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Anno II - N° 1 - Gennaio 2002


Fra sedia e divano




Le indicazioni della cura psicoanalitica dell’adolescente secondo Ph. Jeammet

a cura di P.G. Laniso



Riprendiamo il discorso di Philippe Jeammet riguardo alle indicazioni e all’utilizzazione della psicoanalisi nella cura degli adolescenti , iniziato nel precedente numero della Rivista.

Tra risorse interne e aggrappamento alla realtà esterna : un equilibrio instabile da valutare e da gestire.



Questo approccio, secondo l’Autore, porta a mettere l’accento sull’importanza della gestione della realtà esterna e il ruolo di questa come ausiliario dell’apparato psichico, favorendo o impedendo il gioco degli investimenti e dei controinvestimenti.
I processi di slegamento che avvengono all’interno permettono di trovare nella realtà esterna supporti efficaci atti a entrare in sintonia con le risorse interne e a sostenerle. E’ possibile, da questo punto di vista, superare le opposizioni proprie dello ” scarto narcisitico-pulsionale. ”(Jeammet aveva in precedenza definito con questa formula la situazione nella quale l’assenza o la debolezza delle basi narcisistiche trasformano il piacere di desiderare in paura che l’oggetto si impossessi dell’Io, ponendo gli investimenti narcisistici e oggettuali in contraddizione e opposizione fra loro). Si può infatti affermare che la specificità dell’adolescenza consiste nel rimettere in gioco, per necessità, l’articolazione fra gli investimenti narcisistici e quelli oggettuali.
L’Autore afferma testualmente: ” La risposta terapeutica proposta dovrà tenere conto della sua capacità di offrire al paziente ciò che possiamo chiamare un’ ” alleanza narcisistica ”, sufficiente per fare da contrappeso ad un’insicurezza interna troppo forte, rendere tollerabile lo stabilirsi di una relazione e l’emergere di una conflittualità. Creare dunque le condizioni di un setting continente che permette un lavoro sui contenuti. Bisogna assicurare due cose, sia la continuità che la possibilità di mettere un terzo polo come protezione dalla relazione di impossessamento, che è permanentemente in agguato. In effetti tutte le relazioni dominate dalle aspettative narcisistiche sono particolarmente suscettibili di pervertirsi, cioè di sostituire al terzo differenziatore una relazione di impossessamento con la sua intrinseca potenzialità sado-masochista. Al contrario, una buona parte degli adolescenti, classificati nelle patologie al limite o narcisistiche e soliti all’agire , possono , spesso anche rapidamente, rivelare capacità insospettate, di funzionamento di tipo nevrotico, perfino nevrotico-normale. Sarà sufficiente costruire con loro una forma tollerabile di gestione relazionale contenitiva.
Ciò può avere luogo tramite un’istituzione, o semplicemente tramite un rapporto duale psicoterapico o la sua gestione pluri - focale ”.
Per Jeammet, la concezione che noi sviluppiamo di quello che conta di più per questi adolescenti e può assicurare il loro avvenire, gli atteggiamenti che assumiamo verso di loro rivelano in modo più o meno esplicito il concetto che abbiamo del loro funzionamento psichico, cosa che riveste notevole importanza, data la possibilità di identificazione con i modelli di funzionamento che noi trasmettiamo loro. E. Kestemberg ha descritto bene il ruolo mobilizzante degli ” incontri identificatori ”dell’adolescente con il terapeuta, i cui effetti benefici possono farsi sentire a distanza di anni.
E’ opportuno che le risposte che diamo tengano conto di tutto questo. Per esempio, là dove l’adolescente teme il confronto con i suoi desideri di passività bisogna dargli la sensazione di avere un ruolo attivo; là dove si sente minacciato di essere invaso da una sessualità della quale l’oggetto è spesso il rappresentante, occorre offrirgli spazi relazionali relativamente neutri, dove possa sviluppare il piacere del funzionamento.
Il momento della valutazione comporta una dimensione dinamica essenziale. Dice l’Autore: ” Le modalità di funzionamento mentale dell’adolescente vanno valutate rispetto al suo equilibrio narcisistico. E’ relativamente facile rendersi conto della forza e della natura degli investimenti oggettuali, così come della loro interazione o ambivalenza; per contro, il narcisismo è molto più silenzioso.
Riveste grande importanza valutare il funzionamento dell’Ideale dell’Io, il suo carattere flessibile o esigente, le sue sfumature rispetto ai modelli perseguiti, oppure la sua riduzione a un Io ideale inaccessibile.Lo stesso vale per la capacità di potersi appoggiare ad un interlocutore o, per altri versi, la possibilità di riattivare i legami con gli auto-erotismi legati all’infanzia e di trovare mezzi di gratificazione accettabili nelle comuni attività adolescenziali .
Non è facile appurare il ruolo dell’ambiente rispetto a questo funzionamento. Gran parte delle basi narcisistiche riposa sul mantenimento di un’area transizionale dove il problema della separazione o della differenza fra soggetto e oggetto non si debba porre. Per esempio l’area delle ideologie, che comportano in genere controinvestimenti delle pulsioni aggressive, oppure l’area di tutte le situazioni implicite che condividiamo (o così pensiamo) con il nostro ambiente. Le credenze, le convinzioni, le aspettative e i non detti costituiscono la trama di fondo sulla quale i legami familiari si tessono, così come i legami con il terapeuta. A volte basta un niente per strappare questa trama, soprattutto con l’adolescente, solitamente facile alla delusione. Il narcisismo nella sua totalità può affondare, rendendo l’attaccamento all’oggetto tanto più intollerabile quanto più l’adolescente ne abbisogna.Ci sorprende constatare che quello che ritenevamo acquisito del funzionamento mentale, diventa invece dipendente dall’ambiente ”.

Gestione del setting, condizioni del trattamento psicoanalitico.
Jeammet sostiene che il lavoro terapeutico non si può centrare sulla sola realtà interna, in funzione della quale interpretare l’uso che viene fatto della realtà esterna (come nell’analisi classica dell’adulto).
Bisogna rinforzare la capacità di elaborazione dell’Io, tramite la gestione della realtà esterna in quanto ausiliaria dell’equilibrio narcisistico. In un secondo tempo diventa possibile reinvestire uno spazio psichico interno fatto di rappresentazioni rese accessibili al processo secondario e quindi ormai funzionale. Si tratta di ristabilire dei legami libidici resi tollerabili, cioè svolgere un lavoro di ri-oggettualizzazione che facilita l’interiorizzazione.
La necessità preliminare di rendere tollerabile all’adolescente ciò di cui ha bisogno e in una certa misura desidera (inconsciamente) implica necessariamente il lavoro fondamentale sui limiti e sui fattori di differenziazione a tutti i livelli: fra interno ed esterno, fra le persone esterne che si occupano di lui, (che si presentano come oggetti d’investimento) e, specularmente, fra le diverse componenti e rappresentazioni che costituiscono il suo mondo psichico interno. In altre parole il dilemma e la difficoltà di un progetto terapeutico consistono nel soddisfare i bisogni di dipendenza senza esporre l’adolescente al di rischio di consegnarsi all’oggetto investito (che comporterebbe la messa in atto di difese anti-oggettuali).
L’Autore propone come possibile soluzione un trattamento che chiama ” pluri-focale ”, che ritiene preventivo nei confronti di gravi squilibri narcisistici e di risposta adeguata alle difficoltà di funzionamento che l’adolescente può presentare. Fra le prime condizioni richieste per la strutturazione di un setting terapeutico corrispondente vengono raccomandate la differenziazione e la complementarità (integrazione) delle funzioni e quindi delle figure terapeutiche (funzione dello psicoanalista-psicoterapeuta, funzione del farmacoterapeuta, del terapeuta assistenziale, dell’educatore e pedagogista, del terapeuta che sostiene la famiglia, del contenimento istituzionale), quando risultino necessarie.
” Ma diversità non è sinonimo di anarchia e ancor meno di competizione possessiva, le quali rimanderebbero al giovane la sua immagine frammentata o la sua possessività divorante ” aggiunge Jeammet, che pertanto raccomanda la necessità di una figura terapeutica mediatrice, garante dell’integrazione, responsabile della coesione e della continuità della cura, della coerenza dell’équipe, insomma un elemento di sostegno della stessa continuità narcisitica del giovane paziente. Questa figura-funzione che egli chiama r e f e r e n t e, facilita la diffusione degli investimenti, rende la conflittualità più tollerabile tramite le piccole differenze che progressivamente aumentano. Egli si fa carico della realtà esterna dell’adolescente: i sintomi che lo affliggono, la famiglia, l’ambiente, quello scolastico in particolare. Essendo di solito colui il quale ha ricevuto inizialmente il paziente e la sua famiglia, il referente ha il compito di dare l’indicazione dello psicoanalista-psicoterapeuta, se necessario prescrive farmaci e terapie complementari e così via . L’Autore afferma testualmente:” Il referente rappresenta un legame di continuità, si presta all’idealizzazione e favorisce un rapporto più flessibile di quello con lo psicoterapeuta (psicoanalista ). Infine si offre come un possibile transfert parallelo (laterale), garantendo nella realtà esterna un appoggio differenziato e differenziante. Nell’eventualità di una interruzione della psicoterapia può essere consultato e il suo punto di vista può essere sentito come meno costrittivo di quello dello psicoterapeuta (psicoanalista). Può suggerire il proseguimento del trattamento senza apparire altrettanto fagocitante e seduttore del terapeuta il quale è depositario dell’avidità propria del giovane paziente .”D’altra parte il terapeuta è garante del mondo interno del paziente e solo di quest’area . Non si occupa del rapporto con la famiglia, né si preoccupa dei sintomi o delle terapie ausiliarie. La differenza di genere fra referente e terapeuta rappresenta un ulteriore sostegno.
Nell’ambito del ” setting differenziato ”, afferma ancora l’Autore, è necessaria la costruzione del setting psicoterapico strictu sensu. Questo spesso comporta, da parte del terapeuta, intraprendere una vera lotta con l’adolescente. Il primo deve resistere agli attacchi, alla denigrazione, alla fecalizzazione. Il giovane paziente porta questi attacchi all’oggetto non solo perché attiva l’illusione onnipotente di poterne fare a meno, ma anche per avere conferma della sopravvivenza dell’oggetto stesso e localizzarlo all’esterno. Nella misura in cui l’oggetto-terapeuta sviluppa fiducia nelle risorse del soggetto-adolescente (fermezza nel mantenere limiti e differenze), favorisce specularmente in esso un re-investimento della fiducia in se stesso e nel terapeuta. E’ importante l’uso della scissione (dissociazione) da parte dell’adolescente: essa permette la convivenza della denigrazione e di un potenziale (spesso nascosto) transfert positivo. Il terapeuta che resiste agli attacchi diventa portatore di un aspetto del giovane paziente che questi non può riconoscere al momento, cioè il bisogno di un legame.
E’ necessario garantire le due condizioni fondamentali della continuità e della possibilità dell’elemento terzo, che protegga la relazione dalla trappola dell’impossessamento, con le relative componenti perverse sadoÐmasochiste.
La prescrizione, perfino l’imposizione di ciò che il soggetto si aspetta senza osare ammetterlo o di ciò che noi pensiamo egli desideri, può paradossalmente portare sollievo, tranquillizzarlo .Jeammet insiste nel segnalare che il pericolo maggiore per l’adolescente è di esprimere il proprio desiderio, avendo la sensazione di essere controllato dall’oggetto del desiderio. ” Da questo punto di vista il procedimento dell’analisi classica, che fa dell’analisi della domanda un preambolo alla presa in carico, può risultare decisamente controproducente. L’attesa viene vissuta in modo alienante. Inoltre le regole del setting vengono meglio accettate se sono porte, più o meno esplicitamente, come ” esigenze degli adulti ” che funzionano da limiti, dei quali gli adolescenti hanno bisogno e che li rassicurano.
La formulazione di queste esigenze favorisce l’espressione di una conflittualità che deve diventare tollerabile . Inoltre offre la possibilità all’adolescente di confrontarsi , ma soprattutto contribuisce a proteggerlo dal prendere coscienza (prematuramente) dei propri bisogni e della propria passività. Paradossalmente, le esigenze che vengono poste all’adolescente permettono di soddisfare alcuni dei suoi bisogni e desideri senza però doverli riconoscere come propri, anzi attribuendoli a una costrizione esterna . Questa ultima è sempre vissuta con minore sofferenza delle costrizioni interne, legate ai bisogni e desideri i quali rappresentano la vera passività, la più pericolosa per l’integrità dell’Io . L’Io non può ribellarsi del tutto contro le imposizioni interne, come farebbe con quelle esterne, in quanto ne è parte integrante e complice. Il rischio non è più quello della ribellione, ma quello ben più grave, di un crollo dell’Io, oppure dell’annullamento dei desideri ”.
Anche riguardo alle eventuali funzioni educative e pedagogiche Jeammet intende offrire all’adolescente una zona transizionale nel senso di Winnicott, uno spazio d’incontro, di scambi condivisi, senza che egli diventi consapevole di questi piaceri e senza che si debba domandare qual è il ruolo e il posto dell’altro. Si tratta di restituire all’adolescente un piacere di funzionamento progressivo , che si appoggia all’oggetto con un minimo di conflittualità .
” E’ proprio perché nulla è stato detto che tutto ciò può essere ravvisato dall’adolescente come suo proprio bene .
Insisto su questo punto perché una cattiva divulgazione della psicoanalisi attribuisce valore terapeutico solo alla parola .
Il valore terapeutico della parola ha i suoi tempi e i suoi luoghi. L’uso costante della parola e la continua sollecitazione rivolta all’adolescente affinché si esprima sono vissuti come una sorta di intrusione da parte dell’adulto , le cui caratteristiche eccitanti sono rapidamente sessualizzate e dunque possono risvegliare conflitti ed incoraggiare difese regressive nell’adolescente ”.
Questo tipo di ” setting differenziato ” previene alcune delle difficoltà frequentemente incontrate nel corso delle terapie degli adolescenti: interruzioni premature della relazione, aumento degli agiti, aggravamento dei comportamenti, interferenze dei genitori, sterilizzazione del trattamento, dipendenza nei confronti del terapeuta, con risposte di impossessamento.
Per riepilogare, la gestione di questo tipo di setting, secondo Jeammet, rende possibile:
- Una diffrazione degli investimenti, favorendo un transfert più tollerabile perché previene un investimento troppo massiccio ed eccitante.
- Una opportunità di dissociazione fra un investimento più narcisitico, quello sul referente, passibile di servire da appoggio e un investimento più aperto alla pulsionalità e alla conflittualizzazione , quello sullo psicoanalista-psicoterapeuta .
- Una iscrizione nella realtà esterna di una differenziazione fra i due terapeuti permette di sostenere una funzione terza, la quale è deficitaria nell’adolescente. Permette anche il loro utilizzo come esternalizzazione del funzionamento psichico interno che non svolge il suo ruolo.
Il modello di integrazione di questo dispositivo terapeutico differenziato è quello psicoanalitico .L’obiettivo della cura è il possibile ripristino dell’apparato psichico a svolgere le sue funzioni di protezione dell’individuo, affinché almeno una parte degli ” scopi della vita ” abbiano delle possibilità di realizzarsi .
Le indicazioni terapeutiche non vengono più date rispetto alla sintomatologia o alla malattia, ma rispetto al grado di funzionamento dell’apparato psichico del giovane paziente e del sostegno ambientale che può essere più o meno contenitivo.
Qualche considerazione finale. La messa a punto del modello del ” trattamento plurifocale ” degli adolescenti, da parte di Jeammet, è giustificata dal fatto che egli dirige una istituzione pubblica prestigiosa che si trova spesso a rispondere a giovani che presentano disturbi delle condotte. Questo modello però sembra parimenti utilizzabile sia in ambito privato che in regime di trattamento misto, privato e pubblico, quando ne vengano create le condizioni .
Il problema dei criteri di valutazione e della scelta del trattamento più adeguato è affrontato da Jeammet focalizzando non solo e non tanto il crinale fra analisi classica e psicoterapia psicoanalitica (più o meno profonda e frequente), quanto piuttosto l’opportunità o meno di offrire agli adolescenti una relazione di transfert come risposta di prima scelta. La decisione a questo proposito è fatta dipendere dalla relativa solidità delle basi narcisistiche del soggetto. Se queste vengono valutate insufficienti e se il controtransfert indotto è denso di perplessità, il consiglio di Jeammet è quello di un programma di ” setting differenziato ” che non comprenda subito la risposta psicoterapica individuale, la quale va preparata con cura , fino alla maturazione di una certa tenuta dell’equilibrio narcisistico del giovane paziente.
Da ultimo ritengo opportuno segnalare i molteplici punti di somiglianza fra il modello di ”trattamento plurifocale ” di Jeammet e il ” modello integrato ” d’intervento terapeutico proposto e attuato da tempo da G. C. Zapparoli con pazienti psicotici .

Pier Giorgio Laniso
Email : pglaniso@inwind.it





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