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A e P --> HOME PAGE --> N° 3 - Settembre 2001




Anno I - N° 3 - Settembre 2001

Lavori originali




L'adolescente nella psicoterapia analititica di gruppo

Adriana Maltese e Gianluigi Monniello



Lavorando in istituzione con molti pazienti è spesso difficile poter riflettere a fondo sulle proprie intuizioni, arrivare a teorizzare o mantenere viva la ricerca, in particolare quando si conducono gruppi. Del resto la letteratura specifica sull'argomento non è ancora così ampia e sono pochi i contributi sulla teoria e la tecnica della psicoterapia analitica di gruppo con gli adolescenti (Behr, 1991, 2000; Chapelier, 1992; Evans, 1998; Privat, 1998).
Non è nostra intenzione affrontare le teorie psicoanalitiche del gruppo che negli ultimi anni si sono diversificate nelle loro ipotesi fondamentali e nei loro oggetti (Neri, 1999), né la loro eventuale estensione al lavoro di gruppo con gli adolescenti. Ci limitiamo soltanto a segnalare come alcuni temi ben noti a chi si occupa di adolescenti come "lo sviluppo del Sé" (Novelletto, 2000) "la funzione d'oggetto-sé" (Kohut, 1971, 1977; Wolf, 1988) il tema "del processo di soggettivazione" (Cahn, 1998), o quella della necessità per l'adolescente "di giungere al sicuro convincimento di disporre di un proprio apparato psichico" (Maltese e Monniello, 1996), ben si accostano ad alcuni concetti proposti dai teorici del gruppo, come ad esempio "il gruppo come oggetto-sé" (Paparo, 1981,1984,1987,1998; Neri, 1995; Pines, 1999), l'"apparato psichico gruppale" e il "lavoro psichico dell'intersoggettività" (Kaes,1998).
L'intento di questo contributo è quello di proporre la nostra esperienza con i gruppi, iniziata nel 1993, sulla base del nostro lavoro di psicoanalisti di adolescenti la nostra esperienza con i gruppi è nata e si svolge tuttora in ambito istituzionale, dove più spesso sorge l'esigenza di prendere in carico adolescenti con disturbi medio-gravi e che hanno un immediato bisogno di aiuto.
Il gruppo di adolescenti
Già in precedenza abbiamo segnalato (Monniello G. e coll.,1994) come l'attivazione di una psicoterapia di gruppo in un servizio pubblico universitario origini da tre principali motivazioni: istituzionali, terapeutiche e formative.

Motivazioni istituzionali. Il lavoro istituzionale pone quotidianamente il problema di rispondere con il poco personale di ruolo a richieste crescenti di aiuto psicologico da parte degli adolescenti e delle loro famiglie. Inoltre nel lavoro clinico con gli adolescenti è riconosciuta la necessità di soluzioni e percorsi terapeutici diversificati a seconda delle manifestazioni cliniche e dell'uso del terapeuta che l'adolescente in difficoltà può fare. Per molti degli adolescenti che incontriamo in istituzione il trattamento individuale risulta essere troppo impegnativo per la massività dei movimenti transferali che la relazione duale necessariamente attiva. D'altra parte il solo ricorso al trattamento individuale, quando si possa disporre di terapeuti formati, porta rapidamente a saturare le valenze libere degli operatori.
Il lavoro con il gruppo istituzionale, maturato negli anni, ha facilitato il passaggio da una forma di accoglimento che privilegiava l'incontro individuale con l'adolescente e parallelamente i suoi genitori, all'attuale ampliamento organizzativo che include l'Ospedale Diurno (Monniello, 2000). Dal 1997, infatti, il Servizio Adolescenza, accanto all'attività ambulatoriale, prevede la partecipazione dell'adolescente ad attività occupazionali e ricreazionali in gruppo, con coetanei ed in presenza di operatori adulti. Il Diurno è frequentato quotidianamente, per alcune ore, da adolescenti con disturbi della personalità, disturbi alimentari e a rischio di psicosi. Accanto a tale attività clinica vengono condotti due gruppi aperti e misti per otto adolescenti, con due conduttori ciascuno.
L'attività del Diurno e l'interesse per i fenomeni di gruppo rendono più naturale riconoscere che la cura può esistere in un reciproco lavoro fra operatori e pazienti, in cui si cerca di dare reciprocamente senso e possibilità di rappresentazione ai rispettivi mondi inconsci e/o preconsci, favorendo l'apertura ad ideali comuni più condivisibili e la nascita negli adolescenti di processi identificatori non distruttivi. Il miglioramento del funzionamento del singolo adolescente, che rimane l'obiettivo ultimo di ogni psicoterapia, è strettamente legato alla costituzione e al funzionamento del gruppo istituzionale nel suo insieme.
Il nostro lavoro nel quotidiano istituzionale ci sembra, dunque, il risultato di una disposizione ad essere e a funzionare in gruppo, disposizione che oggi leggiamo quale frutto di un allenamento continuo, acquisito nel tempo, attraverso il lavoro con il gruppo istituzionale. Esso ha implicato la riflessione e l'impegno di ognuno a dover riconoscere la necessità degli apporti di ciascuno dei curanti non solo al percorso terapeutico che riguarda l'adolescente, ma anche al percorso identitario cui ognuno di noi va incontro nella propria pratica professionale.
Le discussioni cliniche, come i continui scambi informali tra i vari operatori che hanno in carico l'adolescente, costituiscono quindi delle preziose occasioni di verifica del ruolo e della funzione che ognuno di noi occupa nel gioco di proiezioni- identificazioni che si dispiegano da parte dell'adolescente nella cornice istituzionale, cornice che diventa così lo scenario privilegiato per la messa in gioco dei fantasmi dell'adolescente (Maltese e Monniello, 1997). Siffatte occasioni di scambio sono inoltre una continua sollecitazione alla verifica della personale posizione di ognuno di noi rispetto alla istituzione stessa di appartenenza, del ruolo assunto rispetto a questa e della nostra stessa identità terapeutica.
L'apporto di ogni singolo curante è oggetto di riflessione per tutti. Tale allenamento alla dimensione gruppale ci ha aiutato a riconoscere che l'esperienza di ognuno è usufruibile per somiglianza o per contrasto da ciascun altro e che per ogni individuo l'altro rappresenta parti di sé scisse e proiettate. Ascoltare e osservare gli altri da spettatore rende l'esperienza emotivamente meno carica e pertanto più facilmente introiettabile.
Infatti è un vantaggio per ogni singolo curante acquisire una maggiore capacità di decentrarsi, di mettersi al servizio del lavoro associativo del paziente e del gruppo istituzionale di riferimento. Il lavoro nel gruppo istituzionale ci ha fatto riconoscere come i diversi pazienti scelgono alcuni curanti quali oggetti di proiezione elettivi e che quindi un lavoro di legame e di integrazione di tali proiezioni non possono che avvenire attraverso il contributo di tutti.

Motivazioni terapeutiche. La tendenza al raggruppamento e l'attrazione per il gruppo diventano bisogni particolarmente sentiti in adolescenza. Lo stare con i coetanei apre alla socialità ma soprattutto facilita, incoraggia nel corso del processo di distanziamento dalle figure genitoriali. L'adesione al gruppo sostiene il senso di perdita che il lavoro di distacco dall'oggetto primario ed edipico implica. Pertanto il riferimento al gruppo dei pari da parte dell'adolescente si evolve di pari passo a questo lavoro di distacco ed alla sua conseguente elaborazione (Bruni, 2000). Allora mentre il gruppo per il primo adolescente ha una funzione prevalentemente difensiva dall'adulto, in seguito diventa un canale privilegiato di accesso alla vita sociale nella misura in cui l'adolescente procede nel suo processo di soggettivazione (Cahn, 1998), che comporta il potersi pensare nell'alterità e il confrontarsi con il mondo esterno. All'adolescente il gruppo offre appoggio narcisistico e apporti identificatori. Il gruppo può essere definito come campo, luogo di rappresentazioni e affetti, opportunità per simbolizzare di fronte alla frequente condizione di perdita di pensiero simbolico, di perdita di confine fra interno ed esterno nell'adolescente.
Il gruppo è utile perché avvia processi di individuazione in modo transversale prima che transgenerazionale e permette così all'adolescente di trovare la giusta distanza di fronte all'adulto ed ai problemi identificatori che questi induce.
Il gruppo offre agli adolescenti paesaggi diversificati e propone il linguaggio dell'effettività, della presenza inoppugnabile (Neri, 1995), condizione quest'ultima che, per quanto riguarda i nostri adolescenti, viene a realizzarsi soltanto nei gruppi terapeutici che prevedono la presenza di uno o più conduttori.
Pertanto il gruppo può essere una cerniera che apre a trasformazioni ma che può anche intensificare condotte patologiche. L'incontro con il gruppo, incontro di più adolescenti impegnati nella definizione della loro identità, delinea un dispositivo che può però ridurre le certezze e aumentare le incertezze nel rapporto con vari altri. L'adolescente può essere allora confrontato con un'esperienza con potenzialità psicotizzanti (percepire eccessivamente la presenza dell'altro in sé). Il vuoto di pensiero, la cancellazione degli affetti, il panico profondo legato alla disorganizzazione delle identificazioni possono avere allora forti ripercussioni in adolescenti particolarmente fragili sul piano narcisistico.
Tutto ciò va attentamente considerato quando si affronta l'impegno di costituire un gruppo terapeutico, finalizzato al riconoscimento del mondo interno e alla soluzione del disagio psichico. I casi di adolescenti che noi incontriamo presentano un ostacolo più o meno grave al processo di soggettivazione e quindi non possono accedere al gruppo dei pari o possono farne solo un uso in termini di adesione incondizionata o di mantenimento dell'onnipotenza infantile. Con questi adolescenti è possibile allora attraverso la proposta del gruppo terapeutico offrire l'opportunità di uno scambio con i coetanei che possa permettere loro, invece, un rifornimento narcisistico sulla base del confronto con i pari, in presenza del terapeuta, in modo che il gruppo possa rappresentare una stazione di rifornimento.

I vantaggi terapeutici del gruppo per gli adolescenti possono essere così sintetizzati:
- lo spostamento dei conflitti dai genitori agli altri membri del gruppo, incluso il conduttore;
- l'elaborazione delle relazioni d'oggetto omo ed eterosessuali al riparo dal contatto troppo diretto con gli oggetti genitoriali, quando questi rinviano l'adolescente a problematiche edipiche troppo intense; in questi casi può essere una scelta opzionale facilitante e preparatoria per un successivo ingaggio per un lavoro individuale;
- conseguentemente, l'identificazione transitoria con gli altri membri del gruppo, favorisce tali rimaneggiamenti, contenendo i rischi di passaggio all'atto, meglio di quanto può accadere nella situazione duale;
- il gruppo consente una migliore mobilitazione per il rimaneggiamento degli ideali quando la perdita delle idealizzazioni infantili è troppo traumatica. La funzione di sostegno narcisistico del gruppo favorisce il rimaneggiamento dell'Ideale dell'Io con la messa in comune dell'Io ideale attraverso le identificazioni proiettive;
- il gruppo funge da difesa temporanea al confrontarsi con la scena primaria ed all'esigenza di collocarsi nel tempo; perché sostiene fantasmi di partenogenesi e di autogenerazione;
- in quanto spazio-contenitore che sostiene l'illusione e l'onnipotenza, sul modello della relazione madre-bambino ma al riparo delle angosce di dipendenza e di passività che ingenera il rapporto con l'adulto, il gruppo è più atto a facilitare uno spazio del pensiero, come ad esempio nell'inibizione e nel passaggio all'atto;
- l'esperienza di gruppo proprio perché permette una partecipazione più estesa alla vita e alle esperienze emotive di altre persone può rappresentare un addestramento all'empatia e quindi aumentare le capacità empatiche sia nell'adolescente nei confronti dei suoi pari sia nel conduttore verso l'adolescente.
Infine va sottolineato che il gruppo terapeutico lavora per integrare due culture, quella indigena dei pari e quella terapeutica di gruppo.

Motivazioni formative. Il lavoro con i gruppi costituisce una occasione formativa essenziale per chi lavora con gli adolescenti in quanto è occasione di verifica e di risignificazione della propria identità terapeutica e della propria motivazione al lavoro con gli adolescenti. Del resto, come scrive Jeammet (2001): "Affinché l'avventura terapeutica con l'adolescente sia possibile, occorre qualche cosa di simile ad una credenza condivisa sulla forza del percorso analitico, cioè in ultima analisi sull'investimento comune del lavoro psichico e sul potere di trasformazione che gli è attribuito".
Un primo motivo per cui l'esperienza con il gruppo richiede dei rimaneggiamenti, anche di fronte ad una acquisita identità di terapeuta individuale di adolescenti, non è data tanto dalla qualità dei vissuti controtranferali quanto dalla loro intensità. In tal senso l'esperienza con il gruppo è trasformativa per il terapeuta in quanto lo addestra a sostenere e gestire dei livelli di angoscia e di solitudine di particolare portata causa dell'inevitabile sommarsi delle proiezioni da parte dei componenti del gruppo di cui diviene il bersaglio. Non ci sembra che si tratti quindi di confrontarsi con esperienze controtransferali di tipo diverso rispetto al lavoro individuale: anche nel gruppo il terapeuta è collocato nella sua posizione istituzionale di adulto, spesso onnipotente, misterioso, rappresentante dell'autorità, e pertanto è reso bersaglio della diffidenza e dell'ostilità dell'adolescente anche quando egli è amichevole e accogliente. Si è insomma più fortemente esposti a vissuti controtransferali che in primo luogo rimettono in gioco il proprio assetto narcisistico in quanto si viene sottoposti ad un confronto più intenso con le proprie valenze adolescenziali e con le soluzioni che il terapeuta fino a quel momento ha trovato. In ultima analisi le proprie valenze adolescenziali sono più fortemente rimesse in gioco e confrontate con le soluzioni che il terapeuta si è date. Ad esempio, spesso il terapeuta di gruppo deve confrontarsi con gli "happening" incessanti che si producono alla periferia del gruppo o fuori di questo. Richieste varie, domande personali, portare oggetti, animali, o amici accade anche nella terapia individuale, ma nella terapia di gruppo diventano talora nodi difficili da gestire. Ecco una situazione verificatasi all'inizio della nostra esperienza con il gruppo, dove ci siamo trovati a rispondere con un'enfasi inabituale di fronte ad un tipico agìto di adolescenti.

In un gruppo di medio adolescenti funzionante già da diversi mesi era stata inserita da qualche settimana Daria, una ragazza latino americana adottata da una coppia italiana di media età. Daria al momento aveva dei seri problemi relazionali, con forte opposizione verso i genitori, la madre in particolare, come pure verso tutti gli adulti. Era stato deciso di inserirla nel gruppo a causa del suo carente insight sulla sua adozione e della sua scarsa tolleranza alla relazione a due, probabilmente legati alla sua storia di ragazza adottata. Luciano, anch'egli nel gruppo per problemi di forte opposizione, è un ragazzo con serie difficoltà a farsi valere, piuttosto mortificato nella sua funzione maschile a causa dello scarso sostegno delle sue competenze dovuto ad una pregressa inibizione intellettiva, reagisce al nuovo ingresso intensificando i suoi comportamenti da bullo e con fare da seduttore, cosa che trova il sostegno del gruppo. Un giorno, quando ci rechiamo a chiamare i ragazzi nella sala di aspetto per l'inizio della seduta, troviamo i due perduti e dimentichi in un bacio appassionato sotto gli occhi conniventi degli altri componenti del gruppo. Per la prima volta abbiamo l'impatto con un simile agito di gruppo e con i relativi vissuti controtransferali. Preoccupati per la gestione dell'agito ci sentiamo indotti a cercare al più presto una soluzione, quindi in seduta li invitiamo a parlare dell'accaduto. I ragazzi compatti rispondono che non c'è nulla da dire perché queste sono cose naturali alla loro età. Tutti difendono l'esperienza di Daria e Luciano come se bastasse vivere o partecipare a questo fatto a produrre una magica trasformazione in adulti. C'è nel gruppo un vissuto di fusione e di onnipotenza con cui si cerca di far fuori noi conduttori: ci sentiamo infatti estranatii da un mondo e da una cultura, quelli dell'adolescenza, in quanto adulti/genitori, ormai lontani da simili esperienze, isolati nella nostra distanza generazionale. La difficoltà a quel momento di tollerare i nostri sentimenti di esclusione, in questa sorta di ribaltamento di scena primaria, dove era in gioco una pressione di intense fantasie voyeuristico/esibizionistiche, sostiene in noi conduttori un'urgenza a risolvere la questione, che produce un irrigidimento dei ruoli generazionali. Ci troviamo così a ribadire le regole del gruppo che prevedono l'astenersi da frequentazioni troppo amichevoli fuori dal setting; nei ragazzi c'è delusione e ostilità che ingenera una contrapposizione tra ragazzi e conduttori. L'assenza di Luciano nella seduta successiva ci aiuta a riflettere sulle nostre posizioni difensive e questo ci permette di sentirci meno pressati dall'urgenza di risolvere i possibili problemi inconsci sottostanti l'agito. Possiamo aspettare per trovare altre occasioni per riaffrontare l'accaduto e reinserirne l'analisi nello spazio gruppale.

Questo episodio è stato una utile opportunità per capire quanto sia importante, stando nell'hinc et nunc dello scambio con gli adolescenti, dirigere la nostra attenzione alle loro necessità e a quella del gruppo più che alle regole e alla tecnica dalle quali ci sentivamo allora particolarmente dipendenti. Una di queste, ad esempio, riguarda la regola che invita i componenti del gruppo a non incontrarsi al di fuori della seduta. Abbiamo imparato dall'esperienza ad essere elastici e a discernere caso per caso, tenuto conto che la complicità tra ragazzi, dentro e fuori dal gruppo, può essere sia un utile sostegno, una spinta al consolidamento dell'autostima, ma anche venire utilizzata dal gruppo per attaccare la funzione terapeutica del conduttore e lo scambio all'interno del gruppo.

L'interesse per il gruppo nel disagio dell'adolescenza
Ci sentiamo di parafrasare Freud (1929) a proposito di un accostamento alla dimensione e agli apporti che il gruppo può offrire in una fase di rimaneggiamento psichico che caratterizza l'adolescenza. In un precedente lavoro abbiamo segnalato la centralità delle resistenze a diventare gruppo, a costituire il gruppo. Inoltre il conduttore è chiamato a svolgere il ruolo di amministratore dinamico del setting e a rivolgere particolare attenzione a ciò che avviene ai confini del gruppo. Si tratta di tutte quelle situazioni nelle quali si verificano fatti, scambi relazionali e verbali che possono risultare estremamente significativi per la vita del gruppo.

Obiettivi per il terapeuta. Un importante obiettivo del terapeuta è quello di essere, dunque, l'amministratore del setting per promuovere gli obiettivi terapeutici del gruppo. Si tratta cioè di tener presente che c'è un percorso evolutivo da svolgere sia per il gruppo che per il singolo adolescente.
Tale ruolo del conduttore non può essere aggirato ed è proprio la trasmissione della propria dedizione per il gruppo, da parte del terapeuta, a costituire un elemento di coesione per gli adolescenti, anche attraverso l'incredulità e lo scetticismo che egli può suscitare in loro. Dedizione che è continuamente messa alla prova a cominciare dal necessario lavoro di verifica della qualità del proprio investimento sul gruppo da parte del terapeuta, nel confronto con gli adolescenti nell'incontro reale del gruppo, dove è effettivamente in gioco l'ambivalenza del terapeuta circa il desiderare o meno di dedicarsi al gruppo. D'altronde l'amministrazione di un gruppo di adolescenti non evoca quella di un'affiliazione multipla di figli già cresciuti ?
Si tratta per il terapeuta di valorizzare chiaramente, prima di tutto a se stesso, i vantaggi del fatto di partecipare ad un gruppo pur non nascondendo la necessità di affrontare nel lavoro comune le ragioni che sostengono questo progetto terapeutico.

C'è stata una vivace seduta nella quale i ragazzi, alla 6 seduta, si sono chiesti perché il loro gruppo è condotto da due "dottoresse". Si chiedono se ci sono "dottori" in altri gruppi. Ognuno più o meno evoca figure maschili che hanno avuto cura di loro a vari livelli nel Servizio. Daria dice che rimpiange Pino"così seduttore con quei suoi occhi azzurri". Angelo vorrebbe un maschio perché con loro maschi si intenderebbe meglio. Fabia rievoca eccitata quando nel Diurno è riuscita a convincere Paolo ad adottare uno stile di abbigliamento più casual.
Alla fine della seduta Fabia chiede alle conduttrici il permesso di portare dei pasticcini per festeggiare con il gruppo il suo prossimo compleanno, che sarà tra due settimane . Viene proposto al gruppo di riparlarne alla prossima seduta. Nella seduta successiva nessuno dei ragazzi fa riferimento alla questione posta. Quando la terapeuta ricorda la questione in sospeso il gruppo è compatto nel dare per scontato il permesso di festeggiare. Tutti i ragazzi insistono per avere "qualcosa di concreto" per festeggiare. Si arriva al compromesso di festeggiare negli ultimi quindici minuti della seduta successiva. I ragazzi eccitati decidono di contribuire portando ognuno qualcosa. La terapeuta ha invece l'insoddisfazione per aver mancato qualcosa, avverte di non essere stata capace di aiutare il gruppo a venire in contatto anche con i sentimenti di perdita sottostanti la voglia di festeggiare. Fabia che aveva proposto di festeggiare, è una 15enne piuttosto deprivata nel rapporto con la madre, che usa il mangiare compulsivo e una iperattività maniacale per evitare una seria tematica depressiva. Nella riunione di discussione delle sedute con i colleghi del gruppo di lavoro è possibile individuare nella poca fermezza a segnalare i vissuti sottostanti, quanto fosse in ballo nel festeggiare con "qualcosa di concreto", il bisogno di ciascuno di negare sentimenti depressivi per ciò che manca.

Il terapeuta nel gruppo è molto più sollecitato che nel lavoro individuale a riflettere su alcuni ingredienti umani della psicoterapia e sulla sua personale cultura psicoterapeutica, dato che è sottoposto ad un esame minuzioso da parte dei componenti del gruppo. Ad esempio, il conduttore, anche in quanto partecipante e componente attiva del gruppo, è sottoposto dagli adolescenti più facilmente a domande dirette e personali che spesso non possono essere fronteggiate con il ricorso all'ascolto partecipe o all'interpretazione. C'è pertanto l'esigenza di utilizzare creativamente tali domande per costruire significati utili al consolidamento ed al funzionamento del gruppo nel confrontarsi con la questione controversa se il terapeuta di un gruppo di adolescenti debba o meno rivelare qualcosa di sé.
Alcuni (Hurst e Gladieux, 1980) ritengono che sia utile per il conduttore di un gruppo di adolescenti rivelare comunque qualcosa di sé in quanto permette all'adolescente una migliore identificazione ed un maggiore insight. Altri (Evans, 1998) avvertono sul significato difensivo di simili richieste, perché spesso l'insistenza del gruppo a volere conoscere aspetti personali della storia del terapeuta è un modo per evitare di affrontare i loro attuali dilemmi. D'altra parte la tendenza del terapeuta a soddisfare le domande potrebbe celare il suo bisogno di farsi accettare come membro del gruppo.
D'altronde il terapeuta che si ponesse in una posizione di eccessiva neutralità sarebbe sentito come sconcertante e innaturale per l'adolescente sia nella relazione individuale che in quella gruppale. C'è da aggiungere che gli adolescenti che partecipano ai nostri gruppi nutrono poche aspettative nei confronti dell'adulto. Essi vengono da esperienze dove hanno ricevuto poco sostegno, che hanno alimentato vissuti di disconferma della loro identità, di solitudine di fronte ai loro dilemmi evolutivi, sono adolescenti spesso impegnati con tutte le loro energie in una battaglia di sopravvivenza e a confronto con adulti spesso alle prese con gravi problemi personali irrisolti.

Un gruppo di medio adolescenti, formato da quattro ragazze e tre ragazzi è ai primi incontri e dibatte già animatamente il problema della libertà di fare da soli senza dover sottostare più ai divieti familiari. L'argomento in discussione riguarda il controllo che i genitori vogliono ancora esercitare sulle loro vite. Daria, che è in forte contrasto con la propria madre, trascina il gruppo a parlare della sessualità come arma di separazione e di libertà. Daria ha un ragazzo con il quale vorrebbe vivere appiccicata per sentirsi al riparo dalla sua stessa ostilità verso la madre. La loro convivenza spesso sfocia in liti furibonde nelle quali arrivano a menarsi. Daria aveva dichiarato al gruppo: "Io faccio sesso con superficialità, non m'importa niente delle conseguenze, anzi vorrei proprio restare incinta per fare un dispetto a mia madre!". Il gruppo è solidale con Daria che a questo punto chiede alla conduttrice se è sposata, se è mamma e che libertà darebbe ai propri figli. L'assenza di una risposta concreta e immediata rende più incalzante la domanda di Daria a nome del gruppo. La ragazza insiste: "Adesso ci dica, lei è mamma? Ha figli o no?". L'angoscia di dipendenza dall'adulto che sottende a queste domande è palese, ma è difficile interpretarla direttamente perché il gruppo in questo momento di esaltazione, accetta solo risposte concrete. Non c'è in questa sfida anche il sottostante bisogno di sentire il coinvolgimento della conduttrice come riconoscimento alla loro aspirazione all'autonomia? Come accogliere tutto questo rispettando però i limiti generazionali? Comunque è una prima occasione per costruire un clima di fiducia da parte dei ragazzi nei confronti dell'adulto. Riconoscere da parte nostra che una eccessiva curiosità può essere un problema sia per i ragazzi che per gli adulti, significa ammettere che anche gli adulti possono mostrare di avere dei limiti e diventare eccessivamente curiosi nei confronti dei ragazzi. Pretendere di sapere tutto di loro, per gli adulti, può essere un modo di evitare i propri sentimenti al confronto con essi che stanno crescendo. Questo riconoscimento da parte dell'adulto dei propri limiti ricompone il clima verso uno scambio ed aiuta i ragazzi a sentirsi capiti nella loro esigenza di occuparsi della loro sessualità senza sentirsi violati nella loro intimità.
Daria comincia a raccontare della sua amica che è rimasta incinta, portando al gruppo quanto sia angosciata anche lei di restare incinta senza volerlo effettivamente. Il gruppo può discutere ora con ritrovata confidenza e fiducia su questioni della sessualità occupandosi anche di quanto sia utile premunirsi da gravidanze indesiderate.

Il lavoro psicoterapeutico si propone di dare senso e possibilità di rappresentazione a dimensioni interne inconsce e/o preconsce, favorendo l'apertura a progetti comuni più condivisibili e l'avvio di processi identificatori meno distruttivi. L'obiettivo è cioè quello di fornire all'adolescente una figura significativa non genitoriale - ma adulta - alla quale potersi avvicinare gradualmente e così sperimentare un riferimento identificatorio che non lo spaventi. Il luogo terapeutico diventa così il luogo sicuro dove sperimentare e sperimentarsi, senza essere esposti alle minacce e alle insidie sempre presenti nel rapporto con i genitori e con i pari. Vengono a mancare infatti gli elementi inquinanti e confusivi legati agli affetti, alla situazione ancora presente di dipendenza dai genitori, alla competitività e all'esclusione sadica che a volte si instaurano nei gruppi spontanei di adolescenti.

Obiettivi per il gruppo. L'obiettivo della terapia di gruppo è quello di aiutare ciascun membro del gruppo. I principi che il terapeuta deve perseguire possono essere così riassunti:
- sviluppare una coesione di gruppo così che i suoi membri si possano sentire al sicuro e da questa base di sicurezza possano capire e sperimentare le loro individuali differenze;
- realizzare un gruppo di lavoro che affronti di volta in volta i problemi che vengono portati dai diversi componenti. Ciò comporta il monitoraggio dell'emergere degli assunti di base. In altri momenti il compito del terapeuta è di essere attivo proponendo interpretazioni, assumendo il ruolo di guida, o anche facendo da vigile, così da regolare il traffico costituito dalle angosce del gruppo, consentendo lo smaltimento di tensioni che potrebbero bloccare il funzionamento del gruppo. Infatti una premessa al lavoro di gruppo con gli adolescenti è quella di definire costantemente i limiti per la tendenza a scaricare immediatamente le tensioni attraverso l'agire e quindi evitare di pensare.
Per scoprire la propria capacità terapeutica, il gruppo di adolescenti ha bisogno di un terapeuta adulto che sia flessibile ed adattabile rispetto ai bisogni specifici dei diversi adolescenti presenti nel gruppo oltre che attento al gruppo come un tutto. Se uno dei componenti resta in silenzio perché troppo depresso è talvolta utile sollecitarlo. Il gruppo con gli adolescenti è caratterizzato da frequenti e rapide oscillazioni fra momenti di avvicinamento al terapeuta e momenti di distanziamento. Le fasi di idealizzazione sono spesso seguite da valutazioni critiche di inutilità o da dichiarazioni di voler lasciare il gruppo.

Guido, 17 anni, ha lasciato la scuola e vive da diversi mesi chiuso in casa, rinunciando a qualsiasi contatto con i coetanei. Solo dopo diversi incontri individuali accetta di provare a partecipare alla terapia di gruppo. Sembra contento, non salta le sedute, ma resta ai margini, osserva ma interviene solo di rado. Dopo la ripresa del gruppo a seguito dell'interruzione per le vacanze di Natale, non si presenta per due sedute, quindi, al suo ritorno, resta a lungo silenzioso. Renata gli chiede che cosa sia successo. Guido finalmente dice che ritiene inutile partecipare al gruppo. Non crede che gli serva a qualcosa. Ha deciso di interrompere non per qualche ragione, ma semplicemente perché tutto è inutile. Non prova nulla, non gli importa di niente, nulla può cambiare. Il terapeuta gli ricorda le ragioni della sua partecipazione al gruppo e l'apporto da lui fornito, in una precedente seduta. In quell'occasione, dato che Serena negava qualsiasi ripercussione su di lei della rivelazione della madre sull'uso di droga da parte del padre, aveva espresso con dolorosa chiarezza l'influenza negativa che aveva avuto sulla sua crescita la tossicodipendenza del padre. Il gruppo gli conferma il suo contributo e proprio Serena gli suggerisce di provare almeno a partecipare, anche magari restando in silenzio. Il terapeuta segnala che Guido mancherebbe a tutti. Guido allora dice di essersi presentato il giorno dopo Capodanno pensando che ci fosse la seduta di gruppo e di non aver trovato nessuno. In portineria qualcuno gli aveva detto di non conoscere il nome del terapeuta e così se ne era tornato a casa. Non si era poi presentato per le due sedute successive. Quella volta era tornato perché il terapeuta aveva telefonato chiedendo notizie e ricordandogli la seduta.

Il terapeuta può essere d'aiuto mettendo in luce alcuni elementi del funzionamento degli adolescenti nel contesto del gruppo, vale a dire come si pongono in relazione con gli altri, oltre naturalmente a riflettere su ciò che dicono. Per gli adolescenti è fondamentale arrivare a capire perché si comportino in quella determinata maniera. Si tratta di analizzare i movimenti transferali tra i diversi membri del gruppo e verso il terapeuta.
Spesso risulta molto utile far presente a qualche componente come egli tenda ad interrompere, a distogliere gli altri membri da determinati argomenti e proporre qualche ipotesi a proposito. In ultima analisi nei gruppi di adolescenti, a differenza che con gli adulti, è necessario impegnarsi a non perseguire come obiettivo una posizione di centralità del conduttore. Questo li aiuta a sviluppare il potenziale di mutuo sostegno, la solidarietà fra coetanei. Tale condizione è fondamentale per incrementare il processo terapeutico, in modo che la terapia di gruppo, per l'adolescente, sia la naturale estensione della complicità tra coetanei.

Al fine di discutere con voi alcuni punti del lavoro di gruppo con gli adolescenti abbiamo pensato di proporre una seduta in dettaglio.

Si tratta della 18° seduta di un gruppo di sette medio adolescenti, tre maschi e quattro femmine. Manca solo Serena. In sala d'attesa il clima è vivace, i ragazzi parlano fra di loro, in particolare Carla, che soffre di bulimia, sta descrivendo la sua agitazione incontrollabile dovuta all'incontro con un nuovo ragazzo. Quando entrano nella stanza della terapia si dispongono nei loro soliti posti. Soltanto Federico, molto isolato e depresso che porta le protesi acustiche dall'infanzia, chiede di potersi mettere di fronte al conduttore per vederlo in faccia. Manca la coterapeuta che aveva annunciato la sua assenza la seduta precedente (i due terapeuti siedono stabilmente l'uno di fronte all'altro, intorno ad un tavolo circolare al centro del quale c'è il registratore). C'è un po' di silenzio. Quindi Carla riprende il suo discorso. Ha dunque incontrato un nuovo ragazzo. Come in altre occasioni si tratta di un militare, dal quale però non è ancora riuscita a non sganciarsi. (Solitamente Carla avvicina i ragazzi ma appena inizia a parlarci li aggredisce, accusandoli di voler "fare solo quello". Tali aggressioni sono incontenibili e non dipendono affatto, per sua stessa ammissione, dal comportamento del ragazzo). Questa volta è arrivata al terzo appuntamento senza aver ancora scatenato la sua reazione. Si sente assolutamente bloccata, non riesce a fare nulla a casa, a concentrarsi nello studio. Si sente persa e disorientata. E' visibilmente angosciata.
Subito interviene Gaetano, enuretico e con una forte conflittualità nei confronti del padre, cercando di dare consigli. Dice che è normale che sia così e che con il tempo la situazione migliorerà. Liquida rapidamente il disagio di Carla, peraltro di lunga data, dicendo che per lui è stato lo stesso. Sonia, la più piccola del gruppo,14 anni e mezzo, cerca di chiedere qualcosa di più del ragazzo a Carla, segnalando il fatto che, questa volta, sta resistendo di più. Carla sottolinea che questo ragazzo è gentile, timido ma che questo la rende ancora più angosciata. Non riesce a mettere una distanza da lui e resta paralizzata a casa in attesa di un messaggio sul telefonino. Inoltre a casa i due genitori, nonostante svolgano regolari colloqui di coppia, si sono, come al solito, mobilitati per sapere tutto. In particolare il padre, come suo solito, dice alla figlia: "Tanto so come va a finire. Voi ragazze siete tutte uguali!"
Gaetano interviene nuovamente dicendo che in fondo se Carla cerca dei militari non può che esporsi a situazioni che si ripropongono sempre uguali. Dovrebbe trovarsi un ragazzo vicino casa con cui le cose andrebbero senz'altro meglio.
Carla reagisce affermando che lei non è affatto sicura di volere stare con un ragazzo ma che si sente costretta, comunque, a cercarne uno.
Il conduttore interviene per ricordare ai componenti del gruppo come questo serrato dialogo fra Carla e Gaetano ha spesso monopolizzato le sedute del gruppo. Chiede quindi, nominandoli, a tutti i partecipanti che cosa ne pensano e se hanno qualcosa da dire. C'è silenzio.
Il conduttore sottolinea allora che da un lato Gaetano propone quale sua soluzione alle difficoltà emotive di Carla un rapporto affettivo con una figura più familiare, mentre quest'ultima è affannosamente alla ricerca di qualcosa di nuovo che però la spaventa. Invita quindi il gruppo a pensare e a riflettere su quali possano essere le difficoltà che sono alla base della questione che sta ponendo Carla. Del resto quest'ultima ha spesso raccontato dei pesanti apprezzamenti del padre sulla madre, su di lei e sulle donne in genere. Quanto può essere allora difficile per Carla sentirsi libera di fare le sue esperienze sentimentali al di fuori della famiglia.
A questo punto Sonia riferisce di sentirsi molto agitata per una prossima gita scolastica che dovrebbe portarla fuori casa per alcuni giorni. Per lei ogni distacco è fonte di grande angoscia. La sua tensione si è manifestata con la ricomparsa di episodi di sonnambulismo che questa volta l'hanno messa in pericolo. Si è svegliata infatti con una sciarpa stretta intorno al collo che non sa proprio come possa essere finita nel suo letto.
Di nuovo Gaetano interviene dicendo subito che forse aveva avuto freddo e minimizzando così anche l'angoscia espressa da Sonia.
Federico interviene dicendo di aver, con insistenza, chiesto ai compagni di poter andare con loro al cinema. Anche questa volta non lo hanno avvertito. Si è sentito comunque meglio per la sua determinazione. Ha preso coraggio da quanto era stato detto la seduta precedente a proposito dei suoi nuovi apparecchi acustici che erano stati apprezzati da tutti. Ringrazia in particolare il conduttore.
Guido, fino ad allora in silenzio, chiede la parola per dire di sentirsi più sicuro negli ultimi tempi. E' uscito di casa ed ha preso contatti con alcuni ragazzi. Si sente meno spaventato da ciò che lo circonda. Afferma che il fatto di ascoltare quello che gli altri dicono nelle sedute di gruppo lo sta molto aiutando. Si lamenta, quindi, del fatto che le sedute durino troppo poco, anche perché ha l'impressione che le sedute si concludono proprio sul più bello. A questa affermazione si associano tutti gli altri.
Solo Renata, solitamente attiva e partecipe, reagisce con disappunto. Afferma che non capisce proprio perché si debba stare tutti lì, seduti come dei cretini intorno ad un tavolo, con il registratore che controlla, piuttosto che stare all'aria aperta, come avviene con i suoi amici.
Gaetano cerca di contrastarla dicendole che è necessario aver un po' di intimità e di riservatezza quando si parla dei propri problemi. Carla ricorda che Renata ha spesso dichiarato di non amare la psicologia e di non capire perché si debbano raccontare i sogni.
La seduta si sta concludendo. Il conduttore sottolinea la chiarezza della protesta di Renata che va senz'altro raccolta e ripresa la volta prossima. Ricorda comunque gli obiettivi del gruppo e le sue caratteristiche, aspetti segnalati nei colloqui che hanno preceduto l'inizio del gruppo. A questo punto Gaetano chiede a che cosa serva il registratore, pur sapendo le ragioni del suo utilizzo. La seduta si chiude, l'appuntamento è per la prossima volta.

Questo materiale clinico ci sembra utile per sottolineare la continua instabilità della condizione gruppale degli adolescenti che viene di volta in volta idealizzata o rifiutata a seconda delle esigenze di rispecchiamento dei singoli. Il conduttore si trova quindi a dover ricordare gli obiettivi del gruppo, a riconoscere le esigenze di ciascuno in funzione del proprio percorso evolutivo e di quella del gruppo.

Conclusioni
In conclusione ci sembra pertinente circa la psicoterapia analitica con gli adolescenti quanto scrive Kaes (1999): "Oggi sappiamo che un certo numero di patologie e di intense sofferenze della vita psichica sono legate a gravi cedimenti nell'attività del preconscio. Queste patologie possono essere trattate in un dispositivo psicoanalitico di gruppo: il lavoro del preconscio dell'altro, di più-di-un-altro, la sua attività di figurazione e di messa in rappresentazione di parole rivolte a un altro crea le condizioni di rilancio dell'attività di simbolizzazione".
In particolare, il lavoro clinico con gli adolescenti segnala la grande forza d'attrazione che la dimensione gruppale esercita sui ragazzi. Il fatto di vedere limitata l'espressione della propria individualità, di disperdere la propria agognata identità per realizzare la coesione di gruppo sembra trovare senso nel grande sostegno che il gruppo può offrire alla propria fantasia di sviluppo maturativo. Nei gruppi terapeutici, allora l'impegno del conduttore a mantenere il gruppo e a farlo lavorare fornisce opportunità all'adolescente per utilizzare al meglio il potenziale maturativo che è insito in lui. D'altronde anche nella terapia individuale non perseguiamo l'obiettivo di far accettare all'adolescente il setting e la relazione perché egli riprenda il suo percorso di sviluppo ?

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Adriana Maltese
E-mail: malteseryan@libero.it

Gianluigi Monniello
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