Lavorando in istituzione con molti pazienti è spesso difficile poter riflettere 
a fondo sulle proprie intuizioni, arrivare a teorizzare o mantenere viva la ricerca, 
in particolare quando si conducono gruppi. Del resto la letteratura specifica 
sull'argomento non è ancora così ampia e sono pochi i contributi 
sulla teoria e la tecnica della psicoterapia analitica di gruppo con gli adolescenti 
(Behr, 1991, 2000; Chapelier, 1992; Evans, 1998; Privat, 1998).  Non è 
nostra intenzione affrontare le teorie psicoanalitiche del gruppo che negli ultimi 
anni si sono diversificate nelle loro ipotesi fondamentali e nei loro oggetti 
(Neri, 1999), né la loro eventuale estensione al lavoro di gruppo con gli 
adolescenti. Ci limitiamo soltanto a segnalare come alcuni temi ben noti a chi 
si occupa di adolescenti come "lo sviluppo del Sé" (Novelletto, 2000) "la 
funzione d'oggetto-sé" (Kohut, 1971, 1977; Wolf, 1988) il tema "del processo 
di soggettivazione" (Cahn, 1998), o quella della necessità per l'adolescente 
"di giungere al sicuro convincimento di disporre di un proprio apparato psichico" 
(Maltese e Monniello, 1996), ben si accostano ad alcuni concetti proposti dai 
teorici del gruppo, come ad esempio "il gruppo come oggetto-sé" (Paparo, 
1981,1984,1987,1998; Neri, 1995; Pines, 1999), l'"apparato psichico gruppale" 
e il "lavoro psichico dell'intersoggettività" (Kaes,1998).   L'intento 
di questo contributo è quello di proporre la nostra esperienza con i gruppi, 
iniziata nel 1993, sulla base del nostro lavoro di psicoanalisti di adolescenti 
la nostra esperienza con i gruppi è nata e si svolge tuttora in ambito 
istituzionale, dove più spesso sorge l'esigenza di prendere in carico adolescenti 
con disturbi medio-gravi e che hanno un immediato bisogno di aiuto.   Il gruppo 
di adolescenti  Già in precedenza abbiamo segnalato (Monniello G. e 
coll.,1994) come l'attivazione di una psicoterapia di gruppo in un servizio pubblico 
universitario origini da tre principali motivazioni: istituzionali, terapeutiche 
e formative.  Motivazioni istituzionali. Il lavoro istituzionale pone quotidianamente 
il problema di rispondere con il poco personale di ruolo a richieste crescenti 
di aiuto psicologico da parte degli adolescenti e delle loro famiglie. Inoltre 
nel lavoro clinico con gli adolescenti è riconosciuta la necessità 
di soluzioni e percorsi terapeutici diversificati a seconda delle manifestazioni 
cliniche e dell'uso del terapeuta che l'adolescente in difficoltà può 
fare. Per molti degli adolescenti che incontriamo in istituzione il trattamento 
individuale risulta essere troppo impegnativo per la massività dei movimenti 
transferali che la relazione duale necessariamente attiva. D'altra parte il solo 
ricorso al trattamento individuale, quando si possa disporre di terapeuti formati, 
porta rapidamente a saturare le valenze libere degli operatori.   Il lavoro 
con il gruppo istituzionale, maturato negli anni, ha facilitato il passaggio da 
una forma di accoglimento che privilegiava l'incontro individuale con l'adolescente 
e parallelamente i suoi genitori, all'attuale ampliamento organizzativo che include 
l'Ospedale Diurno (Monniello, 2000). Dal 1997, infatti, il Servizio Adolescenza, 
accanto all'attività ambulatoriale, prevede la partecipazione dell'adolescente 
ad attività occupazionali e ricreazionali in gruppo, con coetanei ed in 
presenza di operatori adulti. Il Diurno è frequentato quotidianamente, 
per alcune ore, da adolescenti con disturbi della personalità, disturbi 
alimentari e a rischio di psicosi. Accanto a tale attività clinica vengono 
condotti due gruppi aperti e misti per otto adolescenti, con due conduttori ciascuno. 
  L'attività del Diurno e l'interesse per i fenomeni di gruppo rendono 
più naturale riconoscere che la cura può esistere in un reciproco 
lavoro fra operatori e pazienti, in cui si cerca di dare reciprocamente senso 
e possibilità di rappresentazione ai rispettivi mondi inconsci e/o preconsci, 
favorendo l'apertura ad ideali comuni più condivisibili e la nascita negli 
adolescenti di processi identificatori non distruttivi. Il miglioramento del funzionamento 
del singolo adolescente, che rimane l'obiettivo ultimo di ogni psicoterapia, è 
strettamente legato alla costituzione e al funzionamento del gruppo istituzionale 
nel suo insieme.  Il nostro lavoro nel quotidiano istituzionale ci sembra, 
dunque, il risultato di una disposizione ad essere e a funzionare in gruppo, disposizione 
che oggi leggiamo quale frutto di un allenamento continuo, acquisito nel tempo, 
attraverso il lavoro con il gruppo istituzionale. Esso ha implicato la riflessione 
e l'impegno di ognuno a dover riconoscere la necessità degli apporti di 
ciascuno dei curanti non solo al percorso terapeutico che riguarda l'adolescente, 
ma anche al percorso identitario cui ognuno di noi va incontro nella propria pratica 
professionale.   Le discussioni cliniche, come i continui scambi informali 
tra i vari operatori che hanno in carico l'adolescente, costituiscono quindi delle 
preziose occasioni di verifica del ruolo e della funzione che ognuno di noi occupa 
nel gioco di proiezioni- identificazioni che si dispiegano da parte dell'adolescente 
nella cornice istituzionale, cornice che diventa così lo scenario privilegiato 
per la messa in gioco dei fantasmi dell'adolescente (Maltese e Monniello, 1997). 
Siffatte occasioni di scambio sono inoltre una continua sollecitazione alla verifica 
della personale posizione di ognuno di noi rispetto alla istituzione stessa di 
appartenenza, del ruolo assunto rispetto a questa e della nostra stessa identità 
terapeutica.  L'apporto di ogni singolo curante è oggetto di riflessione 
per tutti. Tale allenamento alla dimensione gruppale ci ha aiutato a riconoscere 
che l'esperienza di ognuno è usufruibile per somiglianza o per contrasto 
da ciascun altro e che per ogni individuo l'altro rappresenta parti di sé 
scisse e proiettate. Ascoltare e osservare gli altri da spettatore rende l'esperienza 
emotivamente meno carica e pertanto più facilmente introiettabile.   
Infatti è un vantaggio per ogni singolo curante acquisire una maggiore 
capacità di decentrarsi, di mettersi al servizio del lavoro associativo 
del paziente e del gruppo istituzionale di riferimento. Il lavoro nel gruppo istituzionale 
ci ha fatto riconoscere come i diversi pazienti scelgono alcuni curanti quali 
oggetti di proiezione elettivi e che quindi un lavoro di legame e di integrazione 
di tali proiezioni non possono che avvenire attraverso il contributo di tutti.  
Motivazioni terapeutiche. La tendenza al raggruppamento e l'attrazione per il 
gruppo diventano bisogni particolarmente sentiti in adolescenza. Lo stare con 
i coetanei apre alla socialità ma soprattutto facilita, incoraggia nel 
corso del processo di distanziamento dalle figure genitoriali. L'adesione al gruppo 
sostiene il senso di perdita che il lavoro di distacco dall'oggetto primario ed 
edipico implica. Pertanto il riferimento al gruppo dei pari da parte dell'adolescente 
si evolve di pari passo a questo lavoro di distacco ed alla sua conseguente elaborazione 
(Bruni, 2000). Allora mentre il gruppo per il primo adolescente ha una funzione 
prevalentemente difensiva dall'adulto, in seguito diventa un canale privilegiato 
di accesso alla vita sociale nella misura in cui l'adolescente procede nel suo 
processo di soggettivazione (Cahn, 1998), che comporta il potersi pensare nell'alterità 
e il confrontarsi con il mondo esterno. All'adolescente il gruppo offre appoggio 
narcisistico e apporti identificatori. Il gruppo può essere definito come 
campo, luogo di rappresentazioni e affetti, opportunità per simbolizzare 
di fronte alla frequente condizione di perdita di pensiero simbolico, di perdita 
di confine fra interno ed esterno nell'adolescente.  Il gruppo è utile 
perché avvia processi di individuazione in modo transversale prima che 
transgenerazionale e permette così all'adolescente di trovare la giusta 
distanza di fronte all'adulto ed ai problemi identificatori che questi induce. 
  Il gruppo offre agli adolescenti paesaggi diversificati e propone il linguaggio 
dell'effettività, della presenza inoppugnabile (Neri, 1995), condizione 
quest'ultima che, per quanto riguarda i nostri adolescenti, viene a realizzarsi 
soltanto nei gruppi terapeutici che prevedono la presenza di uno o più 
conduttori.  Pertanto il gruppo può essere una cerniera che apre a trasformazioni 
ma che può anche intensificare condotte patologiche. L'incontro con il 
gruppo, incontro di più adolescenti impegnati nella definizione della loro 
identità, delinea un dispositivo che può però ridurre le 
certezze e aumentare le incertezze nel rapporto con vari altri. L'adolescente 
può essere allora confrontato con un'esperienza con potenzialità 
psicotizzanti (percepire eccessivamente la presenza dell'altro in sé). 
Il vuoto di pensiero, la cancellazione degli affetti, il panico profondo legato 
alla disorganizzazione delle identificazioni possono avere allora forti ripercussioni 
in adolescenti particolarmente fragili sul piano narcisistico.  Tutto ciò 
va attentamente considerato quando si affronta l'impegno di costituire un gruppo 
terapeutico, finalizzato al riconoscimento del mondo interno e alla soluzione 
del disagio psichico. I casi di adolescenti che noi incontriamo presentano un 
ostacolo più o meno grave al processo di soggettivazione e quindi non possono 
accedere al gruppo dei pari o possono farne solo un uso in termini di adesione 
incondizionata o di mantenimento dell'onnipotenza infantile. Con questi adolescenti 
è possibile allora attraverso la proposta del gruppo terapeutico offrire 
l'opportunità di uno scambio con i coetanei che possa permettere loro, 
invece, un rifornimento narcisistico sulla base del confronto con i pari, in presenza 
del terapeuta, in modo che il gruppo possa rappresentare una stazione di rifornimento.  
I vantaggi terapeutici del gruppo per gli adolescenti possono essere così 
sintetizzati:  - lo spostamento dei conflitti dai genitori agli altri membri 
del gruppo, incluso il conduttore;  - l'elaborazione delle relazioni d'oggetto 
omo ed eterosessuali al riparo dal contatto troppo diretto con gli oggetti genitoriali, 
quando questi rinviano l'adolescente a problematiche edipiche troppo intense; 
in questi casi può essere una scelta opzionale facilitante e preparatoria 
per un successivo ingaggio per un lavoro individuale;  - conseguentemente, 
l'identificazione transitoria con gli altri membri del gruppo, favorisce tali 
rimaneggiamenti, contenendo i rischi di passaggio all'atto, meglio di quanto può 
accadere nella situazione duale;  - il gruppo consente una migliore mobilitazione 
per il rimaneggiamento degli ideali quando la perdita delle idealizzazioni infantili 
è troppo traumatica. La funzione di sostegno narcisistico del gruppo favorisce 
il rimaneggiamento dell'Ideale dell'Io con la messa in comune dell'Io ideale attraverso 
le identificazioni proiettive;  - il gruppo funge da difesa temporanea al confrontarsi 
con la scena primaria ed all'esigenza di collocarsi nel tempo; perché sostiene 
fantasmi di partenogenesi e di autogenerazione;  - in quanto spazio-contenitore 
che sostiene l'illusione e l'onnipotenza, sul modello della relazione madre-bambino 
ma al riparo delle angosce di dipendenza e di passività che ingenera il 
rapporto con l'adulto, il gruppo è più atto a facilitare uno spazio 
del pensiero, come ad esempio nell'inibizione e nel passaggio all'atto;  - 
l'esperienza di gruppo proprio perché permette una partecipazione più 
estesa alla vita e alle esperienze emotive di altre persone può rappresentare 
un addestramento all'empatia e quindi aumentare le capacità empatiche sia 
nell'adolescente nei confronti dei suoi pari sia nel conduttore verso l'adolescente. 
  Infine va sottolineato che il gruppo terapeutico lavora per integrare due 
culture, quella indigena dei pari e quella terapeutica di gruppo.   Motivazioni 
formative. Il lavoro con i gruppi costituisce una occasione formativa essenziale 
per chi lavora con gli adolescenti in quanto è occasione di verifica e 
di risignificazione della propria identità terapeutica e della propria 
motivazione al lavoro con gli adolescenti. Del resto, come scrive Jeammet (2001): 
"Affinché l'avventura terapeutica con l'adolescente sia possibile, occorre 
qualche cosa di simile ad una credenza condivisa sulla forza del percorso analitico, 
cioè in ultima analisi sull'investimento comune del lavoro psichico e sul 
potere di trasformazione che gli è attribuito".  Un primo motivo per 
cui l'esperienza con il gruppo richiede dei rimaneggiamenti, anche di fronte ad 
una acquisita identità di terapeuta individuale di adolescenti, non è 
data tanto dalla qualità dei vissuti controtranferali quanto dalla loro 
intensità. In tal senso l'esperienza con il gruppo è trasformativa 
per il terapeuta in quanto lo addestra a sostenere e gestire dei livelli di angoscia 
e di solitudine di particolare portata causa dell'inevitabile sommarsi delle proiezioni 
da parte dei componenti del gruppo di cui diviene il bersaglio. Non ci sembra 
che si tratti quindi di confrontarsi con esperienze controtransferali di tipo 
diverso rispetto al lavoro individuale: anche nel gruppo il terapeuta è 
collocato nella sua posizione istituzionale di adulto, spesso onnipotente, misterioso, 
rappresentante dell'autorità, e pertanto è reso bersaglio della 
diffidenza e dell'ostilità dell'adolescente anche quando egli è 
amichevole e accogliente. Si è insomma più fortemente esposti a 
vissuti controtransferali che in primo luogo rimettono in gioco il proprio assetto 
narcisistico in quanto si viene sottoposti ad un confronto più intenso 
con le proprie valenze adolescenziali e con le soluzioni che il terapeuta fino 
a quel momento ha trovato. In ultima analisi le proprie valenze adolescenziali 
sono più fortemente rimesse in gioco e confrontate con le soluzioni che 
il terapeuta si è date. Ad esempio, spesso il terapeuta di gruppo deve 
confrontarsi con gli "happening" incessanti che si producono alla periferia del 
gruppo o fuori di questo. Richieste varie, domande personali, portare oggetti, 
animali, o amici accade anche nella terapia individuale, ma nella terapia di gruppo 
diventano talora nodi difficili da gestire. Ecco una situazione verificatasi all'inizio 
della nostra esperienza con il gruppo, dove ci siamo trovati a rispondere con 
un'enfasi inabituale di fronte ad un tipico agìto di adolescenti.  In 
un gruppo di medio adolescenti funzionante già da diversi mesi era stata 
inserita da qualche settimana Daria, una ragazza latino americana adottata da 
una coppia italiana di media età. Daria al momento aveva dei seri problemi 
relazionali, con forte opposizione verso i genitori, la madre in particolare, 
come pure verso tutti gli adulti. Era stato deciso di inserirla nel gruppo a causa 
del suo carente insight sulla sua adozione e della sua scarsa tolleranza alla 
relazione a due, probabilmente legati alla sua storia di ragazza adottata. Luciano, 
anch'egli nel gruppo per problemi di forte opposizione, è un ragazzo con 
serie difficoltà a farsi valere, piuttosto mortificato nella sua funzione 
maschile a causa dello scarso sostegno delle sue competenze dovuto ad una pregressa 
inibizione intellettiva, reagisce al nuovo ingresso intensificando i suoi comportamenti 
da bullo e con fare da seduttore, cosa che trova il sostegno del gruppo. Un giorno, 
quando ci rechiamo a chiamare i ragazzi nella sala di aspetto per l'inizio della 
seduta, troviamo i due perduti e dimentichi in un bacio appassionato sotto gli 
occhi conniventi degli altri componenti del gruppo. Per la prima volta abbiamo 
l'impatto con un simile agito di gruppo e con i relativi vissuti controtransferali. 
Preoccupati per la gestione dell'agito ci sentiamo indotti a cercare al più 
presto una soluzione, quindi in seduta li invitiamo a parlare dell'accaduto. I 
ragazzi compatti rispondono che non c'è nulla da dire perché queste 
sono cose naturali alla loro età. Tutti difendono l'esperienza di Daria 
e Luciano come se bastasse vivere o partecipare a questo fatto a produrre una 
magica trasformazione in adulti. C'è nel gruppo un vissuto di fusione e 
di onnipotenza con cui si cerca di far fuori noi conduttori: ci sentiamo infatti 
estranatii da un mondo e da una cultura, quelli dell'adolescenza, in quanto adulti/genitori, 
ormai lontani da simili esperienze, isolati nella nostra distanza generazionale. 
La difficoltà a quel momento di tollerare i nostri sentimenti di esclusione, 
in questa sorta di ribaltamento di scena primaria, dove era in gioco una pressione 
di intense fantasie voyeuristico/esibizionistiche, sostiene in noi conduttori 
un'urgenza a risolvere la questione, che produce un irrigidimento dei ruoli generazionali. 
Ci troviamo così a ribadire le regole del gruppo che prevedono l'astenersi 
da frequentazioni troppo amichevoli fuori dal setting; nei ragazzi c'è 
delusione e ostilità che ingenera una contrapposizione tra ragazzi e conduttori. 
L'assenza di Luciano nella seduta successiva ci aiuta a riflettere sulle nostre 
posizioni difensive e questo ci permette di sentirci meno pressati dall'urgenza 
di risolvere i possibili problemi inconsci sottostanti l'agito. Possiamo aspettare 
per trovare altre occasioni per riaffrontare l'accaduto e reinserirne l'analisi 
nello spazio gruppale.   Questo episodio è stato una utile opportunità 
per capire quanto sia importante, stando nell'hinc et nunc dello scambio con gli 
adolescenti, dirigere la nostra attenzione alle loro necessità e a quella 
del gruppo più che alle regole e alla tecnica dalle quali ci sentivamo 
allora particolarmente dipendenti. Una di queste, ad esempio, riguarda la regola 
che invita i componenti del gruppo a non incontrarsi al di fuori della seduta. 
Abbiamo imparato dall'esperienza ad essere elastici e a discernere caso per caso, 
tenuto conto che la complicità tra ragazzi, dentro e fuori dal gruppo, 
può essere sia un utile sostegno, una spinta al consolidamento dell'autostima, 
ma anche venire utilizzata dal gruppo per attaccare la funzione terapeutica del 
conduttore e lo scambio all'interno del gruppo.
   L'interesse per il 
gruppo nel disagio dell'adolescenza  Ci sentiamo di parafrasare Freud (1929) 
a proposito di un accostamento alla dimensione e agli apporti che il gruppo può 
offrire in una fase di rimaneggiamento psichico che caratterizza l'adolescenza. 
In un precedente lavoro abbiamo segnalato la centralità delle resistenze 
a diventare gruppo, a costituire il gruppo. Inoltre il conduttore è chiamato 
a svolgere il ruolo di amministratore dinamico del setting e a rivolgere particolare 
attenzione a ciò che avviene ai confini del gruppo. Si tratta di tutte 
quelle situazioni nelle quali si verificano fatti, scambi relazionali e verbali 
che possono risultare estremamente significativi per la vita del gruppo.  Obiettivi 
per il terapeuta. Un importante obiettivo del terapeuta è quello di essere, 
dunque, l'amministratore del setting per promuovere gli obiettivi terapeutici 
del gruppo. Si tratta cioè di tener presente che c'è un percorso 
evolutivo da svolgere sia per il gruppo che per il singolo adolescente.  Tale 
ruolo del conduttore non può essere aggirato ed è proprio la trasmissione 
della propria dedizione per il gruppo, da parte del terapeuta, a costituire un 
elemento di coesione per gli adolescenti, anche attraverso l'incredulità 
e lo scetticismo che egli può suscitare in loro. Dedizione che è 
continuamente messa alla prova a cominciare dal necessario lavoro di verifica 
della qualità del proprio investimento sul gruppo da parte del terapeuta, 
nel confronto con gli adolescenti nell'incontro reale del gruppo, dove è 
effettivamente in gioco l'ambivalenza del terapeuta circa il desiderare o meno 
di dedicarsi al gruppo. D'altronde l'amministrazione di un gruppo di adolescenti 
non evoca quella di un'affiliazione multipla di figli già cresciuti ?  
Si tratta per il terapeuta di valorizzare chiaramente, prima di tutto a se stesso, 
i vantaggi del fatto di partecipare ad un gruppo pur non nascondendo la necessità 
di affrontare nel lavoro comune le ragioni che sostengono questo progetto terapeutico. 
  C'è stata una vivace seduta nella quale i ragazzi, alla 6 seduta, si 
sono chiesti perché il loro gruppo è condotto da due "dottoresse". 
Si chiedono se ci sono "dottori" in altri gruppi. Ognuno più o meno evoca 
figure maschili che hanno avuto cura di loro a vari livelli nel Servizio. Daria 
dice che rimpiange Pino"così seduttore con quei suoi occhi azzurri". Angelo 
vorrebbe un maschio perché con loro maschi si intenderebbe meglio. Fabia 
rievoca eccitata quando nel Diurno è riuscita a convincere Paolo ad adottare 
uno stile di abbigliamento più casual.   Alla fine della seduta Fabia 
chiede alle conduttrici il permesso di portare dei pasticcini per festeggiare 
con il gruppo il suo prossimo compleanno, che sarà tra due settimane . 
Viene proposto al gruppo di riparlarne alla prossima seduta. Nella seduta successiva 
nessuno dei ragazzi fa riferimento alla questione posta. Quando la terapeuta ricorda 
la questione in sospeso il gruppo è compatto nel dare per scontato il permesso 
di festeggiare. Tutti i ragazzi insistono per avere "qualcosa di concreto" per 
festeggiare. Si arriva al compromesso di festeggiare negli ultimi quindici minuti 
della seduta successiva. I ragazzi eccitati decidono di contribuire portando ognuno 
qualcosa. La terapeuta ha invece l'insoddisfazione per aver mancato qualcosa, 
avverte di non essere stata capace di aiutare il gruppo a venire in contatto anche 
con i sentimenti di perdita sottostanti la voglia di festeggiare. Fabia che aveva 
proposto di festeggiare, è una 15enne piuttosto deprivata nel rapporto 
con la madre, che usa il mangiare compulsivo e una iperattività maniacale 
per evitare una seria tematica depressiva. Nella riunione di discussione delle 
sedute con i colleghi del gruppo di lavoro è possibile individuare nella 
poca fermezza a segnalare i vissuti sottostanti, quanto fosse in ballo nel festeggiare 
con "qualcosa di concreto", il bisogno di ciascuno di negare sentimenti depressivi 
per ciò che manca.  Il terapeuta nel gruppo è molto più 
sollecitato che nel lavoro individuale a riflettere su alcuni ingredienti umani 
della psicoterapia e sulla sua personale cultura psicoterapeutica, dato che è 
sottoposto ad un esame minuzioso da parte dei componenti del gruppo. Ad esempio, 
il conduttore, anche in quanto partecipante e componente attiva del gruppo, è 
sottoposto dagli adolescenti più facilmente a domande dirette e personali 
che spesso non possono essere fronteggiate con il ricorso all'ascolto partecipe 
o all'interpretazione. C'è pertanto l'esigenza di utilizzare creativamente 
tali domande per costruire significati utili al consolidamento ed al funzionamento 
del gruppo nel confrontarsi con la questione controversa se il terapeuta di un 
gruppo di adolescenti debba o meno rivelare qualcosa di sé.   Alcuni 
(Hurst e Gladieux, 1980) ritengono che sia utile per il conduttore di un gruppo 
di adolescenti rivelare comunque qualcosa di sé in quanto permette all'adolescente 
una migliore identificazione ed un maggiore insight. Altri (Evans, 1998) avvertono 
sul significato difensivo di simili richieste, perché spesso l'insistenza 
del gruppo a volere conoscere aspetti personali della storia del terapeuta è 
un modo per evitare di affrontare i loro attuali dilemmi. D'altra parte la tendenza 
del terapeuta a soddisfare le domande potrebbe celare il suo bisogno di farsi 
accettare come membro del gruppo.  D'altronde il terapeuta che si ponesse in 
una posizione di eccessiva neutralità sarebbe sentito come sconcertante 
e innaturale per l'adolescente sia nella relazione individuale che in quella gruppale. 
C'è da aggiungere che gli adolescenti che partecipano ai nostri gruppi 
nutrono poche aspettative nei confronti dell'adulto. Essi vengono da esperienze 
dove hanno ricevuto poco sostegno, che hanno alimentato vissuti di disconferma 
della loro identità, di solitudine di fronte ai loro dilemmi evolutivi, 
sono adolescenti spesso impegnati con tutte le loro energie in una battaglia di 
sopravvivenza e a confronto con adulti spesso alle prese con gravi problemi personali 
irrisolti.   Un gruppo di medio adolescenti, formato da quattro ragazze e tre 
ragazzi è ai primi incontri e dibatte già animatamente il problema 
della libertà di fare da soli senza dover sottostare più ai divieti 
familiari. L'argomento in discussione riguarda il controllo che i genitori vogliono 
ancora esercitare sulle loro vite. Daria, che è in forte contrasto con 
la propria madre, trascina il gruppo a parlare della sessualità come arma 
di separazione e di libertà. Daria ha un ragazzo con il quale vorrebbe 
vivere appiccicata per sentirsi al riparo dalla sua stessa ostilità verso 
la madre. La loro convivenza spesso sfocia in liti furibonde nelle quali arrivano 
a menarsi. Daria aveva dichiarato al gruppo: "Io faccio sesso con superficialità, 
non m'importa niente delle conseguenze, anzi vorrei proprio restare incinta per 
fare un dispetto a mia madre!". Il gruppo è solidale con Daria che a questo 
punto chiede alla conduttrice se è sposata, se è mamma e che libertà 
darebbe ai propri figli. L'assenza di una risposta concreta e immediata rende 
più incalzante la domanda di Daria a nome del gruppo. La ragazza insiste: 
"Adesso ci dica, lei è mamma? Ha figli o no?". L'angoscia di dipendenza 
dall'adulto che sottende a queste domande è palese, ma è difficile 
interpretarla direttamente perché il gruppo in questo momento di esaltazione, 
accetta solo risposte concrete. Non c'è in questa sfida anche il sottostante 
bisogno di sentire il coinvolgimento della conduttrice come riconoscimento alla 
loro aspirazione all'autonomia? Come accogliere tutto questo rispettando però 
i limiti generazionali? Comunque è una prima occasione per costruire un 
clima di fiducia da parte dei ragazzi nei confronti dell'adulto. Riconoscere da 
parte nostra che una eccessiva curiosità può essere un problema 
sia per i ragazzi che per gli adulti, significa ammettere che anche gli adulti 
possono mostrare di avere dei limiti e diventare eccessivamente curiosi nei confronti 
dei ragazzi. Pretendere di sapere tutto di loro, per gli adulti, può essere 
un modo di evitare i propri sentimenti al confronto con essi che stanno crescendo. 
Questo riconoscimento da parte dell'adulto dei propri limiti ricompone il clima 
verso uno scambio ed aiuta i ragazzi a sentirsi capiti nella loro esigenza di 
occuparsi della loro sessualità senza sentirsi violati nella loro intimità.  
Daria comincia a raccontare della sua amica che è rimasta incinta, portando 
al gruppo quanto sia angosciata anche lei di restare incinta senza volerlo effettivamente. 
Il gruppo può discutere ora con ritrovata confidenza e fiducia su questioni 
della sessualità occupandosi anche di quanto sia utile premunirsi da gravidanze 
indesiderate.  Il lavoro psicoterapeutico si propone di dare senso e possibilità 
di rappresentazione a dimensioni interne inconsce e/o preconsce, favorendo l'apertura 
a progetti comuni più condivisibili e l'avvio di processi identificatori 
meno distruttivi. L'obiettivo è cioè quello di fornire all'adolescente 
una figura significativa non genitoriale - ma adulta - alla quale potersi avvicinare 
gradualmente e così sperimentare un riferimento identificatorio che non 
lo spaventi. Il luogo terapeutico diventa così il luogo sicuro dove sperimentare 
e sperimentarsi, senza essere esposti alle minacce e alle insidie sempre presenti 
nel rapporto con i genitori e con i pari. Vengono a mancare infatti gli elementi 
inquinanti e confusivi legati agli affetti, alla situazione ancora presente di 
dipendenza dai genitori, alla competitività e all'esclusione sadica che 
a volte si instaurano nei gruppi spontanei di adolescenti.    Obiettivi 
per il gruppo. L'obiettivo della terapia di gruppo è quello di aiutare 
ciascun membro del gruppo. I principi che il terapeuta deve perseguire possono 
essere così riassunti:  - sviluppare una coesione di gruppo così 
che i suoi membri si possano sentire al sicuro e da questa base di sicurezza possano 
capire e sperimentare le loro individuali differenze;  - realizzare un gruppo 
di lavoro che affronti di volta in volta i problemi che vengono portati dai diversi 
componenti. Ciò comporta il monitoraggio dell'emergere degli assunti di 
base. In altri momenti il compito del terapeuta è di essere attivo proponendo 
interpretazioni, assumendo il ruolo di guida, o anche facendo da vigile, così 
da regolare il traffico costituito dalle angosce del gruppo, consentendo lo smaltimento 
di tensioni che potrebbero bloccare il funzionamento del gruppo. Infatti una premessa 
al lavoro di gruppo con gli adolescenti è quella di definire costantemente 
i limiti per la tendenza a scaricare immediatamente le tensioni attraverso l'agire 
e quindi evitare di pensare.   Per scoprire la propria capacità terapeutica, 
il gruppo di adolescenti ha bisogno di un terapeuta adulto che sia flessibile 
ed adattabile rispetto ai bisogni specifici dei diversi adolescenti presenti nel 
gruppo oltre che attento al gruppo come un tutto. Se uno dei componenti resta 
in silenzio perché troppo depresso è talvolta utile sollecitarlo. 
Il gruppo con gli adolescenti è caratterizzato da frequenti e rapide oscillazioni 
fra momenti di avvicinamento al terapeuta e momenti di distanziamento. Le fasi 
di idealizzazione sono spesso seguite da valutazioni critiche di inutilità 
o da dichiarazioni di voler lasciare il gruppo.  Guido, 17 anni, ha lasciato 
la scuola e vive da diversi mesi chiuso in casa, rinunciando a qualsiasi contatto 
con i coetanei. Solo dopo diversi incontri individuali accetta di provare a partecipare 
alla terapia di gruppo. Sembra contento, non salta le sedute, ma resta ai margini, 
osserva ma interviene solo di rado. Dopo la ripresa del gruppo a seguito dell'interruzione 
per le vacanze di Natale, non si presenta per due sedute, quindi, al suo ritorno, 
resta a lungo silenzioso. Renata gli chiede che cosa sia successo. Guido finalmente 
dice che ritiene inutile partecipare al gruppo. Non crede che gli serva a qualcosa. 
Ha deciso di interrompere non per qualche ragione, ma semplicemente perché 
tutto è inutile. Non prova nulla, non gli importa di niente, nulla può 
cambiare. Il terapeuta gli ricorda le ragioni della sua partecipazione al gruppo 
e l'apporto da lui fornito, in una precedente seduta. In quell'occasione, dato 
che Serena negava qualsiasi ripercussione su di lei della rivelazione della madre 
sull'uso di droga da parte del padre, aveva espresso con dolorosa chiarezza l'influenza 
negativa che aveva avuto sulla sua crescita la tossicodipendenza del padre. Il 
gruppo gli conferma il suo contributo e proprio Serena gli suggerisce di provare 
almeno a partecipare, anche magari restando in silenzio. Il terapeuta segnala 
che Guido mancherebbe a tutti. Guido allora dice di essersi presentato il giorno 
dopo Capodanno pensando che ci fosse la seduta di gruppo e di non aver trovato 
nessuno. In portineria qualcuno gli aveva detto di non conoscere il nome del terapeuta 
e così se ne era tornato a casa. Non si era poi presentato per le due sedute 
successive. Quella volta era tornato perché il terapeuta aveva telefonato 
chiedendo notizie e ricordandogli la seduta.    Il terapeuta può 
essere d'aiuto mettendo in luce alcuni elementi del funzionamento degli adolescenti 
nel contesto del gruppo, vale a dire come si pongono in relazione con gli altri, 
oltre naturalmente a riflettere su ciò che dicono. Per gli adolescenti 
è fondamentale arrivare a capire perché si comportino in quella 
determinata maniera. Si tratta di analizzare i movimenti transferali tra i diversi 
membri del gruppo e verso il terapeuta.  Spesso risulta molto utile far presente 
a qualche componente come egli tenda ad interrompere, a distogliere gli altri 
membri da determinati argomenti e proporre qualche ipotesi a proposito. In ultima 
analisi nei gruppi di adolescenti, a differenza che con gli adulti, è necessario 
impegnarsi a non perseguire come obiettivo una posizione di centralità 
del conduttore. Questo li aiuta a sviluppare il potenziale di mutuo sostegno, 
la solidarietà fra coetanei. Tale condizione è fondamentale per 
incrementare il processo terapeutico, in modo che la terapia di gruppo, per l'adolescente, 
sia la naturale estensione della complicità tra coetanei.  Al fine di 
discutere con voi alcuni punti del lavoro di gruppo con gli adolescenti abbiamo 
pensato di proporre una seduta in dettaglio.    Si tratta della 18° 
seduta di un gruppo di sette medio adolescenti, tre maschi e quattro femmine. 
Manca solo Serena. In sala d'attesa il clima è vivace, i ragazzi parlano 
fra di loro, in particolare Carla, che soffre di bulimia, sta descrivendo la sua 
agitazione incontrollabile dovuta all'incontro con un nuovo ragazzo. Quando entrano 
nella stanza della terapia si dispongono nei loro soliti posti. Soltanto Federico, 
molto isolato e depresso che porta le protesi acustiche dall'infanzia, chiede 
di potersi mettere di fronte al conduttore per vederlo in faccia. Manca la coterapeuta 
che aveva annunciato la sua assenza la seduta precedente (i due terapeuti siedono 
stabilmente l'uno di fronte all'altro, intorno ad un tavolo circolare al centro 
del quale c'è il registratore). C'è un po' di silenzio. Quindi Carla 
riprende il suo discorso. Ha dunque incontrato un nuovo ragazzo. Come in altre 
occasioni si tratta di un militare, dal quale però non è ancora 
riuscita a non sganciarsi. (Solitamente Carla avvicina i ragazzi ma appena inizia 
a parlarci li aggredisce, accusandoli di voler "fare solo quello". Tali aggressioni 
sono incontenibili e non dipendono affatto, per sua stessa ammissione, dal comportamento 
del ragazzo). Questa volta è arrivata al terzo appuntamento senza aver 
ancora scatenato la sua reazione. Si sente assolutamente bloccata, non riesce 
a fare nulla a casa, a concentrarsi nello studio. Si sente persa e disorientata. 
E' visibilmente angosciata.  Subito interviene Gaetano, enuretico e con una 
forte conflittualità nei confronti del padre, cercando di dare consigli. 
Dice che è normale che sia così e che con il tempo la situazione 
migliorerà. Liquida rapidamente il disagio di Carla, peraltro di lunga 
data, dicendo che per lui è stato lo stesso. Sonia, la più piccola 
del gruppo,14 anni e mezzo, cerca di chiedere qualcosa di più del ragazzo 
a Carla, segnalando il fatto che, questa volta, sta resistendo di più. 
Carla sottolinea che questo ragazzo è gentile, timido ma che questo la 
rende ancora più angosciata. Non riesce a mettere una distanza da lui e 
resta paralizzata a casa in attesa di un messaggio sul telefonino. Inoltre a casa 
i due genitori, nonostante svolgano regolari colloqui di coppia, si sono, come 
al solito, mobilitati per sapere tutto. In particolare il padre, come suo solito, 
dice alla figlia: "Tanto so come va a finire. Voi ragazze siete tutte uguali!"  
Gaetano interviene nuovamente dicendo che in fondo se Carla cerca dei militari 
non può che esporsi a situazioni che si ripropongono sempre uguali. Dovrebbe 
trovarsi un ragazzo vicino casa con cui le cose andrebbero senz'altro meglio.  
Carla reagisce affermando che lei non è affatto sicura di volere stare 
con un ragazzo ma che si sente costretta, comunque, a cercarne uno.  Il conduttore 
interviene per ricordare ai componenti del gruppo come questo serrato dialogo 
fra Carla e Gaetano ha spesso monopolizzato le sedute del gruppo. Chiede quindi, 
nominandoli, a tutti i partecipanti che cosa ne pensano e se hanno qualcosa da 
dire. C'è silenzio.  Il conduttore sottolinea allora che da un lato 
Gaetano propone quale sua soluzione alle difficoltà emotive di Carla un 
rapporto affettivo con una figura più familiare, mentre quest'ultima è 
affannosamente alla ricerca di qualcosa di nuovo che però la spaventa. 
Invita quindi il gruppo a pensare e a riflettere su quali possano essere le difficoltà 
che sono alla base della questione che sta ponendo Carla. Del resto quest'ultima 
ha spesso raccontato dei pesanti apprezzamenti del padre sulla madre, su di lei 
e sulle donne in genere. Quanto può essere allora difficile per Carla sentirsi 
libera di fare le sue esperienze sentimentali al di fuori della famiglia.  
A questo punto Sonia riferisce di sentirsi molto agitata per una prossima gita 
scolastica che dovrebbe portarla fuori casa per alcuni giorni. Per lei ogni distacco 
è fonte di grande angoscia. La sua tensione si è manifestata con 
la ricomparsa di episodi di sonnambulismo che questa volta l'hanno messa in pericolo. 
Si è svegliata infatti con una sciarpa stretta intorno al collo che non 
sa proprio come possa essere finita nel suo letto.  Di nuovo Gaetano interviene 
dicendo subito che forse aveva avuto freddo e minimizzando così anche l'angoscia 
espressa da Sonia.   Federico interviene dicendo di aver, con insistenza, chiesto 
ai compagni di poter andare con loro al cinema. Anche questa volta non lo hanno 
avvertito. Si è sentito comunque meglio per la sua determinazione. Ha preso 
coraggio da quanto era stato detto la seduta precedente a proposito dei suoi nuovi 
apparecchi acustici che erano stati apprezzati da tutti. Ringrazia in particolare 
il conduttore.   Guido, fino ad allora in silenzio, chiede la parola per dire 
di sentirsi più sicuro negli ultimi tempi. E' uscito di casa ed ha preso 
contatti con alcuni ragazzi. Si sente meno spaventato da ciò che lo circonda. 
Afferma che il fatto di ascoltare quello che gli altri dicono nelle sedute di 
gruppo lo sta molto aiutando. Si lamenta, quindi, del fatto che le sedute durino 
troppo poco, anche perché ha l'impressione che le sedute si concludono 
proprio sul più bello. A questa affermazione si associano tutti gli altri. 
  Solo Renata, solitamente attiva e partecipe, reagisce con disappunto. Afferma 
che non capisce proprio perché si debba stare tutti lì, seduti come 
dei cretini intorno ad un tavolo, con il registratore che controlla, piuttosto 
che stare all'aria aperta, come avviene con i suoi amici.  Gaetano cerca di 
contrastarla dicendole che è necessario aver un po' di intimità 
e di riservatezza quando si parla dei propri problemi. Carla ricorda che Renata 
ha spesso dichiarato di non amare la psicologia e di non capire perché 
si debbano raccontare i sogni.  La seduta si sta concludendo. Il conduttore 
sottolinea la chiarezza della protesta di Renata che va senz'altro raccolta e 
ripresa la volta prossima. Ricorda comunque gli obiettivi del gruppo e le sue 
caratteristiche, aspetti segnalati nei colloqui che hanno preceduto l'inizio del 
gruppo. A questo punto Gaetano chiede a che cosa serva il registratore, pur sapendo 
le ragioni del suo utilizzo. La seduta si chiude, l'appuntamento è per 
la prossima volta.  Questo materiale clinico ci sembra utile per sottolineare 
la continua instabilità della condizione gruppale degli adolescenti che 
viene di volta in volta idealizzata o rifiutata a seconda delle esigenze di rispecchiamento 
dei singoli. Il conduttore si trova quindi a dover ricordare gli obiettivi del 
gruppo, a riconoscere le esigenze di ciascuno in funzione del proprio percorso 
evolutivo e di quella del gruppo.  Conclusioni  In conclusione ci 
sembra pertinente circa la psicoterapia analitica con gli adolescenti quanto scrive 
Kaes (1999): "Oggi sappiamo che un certo numero di patologie e di intense sofferenze 
della vita psichica sono legate a gravi cedimenti nell'attività del preconscio. 
Queste patologie possono essere trattate in un dispositivo psicoanalitico di gruppo: 
il lavoro del preconscio dell'altro, di più-di-un-altro, la sua attività 
di figurazione e di messa in rappresentazione di parole rivolte a un altro crea 
le condizioni di rilancio dell'attività di simbolizzazione".   In particolare, 
il lavoro clinico con gli adolescenti segnala la grande forza d'attrazione che 
la dimensione gruppale esercita sui ragazzi. Il fatto di vedere limitata l'espressione 
della propria individualità, di disperdere la propria agognata identità 
per realizzare la coesione di gruppo sembra trovare senso nel grande sostegno 
che il gruppo può offrire alla propria fantasia di sviluppo maturativo. 
Nei gruppi terapeutici, allora l'impegno del conduttore a mantenere il gruppo 
e a farlo lavorare fornisce opportunità all'adolescente per utilizzare 
al meglio il potenziale maturativo che è insito in lui. D'altronde anche 
nella terapia individuale non perseguiamo l'obiettivo di far accettare all'adolescente 
il setting e la relazione perché egli riprenda il suo percorso di sviluppo 
?  Bibliografia:  Behr H. (2000), Psychothérapie analityque 
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 Adriana Maltese  E-mail: malteseryan@libero.it  
Gianluigi Monniello  E-mail: gianluigi.monniello@tin.it    |