Dalla riflessione su questi due anni di esperienza di A e P, ricollegandoci alleditoriale di A. Novelletto del primo numero e avendo nello stesso tempo lo sguardo rivolto al futuro della psicoanalisi delladolescenza, ci sentiamo di indicare alcune direttrici di percorso, intese come ipotesi di lavoro. In questo siamo confortati dalla rilettura e dalla conoscenza dei recenti contributi di psicoanalisti che hanno fatto delladolescenza e degli adolescenti il centro del loro interesse ed hanno conferito loro una collocazione a pieno titolo nella teorizzazione psicoanalitica, non più costretti in uno sfondo tumultuoso e indecifrabile, rispetto allinfanzia e alletà adulta.
La prima ipotesi che intendiamo approfondire e sostanziare si riferisce alladolescenza come tessuto che può colmare una lacuna nella metapsicologia psicoanalitica. Riteniamo che ladolescenza possa essere considerata la stagione delle trasformazioni fisiologiche radicali, corporee, emozionali, cognitive, simboliche, e allo stesso tempo periodo di instabilità per eccellenza dello sviluppo, con lemergere di importanti forme di psicopatologia. Per questo ci sembra che essa rivesta unimportanza decisiva nella dialettica fra il processo di soggettivazione dellindividuo e linflusso della posteriorità che darà una forma più o meno sana, più o meno disturbata e alterata allIo adulto in formazione. Questo a partire dalla stessa formulazione di Freud, secondo la quale i ricordi dinfanzia si costituiscono in adolescenza, poiché solo ora trova attuazione il difasismo della sessualità umana, la risessualizzazione puberale, dopo la rimozione, dopo lamnesia infantile. R. Cahn, da parte sua, sottolinea che la nevrosi infantile si costituisce in adolescenza, sia dal punto di vista evolutivo (diacronico), sia da quello strutturale (sincronico), nel registro nuovo della posteriorità. E se lingresso nella pubertà è inibito, ostacolato, stentato? Alcuni Autori invitano esplicitamente a considerare quanto la psicoanalisi degli adolescenti e le conoscenze che ne sono discese abbiano cambiato nei fatti se non teoricamente la pratica psicoanalitica in generale.
La seconda ipotesi riguarda il punto di vista clinico. Anchessa parte da tesi formulate da Freud (1905-1919) secondo le quali di solito, il mezzo principale di soddisfacimento sessuale dellindividuo assume una forma fissa e prevedibile solo verso la fine delladolescenza. Quindi i disturbi della vita sessuale presenti prima che si raggiunga questo limite vanno considerati in modo diverso, rispetto a quelli che possono comparire nelladulto. Secondo i Laufer, che hanno acquisito una ricca esperienza clinica e una profonda conoscenza come psicoanalisti di adolescenti, è verosimile che anche la psicopatologia in generale e i disturbi dellorientamento sessuale in particolare si instaurino verso la fine (convenzionale) del processo adolescenziale. Se si tiene presente anche il fatto che i disturbi dello sviluppo e dellorientamento sessuale in adolescenza sono stati preceduti nellinfanzia da traumi precoci che hanno turbato non poco lo sviluppo pregenitale dei giovani pazienti, un trattamento psicoanalitico in adolescenza può rappresentare realmente una seconda preziosa opportunità. Infatti può ripristinare la crescita con lattenuare le conseguenze più nefaste di quei traumi precoci e con il prevenire che i loro effetti si integrino nella personalità adulta futura attraverso lintegrazione disturbata del corpo sessuato. Questultima evenienza si configurerebbe come lingresso nella psicopatologia delladulto, assai più dura da scalfire, come le perversioni insegnano.
La terza direttrice può essere formulata così: gli adolescenti ci costringono a un mutamento radicale del nostro assetto interno di terapeuti, se non vogliamo perdere il contatto reale con essi. Utilizziamo da tempo situazioni come il setting psicoanalitico in senso stretto, il setting psicoterapico individuale o di gruppo, concetti come analizzabilità, trattabilità, che rimangono punti di riferimento fondamentali dellapproccio psicoanalitico. Accanto ad essi riteniamo indispensabile non solo considerare setting multifocali, integrati, nella risposta al disagio giovanile, ma anche pensare a come si possano creare condizioni nelle quali prenda forma un qualche processo utilizzabile come tale da uno psicoanalista, anche al di fuori della stanza danalisi, nelle istituzioni, nel sociale, a contatto diretto con gli adolescenti, o con figure che raccolgono il loro disagio, come familiari, educatori, operatori dei servizi. In altre parole, pensare a come uno psicoanalista possa porsi come oggetto che può soddisfare una richiesta di aiuto iniziale, magari in forma limitata, magari solo per non disperdere, per orientare un moto di curiosità, un tentativo di comunicare una sofferenza che venga richiesto nei contesti di vita delladolescente. Ormai da alcuni lustri veniamo a conoscenza dalle riviste, dai convegni, congressi, dai rapporti con i colleghi di quale ricca esperienza hanno accumulato psicoanalisti impegnati nei consultori familiari, in quelli per adolescenti, nei servizi psichiatrici pubblici, negli ospedali, nelle scuole, nelle carceri, presso il Tribunale dei minori, e così via.
A e P si propone di dare sempre più spazio, sempre più voce a questi fermenti.
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