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A e P --> HOME PAGE --> N° 3 - Settembre 2001




Anno I - N° 3 - Settembre 2001

Lavori originali




Funzioni genitoriali e costruzione del setting in adolescenza

Maria Grazia Fusacchia


Premessa
L'immagine del "confezionare insieme un vestito su misura" mi è sembrata particolarmente appropriata per designare l'ispirazione che orienta l'attuale riflessione attorno alla specificità della tecnica nel trattamento psicoterapeutico psicoanalitico degli adolescenti.
In un precedente lavoro (Carau B. e coll., 1996), abbiamo suggerito la nozione di flessibilità per designare un simile approccio, incline all'adozione di una tecnica che sia quanto più possibile aderente alla situazione terapeutica e che sia radicata nel riconoscimento dell'ambiguità psichica di questa fase dello sviluppo, quando l'adolescente, né bambino né adulto, vive in uno stato di continua fluttuazione tra livelli esperienziali multipli e difficilmente integrabili tra loro, alla ricerca di un'identità personale e sessuale messa a dura prova dal processo puberale.
In questo scritto vorrei soffermarmi su alcuni aspetti della specificità tecnica nel trattamento degli adolescenti, ed in particolare degli adolescenti borderline o psicotici, per i quali si pone la questione della trattabilità o, quanto meno, secondo alcuni Autori, della praticabilità di un approccio classico in uno studio privato, non istituzionalizzato. E sebbene sia convinta dell'efficace apporto di interventi paralleli ed integrati, quali la psicoterapia della coppia genitoriale o la partecipazione del ragazzo ad un gruppo-supporto all'interno di un'istituzione, tuttavia le riflessioni che propongo restano circoscritte alla stanza d'analisi, al laboratorio in cui con pazienza si prepara il "filtro della strega".
Mi pare opportuno precisare che la rinuncia ad adottare un modello ideale precostituito non deve essere intesa come l'abbandono o l'alterazione del concetto di setting e delle sue funzioni, dal momento che "il setting non ammette ambiguità" (Bleger, 1966), essendo il dispositivo essenziale per la costituzione e per lo svolgimento del processo psicoanalitico, come pure della psicoterapia psicoanalitica.
Il concetto di "setting" deriva dalla situazione analitica ed al contempo lo struttura, vale a dire avvia e mantiene la sua processualità, quale dispositivo unitario e globale. I singoli elementi, presi individualmente, significano poco o nulla, perché il setting non rappresenta la sommatoria dei singoli elementi, è qualcosa di altro e di più. La variazione di un singolo elemento induce un cambiamento della relazione, con tutte le implicazioni a livello transferale/controtransferale e del processo analitico.
Un ulteriore aspetto di particolare rilevanza, per dirla con le parole di A. Green (1990), consiste nel fatto che "il setting è prima di tutto il luogo del transfert. La riflessione su queste due entità è indissociabile". E' nello spazio terapeutico, nel setting, che acquistano senso le deviazioni, le alterazioni o gli "aggiustamenti" che, di volta in volta, ci consentono di sperimentare, condividere e promuovere l'avvio o il ripristino dei processi di elaborazione degli elementi, appartenenti ad aree indecidibili ed inconsce.
Il setting rimanda al transfert, ma il transfert ripiega sul setting, in una circolarità ed in una polisemia di significati che attengono alla relazione con gli oggetti edipici, con gli oggetti originari, come pure alla relazione con lo psicoterapeuta come oggetto interno ed esterno.
Sulla scia delle ipotesi ricavate dall'esperienza teorico-clinica, è presumibile che l'adolescente borderline o psicotico nel suo percorso evolutivo non abbia potuto fruire o, lo abbia potuto fare solo parzialmente ed in maniera precaria, delle funzioni genitoriali strutturanti l'organizzazione psichica. Dunque non ci possiamo sottrarre alla necessità di mettere in gioco il nostro funzionamento psichico, attraversando insieme quelle aree paludose e magmatiche, che i cambiamenti puberali hanno reso per l'adolescente ancor più impraticabili.
In tal senso le considerazioni attorno al trattamento psicoterapeutico psicoanalitico con gli adolescenti borderline o psicotici inducono a procedere tenendo conto dell'articolazione di due tipi di condizioni/precondizioni della simbolizzazione: l'Edipo e le interazioni precoci, sui quali s'incardinano le funzioni del setting e attraverso le quali si costruisce la relazione terapeutica.
Se, come afferma Roussillon (1995), l'organizzazione edipica si configura come la struttura dell'intelligibilità, come il criterio per pensare l'assenza e la differenza, per pensare il gioco delle identificazioni coniugato con la differenza dei sessi e delle generazioni, il setting è lo scenario che consente di metterle in scena, offrendo un contesto utile a rappresentare la conflittualità della psiche. Là dove le cure materne, la loro qualità, costituiscono quell'esperienza primordiale da cui deriva la possibilità o meno di accedere ad una dimensione soggettiva, ad una dimensione "transizionale", capace di dare senso, di dare valore all'esistenza umana.
Sono dell'avviso che, nell'esperienza clinica, entrambe queste dimensioni si articolino e si coniughino costantemente con i concetti di setting e di transfert.
Nel trattamento con gli adolescenti borderline o psicotici tali stratificazioni di livelli psichici risultano così indifferenziate e confuse da richiedere, appunto, un notevole sforzo da parte del terapeuta, che non può non tener conto della realtà esperienziale del ragazzo, del ruolo e della costellazione dei fantasmi e delle collusioni con le figure genitoriali e di come tutto ciò graviti attorno all'andamento del processo terapeutico.
Tali considerazioni scaturiscono dalle riflessioni suscitatemi dal lavoro clinico con un adolescente che con l'ingresso nella pubertà ha sofferto di un breakdown evolutivo. In questo trattamento ho potuto constatare un parallelo andamento tra il processo di costruzione e di consolidamento del setting e l'incipiente prendere forma dello uno spazio mentale dell'adolescente.

Avvio del trattamento e costruzione del setting
Andrea è un adolescente di 17 anni, in trattamento psicoterapeutico trisettimanale vis à vis da quattro anni. I cambiamenti puberali hanno implicato in lui un accrescimento della statura di circa 20 cm. ed un altrettanto significativo aumento ponderale. E' unicogenito di una coppia piuttosto giovane, il cui funzionamento è fortemente caratterizzato da modalità simbiotico-fusionali, che coinvolgono il ragazzo anche nella realtà attuale in relazioni affettive confusive.
All'epoca della consultazione Andrea presentava un imponente ritiro narcisistico ed un disinvestimento delle relazioni, viveva nel suo mondo popolato da oggetti che lo "rendevano nervoso" e impossibile da comunicare se non attraverso forme bizzarre e manovre autistiche. Le sue funzioni cognitive permanevano sufficientemente integre (era capace di rispondere in maniera adeguata alle domande che gli venivano rivolte), tuttavia non ne poteva fare alcun uso e aveva abbandonato la scuola, nonostante l'anno precedente avesse seguito con discreti risultati. Esistevano pregresse difficoltà, quali ad esempio un'enuresi primaria. Gli specialisti consultati si erano limitati a prescrivere alcune norme comportamentali. Persistevano intense angosce notturne che avevano afflitto Andrea sin da bambino, e che venivano placate accogliendolo nel letto dei genitori.
In seduta Andrea tendeva ad utilizzare manovre stereotipate per scaricare la tensione interna. Esse consistevano nella manipolazione del naso, delle mascelle e nella contrazione delle mani. Mi sembravano orientate dal bisogno di percepire l'esistenza di parti dure al di sotto dei tessuti morbidi e veicolavano la ricerca dei confini e della consistenza del proprio Sé, per quanto ancorata ad un funzionamento psico-sensoriale (E. Gaddini, 1974). Al contempo, avevo l'impressione che rappresentassero fantasie masturbatorie relative al corpo sessuato, "fantasie nel corpo".
I comportamenti di chiusura e di ritiro narcisistico, di annullamento dell'altro, mi evocavano a livello controtransferale un sentimento di non esistenza, di vuoto psichico. Tali stati si alternavano ad agiti nei confronti dell'oggetto, a tentativi di assalire l'altro, annunciati da uno sguardo fugace ed intenso, che veicolava un sentimento di vitalità, altrimenti celato, connesso ad una pulsionalità che non poteva essere imbrigliata. Tutto ciò sembrava essere innescato dall'eccitazione proveniente dal riconoscimento percettivo della differenza sessuale, foriera di intense angosce. Con questi comportamenti, che a tutta prima potevano essere intesi come una forma di transfert erotico, il ragazzo attualizzava piuttosto il vissuto di una relazione primaria erotizzata, dove il contatto con l'oggetto aveva la funzione di annullare la separatezza e le differenze.
Accanto a ciò erano presenti spunti deliranti, i quali sovente evocavano la presenza di un terzo con cui era in relazione, ma ciò era possibile solo escludendomi. Sembrava aver bisogno di evocare un terzo, capace di eccitarlo ed al contempo minacciarlo: pensai che potesse trattarsi del tentativo di accedere ad una rappresentazione del suo corpo sessuato, che faticava ad integrare. E, contemporaneamente, che egli stesse evocando l'immagine della figura paterna, ossia che mettesse in scena le sue vicende identificatorie ed edipiche, nella versione completa, attiva e passiva, che l'intensità del legame fusionale con l'oggetto materno aveva ostruito ed impedito.
Queste modalità comunicative, in quel momento, costituivano l'unica forma per esprimere le vicissitudini che transitavano la sua mente, sprovvista di quelle funzioni e di quei meccanismi propri a contenere ed a gestire l'intensa portata delle pulsioni, o per essere più precisi, del marasma pulsionale che lo assaliva e dell'angoscia ad esso associata. Più tardi presero piede altre modalità comunicative.
In questo senso, il setting ha rivestito il ruolo di "holding", di barriera protettiva, evocando quelle funzioni delle cure materne che contengono il Vero Sé potenziale, tenendolo al riparo da un eccessivo afflusso di eccitazione, il cui effetto è la frammentazione, l'andare in pezzi. Nel contempo, con il divieto ad agire gli impulsi sull'oggetto, il setting si è richiamato ad una funzione paterna, che istituzionalizza la triangolarità edipica e protegge dal rischio di precipitare nel magma incestuoso.
Andrea iniziò ad interrompere le sedute quando avvertiva l'incontenibilità e l'inarginabilità dei suoi impulsi, che io avevo rinviato ad elementi aggressivi che non sembravano essere mai stati arginati. Ciò permise l'avvio di una progressiva introiezione dei confini e dei limiti necessari ad assicurare la tutela e la salvaguardia del processo terapeutico. Confini e limiti che venivano a definire anche il suo mondo interno, i suoi moti pulsionali, e la differenza tra sé e l'altro. Ciò permetteva l'apertura di uno spiraglio di comprensione delle sue esperienze primarie. Dal momento che non poteva utilizzare il setting come ambiente facilitante, Andrea sembrava tentare di preservarlo intatto, da qualche parte dentro di sé, proprio attraverso il non-uso.
L'ipotesi che si è venuta, poco a poco, configurando nella mia mente è che nella relazione transferale, con l'interruzione delle sedute, il ragazzo tentasse di porsi al riparo dal rischio di precipitare in una seduzione materna, mortifera e castrante, rievocata dalla proiezione sul setting delle proprie spinte fusionali e disorganizzanti. Contemporaneamente egli metteva in scena, in forma attiva, elementi connessi al traumatico sentimento di vuoto e di mancanza dell'oggetto.
Se, come affermano alcuni Autori, l'originario materno va messo in conto "alle condizioni di possibilità interna della simbolizzazione e della soggettivazione"; con i suoi agiti il ragazzo ripeteva nel transfert la mancata fruizione delle funzioni di rêverie e di holding, carenza che aveva ostruito ed occluso l'accesso ad una dimensione di pensabilità e di rappresentabilità delle violente sensazioni e dei vissuti somatici. Questi lo assalivano, implodevano dentro di lui ed egli tentava di liberarsene, evacuandoli attraverso gli agiti.
Il progressivo riconoscimento degli elementi pulsionali ed affettivi, accolti nella mente della terapeuta, ha costituito la proposta di un limite, di una barriera con funzione "paraeccitatoria", che offriva quelle funzioni originarie ed "originanti" di cui è depositaria la coppia genitoriale.
Queste funzioni materne mi sembrano ben descritte da Roussillon che propone la metafora freudiana del "biologico" materno inerente l'intervento dell'oggetto esterno che "cambia l'acqua del protista per proteggerlo dall'autodistruzione a causa dei propri rifiuti. Qui siamo di fronte ad una metafora delle cure materne e della loro funzione di appoggio della "purificazione dell'Io". Il cambiamento dell'acqua, la purificazione dell'Io suppone che una esteriorità si costituisca e "sopravviva" ai resti-rifiuti; se essa sopravvive al "resto-rifiuto" può allora essere investita e scoperta come esteriorità...... la sua funzione potrà essere introiettata e lo psichismo potrà allora disporre, al proprio interno, di una parte capace di sopravvivere e di trattare i resti rifiuti dell'altro....Così si metabolizza la pulsione di morte attraverso un gioco di esternalizzazione, di purificazione - grazie ad un transito esterno attraverso l'oggetto - poi di reinternalizzazione secondaria." (R. Roussillon, 1995, p. 142).
Ai primordi dell'esperienza l'impulso sessuale è appoggiato al bisogno di sopravvivenza e favorito dall'intervento dell'oggetto esterno. La tolleranza della sua intensa pressione verso il soddisfacimento immediato e la capacità di differirlo, sono stati resi possibili anche attraverso l'elaborazione dei vissuti controtransferali. La mia tensione interna, connessa in parte alla necessità di preservare il setting ma anche alla elaborazione di una fantasia relativa ad un senso di minaccia, di un incombente pericolo, riproponeva ciò che egli stesso sperimentava. Tali vissuti, difficilmente rappresentabili o così sfuocati da porsi ai limiti dell'immaginabile, "sembrano riprodurre, con l'espressione di movimenti interiori, certe traversie dei moti pulsionali, provocando così sensazioni di involuzione e di evoluzione. Un lavoro intenso porta queste sensazioni alla coscienza dell'analista, prima che egli possa trasformarle in sequenze di parole, grazie alla verbalizzazione che servirà a farne partecipe il paziente al momento giusto......... Il disturbo affettivo si trasforma nella soddisfazione di pervenire ad una spiegazione coerente, che gioca il ruolo di una costruzione teorica, nel senso che Freud dà a questa parola quando parla delle "teorie sessuali" dei bambini. Poco importa per il momento che questa teoria sia vera o falsa... ciò che conta è l'essere riusciti a dare forma a qualcosa che non l'aveva." (A.Green, 1990, p. 74-75)
Il setting è divenuto, quindi, lo spazio depositario delle angosce somatiche e psichiche evocate dalla relazione affettiva, uno spazio in cui ha preso forma l' "idioma personale" dell'adolescente, un idioma che solo attraversando questi stati ha potuto divenire un'esperienza condivisa.

Dalla pulsione al linguaggio
Andrea iniziò ad usare nelle sedute una lavagna su cui scriveva infinite volte il suo nome accanto a quello dei suoi genitori, ciò che designava con la parola "cruciverba". Reputai che egli esprimesse in tal modo l'intreccio emozionale che avvertiva nella relazione con loro.
Nel secondo anno di terapia fu sottoposto ad un intervento chirurgico che implicò un lungo periodo di assenza dalle sedute, un distacco dall'ambiente scolastico ed una lunga permanenza a casa per la convalescenza. L'intervento aveva interessato la zona sacro-coccigea e richiese numerose medicazioni che si protrassero per diversi mesi. Egli sembrava limitarsi a subire tali intrusioni, senza poter esprimere alcuna sofferenza. Assistetti ad una recrudescenza delle manovre stereotipate e, come elemento nuovo, notai che ora le associava a versi e rumori, a cui mi sforzavo di assegnare un senso, come per costruire un nesso tra le espressioni del ragazzo e le emozioni che avvertivo.
"St! St! St! Dottoressa St!" Oppure dopo una lunga pausa: "Mmmm Mmmm, Dottoressa Mmmmm".
"Andrea, mi stai dicendo qualcosa, capisco che è importante, mi fai sentire che c'è qualcosa dentro di te che è come un comando a cui è difficile sottrarsi."
Quando il ragazzo emetteva questi suoni, la cui qualità emotiva era dolorosa e penetrante, sollecitava in me un senso di dolore, non soltanto psichico. Cercai di mettere in parole gli affetti indicibili che mi faceva percepire, riferendoli al senso di malessere e di disagio che provava e che mi suggerivano si trovasse a sperimentare una condizione di impotenza, di "hilflosigkeit". Tradurre in parole tali stati psichici era un'impresa ardua, perché voleva dire mettermi in contatto con una qualità dell' affetto davvero lacerante, che rinviava ad una disperata richiesta di aiuto e di protezione da una terribile sensazione di intrusione e ad angosce di violazione dell'intimità psicofisica.
Altre volte questo verso assumeva una diversa tonalità, sembrava una sorta di ammiccamento, di complice assenso, di scoperta di qualcosa che, fino a quel momento, aveva dovuto restare segreto.
A poco a poco, il ragazzo prese a riferire un proprio significato ai versi che emetteva : "Sono immagini, quadri", mi disse un giorno. Con molta fatica e dopo diverse sedute aggiunse che vedeva persone tristi. Gli parlai dell'ambiente che lo circondava, dei genitori che soffrivano così come anche lui stava soffrendo.
Andrea prese a dischiudere il guscio nel quale si era isolato per ripararsi e per proteggersi dall'angoscia emergente dal sentirsi in rapporto con l'altro. Iniziò a parlare della scuola, (che aveva ripreso a frequentare)del suo motorino, degli amici che incontrava al paese. I suoi discorsi erano brevi, piuttosto confusi, segnalavano la difficoltà di concentrare la sua attenzione su di un argomento, seppur intercalato dai suoi versi.
"Il pensiero mi sfugge", mi disse.
Non solo, pensai, anche la confusione prodotta dall'affollarsi dei pensieri ostruiva la possibilità di indirizzare i suoi investimenti, bloccato com'era dal timore di perdere i suoi pensieri e le sue emozioni. Per arginare tale sensazione di perdita tornava ad isolarsi, e riemergendo mi chiedeva di essere riportato al punto dell'interruzione, per riprendere il filo del suo discorso. Poteva utilizzarmi come l'ambiente facilitante, garante del sentimento di continuità dell'esistere.
In seguito, iniziò a domandarmi al termine di ogni seduta che gliela ricapitolassi. Voleva che i frammenti di esperienza del legame che aveva sperimentato venissero riuniti insieme. Questo mi suggerì l'ipotesi che egli esprimesse il bisogno di esercitare un controllo sulla mente dell'altro, e che stesse ricercando un modello di funzionamento mentale tale da consentirgli di integrare il pensiero con gli affetti e con le emozioni, il Sé con l'oggetto, la presenza con l'assenza. In altre parole, mi chiamava a reinvestire le tracce dell'esperienza emotiva condivisa ed a tradurla in parole, conferendo ad essa un investimento più ampio, così da favorire il ripristino delle funzioni dell'Io.
Al termine di una seduta, trascorsa in silenzio, interrotto solo da sporadici versi, Andrea prese a canticchiare il motivo di una canzone di E. Ramazzotti "Un'altra te dove la trovo io...."
Alcune sedute dopo, arrivò e suonò il campanello della porta senza interruzione, come era solito fare, ma quella volta provai una sensazione di disagio, che mi spinse ad interrogarmi sulle ragioni di tale cambiamento. Riconobbi che tale sensazione traduceva l'ansia di essere intrusa al momento di entrare in relazione con l'altro. Una volta dentro la stanza, gli domandai: "Forse pensavi che non ti sentissi o che non ci fossi, ti chiedevi qualcosa come nella canzone ?"
"No, lo so che la trovo sempre." Disse, quindi emise dei versi.
"Vuoi farmi sentire qualcosa che ti è difficile esprimere".
"Lo dico? Posso pensare?" Si fermò a riflettere a lungo, massaggiandosi le nocche delle mani e toccandosi il naso e poi prese a parlare. "Ieri sera ero stanco, avevo giocato a scuola, no? a pallavolo....(pausa) ..... prima con i compagni, poi con i compagni e la professoressa, poi tutti..... insieme, (maschi e femmine) ... stavo sdraiato sul divano con i piedi su mamma, mi sentivo confuso, ero stanco ..... era tardi..... hanno detto al tg 5 no? .... (si fermò entrando in ansia, fissò lo sguardo con un'espressione di sorpresa) che un padre.... no, ero stanco, mi sentivo confuso...... era stato ammazzato e il figlio......... era scappato per vendicarsi... Niente, niente......Poi è arrivato papà, ha posato la borsa, ero confuso, ho pensato che poteva capitare qualcosa......(versi)...... di brutto ..... a mamma e a papà...." Concluse emettendo dei versi.
Lo invitai a proseguire nel suo discorso, rassicurandolo attorno al fatto che parlare o pensare non è fare. Si vergognava, provò a parlare e si bloccò, riprese poi con fatica: "niente, niente", mi chiese di aiutarlo a mettere in parole, due parole "brutte" che accompagnò con i versi, queste erano "ladro e agguato".
Gli domandai perché le considerasse brutte. Disse di non sapere cosa volesse dire "agguato". Glielo spiegai definendolo come un attacco improvviso a qualcuno che non può difendersi e intanto pensavo all'emergenza pulsionale ed alla sensazione di impotenza e di annichilimento che tante volte avevo attraversato. Però inclusi anche le mie sensazioni ed impressioni che avevano preceduto la seduta, e scelsi di porre in evidenza non solo la fantasia aggressiva diretta alla coppia genitoriale, ma anche la profonda angoscia che l'assaliva al pensiero di separarsi dai genitori, che implicava la messa in gioco della sua aggressività, e delle sue spinte libidiche.
Il pensiero di separarsi, di individuarsi, era vissuto dal ragazzo come un attacco distruttivo alla coppia, a cui poteva far seguito una ritorsione violenta. La sua sfida adolescenziale si connotava in chiave persecutoria e, soprattutto, aveva una qualità concreta, tale da ostacolare la rappresentazione. Per la qualità concreta del pensiero, l'oggetto non sembrava poter sopravvivere all'attacco. Si isolò, si distrasse, mi chiese di ripetere ciò che avevo detto, poi con molta fatica, percepibile anche dai profondi respiri che precedettero il suo discorso disse: "Ho pensato che papà dà un bacio alla dottoressa....." Mi rivolse uno sguardo ansioso e preoccupato. Emise dei versi e poi espresse fantasie sessuali di transfert che non venivano più sperimentate come una minaccia alla relazione terapeutica, perché aveva cominciato ad internalizzare il setting come spazio potenziale, spazio dell'illusione e dell'intimità, ma anche dell'individuazione tra sé e l'oggetto. "Ti vorrei dare una raffica di baci", disse e poi restò in silenzio.
Fece dei versi che anticipavano l'aver pensato qualcosa di "brutto" e da cui avrebbe voluto purificarsi, attraverso la manovra onnipotente. Riuscì a mettere in parole il suo pensiero ed affermò: "Un giorno chiudendomi l'accappatoio mi sono sentito eccitato,.......... volevo lasciarlo fuori..... (tossisce, emette dei versi) mamma era in bagno con me....no, in cucina, no in salotto... non mi trattenevo, stavo pensando ad una ragazza del palazzo di fronte".
Pur riconoscendo nel vissuto del ragazzo una polisemia di elementi transferali, edipici e preedipici, scelsi di dar voce al versante evolutivo presente nella fantasia: quello di poter rinunciare agli oggetti edipici, utilizzando il transfert come esperienza costruttiva, capace di facilitare l'accesso ad una dimensione sessuale genitale.
Nella seduta successiva riferì il suo primo sogno dall'inizio del trattamento. Entrò ridendo e appena si sedette sbottò: "Ho sognato che stavo a scherzare e ridere con una ragazza". Alla proposta di associare pensieri al sogno, Andrea aderì, non senza una serie di espressioni che lasciavano trapelare l'ansia dell'entrare in contatto con il proprio mondo, con i propri pensieri, con le emozioni. "Non sono sicuro... non so se mi sbaglio... non sono proprio sicuro che è giusto... Ho guardato una ragazza per la strada, perché mi sono distratto... perché ero stanco e non ho tenuto lo sguardo dritto davanti... ho pensato di dire ad una ragazza ferma per la strada: "Ti amo, vuoi fare l'amore con me?"

Note conclusive
L'avvio del processo di formulare pensieri che partono dallo sperimentare a livello somatico e psichico le tensioni pulsionali, sono ridisegnati dalla pubertà e riconiugati con i bisogni affettivi, è il prodotto del lavoro psichico di costruzione di uno spazio mentale compiutosi, mediante il setting, nella relazione psicoterapeutica. Questa trasformazione è, a livello intrapsichico, ciò che ha consentito al paziente di tradurre in parole le emozioni e gli affetti, prima percepiti come elementi disorganizzanti, caotici e "brutti", che evitava in maniera autarchica: "Controllandola....... pulisco la mente".
La "purificazione", la metabolizzazione dell'esperienza pulsionale ed affettiva del ragazzo si è andata organizzando attraverso la relazione terapeutica e il progressivo uso delle funzioni del setting. Queste ultime mi sono sembrate rievocare le funzioni della coppia genitoriale. Le funzioni originarie, materna e paterna, di protezione e di schermo, di contenimento e definizione del limite, proteggono l'Io ancora immaturo dall'effrazione prodotta dalle spinte interne e da quelle esterne, altrimenti nocive per quantità di eccitamento, all'avvio dei processi di costituzione del Sé. Esse assicurano la continuità dell'esperienza affettiva, dell'identità personale e di genere, e si intersecano e si intrecciano con i processi di separazione e di individuazione.
Ciascuno dei genitori gioca un ruolo specifico ed ha funzioni diverse che tuttavia non possono essere disgiunte dal funzionamento della coppia nel suo insieme.
In questo senso, il setting ha evocato il ruolo materno, assicurando l'"holding", ma contemporaneamente, con il divieto ad agire gli impulsi sull'oggetto, si è richiamato ad una funzione paterna, che istituzionalizza la triangolarità edipica e con le sue norme protegge contro il caos.
Presumo che, anche nei momenti di non uso o di interruzione, il setting abbia assicurato al ragazzo quelle funzioni genitoriali di cui non aveva potuto fruire. Gli agiti quindi attualizzavano, nella relazione di transfert, le vicissitudini e i fallimenti della relazione con le figure genitoriali. Il conseguimento della capacità di differire l'impulso sessuale e la tolleranza dell'intensa pressione verso il soddisfacimento immediato sono processi interni avviati e resi possibili dall'elaborazione della tensione interna connessa alla necessità di preservare il setting dal riproporsi delle vicissitudini di un Io fragile e allagato dall'angoscia pulsionale.
Nel riflettere sui cambiamenti psichici del ragazzo, non ho potuto fare a meno di constatare che essi si riflettevano negli assestamenti intervenuti nella costruzione e nell'andamento del setting. Quest'ultimo, dapprima costituitosi come scenario delle sensazioni e delle emozioni derivanti dal rapporto con il proprio corpo sessuato, consentiva la ripetizione dell'esperienza traumatica e dava forma all'esperienza di rottura della precaria organizzazione psichica preesistente.
Nel corso del processo terapeutico, per le sue caratteristiche di continuità e stabilità, il setting ha potuto offrirsi al ragazzo come spazio potenziale, spazio dell'illusione e dell'intimità, ma anche della distanza, dell'individuazione tra il Sé e l'oggetto. In tal senso, ho pensato di assimilare le funzioni del setting al ruolo di cui è depositaria la coppia genitoriale, che plasma e struttura l'organizzazione della mente umana.

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Riassunto
In questo lavoro l'A. avanza alcune riflessioni sul trattamento psicoterapeutico degli adolescenti borderline o psicotici, a partire dalla questione della trattabilità e della possibilità di condurre il trattamento psicoterapeutico presso uno studio privato, sebbene supportato da eventuali interventi paralleli ed integrati.
Attraverso la rivisitazione dell'esperienza clinica con un adolescente che ha sofferto di un breakdown evolutivo, l'A. rinviene nella costruzione e nel mantenimento del setting quegli elementi evocativi le funzioni genitoriali, materna e paterna, che sono alla base della costituzione della mente umana. Là dove, come nel caso dell'adolescente borderline o psicotico, tali funzioni sono state sperimentate come carenti o del tutto insufficienti, la costruzione del setting risulterà informata da tali traumatiche esperienze e potrà procedere nella misura in cui queste carenze psichiche dell'adolescente potranno essere accolte, condivise e significate all'interno della relazione transferale.

Maria Grazia Fusacchia
psicologa, psicoterapeuta, socia S.I.PS.I.A. e Allieva SPI
E mail: mg.fusacchia@tiscalinet.it





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