In questi ultimi dieci anni si è tanto scritto sull'adolescenza e gli adolescenti che stento a sfuggire all'impressione di stare ruminando stereotipi più o meno logori o indovinati. Eppure vorrei mettere in risalto l'aspetto non patologico della crisi adolescenziale riprendendo, per così dire, un'ovvietà: l'adolescenza è un momento di riorganizzazione psichica che è indotto, ben inteso in termini più o meno lunghi, da tutto ciò che l'ha preparata, cioè da tutta la sessualità infantile e dalle complesse modalità d'investimento che hanno luogo durante l'infanzia ma anche lungo il periodo di latenza.
La latenza mi sembra assolutamente fondamentale nel suo svolgimento e nella sua particolare coloritura, quanto alle modalità precise con cui l'adolescenza s'instaura.
Sebbene siamo soliti considerare a buon diritto, sulla scia di Freud e di molti altri autori, che la latenza implica un assopimento dei conflitti psichici precedenti e in particolare dei conflitti edipici, non sono certa che si dia sufficiente risalto ad un elemento importante del periodo di latenza, e cioè che sotto questo assopimento dei conflitti o insieme ad esso (come si preferisce) la latenza è un periodo di attesa e che l'adolescenza deve essere ciò che corona l'attesa insita nel periodo di latenza. Allora la pubertà, che mette fine a questa attesa e la corona, a seconda che la soddisfi o meno, può essere vissuta come organizzante oppure come disorganizzante, o può anche passare, in certo qual modo, sotto silenzio. In quest'ultimo caso non ci sarà una "crisi" adolescenziale propriamente detta, cioè una disorganizzazione specifica, vissuta come tale dal soggetto. Se questa assenza di aspetto critico va al di là delle apparenze, ciò non potrà essere che di cattivo auspicio ai fini dell'ulteriore rimaneggiamento dell'apparato psichico, e sarà un segno di cattiva qualità dell'organizzazione psichica che l'ha preceduta.
Se al contrario l'adolescenza si dichiara possono presentarsi varie eventualità, più o meno feconde. La pubertà porterà con sé in maniera brutale o progressiva una riorganizzazione accompagnata da inquietudini che riguardano l'identità e da una "scossa" delle identificazioni precedenti. L'attesa precedente sarà dunque vissuta dal soggetto come profondamente deludente (e allora egli proverà una delusione profonda rispetto alle sue fantasticherie confuse o esplicite) oppure sarà vissuta come profondamente affascinante, ciò che potrà indurlo a andare oltre le proprie possibilità.
Ciò che voglio dire, senza riprendere cose che ho già scritte come tanti altri autori, è che la questione "essere o non essere" che è quella tipica dell'adolescenza (cioè essere chi) e che ha origine dalla pubertà, precedendo spesso in modo latente il suo instaurarsi, può essere vissuta come una delusione fondamentale in termini di questo genere: ecco, la pubertà è acquisita, sono adolescente, dovrei essere diverso, altre cose potrebbero essere offerte sul piano socio-culturale, il mondo cambierà. E invece cosa accade? L'attesa, i progetti più o meno coscienti, i fantasmi che abitano il soggetto si trovano di fronte a una realtà che non comporta né la rottura né la trasformazione profonda che egli aveva immaginato.
Già questo può rappresentare una disillusione profonda che mette il soggetto in conflitto non solo con le sue identificazioni precedenti (comunque molto conflittuali in questa fase) ma anche con l'immagine ideale che egli ha di se stesso. E' a livello di questa idealizzazione, sempre presente ma più o meno importante, che a mio giudizio si gioca il destino immediato della crisi adolescenziale. A me sembra che l'adolescente si comporti non in funzione di ciò che è stato, né di ciò che è oggi, né di ciò che sono o non sono stati i genitori, né di ciò la Società gli offre o non gli offre (e spesso non gli offre), ma in funzione di ciò che egli si aspettava nell'immaginario e nell'inconscio, direi in funzione di una "nuova vita", come se egli stesso fosse diventato nuovo. Allora la collusione tra l'impoverimento di questo ideale rispetto a ciò che gli viene offerto e il persistere dell'ideale stesso, gli permetterà di rendere progressivamente relativa questa idealizzazione (ciò che sarebbe un decorso felice della crisi adolescenziale) oppure al contrario di cancellarla e questo causa ciò che tutti conosciamo, vale a dire, la morosità degli adolescenti, che è senza dubbio l'aspetto più preoccupante. La noia, il cattivo umore, l'assenza o la povertà d'investimenti, una sorta di superlatenza.
Credo che si debba prestare molta attenzione a questa delusione che risveglia e mette in moto quella depressione sottostante che serpeggia nell'apparato psichico per tutto il corso dell'esistenza. Essa non può che essere rinforzata dagli interrogativi sull'identità e dalla perdita della doppia identità sessuale. Ci vorrà un lungo tragitto prima che l'adolescente, divenuto adulto, possa riorganizzare quella bisessualità psichica che a causa della pubertà si trova ridotta . Uso intenzionalmente questo termine perché l'adolescente al momento della pubertà è costretto ad assumere un solo sesso, ad essere un uomo o una donna ma a non poter più essere qualcuno che abbia entrambe le potenzialità, fantasma che come si sa è assolutamente pregnante, fecondo e necessario per il funzionamento mentale.
A partire dalla pubertà si instaura dunque una sorta di perdita di una parte di se stessi e, allo stesso tempo, una perdita delle identificazioni precedenti nella misura in cui il conflitto edipico non può più esprimersi a livello della sessualità infantile, ma si esercita con un corpo che è in grado di realizzare i desideri edipici e quindi comporta un pericolo intenso e concretamente presente. Ritengo inutile sottolineare qui l'aspetto essenziale del lutto inevitabile che questo conflitto implica: da una parte l'eliminazione del rivale edipico, dall'altra la perdita di una certa configurazione dell'Ideale dell'Io e la rinuncia alle identificazioni arcaiche e all'omosessualità primaria che vi sono connesse.
A livello di questo sconvolgimento, la sintomatologia che l'accompagna e lo esprime può essere molto varia e non è in se stessa affatto significativa di una patologia.
Credo che ciò sia la cosa più difficile da intendere e da capire. Le manifestazioni più eclatanti non sono i segnali più preoccupanti, quanto alla potenzialità di organizzazione psichica di cui questa crisi è la premessa necessaria.
Ed eccone un esempio clinico molto grossolano: ho visto da poco (tutti ne vedono) un adolescente che da una parte mi dichiara una depressione "minima" direi banale, e dall'altra presenta nello stesso modo di vestirsi la traduzione di tutti i suoi conflitti. E' vestito in modo eterogeneo, cioè molto effemminato in certi particolari del suo abbigliamento e molto virilizzato in altri. Il suo comportamento, i suoi modi di essere e di parlare implicano anch'essi queste due modalità e per di più vi si può percepire una sfumatura decisamente infantile: è anche un bambino sperduto. E' quello che mi ha più colpito quando l'ho visto. Quanto a lui, se ne viene fuori col dire che soffre di tutto e di niente, che nessuno lo capisce mentre lui capisce tutti, che nessuno ha nulla da offrirgli anche se sarebbe semplice dargli una mano. Il suo discorso è costantemente contraddittorio, senza che egli possa trovare un qualsiasi nesso tra le sue contraddizioni, né percepirle come tali. Tutto questo poteva sembrare eclatante dal momento che, in maniera evidente, tutto ciò che egli voleva fare era rimesso in discussione. Frequentava l'ultima classe del liceo, cosa avrebbe fatto l'anno prossimo? I suoi genitori vogliono questo, lui vuole quello anzi non vuole niente. Di tanto in tanto si chiude in casa, per esempio nella sua stanza, non sopporta di essere disturbato, non parla a nessuno pur lamentandosi che lo si abbandona a se stesso, che non ci si interessa più di lui. Altre volte si dà a una sorta di vagabondaggio, a dei momenti errabondi. In termini meno psichiatrizzanti si potrebbe dire che passeggia a lungo oppure bighellona nelle strade con una certa capacità di darsi piacere, che infatti prova ma non può ammettere di provare. Ciò che in realtà cerca di ritrovare è il suo vissuto di latenza, quando si sentiva relativamente tranquillo. Questi sintomi avevano molto preoccupato i genitori, visto che andava a scuola un giorno sì e uno no, che un giorno aveva un comportamento sfottente ed esigente e un altro restava sprofondato nel letto rifiutando qualunque cosa. Eppure malgrado questi sintomi tutto in lui era molto vivo, molto caldo, per nulla spento.
Ho pensato subito che erano necessari alcune conversazioni, nel corso delle quali sarebbe stato sufficiente ascoltarlo e mostrargli che è egli stesso all'origine delle sue contraddizioni, che a loro volta sono inerenti al suo funzionamento psichico e alla situazione di adolescente nella quale si trova. A partire da queste stesse contraddizioni avrebbe capito ciò che vuole fare e sarebbe stato relativamente facile per lui rimettersi in carreggiata purché gli si desse il tempo di trovarsi. Ed è proprio ciò che si è verificato.
La nozione di tempo, che ora ho sotto la penna, merita senz'altro un breve commento. Infatti nell'adolescenza si ritrova assolutamente un momento molto arcaico dell'organizzazione psichica, cioè il bisogno di tutto, subito, adesso, altrimenti non c'è nulla. Il soggetto si trova, allo stesso tempo, di fronte a un progetto molto pregnante e idealizzato quanto alle sue stesse realizzazioni, ma anche di fronte all'incapacità di vivere il progetto come tale, e non come una realizzazione immediata. Donde i passaggi all'atto, così frequenti e così vari negli adolescenti. Forse questa dimensione del tempo (cioè quella di restaurare il progetto sia come progetto che come produzione propria) è di natura tale da restituire all'adolescente la stima di sé, da reinserirlo non tanto in una scelta identificatoria (che per ora non è in grado di fare) ma nelle potenzialità che rimangono alla scelta identificatoria. Allora egli potrà soprassedere alle immediate soddisfazioni dei suoi desideri, che sono contradittorie e più che mai irrealizzabili, e sentire invece che gli stimoli pulsionali possono essere lì per lì soddisfatti o meno, senza per questo essere spenti o cancellati. Questo è, credo, il problema fondamentale del periodo dell'adolescenza: ritrovare il tempo di attendere e del fantasticare. Sul piano economico si tratta di riacquisire una soglia tollerabile degli eccitamenti, e sul piano topico e dinamico di avere la possibilità di padroneggiarli senza distruggerli.
In altre parole, si tratta del tempo della conflittualità, addomesticata, integrata, che permette il passaggio dalla delusione alla conquista. Questa conquista potrebbe essere la folgorazione sinistra e sensuale di Cherubino, innamorato di tutte le donne, di se stesso e persino di quel Figaro che tra gli altri epiteti lo definisce finemente narcisetto; oppure la disperazione ardita e passionale di Lorenzaccio, o l'ardore accecato, accecante eppure lucido dell'eroe del Diavolo in corpo, o anche l'investimento e l'impegno impetuoso in un movimento politico, in una attività professionale febbrile (prima che ritorni serena) o infine in un vagabondaggio provvisorio, discretamente colorito di romanticismo, destinato a misurare le proprie forze, il proprio passo, la felicità e il malessere, come il vagare dell'adolescente di cui ho parlato sopra e che componeva a suo modo la sua Wanderer Fantaisie.
Si sarà notato che in tutti i casi si tratta di conquistarsi da sé mediante un oggetto, ma un oggetto mal individualizzato nella sua alterità, necessario soprattutto nella sua funzione di "trampolino" narcisistico, apparentemente lontano dalle figure edipiche (alle quali comunque si ricollega all'insaputa del soggetto) e anche dall'infanzia che apparentemente relega a distanza. Le riscoperte arriveranno più tardi, ma l'attesa eloquente o torpida della prepubertà avrà trovato il suo compimento, così come il bambino di una volta le basi narcisistiche di domani. Tutto ciò, naturalmente, quando l'instaurazione e il decorso della crisi saranno stati felici, ciò che comunque è più frequente di quanto si dica e si scriva.
Però va da sé che non si deve trascurare la situazione opposta, quella in cui la conquista non ha avuto luogo e ci troviamo di fronte al regno della delusione. Non posso né voglio, nei limiti di questo lavoro, descrivere la patologia dell'adolescente e di ciò che la precede, ma abbozzerò solo alcune situazioni cliniche piuttosto comuni e tutt'altro che esaustive.
Per far ciò ripartirò dalla latenza nella sua ultima fase. Vorrei innanzitutto ripetere che, per quanto attesa, la pubertà è sempre una sorpresa. Il bambino ne spia i segnali, li constata, non ci crede, ci vuole credere, sembra che voglia integrarli ... e si ritrova brutalmente estraneo verso ciò che era prima (a prescindere dal sesso). Che cosa farà di questa "inquietante estraneità"? Io credo che, per quanto rimossa, egli l'avrà vissuta, se non altro fugacemente, come un momento di gloria al quale segue, ora come un'onda, ora come una marea inapparente, l'angoscia. L'avvenire dipenderà dalla modalità con cui tale angoscia viene sistemata.
- In certi casi il cambiamento puberale porta con sé un diniego quasi istantaneo, una cancellazione del cambiamento, un riempimento immediato o quasi di questa rottura, ovviamente al prezzo di una scissione più o meno profonda dell'Io. E' come se nulla fosse accaduto. Si instaura allora una specie di superlatenza prolungata, un rigetto del corpo più o meno evidente o sottilmente percettibile e spesso uno iato tra l'intelletto e la sua fonte pulsionale. Il modello dell'anoressia mentale, che abbiamo descritto altrove, ne è una forma estrema, ma ce ne sono di più discreti nella loro evoluzione (tuttavia molto simili nel loro contenuto latente) e altri più conclamati (anche essi sensibilmente analoghi nella loro organizzazione profonda) in quelle forme di psicosi dell'adulto senza produzione delirante che abbiamo chiamato "psicosi fredde".
- Un'altra situazione clinica tipica è quella in cui l'alterazione puberale è al contrario fortemente proclamata e un pragmatismo sessuale senza freno né scelta mira in effetti, come nei soggetti precedentemente descritti (anche se in modo diverso), a spegnere immediatamente la novità e la sorpresa, in altre parole a mettere i conflitti in corto circuito. Sono quegli adolescenti (da me descritti altrove) che presentano una depressione a fior di pelle, accompagnata da una inibizione dell'attività intellettiva o creativa, si gettano nell'attivismo sessuale e in definitiva si trovano denudati e soli, come se si confinassero nel fondo del loro letto. Questa varietà di soppressione della crisi nel suo svolgimento, questa assunzione troppo rapida del nuovo personaggio (senza che si sia potuta instaurare la nuova persona che segna l'accesso all'età adulta) può anche preludere a una disorganizzazione psichica grave. Essa traduce in modo chiaro una incapacità dell'Io di affrontare l'angoscia e il cambiamento, e quindi l'impotenza a trovare la continuità di sé in seno alla discontinuità attuale, come pure uno spostamento dell'erotismo dal corpo all'attività di pensiero.
- Infine l'ultima situazione clinica che evocherò è quella in cui la rottura è in qualche modo consumata. Sto parlando dell'instaurarsi della schizofrenia dell'adulto nel corso dell'adolescenza. Qui il soggetto, attraverso il cambiamento puberale, trova la propria alterità. Diventa estraneo sia a se stesso che all'oggetto, tutti e due confusi in lui. Egli si "disloca", per riprendere la felice espressione di R. Angelergues, e il suo pensiero totalmente sessualizzato l'obbliga a ricostruire il mondo per ricostruire se stesso, senza arrivare a bloccare lo scatenarsi dell'angoscia che lo agita senza sosta nel suo vissuto e nel suo corpo, o al contrario lo congela crudelmente in ambedue i livelli.
In tutti questi casi, la pubertà e l'adolescenza saranno state non solo critiche ma traumatiche in quanto avranno sia pietrificato l'Io o, per lo meno, lo avranno sconvolto sufficientemente da non fargli ritrovare e utilizzare i suoi meccanismi di difesa precedenti a questa situazione nuova, così da dover ricorrere ed ancorarsi a vecchi fantasmi. Per alcuni questo trauma sarà progressivamente integrabile e il tempo sarà così recuperato, per altri resterà insuperabile e indurrà riorganizzazioni psicotiche gravi il cui futuro resta incerto, e il cui rimaneggiamento aleatorio e arduo. Per altri ancora il suicidio sarà l'unica soluzione possibile, nella misura in cui comporta disperazione insieme a un illusorio momento di gloria.
Per finire, vorrei brevemente ritornare sulla latenza, per dire quanto la sessualità latente e nascosta (al soggetto stesso) di questo periodo, quando il bambino tace a se stesso e nasconde agli altri il piacere sessuale che trova nei suoi giochi apparentemente sprovvisti di erotismo e nelle attività "ossessive" che sappiamo, sia apparentata con la cura meticolosa con cui tanti adulti psicotici nascondono il loro delirio o la fobia del proprio funzionamento mentale.
In fin dei conti, se è vero che tutto si prepara fin dalla prima infanzia, credo che al momento dell'apparente declino del complesso d'Edipo, cioè in latenza, tutto si riannodi e che al momento della pubertà e dell'adolescenza tutto si giochi nell'ambito dell'ineluttabile (passeggera nei casi felici) rottura che queste ultime rappresentano.
Tuttavia questa rottura è necessaria. Bisogna che il fiume trovi una diga, formi dei vortici, trascini via con sé ciò che lo circonda per misurare la forza del suo flusso, scavare il proprio letto e scorrere verso il mare integrando i nuovi ostacoli, le nuove figure edipiche che lo arricchiranno, in maniera forse dolorosa ma senz'altro necessaria. Se, al contrario, la diga viene aggirata o semplicemente sostituita da una divisione del corso delle acque, queste si riducono, si esauriscono sterilmente oppure si scindono e si perdono rumorosamente.
Note:
(1 )Che qui si ringrazia sentitamente.
Traduzione della dr.ssa Alessandra Porrini
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