casa la terza moglie del padre per non diventare "una cicciona come lei" e Iris mangia più volentieri quando il padre non c'è, perché mangia quello che vuole "senza la regola del primo e del secondo piatto".
4. Tutte descrivono una vita relazionale e sentimentale estremamente povera. Le amicizie sono quasi assenti: Mara ha 25 anni, ma, dopo il trasloco avvenuto all'inizio dell'adolescenza, non ha più avuto amici, ed anche Ombretta, in coincidenza col menarca si è isolata ed ha perduto tutte le amicizie: "mi cresceva il seno, lo odiavo... da allora è andato tutto male". O, addirittura, inaffidabili: Barbara afferma che "non ci si può aprire con le amiche perché non si sa mai cosa possono dire alle tue spalle" e Carla afferma "non ci sono amiche sincere... sono tutte false... non sono come me l'aspettavo".
Anche i rapporti sentimentali sono rari (solo cinque ragazze hanno, o hanno avuto, un rapporto di coppia) e, in ogni caso, colpisce l'assenza di investimento libidico sui partner: "non sento trasporto - dice Carla - non so se gli voglio bene..."; Ombretta razionalizza: "ho pochi ormoni, per cui non sento l'attrazione fisica, difficile che mi piaccia qualcuno" e così Iris, a 19 anni, preferisce non aver rapporti sessuali perché poi dovrebbe dirlo al padre.
5. A questo scarso investimento nelle relazioni extra familiari, fa da controaltare un'intensa polarizzazione affettiva sulla vita familiare. Contrariamente a quello che avviene in adolescenza - fase dello sviluppo in cui la famiglia è difensivamente distanziata e tutti gli investimenti puntano verso ciò che è nuovo ed esterno - in queste ragazze tutto il mondo affettivo ruota attorno alla famiglia, anzi, potremmo dire che il mondo è la famiglia. Anna, per esempio, descrive un ambiente familiare "idilliaco" e non esita a sostenere che "con i genitori, con i grandi sta meglio che con i coetanei" e così Marta sa bene che ci si può fidare solo dei genitori: "loro sì che ti vogliono bene!". Ma anche quando l'ambiente familiare non è presentato in termini così idealizzati non è possibile stabilire una pur minima distanza: pensiamo, per esempio, a Luisa che lega tutti i suoi problemi all'invadenza della nonna e all' "assenza di spazio" o a Dora che dichiara di avere un buon rapporto con la madre anche se la descrive come una persona che non vuole mai ascoltare e che "urla sempre", impedendole perfino di concentrarsi nello studio.
In quest'ambito ci aspettavamo di imbatterci prevalentemente in tematiche relative alla difficile identificazione con la figura materna (Nota D), riferimento cardine nella strutturazione dell'identità di genere, ciò che invece non prevedevamo - e che ci sembra interessante evidenziare - è la presenza di figure paterne molto intrusive e/o seduttive.
Pensiamo ovviamente alla minaccia di incesto subita da Carla, ma anche al padre che lega a sé Mara con la sua sofferenza o al padre di Iris che mette in ordine la stanza della figlia, tocca le sue cose, ispeziona i suoi cassetti.
Questo dato clinico ci sembra confermare ciò che molti autori, nell'ultimo decennio, hanno sottolineato e cioè l'importanza della figura paterna nel processo di integrazione della femminilità matura (Schaefer, 1994; Cournut-Janin, 1994).
In particolare la Benjamin (1995) ha descritto come "identificazione con il differente" quel tipo di relazione incrociata che la figlia può stabilire, con il proprio padre; si tratta di un processo che consente alla bambina, quando il rapporto funziona, di imparare ad apprezzare l'altro sesso grazie all'identificazione preedipica con il padre. Sulla stessa linea anche Green (1983, 1990) evidenzia l'importanza di queste relazioni, collegando la difficoltà di assumere a pieno la propria femminilità con il fatto che "l'oggetto eterosessuale è inassimilabile perché straniero, definitivamente altro" (p.).
Nel caso delle nostre pazienti sembra invece che una figura paterna, troppo intrusiva, non abbia consentito una normale elaborazione ed utilizzazione delle fantasie preedipiche ed edipiche; nei confronti di questi padri concretamente invadenti sembra che le nostre adolescenti abbiano sentito la necessità di opporre un sintomo somatico: l'amenorrea che, annullando l'esperienza mestruale, permette di rifugiarsi nell'area protetta e nell'innocenza di un corpo prepubere.
Test di Rorschach
Nel paragrafo sulla metodologia abbiamo spiegato le ragioni della scelta del Rorschach e le modalità di somministrazione:
Nell'analisi interpretativa dei protocolli Rorschach delle nostre pazienti abbiamo fatto riferimento agli studi condotti dal gruppo di ricerca di Chabert (1983, 1987) che utilizza il test proiettivo all'interno del processo diagnostico facendo riferimento al modello concettuale psicoanalitico e utilizzando due sistemi interpretativi tra loro incrociati: quello del rilievo dei dati obiettivi (percettivo-quantitativo) e quello relativo all'analisi delle risposte (proiettivo-qualitativo).
Analisi quantitativa
Nella Tabella n. 1 sono riportati i valori relativi al tipo di percezione, alle determinanti e ai contenuti delle risposte al test di Rorschach del gruppo delle pazienti con amenorrea. La media dei punteggi e delle percentuali ottenute dal nostro campione sono state successivamente confrontate con i valori medi e in centile riferiti alla popolazione italiana (Passi Tognazzo, 1994).
La produttività quantitativa rilevata attraverso il numero complessivo delle Risposte (R) date al test è risultata adeguata nel nostro gruppo di pazienti rispetto ai valori normativi (R = 23.1 vs 20.2) e più della metà del nostro campione presenta un tipo di percezione prevalentemente globalistica. La riduzione delle risposte D indica la difficoltà ad affrontare la realtà concreta e potrebbe evidenziare uno sforzo legato ad un atteggiamento difensivo nel tentativo di non lasciarsi coinvolgere in una ricerca più approfondita e analitica. E' da rilevare, anche, nel tipo di percezione, l'incidenza delle risposte di Dettaglio bianco (Dbi). Le interpretazioni dei dettagli intramaculari indicano una modalità percettiva non frequente che è stata considerata da Rorschach (1921) come segno di opposizione diretta verso l'ambiente. Per Chabert (1983), esse rappresentano un indice di conflittualità centrata su un senso di incompletezza che si manifesta come attrazione per il bianco percepito come "vuoto", come qualcosa di mancante riferibile al vissuto del soggetto stesso.
In relazione alle determinanti formali la distribuzione della percentuale risposte Forma (F) delle pazienti con amenorrea risulta più bassa rispetto ai valori normativi (F% = 55.5 vs 67.0) e denota un controllo formale poco soddisfacente. L'aspetto formale delle risposte (F+%) risulta, nel nostro campione, qualitativamente inferiore rispetto al campione normativo (F+% = 57.2 vs 82.7) e segnala una difficoltà di ancoraggio alla realtà obiettiva. Quando la qualità percettiva delle risposte formali è, come nel nostro caso, indebolita si può parlare, come fa osservare Chabert (1983), di una lacuna nella prova di realtà, di un rapporto con il reale le cui fragili basi non favoriscono l'instaurarsi di buone funzioni adattive.
Per quanto concerne le risposte di Movimento Umano (M) il nostro gruppo di pazienti riporta valori tendenzialmente più bassi rispetto a quelli normativi (M = 0.8 vs 1.3). Più della metà delle adolescenti non dà risposte M e ciò potrebbe far pensare ad una inibizione delle capacità elaborative ed immaginative. Le risposte cinestesiche, infatti, rappresentano in primo luogo la ricchezza della risonanza intima (Bohm,1951) ed indicano la capacità del soggetto di confrontarsi al tempo stesso con le esigenze della realtà esterna e con quelle della sua realtà interna e il potersi riferire ad una immagine umana dinamica ed intera. Le cinestesie si riferiscono alle modalità con cui una persona si arricchisce e si costruisce in relazione al suo ambiente. E' interessante sottolineare che nel nostro campione la metà delle pazienti non dà in Tavola III cinestesie ed un'immagine umana intera segnalando una difficoltà che deriva, secondo Chabert, dai processi di identificazione e di relazione con l'altro. Rapaport, Gill e Schafer (1968) ritengono che la mancanza di movimento in Tavola III caratterizza gli individui con ideazione povera e con tratti inibitori.
Relativamente alle cinestesie minori, che rappresentano le tendenze "nascoste" dell'individuo e celano ciò che è latente e riferibile all'inconscio emergono in particolare le risposte di Movimento Animale (FM). Tali risposte (FM = 1.4 vs 0.8) rimandano allo spostamento dei movimenti pulsionali su immagini animali. Attraverso la rappresentazione animale possono essere espressi gli affetti che, attribuiti a personaggi umani, risulterebbero troppo coinvolgenti (Chabert, 1983).
I valori relativi alle determinanti Colore Cromatico (Forma-Colore, FC; Colore-Forma, CF; Denominazione Colore, C) pur non presentando differenze di rilievo con i valori normativi (FC = 1.6 vs 1.2; CF = 1.7 vs 1.4; C = 0 vs 0.2) indicano, tuttavia, come l'utilizzazione del colore in rapporto al movimento sia, da parte delle nostre pazienti, condizionata da cariche difensive che tendono a controllare l'impatto emotivo con il materiale soprattutto quando i contenuti non sono ben elaborati. Inoltre, se si considera la relazione tra il numero delle cinestesie (M = 0.8) e il numero delle risposte di colore (FC+CF = 1.6 + 1.7), si nota la netta prevalenza di queste ultime che caratterizzano le personalità in cui si riscontra la difficoltà a trattenere l'impulso e a contenerlo nel pensiero e nelle quali viene privilegiata una via di scarica direttamente in un'azione. Il colore è percepito, ma sembra essere registrato prevalentemente a livello di una reattività sensoriale che denota una certa recettività, quale semplice registrazione dell'eccitamento provocato dallo stimolo cromatico.
Le risposte di Chiaroscuro - Fcho, choF e (C) - che compaiono nei protocolli denotano una particolare sensibilità da parte delle nostre pazienti, al colore grigio come espressione dell'ansia e di affetti depressivi (Fcho = 1.8 vs 1.2; choF= 0.3 vs 0.6; F(C ) =1.2 vs 0.2)
Il Tipo di Risonanza Intima Primaria - T.R.I.I - (Tabella n. 2 ), prevalentemente coartativo (60%), evidenzia una modalità rigida ed inibita di funzionamento adattivo. Il restante 40%, di tipo extratensivo, segnala lo scarso controllo rispetto allo stimolo esterno ed è espressione di un tipo di recettività che mette in primo piano gli impulsi evitando l'emergere delle rappresentazioni.
Tab.2
Tipo di Risonanza Intima (T.R.I.)
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valori pazienti con amenorrea
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valori normativi
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T.R.I. I
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Coartativo 60%
Extratensivo 40%
Introversivo -
Ambieguale -
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Coartativo 11%
Extratensivo 47%
Introversivo 13%
Ambieguale 29%
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Per quanto riguarda l'analisi dei contenuti specifici, le risposte a Contenuto Animale (A) e le risposte a Contenuto Umano (U) testimoniano il doppio orientamento degli investimenti relativi all'adattamento nel mondo sociale e ai rapporti interpersonali (U%). Nel nostro campione si rileva la presenza di una percentuale di risposte animali (A%= 47.8) leggermente superiore ai valori normativi (A%= 46.5) che dimostrerebbe il raggiungimento di un adattamento. Pur tuttavia la ridotta percentuale, nel nostro campione, di risposte U, considerate un indice di socializzazione più maturo segnala la presenza di difficoltà di investimento nelle relazioni (U%= 11.1 vs 15,6). Per Chabert (1983), infatti, la capacità dell'individuo di rappresentare se stesso in un sistema di relazioni apre la strada all'empatia e al riconoscimento, attivando un processo di ritrovamento delle somiglianze e delle differenze con l'altro.
La diminuzione significativa delle Banalità (Ban, %) rispetto ai valori normativi (Ban. %= 19.5 vs 27.7) insieme all'Indice di Realtà di Neiger, significativamente più basso (Indice di Realtà = 3.9 vs 6-8), evidenziano, da parte delle nostre pazienti, un contatto fragile con la realtà e un funzionamento adattivo non sufficientemente valido considerando anche la ridotta percentuale di risposte di dettaglio (D).
Le risposte di dettaglio umano (Ud) nei nostri protocolli indicherebbero la presenza di problematiche relative alla percezione di un corpo vulnerabile, di un involucro che rischia di lasciare trasparire le sue parti, confermate, anche, dall'alta percentuale di risposte Anatomiche (Anat. %) associate a risposte radiografiche (Anat. % = 9.8 vs 5.2).
Analisi qualitativa
I risultati emersi dall'analisi quantitativa degli indici al test di Rorschach hanno messo in primo piano due caratteristiche principali presenti nel nostro campione: un adattamento di superficie ed una difficoltà ad impegnarsi nella relazione. Le modalità di risposta prevalenti evidenziano, infatti, coartazione, inibizione, unite ad eccitabilità e recettività allo stimolo piuttosto che una messa in moto di procedure di differenziazione e di significazione dello stesso.
In molti studi che si sono occupati di psicosomatica vengono messe in risalto le operazioni mentali degli individui che producono sintomi a carico del soma, che sembrano caratterizzarsi per una tendenza alla concretizzazione e al distanziamento emotivo.
La psiche "psicosomatica" è stata descritta come una psiche funzionante secondo modalità "operatorie" ed "alessitimiche" (Marty e de M'Uzan, 1963; Nemiah e Sifneos, 1970) che favoriscono un contatto con la realtà esterna di tipo convenzionale, adattativo e aconflittuale e un contatto con la realtà interna teso ad evitare l'incontro e il riconoscimento delle proprie emozioni. E' stato ipotizzato che quando la mente non è in grado di elaborare le emozioni viene attivata una strategia difensiva di concretizzazione e di esternalizzazione, tale per cui la realtà emozionale viene tradotta in azioni somatiche, vale a dire in sintomi psicosomatici. La scelta inconscia del sintomo, che consiste in questo caso nella soppressione dell'evento biologico del ciclo mestruale, segnala il tentativo di annullare l'iscrizione psichica delle rappresentazioni e degli affetti connessi con questo passaggio psicobiologico.
McDougall (1982, 1989) precisa che la modalità difensiva di evitamento del conflitto psichico si attiva in personalità dal fragile narcisismo o in fasi della vita in cui il narcisismo è sotto pressione. Ed è il caso dell'adolescenza in cui la rielaborazione dell'equilibrio tra investimenti narcisistici ed oggettuali è particolarmente problematizzato dai compiti di sviluppo, tra i quali spicca il dover ricollocare nella mente un corpo non più infantile ma genitalmente maturo (Laufer,1984). L'elaborazione delle problematiche relative all'identità sessuale diviene il perno per un rafforzamento e per una più precisa delineazione dell'identità soggettiva.
Per organizzare qualitativamente i dati dei protocolli Rorschach abbiamo cercato di individuare, tra le nostre pazienti, il livello di organizzazione psichica più frequente facendo riferimento al modello interpretativo proposto da Chabert (1983), che valuta le modalità con le quali l'organizzazione psichica dell'adolescente si presti a elaborare e a integrare le trasformazioni corporee e relazionali in questa fase dello sviluppo.
Chabert considera centrali, in adolescenza, due aspetti psicodinamici: la riattivazione dei processi d'individuazione, con la loro ripercussione sulla possibilità di mantenere un'identità soggettiva stabile e la riattivazione della problematica edipica con il suo impatto sulla possibilità di costruire identificazioni sessuali adulte. Nella sua analisi del contenuto latente delle tavole, infatti, l'autrice propone di analizzare parallelamente le rappresentazioni del Sé e le rappresentazioni di relazioni. Per quanto riguarda la rappresentazione del Sé si possono rintracciare nel test proiettivo di Rorschach alcuni elementi che hanno a che fare con la differenziazione tra il Sé e l'oggetto, e altri che hanno a che fare con la differenziazione sessuale. Le rappresentazioni di relazioni comprendono, invece, sia la qualità delle relazioni oggettuali e la loro dimensione conflittuale, sia la natura degli investimenti e dei processi difensivi.
Rappresentazione di Sé
La rappresentazione di Sé si articola in tre livelli: l'integrità dell'immagine del corpo, l'investimento dell'immagine di Sé (che è la base per la costituzione di un'identità stabile) e l'identificazione sessuale.
Per quanto riguarda il nostro gruppo di pazienti l'immagine del corpo viene riconosciuta nella sua integrità e unitarietà. Le tavole I, IV, V, denominate tavole "compatte", poichè sollecitano la proiezione del corpo organizzato simmetricamente intorno ad un asse centrale, vengono, preferibilmente percepite, come un tutto a testimonianza di una corretta integrazione dell'unità corporea piuttosto che essere percepite come tronche o parcellari. Sulla stessa linea interpretativa, possiamo osservare che le tavole III e IV, denominate tavole "bilaterali", vengono percepite come tali, e non vengono cercate delle globalizzazioni che indicherebbero un bisogno di unitarietà di fronte ad un materiale avvertito come frammentario. E' possibile dunque rintracciare, nei protocolli Rorschach del nostro campione, una buona rappresentazione dell'immagine corporea che mantiene la sua integrità, nonostante le modificazioni adolescenziali.
L'investimento dell'immagine di sé e la costituzione di un'identità stabile, basate sul riconoscimento della differenza tra soggetto e oggetto, rappresenterebbero, invece, il livello più problematico delle nostre pazienti. L'identità soggettiva che prevede, in questa fase, una rielaborazione del processo di separazione-individuazione, sembra compromessa dalla difficoltà di differenziazione tra il sé e l'oggetto. La frequenza di alcuni fenomeni particolari nei protocolli Rorschach è indicativa di tale problematica. In particolare, nel nostro campione, si osservano, alternativamente, fenomeni di Doppio ("gemelli" in Tav. III; "isole gemelle" in Tav. VII; "gemelle sulla giostra" in Tav. VII) e Contaminazioni ("donna con le ali" in Tav. I e in Tav. X; "maialetto con la faccia da bambino" in Tav. VII; "gatto-topo" in Tav. VIII). L'interpretazione del rilievo di simmetria e i fenomeni di doppio alle tavole bilaterali riflettono il tentativo di negare la differenza attraverso un sovrainvestimento della simmetria e costituiscono una strategia difensiva che sottolinea la dimensione speculare della relazione per negarne l'aspetto conflittuale. La simmetrizzazione può essere letta come un modo per trovare un rispecchiamento nell'altro mantenendo integra una posizione narcisistica, che necessita dell'altro nell' unica funzione di oggetto Sé rispecchiante (Kohut, 1971). Nel Rorschach, le risposte di doppio (gemelli, siamesi, relazioni allo specchio) o di contenuti che danno luogo ad immagini ibride di contaminazione (H/A, H/obj, A/obj) rimandano ad una rappresentazione confusa dell'immagine di Sé e l'ipotesi di una incertezza identificatoria è avvalorata dalla ripetuta percezione di immagini contaminate da parte della metà del nostro campione.
Per quanto riguarda il livello di differenziazione e identificazione sessuale, che sembra compromesso dalle difficoltà emerse al livello precedente, possiamo osservare che sono quasi assenti i riferimenti sia a simboli che a immagini sessuali esplicite e sembra bloccato il processo di identificazione sessuale legato alle risposte umane delle Tavole III e VII. In particolare, nella Tavola III, il numero delle risposte umane è basso e privo di connotazione sessuale ("persone" o "bambini"), mentre nella Tavola VII, nonostante l'evidente riferimento all'identificazione femminile, le risposte umane sono quasi assenti e confuse ("puffi"; "ragazzi con la coda"). Le immagini umane, quindi, appaiono poco definite in termini della loro appartenenza al sesso maschile o femminile e, quando lo sono, compaiono entrambi i sessi, evidenziando il mantenimento di una bisessualità e il rinvio di una scelta più definita relativamente all'identità di genere.
L'incertezza nell'assunzione di un'identità di genere ci offre lo spunto per formulare alcune ipotesi relative alle nostre pazienti e alle loro difficoltà identificatorie. Seguendo il pensiero della Benjamin (1995) riguardo all'acquisizione dell'identità di genere femminile potremmo ipotizzare, infatti, che la scomparsa delle mestruazioni rappresenti una modalità inconscia di prolungare il periodo preedipico. E' questo un periodo in cui domina il narcisismo e l'idea di bisessualità in cui le "identificazioni incrociate", cioè l'identificazione con il simile (la madre) e contemporaneamente con il diverso (il padre), dialettizzano il problema della somiglianza e della differenza, permettendo la loro convivenza nella mente onnipotente dei bambini. L'esordio adolescenziale dovrebbe segnare il declino dell'onnipotenza infantile e della fantasia della bisessualità e l'accesso ad una rappresentazione del Sé sessuato non già in opposizione, ma come differenza dall'altro sesso, orientando le relazioni verso il regime della reciprocità.
L'adolescenza spinge verso una più marcata differenziazione di genere e, ravvivando la problematica edipica, riporta in primo piano le tensioni legate alla stabilizzazione dell'identità di genere. L'amenorrea può essere vista come un tentativo di evitare tale passaggio, la cui più palese iscrizione è proprio nel corpo che cambia forma e funzioni. Trattare il corpo come estraneo ad un andamento evolutivo, oggettivizzarlo e bloccarlo, traduce un onnipotente tentativo di evitare il riconoscimento della differenza, in primo luogo della differenza di genere.
Il mantenimento dell'indifferenziazione tra il sé e l'oggetto ed il blocco delle potenzialità organizzatrici dell'Edipo indicano per Jeammet (1992), la difficoltà ad uscire dal regime della dipendenza infantile.
Rappresentazioni di relazioni
La scarsa produzione di cinestesie mette in risalto la difficoltà di coinvolgersi in relazioni oggettuali differenziate e adulte. Faremo riferimento alle caratteristiche evocative attivate dalla struttura delle tavole, alle sollecitazioni fantasmatiche che hanno a che fare con le immagini parentali e alle modalità particolari delle relazioni con tali immagini. A questo proposito Chabert fa riferimento al simbolismo materno relativo alle Tavole I, VII e IX che, per la loro configurazione, si prestano a far emergere il vissuto relazionale nei confronti dell'oggetto primario. Nella Tavola I si osserva, nelle nostre pazienti, un vissuto dell'imago materna di tipo persecutorio e minaccioso ("pipistrello con gli artigli"; "persone che cercano di colpirsi"; "farfalla notturna che fa ribrezzo"). Queste rappresentazioni sembrano richiamare le considerazioni della Torok (1964) relative alla difficoltà di svincolarsi da una figura materna vissuta come molto potente e dotata di immensi ed esclusivi poteri creativi. La Tavola VII si presta maggiormente ad evidenziare l'alternanza di dimensioni opposte che vanno dalla percezione del vuoto e dell'assenza, come le inversioni figura-sfondo ("squarcio nelle rocce"; "fungo"; "piazza"), indicatori di choc al vuoto, a risposte di tipo simbiotico che segnalano fusione e assenza di confini in un contesto relazionale regressivo ("isole gemelle attaccate"; "due persone attaccate"; "bambine"; "puffi"; "gnomi"). Le risposte a contenuto regressivo si riscontrano in sei protocolli su dieci e tre di esse riguardano la tavola materna (Tavola VII). Appare, quindi, di difficile attuazione il processo di separazione dagli oggetti primari e il processo di individuazione, come se l'altro non riuscisse ad essere percepito come differente e dotato di una propria identità, ma continuasse a svolgere funzioni di rispecchiamento. La riproposizione della simbiosi come modalità relazionale riporta in primo piano l'intreccio tra le dinamiche di separazione e l'acquisizione di una identità di genere, con le fantasie e i sentimenti di rabbia e di impotenza connessi. E segnala la difficoltà del compito evolutivo costituito dal dover rivedere la rappresentazione di Sé e delle relazioni diversificandole da quelle infantili (Ammaniti, 1989; Nicolò e Zavattini 1992).
Nella Tavola IX compaiono contenuti di tipo aggressivo con valenza persecutoria ("occhi"; "chele di mostri che si vogliono avvicinare"; "pagliacci cattivi in mezzo a nuvole e fiamme"; "persona che si nasconde"; "paura nascosta"). Tali risposte da parte delle nostre pazienti indicherebbero una problematica relazionale che si situa ad un livello piuttosto primitivo, combinando una dimensione minacciosa e persecutoria con aspetti di negazione. Sul versante dell'integrazione e della modulazione dell'aggressività possiamo osservare che se da una parte assistiamo ad una generale negazione del livello conflittuale delle relazioni, dall'altra possiamo osservare l'emergere della dimensione aggressiva Quest'ultima è segnalata dalla presenza di interpretazioni relative al colore rosso in Tavola II: ferite, lacerazioni e sangue. Queste interpretazioni segnalano come, in un registro di assenza, di separatezza e mancanza di confini stabili, l'aggressività sembra essere vissuta come elemento troppo pericoloso e distruttivo.
Possiamo ipotizzare che vi sia una stretta connessione tra la difficoltà a contenere gli elementi minacciosi ed esplosivi e la vulnerabilità dei propri confini. E' stato osservato come coloro che individuano nel corpo uno scenario per i propri sintomi, esprimono una confusione riguardo alla rappresentazione ben delimitata dei confini corporei e della loro funzione di contenimento. Le angosce, in questo caso, sarebbero l'espressione di una fantasia di fusione arcaica che segnala il timore di perdere la propria soggettività e identità separata (Green, 1990).
Considerando le rappresentazione del Sé e delle relazioni, si rileva la frequenza di risposte che si riferiscono alla percezione del bianco/vuoto presente nella quasi totalità delle nostre pazienti. Il bianco evoca per Green (1985) uno spazio non riempito, uno spazio vuoto, un buco nella rappresentazione, e segnala una perdita a livello narcisistico. Siamo di fronte a modalità difensive di evitamento della depressione e della presa d'atto della perdita dell'oggetto.
La presenza del "bianco" ci riporta al problema dei confini e rinvia alle considerazioni di Ammon (1974) sulla psicosomatosi caratterizzata da un deficit strutturale relativo ai confini dell'Io che si esprime con il vuoto, il cosiddetto buco nell'Io, riempito tramite un processo di somatizzazione. La ripetuta comparsa di risposte di pseudocolore bianco e nero, rilevata da Chabert (1987) nei protocolli di soggetti narcisistici può essere considerata come un indice del funzionamento psichico che Green definisce "angoscia bianca" e descrive nei termini di un disinvestimento che è proprio degli "stati di vuoto e di assenza".
Le difficoltà ad elaborare confini stabili e differenziati è segnalata anche dal fenomeno particolare dell'attrazione verso l'asse centrale che è presente in 8 protocolli su 10 ed in alcuni soggetti è ricorrente all'interno dello stesso protocollo.
L'attrazione per l'asse centrale può essere interpretato come tentativo di compensare la fragilità narcisistica nella ricerca di un sostegno. Ritroviamo allora quegli stretti legami già sottolineati tra il narcisismo e le relazioni precoci.
Come mettono in luce i dati qualitativi sembra che i prevalenti conflitti soggiacenti delle adolescenti del nostro campione ruotino nell'area del conflitto d'identificazione con la madre, in cui è in primo piano la problematica della dipendenza e un blocco delle identificazioni femminili evidenziata dalla cattiva differenziazione dell'imago.
Il sintomo dell'amenorrea secondaria di ordine psicogeno, cancellando la ricorrenza mestruale, elimina il segno più significativo e nucleare della maturità genitale femminile e pone la ragazza adolescente in una indefinitezza esistenziale, proprio nella fase evolutiva in cui l'identità di genere si impone come compito che mobilita fortemente il dinamismo psicologico.
Conclusioni
" Il sangue rimanda direttamente al sesso femminile a cui è simbolicamente legato".
Gérard Bonnet
Nel complesso percorso dell'assunzione di genere il menarca riveste, come ben evidenzia Kestenberg (1961), il ruolo di "organizzatore psichico" dell'esperienza pubertaria, la mestruazione è infatti un fenomeno psicofisiologico che ha il potere di catalizzare attorno a sé fantasie e posizioni affettive.
D'altronde tutta l'esistenza femminile sembra declinarsi "sotto l'insegna del sangue ": "... e quanto allo spargimento di sangue - ci ricorda Karen Blixen (1955, p.) - questo per ogni donna è un alto privilegio ed è inseparabilmente connesso con i momenti più sublimi dell'esistenza...Quale bambina non verserà con gioia il proprio sangue per diventare una vergine, quale sposa non farà altrettanto per diventare una moglie e quale moglie non le imiterà per diventare madre?"
Il tono epico, eroico con il quale la Blixen descrive dei fenomeni così naturali da essere considerati addirittura automatici non ci sembra fuori luogo.
Se è vero, come dice Simone de Beauvoir, che il "corpo non è una cosa, ma una situazione", la "situazione" che le mestruazioni manifestano è una situazione del tutto peculiare dell'organismo.
Dal protorganismo unicellulare all'essere umano, un imperativo fondamentale del vivente è quello del confinamento: perché la vita sia conservata e con la vita l'identità, è indispensabile che ogni sistema biologico sia in grado di mantenere la sua chiusura, infatti quelle apparenti interruzioni della continuità corporea che sono gli orifici e i visceri non sono altro che una invaginazione della superficie cutanea, una evoluzione delle originarie vacuolo (Brunelli, 1994), e nulla tolgono alla perfetta chiusura dell'organismo.
L'evento mestruale, e cioè la caduta della mucosa uterina ed il relativo sanguinamento, è una vera e propria ferita, e dunque una minaccia a questa fondamentale continuità del confine: "ogni giorno - dice poeticamente Guido Ceronetti - dietro fragili ripari, in tutta la terra, una parte dell'umanità perde sangue da un'oscura ferita. L'assassino è la luna".
Prima di essere un dramma psicologico, o culturale, il menarca è quindi un dramma biologico, ben diverso nel suo senso dall'esperienza maschile delle prime polluzioni.
Ecco perché non consideriamo fuori luogo il tono epico con cui la Blixen descrive le tappe fondamentali della biologia femminile: infatti sia il menarca che la gravidanza rappresentano una sfida a quell'imperativo di chiusura che è il fondamento dell'identità ed il fatto che si tratti di una sfida vitale e feconda nulla toglie al rischio e alla minaccia che rappresenta.
E la prova che "il corpo non sia una cosa, ma una situazione" è proprio nell'amenorrea e cioè nel fatto che alcune donne possono non accettare la sfida e possono rifiutare la minaccia rappresentata dalla perdita del confine.
Questo fondamentale tema biologico è emerso dalla analisi delle storie cliniche e dei protocolli Rorschach: il carattere comune a tutto il nostro campione è proprio il bisogno, portato all'estremo, di difendere la chiusura, i confini. Questo bisogno difensivo si declina a tutti i livelli: sul piano relazionale appare una estrema povertà degli scambi sociali (pochissime amicizie, rari e fragili rapporti di coppia); sul piano dell'investimento pulsionale le emozioni risultano coartate (frequenti tratti ossessivi a tonalità depressiva) e difficilmente esprimibili; sul piano del vissuto somatico emerge la percezione di un corpo vulnerabile, di un involucro che rischia di lasciar trasparire le sue parti.
I fenomeni di "doppio" e di "contaminazione", frequenti nelle risposte al test di Rorshach, parlano anch'essi della difficoltà di preservare il senso della propria identità, il bisogno di una fusione che protegga la discontinuità dei confini, e così il fenomeno dell' "attrazione verso l'asse centrale" sembra un tentativo di compensare la mancanza di confini stabili e differenziati con un iperinvestimento narcisistico.
Tutti questi elementi parlano di una ipertrofia difensiva del confine e sono pienamente coerenti con le tonalità fortemente intrusive (seduttive e/o violente) dell'ambiente familiare nel quale queste ragazze sono cresciute, ambiente che sembra aver fallito quella funzione paraeccitatoria all'interno della quale piò svilupparsi un confine valido perché è flessibile e dinamico.
Il sintomo amenorrea sembra quindi - a tutti i livelli - esprimere l'impossibilità di rinunciare ad una barriera difensiva, ad un diaframma protettivo.
Mantenere questo "fragile riparo" comporta naturalmente mille cautele e mille rinunce.
Mentre in adolescenza siamo abituati ad assistere a manifestazioni tumultuose del tipo "tanto rumore per nulla", l'amenorrea ci appare, paradossalmente, come una non manifestazione, come il contrario di un sintomo, come una macchia cieca, come "una mutilazione o un'agenesia del corpo vissuto, in cui una funzione somatica non può essere coinvolta nell'incontro con l'altro" (Dejours, 1993, p.).
Questa "macchia cieca" sembra avere il magico potere di rendere invisibili queste ragazze e le loro difficoltà e la risposta abituale al problema, la terapia ormonale sostitutiva, rischia di occultare definitivamente ogni traccia, di far tacere ogni eco del dramma che si sta svolgendo.
Il senso del nostro lavoro è stato questo: un tentativo di mantenere uno spazio di comunicazione e di contatto nel mondo interno di queste pazienti, ma anche tra i due mondi della psicologia e della medicina.
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Riassunto
Gli autori prendono in esame la possibilità di fornire una chiave di lettura psicosomatica per le patologie ginecologiche in adolescenza con particolare riferimento all'amenorrea secondaria.
L'espressione del sintomo amenorrea assorbe e nasconde il vissuto emozionale e fantasmatico tanto da spingere il soggetto a concentrarsi solo sulla sua realtà fisica tralasciando la sofferenza psicologica soggiacente al sintomo somatico.
L'obiettivo è quello di integrare l'esperienza clinica e il lavoro di ricerca nonchè l'interesse a strutturare un'area di approfondimento psicologico al fine di pervenire ad una migliore integrazione psicosomatica nelle pazienti.
Il campione è formato da un gruppo di 12 ragazze adolescenti e giovani adulte pervenute alla Sezione Adolescenza del Centro Interdipartimentale di Psicologia Clinica (Facoltà di Psicologia Università degli Studi "La Sapienza" di Roma). I criteri che hanno guidato la sua selezione riguardano l'età (tra i 14 e i 25 anni) e la diagnosi di amenorrea non associata a patologie organiche né ad anoressia mentale e a bulimia nervosa.
Il materiale presentato riguarda dodici storie cliniche e il test di Rorschach, analizzato secondo due sistemi interpretativi tra loro incrociati: percettivo- quantitativo e proiettivo-qualitativo.
Dall'analisi delle storie cliniche e dei protocolli del test di Rorshach è emerso, quale elemento comune al campione, un bisogno di difendere la chiusura, i confini, che si esprime a livelli diversi: sul piano relazionale appare una estrema riduzione degli scambi; sul piano dell'investimento pulsionale le emozioni risultano coartate e difficilmente esprimibili; sul piano del vissuto somatico emerge la percezione di un corpo fragile e vulnerabile.
Note:
(1) Ringraziamo la Prof.ssa Isabella Coghi (Servizio di Endocrinologia Ginecologica del Policlinico Umberto I di Roma) per l'interesse che ha mostrato al progetto e per la sensibilità con cui ha sempre affrontato la realtà psicologica delle sue pazienti. Ringraziamo, inoltre, la Dott.ssa I. R. Tedesco, la Dott.ssa G. Amodeo e la Dott.ssa L. Angeletti per la valida collaborazione al progetto di ricerca.
(Nota A) La letteratura psicologica sull'amenorrea ha sottolineato questa "pseudo normalità", evidenziando: Johnstone (1959) l'assenza di espressività emotiva; Renaud (1962) il ritiro e il controllo dei sentimenti; Ruggeri (1976) la negazione delle connotazioni affettive; Foresti (1983) l'anestesia emozionale e la pseudo stabilità della vita affettiva; Pasquinucci (1972) il soffocamento della sfera affettivo emotiva e l'ipertrofia della dimensione volitiva.
(Nota B) La disfunzione ormonale caratteristica dell'amenorrea ipotalamica funzionale è rappresentata da un deficit della secrezione pulsatile del Gonadotropin Relasing Hormon (GRH). Questo ormone, sintetizzato dai nuclei ipotalamici e da aree telencefaliche sovrastanti, indica come nella scala evolutiva, il SNC abbia acquistato sempre maggiore importanza nel controllo della riproduzione. "Il GRH - dicono Di Fabio e Biondi (1994) - potrebbe rappresentare il (( ponte(( psicosomatico tra mente e corpo, nelle amenorree di questo tipo". D'altra parte l'impatto di fattori stressanti sul ciclo mestruale e sulla fertilità è da tempo ben noto: dai primi studi sull'amenorrea di guerra (Waitacre e Barrera, 1944) o da internamento (Sydenham, 1946; Bass, 1947) ai numerosi studi clinici su stress di varia natura (De Senarcles e Fisher, 1983; Facchinetti et al., 1992) e gli studi sperimentali sul ruolo dello stress nella regolazione dell'asse riproduttivo (Di Fabio e Biondi, 1994; Rivier et al., 1986).
(Nota C) Con il termine di amenorrea secondaria si definisce la sospensione del flusso mestruale per un periodo di almeno 3 mesi (o di 6 mesi quando il ciclo è irregolare); si parla invece di amenorrea primaria quando entro i 17 anni non si è ancora verificata la comparsa del ciclo. Abbiamo preferito usare il termine "amenorrea secondaria", piuttosto che quello di "amenorrea psicogena" o di "amenorrea funzionale", perché - d'accordo con Di Fabio e Biondi (1994) - ci sembra poco corretto proporre una divisione rigida tra disturbi "organici" e disturbi "funzionali": come se nei primi non partecipassero esperienze psicologiche o nei secondi non fossero presenti alterazioni dell'equilibrio omeostatico.
(Nota D) Gli autori che, nel corso del tempo, hanno evidenziato questo problema hanno descritto: la Deutsch (1945) il ruolo dell'Edipo e della eccessiva aggressività nei confronti della figura materna; Looftus (1962) una identificazione solo "esteriore" con la madre; Scardino (1976) "un conflitto con l'ambiente e in particolare con la madre" che costituirebbe "il cardine dell'amenorrea secondaria"; Bonnet (1994) "un fantasma omosessuale molto particolare: un attaccamento appassionato della figlia per la madre".
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