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Anno IV - N° 1 - Gennaio 2004

Lavori originali




“La psicoanalisi nelle gravi psicopatologie in adolescenza” *

Teodosio Giacolini



Introduzione

L’età evolutiva è una sfida alle teorie del funzionamento psichico e della tecnica clinica, essendo espressione di un sistema complesso ed aperto, finemente interconnesso, in cui definire ed evidenziare il soggetto sia di un funzionamento psichico che della cura pone molteplici problemi. Freud attraverso la scoperta del funzionamento inconscio ha introdotto una estrema problematicità nella possibilità di definire e circoscrivere il soggetto. Non solo, attraverso opere quali Totem e tabù (1912-13) o Psicologia delle masse ed analisi dell’Io (1921) ha indicato come questa problematicità debba articolarsi attraverso lo studio del soggetto quale epifenomeno di una storia filogenetica e di interazioni all’interno di una trama relazionale complessa, tale per cui la sua formazione ed il suo funzionamento non può che essere concettualizzato come parte inseparabile di un tutto, di un gruppo primario, secondario, spontaneo o istituzionale, tanto da fargli affermare: “Nella vita psichica del singolo l’altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico, e pertanto, in quest’accezione più ampia ma indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è al tempo stesso, fin dall’inizio, psicologia sociale.” (Freud, 1921, p. 261), . L’età evolutiva rappresenta all’interno di questa ottica un osservatorio che ci può permettere di individuare, come attraverso le lenti di microscopio, i vari aspetti attraverso cui il soggetto si forma e funziona. Al fine di individuare, evidenziare e circoscrivere alcuni aspetti del funzionamento particolarmente significativi nel periodo adolescenziale, utilizzerò alcune scoperte e concettualizzazioni presenti in discipline limitrofe alla psicoanalisi. D’altra parte questa è un’indicazione che ritroviamo in tutta l’opera di Freud, ovvero la psicoanalisi quale disciplina che si avvale dei contributi di innumerevoli scienze al fine di elaborare una teoria del funzionamento mentale che permetta la comprensione e la possibilità di lenire la sofferenza psichica del soggetto. All’interno di un’ottica interdisciplinare utilizzerò concetti quali senso di efficacia, apprendimento, apprendimento per osservazione, impotenza appresa, sistema motivazionale agonistico, concetti che ho trovato particolarmente utili nel lavoro clinico, avendomi permesso una comprensione che ritengo più aderente alle dinamiche dei gravi casi di psicopatologia in adolescenza: primi episodi psicotici, funzionamenti borderline, gravi disturbi dell’umore, contribuendo ad arricchire lo strumentario psicoanalitico alla base dell’operare clinico.


Senso di efficacia e formazione del sé

Si può affermare che quanto più il soggetto è in età infantile, tanto più il suo funzionamento può essere largamente inferito e curato attraverso l’attenzione rivolta al contesto primario.
Le cose diventano estremamente più complicate con l’entrata del soggetto in adolescenza. La maturazione corporea e le aspettative del gruppo sociale (Elder, 1998) impongono all’adolescente di gestire molteplici problemi attraverso cui cercare di mantenere la continuità con il senso di sé acquisito fino a quel momento e dunque mantenere un senso di coerenza sia al proprio interno che nelle interazioni con il mondo circostante. Descriverò sinteticamente alcuni dei problemi che l’adolescente si trova ad affrontare.
Iniziamo da ciò che G.Klein (1976) descriveva come il conflitto tra bisogno di autonomia e bisogno di affiliazione, conflitto tipico del momento adolescenziale. Il bisogno di autonomia si basa su quella ricerca di competenza o mastery che già White (1959) aveva circoscritto negli anni cinquanta, indicandolo come un patrimonio che la specie umana condivide con molte altre specie animali. Successivamente questo concetto sarebbe stato ripreso da Brouceck (1979, 1982) con il concetto di ricerca del senso di efficacia. Sono state poi le note ricerche rubricate sotto il nome Infant Research (Stern, 1985, Lichtemberg, 1983) che hanno ampiamente mostrato come il bambino nasca preadattato alla ricerca di competenza, che ha nel senso di efficacia il parametro esperienziale che struttura il senso del sé come centro autonomo di iniziativa. Lichtemberg (1989) infine, con la motivazione alla assertività ha poi coniugato in modo maggiormente articolabile con il pensiero psicoanalitico le concezioni e le ricerche sopra ricordate.
Il senso di un sé autonomo si fonda, dunque, sul senso di efficacia sperimentato nella affermazione, nella assertività di sè nel mondo. Questo aspetto esperienziale del senso di sè contribuisce significativamente alla strutturazione della personalità e della mente del soggetto. Sappiamo che quanto più l’ambiente primario nell’infanzia disattenda il gesto creativo del sé, come Winnicott (1963, 1965) ha in modo impareggiabile esplorato, tanto più le difficoltà ad esperire il senso d’efficacia e di autonoma affermazione di sé daranno luogo a problematiche fino a giungere alla psicopatologia. Sappiamo anche che nella mente infantile è primaria la ricerca di attaccamento ovvero di prossimità all’adulto di riferimento, da cui si genera il senso di appartenenza e di affiliazione a quest’ultimo. Il riuscire in questo scopo è vissuto come senso di efficacia del sé, e compensa in quest’epoca della vita le non rispondenze dell’ambiente alle altre manifestazione di assertività al di fuori della sfera dell’attaccamento. Ciò può contribuire a spiegare il perché nella storia di adolescenti con breakdown evolutivo non vi siano stati precedentemente manifestazioni tali da allarmare gli adulti di riferimento, rendendo meno drammaticamente evidente il senso di incapacità e di impotenza che si andava strutturando nel soggetto. Vengono così riferite storie di bambini ben adattati, che non hanno dato particolari problemi, tranne lievi inibizioni intellettive superate con l’aiuto dei genitori, una certa tendenza alla passività ed a disingaggiarsi dalle interazioni con i coetanei. Con l’entrata nell’adolescenza le cose cambiano, ora il senso di automa assertività ed il relativo senso di efficacia, assi portanti attraverso cui viene sperimentato il nuovo statuto del soggetto, vedono retrocedere in secondo piano la spinta adattativa al contesto primario. L’adolescente deve ora posporre la spinta all’attaccamento alla gestione della propria assertività nel mondo esterno al contesto primario, alla famiglia, per la ricerca di un proprio ambito nel mondo adulto. Questo appuntamento è reso ineliminabile sia dalla crescita corporea che dalle attese del gruppo sociale, attese che presentano evidenti analogie trasversalmente alle varie culture di appartenenza, come testimoniano l’universale diffusione dei riti di passaggio. D’altra parte le osservazioni degli etologi e degli studiosi di psicologia comparata, soprattutto di indirizzo evoluzionista, hanno mostrato come siano rilevabili ampie analogie in questo momento evolutivo con la condotta di altre specie animali soprattutto i primati, analogie classificabili sotto il nome di motivazione agonistica, da posporre cronologicamente a quella dell’attaccamento e da affiancare a quella sessuale (De Vaal, 1996, Liotti, 2001). Su ciò ritorneremo più oltre. L’adolescente si percepisce ora solo nell’affermazione di sé, in un mondo che non prevede più il correre indietro a contenere la paura nelle braccia dell’adulto di riferimento, che lo confermava nella sicurezza di essere collocato in un contenitore affiliativo. La nuova situazione evolutiva rende terrorizzante il riconoscimento delle proprie incapacità, suscita il panico di non riuscire a trovare una nuova collocazione affiliativa nel mondo degli adulti, fuori dalla nicchia familiare.
Solitamente nella nostra società sono le prove a cui l’adolescente è chiamato nel contesto scolastico, a rappresentare la cornice di un moderno rito di passaggio, ed a determinare una delle principali fonti di esperienza della propria inefficacia ad indirizzare il corso della propria esistenza. Da qui derivano il terrore di non essere in grado, di non avere le risorse per affrontare i compiti, le prove che la scuola, ovvero il gruppo degli adulti, propone. Da qui i quasi immancabili fallimenti e ritiri scolastici (Jeammet, 1982) che accompagnano i breakdown evolutivi. Ma come e dove si è strutturata all’interno del soggetto questa paura del fallimento, questa paura di non essere in grado di poter superare le prove che il mondo adulto esige? Prima di proporre una spiegazione è utile annotare come il senso di inefficacia alla base della gravi psicopatologie in adolescenza, porti con se il riproporsi del terrore della separazione dal polo affiliativo primario. La conseguenza è che le condotte caratteristiche del sistema di attaccamento tornano a nuova vita. La regressione ad una nuova massima dipendenza dal contesto familiare, dipendenza sempre altamente conflittualizzata dalla percezione di come essa sia incoerente con il proprio statuto adolescenziale, è evidenza nota a chi tratta adolescenti seriamente sofferenti.


Identificazione e apprendimento osservazionale

Per iniziare a rispondere alla domanda che sopra ci siamo posti, è necessario, allora, tornare ancora per un certo tratto a quelle relazioni primarie per comprenderne in modo più approfondito le dinamiche che acquistano ora in adolescenza nuovo significato psicopatologico. L’adattarsi del bambino al proprio ambiente, così come l’adattarsi di qualsiasi organismo al proprio ambiente, è una forma di apprendimento. L’apprendimento può essere suddiviso in due grandi aree, quella in cui il soggetto è oggetto dell’azione di un altro soggetto ovvero l’apprendimento per stimolo/risposta e quella in cui il soggetto apprende per via analogica da un altro soggetto. La concettualizzazione della triangolazione edipica o quella del trauma o infine quella che porta il bambino ad adattarsi ad un determinato stile relazionale del genitore al fine di rimanergli vicino, riguardano il primo tipo di apprendimento, in cui il soggetto apprende dalla propria risposta ad un evento relazionale che agisce su di lui. Apprendere dalla propria risposta ad un evento, e dunque dalla propria esperienza, permette l’adattamento all’ambiente relazionale che interagisce con il soggetto, come è appunto nell’ambito dell’attaccamento. L’altro tipo di apprendimento, meno preso in considerazione sia dalla psicologia sperimentale che da quella dello sviluppo, ed invece più presente nel pensiero psicoanalitico, è quello dell’apprendimento vicario o per osservazione. L’apprendimento vicario o per osservazione è quel tipo di apprendimento attraverso cui il soggetto apprende per via analogica dalla osservazione di un altro soggetto. La psicoanalisi ha parlato di imitazione come modalità primitiva di identificazione, e l’identificazione stessa concerne quella parte dello strutturarsi della mente del soggetto attraverso assimilazione di “tratti unici” (Laplanche e Pontalis, 1967, Freud, 1921) dell’oggetto. Bowlby nel secondo volume della sua trilogia ha ampiamente evidenziato l’importanza evoluzionistica dell’apprendimento per osservazione: “Gli esseri umani fanno esattamente quello che fanno i membri di un branco di Primati non umani, che tramite l’imitazione del comportamento di altri animali ampliano la gamma delle situazioni stimolo evitate. E’ chiaro che in qualche caso ne potrebbe conseguire che una situazione inoffensiva sia considerata pericolosa nell’arco di parecchie generazioni; ma possiamo supporre che un giovane individuo venga rapidamente introdotto nella sapienza tradizionale del suo gruppo sociale, e quindi eviti pericoli che potrebbero altrimenti dimostrarsi fatali” (Bowlby 1982, p.159, De Vaal, 2001). Il cognitivsmo sociale (Bandura, 1986, 1997) ha largamente studiato empiricamente questo importante processo di apprendimento, mostrando come esso non corrisponda al semplice concetto di imitazione ma abbia valore generativo per la psiche ed il comportamento umano. E’ attraverso l’apprendimento per osservazione che il soggetto viene ad assimilare dentro di sé aspetti dell’oggetto di riferimento, è attraverso esso che avviene buona parte dell’apprendimento delle regole delle microculture familiari, come già Freud aveva indicato nel formarsi precoce del Super Io. Dalle figure primarie viene assorbito non soltanto la loro espressione verso il soggetto, da cui deriva parte dell’istanza superegoica, ma anche il modo di processare l’interazione con la realtà, il modo di pensare e di comportarsi degli adulti di riferimento verso i vari aspetti della realtà, da cui derivano parti significative sia del Super-Io che dell’Io. Lo studio di quali aspetti degli adulti di riferimento vengano selezionati o il peso relativo di ognuno di essi all’interno della mente del soggetto è un campo di ricerca in progressione. Ciò che qui mi preme evidenziare, e che riveste particolare importanza nella costruzione di funzionamenti psicopatologici, è che attraverso questa via di apprendimento il soggetto apprende le aree di sensibilità degli adulti di riferimento e soprattutto i sistemi di paura (Le Doux, 1996, 2002) di questi ultimi, che diventano i propri. Il soggetto in definitiva si sensibilizza in modo specifico per esposizione alle aree sensibili degli adulti di riferimento. Questa trasmissione transgenerazionale ha una sua criticità nel divenire una acquisizione della mente del soggetto senza passare attraverso un percorso di tipo esperienziale o adattativo. Cercherò di spiegare questo concetto. I derivati del primo tipo di apprendimento, come abbiamo sopra considerato, sono il risultato della risposta del soggetto ad una azione dell’ambiente su di esso. Anche le “conoscenze relazionali implicite” (Stern e coll., 1998) vi rientrano. E’ proprio questa risposta che forma quella base esperienziale che può essere o ricordata oppure, se l’apprendimento è avvenuto a livello implicito, fatta oggetto di ricostruzione narrativa e dunque esplicitabile e verbalizzabile (Gabbare e Western, 2003). L’apprendimento per osservazione determina, invece, che il soggetto vada costruendo parte del proprio mondo interno e del proprio funzionamento attraverso l’assorbimento per via analogica di parti dell’oggetto, che non facendo parte di un accadimento interazionale non possono far parte di una narrazione ricostruttiva. Essi invece vengono percepite dal soggetto come parti intrinsecamente costitutive del proprio modo di essere, del proprio carattere o personalità, come anaboliti su cui non è possibile alcuna azione del pensiero. Che il sistema mnestico di riferimento sia specificatamente quello procedurale penso sia una ipotesi plausibile, seguendo l’indicazione di Clyman (1991) che vede in questo sistema di memoria la funzione deputata all’apprendimento delle varie componenti delle microculture familiari, ma anche di altri studiosi come Grisby e Hartlauth (1994) citati da Pally (2000). Che sia anche implicato il sistema mnestico implicito delle emozioni, con particolare riguardo all’emozione della paura, sembra altrettanto plausibile. Il figlio apprende per osservazione dell’adulto di riferimento ad interpretare come fonti di paura determinate configurazioni relazionali. Ricapitolando possiamo, dunque, ipotizzare la trasmissione transgenerazionale attraverso l’apprendimento per osservazione a livello implicito di sistemi “automatici” di interpretazione delle fonti di paura e di procedure di risposta ad esse. Queste modalità di processamento, sia dell’interpretazione emozionale dell’evento sia della risposta ad esso, presentandosi all’esperienza del soggetto con modalià coattive, sono vissute da questo come forze interne che non essendo possibili ricondurre ad una narrazione di eventi causali esperiti (come ad esempio il poter affermare di aver paura dei cani dopo essere stato morso da un cane, modello del trauma), determinano vissuti emozionali e pattern comportamentali sentiti come altamente incoerenti, o egoalieni, rispetto al senso di sé. Gli effetti sono che il soggetto si sente impotente a gestire e regolare il proprio mondo interno e dunque la propria presenza nel corso degli eventi, non potendo avere il senso di efficacia nella gestione di se stesso e della realtà circostante.
Il vissuto di non essere padrone di se stesso e della gestione degli eventi ed il panico organismico (Pao, 1979) che ne consegue, è ipotizzabile si determinino quando la trasmissione transgenerazionale, attraverso l’apprendimento osservazionale ed implicito di contenuti di paura e di reazione ad essa, avvenga attraverso più generazioni, come i teorici della famiglia a partire da Bowen (1979) affermavano. Possiamo ipotizzare che il vissuto di profonda impotenza appresa dall’esposizione ad un adulto di riferimento che mostra a sua volta vissuti di impotenza a dirigere se stesso, siano amplificati dal passare delle generazioni perché il soggetto fa esperienza dell’oggetto di riferimento come dominato da presenze egoaliene che lo inducono a comportamenti, emozioni, pensieri di cui quello non si sente autore.


Depressione ed impotenza appresa nelle gravi psicopatologie in adolescenza

L’attenzione centrale proposta in questo lavoro verso la ricerca di competenza e del senso di efficacia è alla base degli studi sulla così detta helplessness o impotenza appresa (Seligman, 1977, Peterson , Maier, Seligman, 1993), quale risultato del soggetto che sperimenta un profondo senso di inefficacia. Queste ricerche nate in ambito di psicologia comparata e dell’apprendimento negli anni settanta, hanno evidenziato prima sugli animali e poi sull’uomo, come situazioni di stressverso cui non è possibile alcuna soluzione e dunque tali da risultare incontrollabili, determinano nell’individuo un vero e proprio apprendimento della propria impotenza, che si estende nel tempo e nello spazio dalla situazione patita agli altri accadimenti futuri dell’esistenza. Tale stato psichico comporta marcata inibizione delle prestazioni mnemoniche e di problem solving. Si evidenziano così delle manifestazioni, sia a livello animale che di soggetti umani simili a quelle dei quadri depressivi. E queste sono caratteristiche comuni a qualsiasi quadro di breakdown evolutivo, in cui il momento più manifestatamente dominato da una situazione ansiogena, fino a vissuti di vero e proprio panico organismico, è intessuto da una profonda convinzione della propria incapacità ad affrontare le situazioni a cui l’adolescente è fisiologicamente convocato dalla sua classe di età. Lo zoccolo duro della dimensione depressiva nei gravi casi di psicopatologia in adolescenza, in cui è centrale la convinzione di una totale inadeguatezza delle proprie risorse tanto da sentirsi preda di qualsiasi situazione esterna alla nicchia delle relazione primarie, può essere vantaggiosamente inquadrato attraverso la teoria della helplessness o impotenza appresa. Questa teoria, infatti, ci permette di considerare all’interno di un unico percorso le varie manifestazioni psicopatologiche, che vanno dal momento di ansia e panico acuto, in cui è in primo piano l’angoscia determinata dalla percezione della propria incapacità a dirigere il corso degli eventi sia dentro che fuori di se, a quello del ritiro dalle prestazioni come manifestazione della profonda convinzione della impossibilità ad esercitare una qualsiasi azione competente che riguardi se stesso nel mondo.
E’ a questo punto necessario coniugare la teoria della helplessness con quella dell’apprendimento per osservazione, sia per spiegare la resistenza al verificarsi del fenomeno della helplessness in circa un terzo dei soggetti sia umani che animali (Seligman 1977, Peterson, Maier, Seligman, 1993) negli esperimenti di induzione di impotenza appresa, sia, all’opposto, la massiccia presenza di tale stile mentale nei quadri di gravi psicopatologie. Gli studi sulla helplessness, infatti, concernono nei loro protocolli, situazioni in cui l’individuo apprende dal contesto con cui è in interazione che la propria assertività non produce alcun effetto sull’ambiente, non è dunque seguita da alcuna percezione soggettiva di efficacia. Ciò riguarda dunque il primo tipo di apprendimento, quello stimolo/risposta. Sopra abbiamo, però, considerato come le relazioni primarie veicolino “aspetti” dell’oggetto all’interno del soggetto attraverso l’apprendimento osservazionale. Nel soggetto si sedimenta così un vissuto di helplessness attraverso il secondo tipo di apprendimento, attraverso cioè l’osservazione dell’impotenza appresa dell’adulto di riferimento. Si può ritenere che ciò costituisca, come sopra già descritto, un vissuto ancor più perturbante del convincersi della propria incapacità come risultato di reali situazioni traumatiche o stressanti sperimentate. Il soggetto si ritrova improvvisamente a percepire dentro di sé un profondo stato di paura per prestazioni fino a poco prima sostenute, e ciò lo disorienta profondamente, lo getta in un vero e proprio vissuto di panico. Nei breakdown evolutivi la helplessness è dunque una impotenza appresa fondamentalmente attraverso un apprendimento di tipo osservazionale.
Dobbiamo, allora, chiederci perché questi disorganizzanti vissuti di helplessness si attivino proprio ora in adolescenza. Come più sopra abbiamo considerato, l’apprendimento per osservazione di “aspetti“ di impotenza degli adulti di riferimento avviene probabilmente fin dalla nascita, depositandosi nelle memorie implicite attive fin da quando il bambino vede la luce. Fino alla pubertà, però, nella matrice relazionale della famiglia il primato dei processi di attaccamento/accudimento fanno si che il senso di efficacia che il bambino sperimenta in quest’area, anche e forse soprattutto quando si tratta di attaccamenti insicuri, compensi l’apprendimento per osservazione dell’ambiente primario di modalità comportamentali e relazionali tali da fargli sperimentare vissuti di inefficacia nell’affermazione di sé, sia entro che soprattutto fuori l’ambiente familiare. Al momento della pubertà, invece, la maturazione somatica ed i nuovi appuntamenti identitari a cui il soggetto è convocato dal gruppo sociale di appartenenza, inducono l’attivazione di quei processi di lutto descritti da Freud a partire da Lutto e melanconia, e che la letteratura psicoanalitica sull’adolescenza ha largamente utilizzato. Il soggetto che vive un lutto si identifica potentemente con aspetti dell’oggetto scomparso, ovvero tratti dell’oggetto precedentemente appresi divengono ora parti attive e costitutive della propria personalità. Analogamente l’adolescente vive il proprio momento evolutivo come scomparsa degli oggetti di riferimento primari, e ciò induce, all’interno della sua organizzazione mentale, l’attivazione di quei “tratti” (Freud, 1921) appresi precedentemente da quello per via osservazionale, “l’ombra dell’oggetto cadde così sull’Io” (Freud, 1915). L’adolescente porta ora a compimento l’identificazione con il genitore dell’infanzia “….l’identificazione non è semplice imitazione, ma appropriazione in base alla stessa pretesa etiologica; essa esprime un “come” e si riferisce a qualcosa di comune che rimane nell’inconscio” (Freud, 1900). Mi sembra che a tutt’oggi la teoria del lutto è quella che può dare ragione dell’attualizzarsi nel soggetto adolescente di modalità di processamento emozionale, cognitivo e comportamentale apprese in modo implicito precedentemente dalle figure di riferimento primarie, e percepite soltanto ora come contenuti del proprio sistema mentale che improvvisamente prendono il comando della propria personalità, come presenze egoaliene terrificanti che incrementano in modo esponenziale i vissuti di helplessness.


Paura e Sistema motivazionale agonistico in adolescenza

Sopra abbiamo considerato come l’adolescenza costituisca l’eclissi, se così si può dire, del primato del sistema motivazionale di attaccamento/accudimento, e l’entrata nel sistema motivazionale agonistico (DeVaal, 1996, Weisfeld, 1999, Liotti 2001). Soffermiamoci, allora, brevemente su questo nuovo sistema motivazionale, attraverso alcuni sintetici concetti introduttivi.
La concezione che abbiamo del funzionamento mentale umano ha le sue fondamenta nella teoria evoluzionista. La psiche umana è epigenesi del funzionamento cerebrale, organo quest’ultimo che si è evoluto attraverso un percorso che ci vede filogeneticamente collegati ai vertebrati, ai mammiferi ed in modo particolare alle specie dei primati. In una impostazione bio-psico-sociale della sofferenza psichica è allora necessario pensare alla dimensione biologica come un bagaglio genetico che ha la sua espressione anche in quelli che gli etologi chiamano sistemi comportamentali o motivazionali. I sistemi comportamentali vengono attualmente definiti come sistemi organizzatori su base innata delle interazioni tra conspecifici. Come sappiamo Bowlby individuò uno di questi sistemi comportamentali, l’attaccamento/accudimento. Nella sua imponente trilogia Bowlby (1969, 1980, 1982) ha mostrato come il sistema comportamentale di attaccamento/accudimento costituisca l’espressione di un patrimonio genetico che condividiamo con altri primati, ed al tempo stesso come esso si attualizzi e coniughi in ogni individuo umano attraverso l’indispensabile e irripetibile esperienza soggettiva nel contesto relazionale primario. Ricordiamo brevemente che le cause attivanti il sistema di attaccamento sono costituite da segnali percettivi quali: essere in una situazione di stanchezza, dolore fisico o emozionale, pericolo. La meta di tale sistema è la ricerca di un conspecifico in grado di espletare una funzione di accudimento, sostegno, difesa. Per i cuccioli ed i bambini questa funzione è espletata fondamentalmente dalle figure di accudimento primarie. Nelle età successive tale funzione sarà espletata, soprattutto nel genere umano, in modo particolare dalla relazione di coppia coniugale (Carli, 1995).
La biologia e la psicologia evoluzioniste hanno individuato altri sistemi comportamentali, tra cui, appunto, il sistema motivazionale agonistico, di particolare importanza nel momento evolutivo dell’adolescenza. Nei primati questo è il sistema comportamentale che regola l’entrata del giovane soggetto nella strutturazione gerarchica del gruppo degli adulti (De Vaal, 1996, Weisfeld, 1999), momento in cui il sistema comportamentale dell’attaccamento ha esaurito la sua funzione primaria. E’ abbastanza convincente l’ipotesi che anche nella specie umana sia geneticamente presente la predisposizione ad organizzare un sistema comportamentale agonistico, che si attualizzi in modo peculiare attraverso l’esperienza relazionale soggettiva ed esplichi tutta la sua specifica funzione con il sopraggiungere dell’adolescenza,
E’ necessario sottolineare come i sistemi motivazionali, quali quello sessuale ed agonistico, siano presenti in nuce fin dalle primissime fasi dello sviluppo. L’opera di Freud evidenziò, appunto, i prodromi del sistema motivazionale sessuale, presente fin da epoche molto precoci. E’, d’altra parte, osservazione condivisa la presenza di modalità agonistiche nelle interazioni tra pari e con gli adulti di riferimento nei bambini. E’ neccesaria, però, la maturazione dell’apparato sessuale perché la motivazione sessuale attualizzi tutta la sua funzione, così come la maturazione corporea e le attese del gruppo sociale perché la motivazione agonistica esplichi la sua peculiare attività.
Il sistema agonistico è attivato da segnali percettivi che indicano la limitatezza di una risorsa, o da segnali mimici di sfida provenienti da un conspecifico. La funzione del sistema comportamentale agonistico è quella di stabilire una gerarchia nell’accesso alle risorse, tale per cui non vi sia l’eliminazione del rivale, bensì venga mantenuta la coesione e cooperazione di gruppo, acquisizione evolutiva di enorme importanza per la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Il sistema è disattivato da segnali di resa e sottomissione del conspecifico. Il sistema comportamentale agonistico è caratterizzato da emozioni specifiche peculiari alla posizione vissuta nella disputa. La posizione di resa e sottomissione è caratterizzata da emozioni quali la paura da giudizio, umiliazione, vergogna, invidia, tristezza da sconfitta (Liotti, 2001). La posizione del vincitore da emozioni quali il trionfo, sentimento di potenza, orgoglio, disprezzo, superiorità. Le emozioni connesse alla posizione di resa e sottomissione sarebbero funzionali non soltanto a segnalare la resa all’altro ma anche al mantenimento del nuovo ordine di rango stabilitosi.
Le ricerche di psicopatologia evoluzionista collegano le subroutine di resa, visibili nelle lotte rituali dei primati (ma non solo) per stabilire la gerarchia di rango, alle manifestazioni depressive della specie umana (Price e coll., 1997, McGuire e coll., 1997), le quali sarebbero depositati filogenetici appartenenti all’attivazione del sistema motivazionale agonistico. Ricordiamo che di fronte ai segnali di resa del rivale, il conspecifico vincitore cessa la propria aggressione. Nei vari quadri psicopatologici in adolescenza troviamo invariabilmente emozioni quali paura da giudizio, vergogna, sentimenti di sconfitta o più frequentemente paura di sperimentare emozioni relative alla umiliazione e sconfitta. Da qui i comportamenti protettivi volti ad evitare la possibilità di sperimentare tali emozioni. Uno dei principali comportamenti protettivi è il ritiro dalle interazioni sociali, limitando l’espressione di sé alla nicchia familiare. Possiamo ritenere che le emozioni ed i comportamenti analogabili alle subroutine di resa, siano stati in parte appresi nell’apprendimento vicario per averli osservati nel comportamento e nelle gestione dei problemi attuata dagli adulti di riferimento primario. L’impotenza appresa nella storia delle relazioni primarie, al momento dell’adolescenza in cui il ragazzo è chiamato dai timing evolutivi e sociali ad esporre se stesso fuori dell’ambito delle relazioni familiari, diviene esperienza emozionale di un invincibile destino di sconfitta, di un ineliminabile sentimento di paura che rende l’esistenza improvvisamente mostruosa e terrificante.
Le teorie dell’apprendimento osservazionale, dell’impotenza appresa e quella del sistema comportamentale agonistico, si sono rivelate utili nel lavoro clinico per inquadrare la comprensione del caso, permettendo di costruire dei coerenti modelli mentali di funzionamento sia del paziente adolescente che dell’ambiente primario. Non solo, permettono una ragionevole previsionalità. Infatti la teoria dell’impotenza appresa permette di andare alla ricerca di una causa immediata di frustrazione, attivatrice attuale del vissuto di angosciosa e depressiva impotenza. Al contempo, la teoria dell’apprendimento osservazionale, ci indica una strada maestra da percorrere nel ricostruire le esperienze primarie attraverso cui l’adolescente, allora bambino, apprese dall’impotenza del contesto di riferimento, ed ancora continua ad apprendere interagendo con essi nell’attuale momento. La teoria evoluzionista del sistema comportamentale agonistico permette una specifica contestualizzazione evolutiva della sofferenza psichica e delle modalità protettive patogene.


La psicoterapia psicoanalitica in parallelo

Vorrei, a questo punto, esporre alcuni parametri di tecnica che ho adottato nei trattamenti di adolescenti con gravi psicopatologie, e che conseguono da quanto sopra esposto. Prima, però, è necessario soffermarsi per un tratto sulla coppia dei genitori che, come abbiamo visto, costituiscono un elemento centrale nella psicogenesi delle gravi psicopatologie e che sono parte integrante il trattamento dell’adolescente.
Durante l’infanzia la forte spinta del figlio ad adattarsi all’ambiente relazionale che la coppia genitoriale gli propone, è una potente fonte di senso di efficacia anche per i genitori. In quel periodo evolutivo la presenza del figlio/a ha la funzione sia di disconfermare le “aspettative relazionali negative” (Seganti, 1995, Weiss, 1993) dei genitori, che si erano strutturate nelle loro antiche relazioni con i propri genitori (i nonni del figlio), sia di compensare le disattese al senso di efficacia da loro sperimentate o attese nel mondo esterno alle relazioni di intimità. Ricordiamo come Freud (1914) abbia indicato che il figlio è il rappresentante del narcisismo dei genitori. Se il figlio durante l’infanzia confermò il narcisismo dei genitori, l’entrata nell’adolescenza ne fa una potenziale causa di ferita narcisistica. Annoto soltanto come questa problematica ora esposta, sia funzionalmente connessa alle fondamentali dinamiche collusive (Dicks, 1967) che diedero luogo ed alimentano la vita inconscia di coppia.
Il figlio/a adolescente, dunque, con il passaggio dal primato del sistema attaccamento/accudimento a quello agonistico che potenzia i suoi fisiologici bisogni di assertività, inizia a riproporre ad uno o ad entrambi i genitori le disattese connesse alle loro “aspettative relazionali negative”, che fino a poco prima nell’infanzia aveva, invece, contribuito potentemente a disconfermare. Non solo. I processi di lutto nell’adolescente, come sopra descritti, lo portano ad impersonare aspetti del mondo interno dei genitori, ovvero aspetti dei loro stessi sistemi di paura, incluse le modalità di reazione ad essa. Il genitore assiste così, come in un film del terrore, al riproporsi, attraverso il figlio adolescente, di aspetti suoi propri rispetto ai quali da sempre sperimentò un forte senso di inefficacia.
Il breakdown evolutivo dell’adolescente esprime, di conseguenza, il breakdown della possibilità della coppia dei genitori di affrontare una rivisitazione dei propri sistemi di paura, sia a livello delle relazioni intime che di quelle con il mondo esterno, rivisitazione attraverso cui poter comprendere emozionalmente le attuali angosce che il figlio/a propone. L’impossibilità della coppia genitoriale di affrontare questo lavoro di confrontazione relativo ai propri equilibri emozionali, determina il rispondere agli stati di paura del figlio adolescente negandoli maniacalmente o sentendosene depressivamente ed impotentemente schiacciati. Il risultato è l’incremento, all’interno dei circuiti figlio-genitori-figlio (Giacolini e Carratelli, 2001) dei livelli di angoscia, la quale si riverbera reciprocamente potenziandosi, fino a condurre l’adolescente al breakdown, Da qui la necessità di intervenire su tale sistema relazionale autoriverberante di angoscia, attraverso un lavoro clinico in parallelo sia con il figlio/a adolescente che con la coppia dei genitori, ed in grado di aprirsi a sedute congiunte figlio-genitore/i nei momenti in cui se ne valuti la funzionalità (Ribner, 2000), integrato dalla conduzione del medesimo psicoanalista. In altri lavori (Giacolini e Carratelli, 2001, 2002) ho descritto questo modello di intervento clinico che, oramai da diversi anni, si sta rivelando utile a contenere ed analizzare la produzione emozionale della matrice relazionale costituita dal figlio/a adolescente e dai suoi genitori, permettendo di calarsi, esplorare, ri-costruire ed elaborare i depositi transgenerazionali che contribuiscono potentemente alla produzione di quei modelli operativi, attraverso cui i partecipanti la relazione processano emozionalmente gli accadimenti sia nell’area attaccamento/accudimento che della motivazione agonistica.
Vorrei, a questo punto, soffermarmi brevemente sulla presenza nei due setting, del medesimo analista. Il brekdown di un figlio/a adolescente è caratterizzato, come sopra già esposto, dall’attivarsi di una paura panica di non avere risorse sufficienti ad entrare nel mondo adulto, paura che genera inevitabilmente il riattivarsi potente del sistema motivazionale attaccamento/accudimento, funzionalmente connesso a quello dei genitori.
Il ricovero ospedaliero in un reparto psichiatrico, che quasi invariabilmente segue al momento più acuto di un grave breakdown, rappresenta l'impossibilità di procedere da soli, non soltanto del ragazzo/a ma anche dell'intero gruppo familiare, nella ulteriore definizione e collocazione di se stessi all'interno della rete relazionale della comunità. L'entrata nella pubertà e soprattutto il passaggio all’adolescenza vera e propria, quasi invariabilmente metaforizzato dall'accesso alla scuola media superiore, aveva segnato il definitivo limite con l'infanzia. Diventare malato implica, al contrario, una sorta di moratoria sul passare del tempo e quindi, per il soggetto ed il suo contesto primario, la possibilità di usufruire nuovamente del riconoscimento, da parte del gruppo sociale di appartenenza, del primato del sistema di attaccamento/accudimento. Il setting clinico che si richiede per intraprendere un lavoro analitico di tale assetto relazionale, che forma quello che potremmo definire un soggetto esteso, deve essere tale da potere accogliere e riconoscere ciò che Bion avrebbe definito un gruppo in assunto di base di dipendenza (Bion, 1961). L’analista, quale rappresentante del mondo adulto, è chiamato a formare un vero e proprio gruppo di lavoro specializzato sull’assunto di base di dipendenza (Bion, 1961) o, usando la teoria qui adottata, del sistema attaccamento/accudimento. La presenza ubiquitaria dell’analista nei due setting paralleli, rappresenta una interfaccia emozionale che permette al clinico di diventare parte integrante della trama relazionale familiare, dunque di attuare quella conoscenza relazionale implicita (Stern e coll., 1998) sia delle relazioni primarie tornate a nuova vita, sia dei depositi transgenerazionali in esse contenute, contribuendo ad una nuova regolazione degli antichi modelli relazionali. Al tempo stesso la presenza del medesimo analista nei due setting paralleli ma ben separati, uno per il figlio/a adolescente e l’altro per la coppia dei genitori, permette di riconoscere la specificità di questo momento evolutivo. I massivi processi di questa seconda fase di separazione-individuazione (Blos, 1962), contribuiscono a delineare nell'adolescente un personaggio che ha oramai un suo statuto di persona consensualmente riconosciuto e tale da farne soggetto di una cura psicoanalitica, volta, attraverso la relazione duale e la calibrata applicazione di parametri (Eissler, 1958, Novelletto, 1988, Senise, 1981), ad attuarne un cambiamento sia a livello delle dinamiche procedurali che di quelle dell'elaborazione simbolica.. Contemporaneamente il setting con la coppia dei genitori (Carau e Giacolini, 1996) permette di esplorare la complessità della collusione della coppia coniugale, dalle cui dinamiche e disattese prese e prende vigore il circuito riverberante figlio-genitore-figlio .
Sono giunto a lavorare con questo assetto nei gravi casi di psicopatologia dopo anni di lavoro condotto o sul figlio/a adolescente o sulla coppia dei genitori di casi in cui l’adolescente era seguito da altri colleghi. Le difficoltà, soprattutto le reazioni terapeutiche negative, sia del figlio/a che dei genitori, mi hanno indotto a pensare che ciò dipendesse da un assetto clinico non in grado di accogliere in modo specifico la trama emozionale di una matrice relazionale sotto il segno della paura, in cui era presente la necessità di dare coerenza ad un problema duplice, essere uniti in uno stato di massima dipendenza ma al tempo stesso testimoniare puntualmente il progressivo attuarsi dei processi di separazione-individuazione. E' attraverso il collocarsi dell’analista in quel tratto di mare tra Scilla e Cariddi dove infuria il flusso riverberante del circuito relazionale patogeno figlio-genitori-figlio, che ritengo possano avvenire quei processi di cambiamento che riguardano sia il figlio adolescente, sia i genitori, sia quel particolare sistema “self-organizing” (Tronik, 1998) che sono le relazioni familiari. Vorrei aggiungere, infine, che questo assetto in parallelo permettendo di lavorare all’interno del sistema motivazionale attaccamento/accudimento, permette strategicamente di ricostruire quella base sicura (Bowlby, 1988) attraverso cui fungere da volano proprio del sistema motivazionale agonistico, le cui problematiche furono la conditio sine qua non l’insorgere dei gravi stati psicopatologici in adolescenza.


Riassunto

Il lavoro prende in esame il lavorare clinico con adolescenti che presentano gravi breakdown, quali primi episodi psicotici, quadri borderline, gravi disturbi dell’umore.
La metodica psicoanalitica, che costituisce il modello terapeutico dell’Autore, viene articolata con alcune scoperte e concetti derivati da scienze limitrofe: l’apprendimento vicario o per osservazione, la helplessness, o impotenza appresa, i sistemi di memoria impliciti, il sistema motivazionale agonistico. Questi concetti, che rimandano a specifici funzionamenti mentali, sono particolarmente importanti per meglio comprendere i gravi quadri di breakdown in adolescenza. Essi, inoltre, permettono di individuare la dinamica transgenerazionale, attraverso cui si costruiscono aspetti importanti del funzionamento mentale dell’adolescente gravemente sofferente.
Questa elaborazione di livello metapsicologico, è derivata ed a sua volta ha contribuito allo strutturarsi di un particolare modo di lavorare con adolescenti gravemente sofferenti. Questo modello clinico consiste nello strutturare setting paralleli, uno per il figlio adolescente ed uno per la coppia dei genitori, integrati dalla conduzione del medesimo psicoterapeuta. Tale assetto clinico adottato oramai da anni, si sta rivelando particolarmente funzionale a contenere, analizzare ed elaborare la produzione emozionale sia del figlio adolescente che dei suoi genitori.


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