Le considerazioni che seguono maturano nel contesto di un'esperienza di 15 anni di supervisione a comunità di tipo familiare che accolgono adolescenti borderline.
Il concetto di supervisione nasce con Freud e si sviluppa in quello di training formativo psicoanalitico. Poiché tale nozione è stata adattata ad un uso diverso dall'originale, per comprenderne il senso sarà necessario giustificarla nella metodologia di lavoro delle istituzioni in visione alla quale, pertanto, si accennerà.
Gli adolescenti borderline spesso approdano alle comunità di tipo familiare dopo il fallimento d'altre modalità d'intervento tra loro più o meno integrate: il lavoro sul territorio, sulla famiglia d'origine, la psicoterapia individuale, l'affidamento, l'adozione (Grimaldi 1996). Frequenti fallimenti anche dell'intervento in comunità motivano dimissioni e ricollocazioni, con elicitazione nei ragazzi di vissuti d'espulsione.
La letteratura (M. Khan 1979-1982; Kenberg 1984; Laufer 1984; Novelletto 1986; Green 1990; R. Cahn 1991-1999; Carratelli-Nicolò 1998; Masina (a c.) 2000; Novelletto-Biondo-Monniello 2000; Novelletto-Masina 2001) sostanzialmente motiva difficoltà e fallimenti dell'approccio psicoterapeutico-psicoanalitico classico con le caratteristiche dello psichismo dell'adolescente borderline contrassegnato, dal punto di vista metapsicologico, da ridotte capacità rappresentazionali.
"Ogni analista di adolescenti si sarà trattenuto dall'affrontare (...) nell'ambito di una cura classica adolescenti che presentano una patologia così severa che a causa delle modalità di funzionamento pone ostacoli in definitiva inanalizzabili al processo analitico, perlomeno attraverso procedure classiche" (R. Cahn 1999, p. 289).
Nonostante la letteratura segnali i limiti dell'intervento classico, credo che si sia anche creato un fraintendimento in ambito nosografico e clinico che ha portato confusione epistemologica nelle professioni d'aiuto e allontanamento tra esse e il "lavoro di psicoanalista" (Green 1994, p. 150), nel senso che le tipologie di pazienti definiti borderline dagli psicoanalisti, sulle quali gli analisti stessi hanno studiato e teorizzato, e sulle cui teorie si sono formati operatori psicodinamicamente orientati, spesso non sono quelle trattate dagli operatori nel sociale, ma pazienti comunque in grado di lavorare sul lettino analitico(2).
A mio avviso (Baldini 2003), la comunità di tipo familiare psicodinamicamente orientata è ambito elettivo di cura di adolescenti borderline perchè, condividendo coi ragazzi la vita di tutti i giorni - dal cucinare all'andare a scuola, dal non fare i compiti alla "crisi festiva", alle conseguenze dell'odio bruciante - si dispone ad essere usata come rappresentazione metaforico-metonimica degli affetti originari degli assistiti, una matrice di rappresentazioni sufficientemente concrete da poter essere per loro significative, intendo dire dotabili di senso ed investibili affettivamente(3), mentre altre rappresentazioni, come quelle che si creano nella stanza analitica, spesso rimangono per gli adolescenti borderline prive di senso poichè troppo astratte, significanti troppo lontani dal significato, cose in sè, parole come cose (Dockar Drysdale 1980; Fraiberg 1987; Muscetta 1995). Il discorso include concettualmente il transfert: l'uso classico del più efficace strumento di cura è nei casi in visione spesso interdetto, bloccato nella concretezza, perchè l'analista non è percepito come se fosse un insieme di rappresentazioni di oggetti del vissuto affettivo del ragazzo borderline, per tale adolescente l'analista é quasi concretamente i propri oggetti interni. L'avverbio quasi diviene nel ragazzo al limite una sfumatura inutile, narcisista com'è, e il passato collassa sul presente, non l'ombra dell'oggetto ma l'oggetto stesso cade sull'Io. La comunità familiare invece raccoglie quel quasi, accetta l'ambiguità di essere, pur non essendolo, l'oggetto concreto degli affetti primari del ragazzo e lavora, dal concreto verso il metaforico, per allargare quel quasi fino a che esso sia visibile anche per il ragazzo, e fino a che diventi "come se", aprendo l'adolescente al limite all'esperienza transizionale in lui bloccata (Green 1990).
"Compito colossale (...) richiesto a questi adolescenti è di riconoscere, dopo l'analisi già straordinariamente complessa dei loro pensieri (...) che i suddetti pensieri od emozioni, per quanto intollerabili essi siano, non siano destinati a tale oggetto, ma ad un altro oggetto ancora" (R. Cahn 1999, p.290).
Del resto, che la rudimentalità dell'esperienza rappresentazionale qualifichi lo psichismo del borderline lo si deduce da come la letteratura considera il rapporto tra organizzazione borderline ed esperienza transizionale(4), ed il rapporto tra adolescenza e psicosi(5).
Nell'esperienza riferita, la supervisione, per le caratteristiche psichiche degli assistiti, è divenuta parte integrante ed inscindibile di una metodologia complessiva d'intervento e quest'ultima è approdata, per prove ed errori, al lavoro sul gruppo, da quello interno all'adolescente a quelli di assistiti e operatori, via via fino a considerare in termini gruppali tutto l'ecosistema comunità, le collaborazioni esterne di singoli (psicoterapeuti dei ragazzi, volontari ecc.), altri gruppi (eventuali famiglie d'origine; attività ricreative ecc.) e istituzioni (Enti locali, Tribunale per i minorenni, Unità universitarie ecc.) (Baldini op.cit.).
Perchè il lavoro sul gruppo?
Idea centrale è che lo psichismo dell'adolescente borderline sia dominato da un livello di funzionalità di tipo gruppale, da un gruppo interno arcaico in condizioni di anonimato. Green prevede dentro la sfera psichica dei casi limite la presenza di "nuclei isolati, relativamente strutturati, ma non comunicanti tra di loro" (Green 1999, p. 114). "Riferendoci a Bion - scrive sempre Green - ci troviamo ad insistere sull'importanza del legame o, nel quadro concettuale freudiano, della funzione di legame svolta dall'eros. Il discorso sul caso limite non è una catena di parole, di rappresentazioni o di affetti; è più paragonabile a una collana i cui fili si sono rotti. E' compito specifico dell'osservatore stabilire i legami mancanti, avvalendosi del proprio apparato psichico".
Riflettendo con la letteratura, mi hanno aiutato i classici sulla gruppalità quali Bion (Bion 1961; 1967; 1972), Neri (Neri 1995) e Kaes (Kaes 1999); scritti non diretti a terapie di gruppo quali alcuni di Gaddini (Gaddini 1983-1984); l'esperienza di Monniello-Spano che focalizza su autoanalisi e gruppo il lavoro con l'adolescente medio-grave (Monniello-Spano 2003) e quella di Monniello-Maltese su adolescenza e gruppo (Monniello-Maltese 2000). Molto è venuto incontro il processo evolutivo del pensiero freudiano nello specifico dei lavori del cosiddetto ciclo della debolezza dell'Io(6), la cui trattazione ho affrontato altrove (Baldini op. cit.). Da ciò, l'esperienza di gruppalità emerge come forse l'unica psichicamente significativa per questi adolescenti.
Il percorso evolutivo dal gruppo in condizioni di anonimato a quello comunicante, legante, ha caratterizzato il cammino sia degli assistiti che degli operatori e sia a livello di gruppo esterno che a quello di gruppo interno (Baldini op.cit.). Concetti quali l'asetticità del setting e la non sovrapposizione di livelli affettivi e relazionali non sono significativi nello psichismo gruppale delle comunità per adolescenti borderline. Una certa ambiguità del sistema di cura riflette specularmente, e accoglie, quella dello psichismo degli assistiti, mentre la rigidità metodologica, spesso conseguente alla non sufficiente assunzione interna di valenze identitarie o a difese profonde, porta alla creazione di sacche di non significatività, schegge nello psichismo del gruppo in toto della comunità.
In una prima fase gruppale connotata da scarsa individuazione, in cui la comunità riflette proiettivamente la mente degli adolescenti, sembra fruttifero solo il lavoro svolto in assenza di diversificazioni, le quali spesso non risultano significative per lo psichismo gruppale a quel momento della sua evoluzione.
Spesso quindi la supervisione vera e propria ha fatto seguito ad una fase d'impostazione del lavoro di tutta la comunità, che ho descritto altrove (Baldini op.cit.), o s'è andata individuando progressivamente dal lavoro d'insieme. La supervisione in queste comunità dovrebbe, almeno all'inizio, meglio se anche dopo, coinvolgersi in itinerari formativi, interessarsi da vicino della vita dell'istituzione e finanche dei ragazzi: la struttura per adolescenti borderline, quando riesce a curare avrebbe, e dovrebbe mantenere, un "funzionamento al limite", vero propulsore di salute se si sta bene attenti a cogliere, e non ingessare, quel contatto intrapsichico con la follia degli assistiti; contatto ottenuto per mezzo di quello con la "follia privata" (Green 1990) personale e gruppale. Naturalmente dopo averlo colto, il "funzionamento al limite" va gestito. Compito della supervisione in tal senso è di aiutare a comprendere dinamiche psichiche che spesso oscillano tra "coppie di contrari", tra fuga nella follia e deriva opposta nell'irrigidimento difensivo nella teoretica, nel tecnicismo e nell'istituzionale. Si dovrebbe aiutare il gruppo operatori a mantenere la calma senza negarsi alla follia - anzi accogliendola - e senza cadervi dentro. Accogliere le proiezioni identificative degli assistiti sul gruppo operatori e fare di questo livello d'accoglienza quello "base", è molto difficile per tutti, facilita la circolazione, nel gruppo operatori, di altrettante identificazioni proiettive.
Dopo anni di lavoro, il gruppo operatori può riuscire, senza troppo "spavento", a mettere a disposizione della cura anche la propria "follia privata", individuale e gruppale, i propri aspetti "al limite", "psicotici" e "perversi".
Credo che anche il supervisore di comunità di adolescenti borderline debba mantenere una condizione di non chiusura fuori della propria follia, per accogliere, dal nastro trasportatore della personale, accettata o tollerata, la follia del gruppo operatori che ospita quella del gruppo adolescenti.
La separazione classica e costruttiva delle varie attività di una comunità può essere vissuta, in quelle per adolescenti borderline che funzionino bene, e cioè che accettino d'esser investite dalla follia, come frammentazione dell'intervento, dispersione, freddezza affettiva, con elicitazione d'angoscia negli operatori e nei ragazzi. Rispetto a ciò, la supervisione che sconfini nella formazione e nel lavoro con gli assistiti si dispone ad accogliere le parti frammentate della comunità-gruppo-borderline - proiezione di frammenti psichici d'adolescenza al limite - per veicolarle verso la costituzione di un'unità soggettuale secondo il modello dell'"Io e l'Es" (Freud 1922); un Io "debole", costituito dall'unione di elementi diversificati e legati in rapporto conflittuale fra loro.
Nelle fasi in cui il pensiero del gruppo operatori si colloca a livello di "assunti di base", il pensiero psicotico della mente degli adolescenti, scisso e proiettato nella mente del gruppo operatori, può dominare; gli attacchi alla supervisione sono frequenti, così pure quelli tra operatori o rivolti verso i ragazzi. In tale passaggio di psicotizzazione del pensiero del gruppo operatori, si può registrare un generale, temporaneo peggioramento delle condizioni di salute dei ragazzi.
Nei passaggi in cui la psicosi invade la mente del gruppo operatori, in esso e nei suoi membri compare in vario modo la paura d'impazzire, il timore profondo della propria parte psicotica resa dominante dall'attività psicotica gruppale. In simili contesti, gli incidenti degli adolescenti diventano possibili, con ricadute sulle persone del gruppo operatori o sui ragazzi stessi, più raramente sul fuori-comunità.
Ho notato che un'attività che aiuta a recuperare, dalla temporanea psicosi, la mente del gruppo operatori e a restituirle la pensabilità dei pensieri, in aggiunta e dopo l'interpretazione, è lo studio teorico svolto col supervisore. Studiare insieme sotto la guida del supervisore, dopo una supervisione dominata da senso di panico e frattura, aiuta a ritrovare il pensiero, il ragionamento, la ricomposizione dello psichismo gruppale e la speranza. L'interpretazione finale dell'intera sequenza contribuisce a favorire l'accettazione e la gestione della follia all'interno del gruppo.
Quando il gruppo operatori è in fase d'assunzione d'identificazioni proiettive psicotiche ad origine nel gruppo adolescenti, spesso cerca, in analogia col vissuto degli assistiti, una soluzione alla psicosi nella perversione(7). In tali condizioni, il pensiero del gruppo operatori oscilla tra lo psicotico e il perverso. Col gruppo operatori in condizioni di pensiero perverso possono essere esposti in supervisione aspetti di perversità, come attacchi sadici tra collaboratori o verso i ragazzi, o come alcuni sogni erotici di operatori su assistiti.
Avviciniamo, come esempio, una condizione di reciprocità tra fantasia erotica di adolescente e operatrice. Anna, operatrice, porta in supervisione questo sogno:
"Mauro (adolescente di 17 anni ospite della comunità) guidava la mia macchina. Eravamo soli, io e lui, ed io lo lasciavo fare. Poi abbiamo visto un posto di blocco, ho avuto paura e ho detto di voler riprendere io la guida".
Mauro, nello stesso periodo, confida di nutrire un analogo desiderio:
"Me farei proprio Anna; m' 'a porterei su' 'a maghina de 'n cliente a' 'nfrattcce,(è apprendista meccanico) e m' 'a farei tutta".
Le caratteristiche di contemporaneità e reciprocità tra sogno dell'operatrice e desiderio erotico del ragazzo hanno permesso di lavorare, col gruppo operatori, sulla fluttuazione di affetti profondi dai ragazzi agli operatori e viceversa, arrivando a considerare su dinamiche psichiche di assistiti e operatori, su meccanismi di difesa di entrambi, sulle radici "basse" della motivazione professionale viste come risorse e limiti della potenzialità d'aiuto. Sogni, fantasie, desideri consci, vissuti recuperati alla memoria, vengono, in questa fase evolutiva del gruppo operatori, dotati d'importanza e significanza e sono utilizzati per la comprensione di dinamiche prima spesso inspiegabili(8).
La supervisione, intesa nella maniera che si va descrivendo, accoglie al centro del proprio lavoro gli affetti e permette di agire sullo specifico del deficit della capacità di legare; deficit che caratterizza lo psichismo dell'adolescente borderline e motiva il presentarsi di tale psichismo come gruppo anonimo, senza articolazioni né distinzioni di confini fra le unità. Condizione che, nella comunità, viene concretamente rappresentata nella difficoltà a legare le diverse tipologie di gruppi o individui: operatori, assistiti, responsabili, volontari e supervisore.
Solo con lentezza, spesso nel corso di anni, la fluidità, la pervietà del legame si fa spazio nella comunità, dagli adulti ai ragazzi.
Essendo il gruppo operatori depositario dello psichismo borderline del gruppo adolescenti, un'evoluzione del primo gruppo (operatori) nel senso del legame induce un'analoga evoluzione nel secondo (adolescenti): progressivamente, lo psichismo borderline inizia a trasformarsi da gruppo anonimo a gruppo maggiormente legato fino ad unità soggettuale: gli adolescenti iniziano a stare meglio a seguito del lavoro svolto principalmente sul gruppo operatori nel senso dell'incremento anche conflittuale del legame. Possono verificarsi, a questo livello del cammino del gruppo operatori, processi di reintegrazione dello psichismo individuale dagli operatori ai ragazzi, con franco incremento, nei secondi, di capacità d'apprendimento, socializzazione, tolleranza delle frustrazioni e del conflitto.
Lo spazio, userei dire, tra "gruppo induttore" e "gruppo indotto" non viene percorso una sola volta ma coperto periodicamente avanti e indietro, secondo i noti movimenti del pensiero del gruppo espressione di quelli dello psichismo. Nell'andirivieni sull'asse del legame-non legame secondario ai movimenti del gruppo stesso, si va ad accogliere l'eventuale nuovo venuto - adolescente ma anche operatore - per il quale, così, si ripete l'itinerario descritto anche mentre ve ne sia in corso un altro.
Spesso a seguito della visualizzazione dei risultati migliorativi sugli assistiti, il gruppo operatori crede ed investe progressivamente di più nel lavoro sul proprio gruppo nel contesto della supervisione. Il fenomeno delle regressioni degli assistiti, singolarmente o più spesso in gruppo, a seguito di crisi del gruppo operatori ed il rientro delle prime al rientrare delle seconde, aiuta anche a convincere gli operatori della dipendenza dei miglioramenti nel gruppo adolescenti dal cammino del gruppo operatori.
Quando la fase centrale del processo di supervisione è giunta a buon punto, l'incremento di legame nel gruppo e l'attivarsi dei processi d'individuazione al suo interno non di rado portano alla richiesta di consultazioni singole, con frequente comunicazione di voler avviare un percorso analitico personale. A specchio, anche gli adolescenti iniziano a chiedere consultazioni personali per problemi che ora sentono di avere; incontri che vengono dati e dai quali spesso si matura la scelta spontanea di un percorso psicoterapeutico personale. Non è raro, a questo punto, l'invio al collega e l'avvio di un lavoro sufficientemente ortodosso.
Arrivando alla psicoterapia psicoanalitica attraverso il percorso descritto, non è capitato di riscontrare interruzioni di trattamenti per drop-out o per assenza di significatività clinica.
Note
1 Psicoterapeuta ARPAd e SIPsIA
Indirizzo dell'autore: Via dei Campani 56 - 00185 - Roma - tel 0644700133 E-mail tito.baldini@fastwebnet.it
2 Tranne importanti eccezioni, vedi ad esempio l'opera citata di R. Cahn al Parc Mountsoris (Cahn 1999) e quella di Carratelli-Ferrara-Maltese-Monniello-Sabatello-Spano alla 1° Università di Roma (Carratelli-Nicolò op.cit; Ferrara 2003; Monniello-Spano 2003).
3 Quindi ascrivibili ad ordini di significanza, depositabili come precipitati psichici nello psichismo in via di sviluppo e recuperabili come esperienze apprese da connettere con altre.
4 Mi riferisco, tra altri, al pensiero di Green, il quale ritiene che "i casi limite sono caratterizzati dall'incapacità funzionale di creare dei derivati dello spazio potenziale" (Green 1990), ed a quello di Cahn, alla cui opera al Parc Mountsouris di Parigi si attribuisce la tradizione di produttrice-rigeneratrice d'esperienze transizionali (Cahn 1999).
5 Mi riferisco a Cahn, che considera gli stati limite come "di confine tra la problematica psicotica e quella adolescenziale" (R. Chan 1999).
6 "(...) Vediamo (...) l'Io come una povera cosa che soggiace a un triplice servaggio e che quindi pena sotto le minacce di un triplice pericolo: il pericolo che incombe dal mondo esterno, dalla libido dell'Es e dal rigore del Super-Io" (Freud 1922, p. 517). Il noto concetto si desume da una lettura trasversale dei contributi freudiani riportati in bibiliografia.
7 La questione delle transizioni in adolescenza tra psicosi, nevrosi e perversione è affrontata in: Novelletto (1986) pp. 124-131; Novelletto (1989) pp. 23-26; Lombardo Radice (1986); Lombardo Radice (1989);
8 Ad esempio, in contesti di gruppo, s'è potuto parlare non solo del desiderio sessuale che ha l'adolescente dell'operatore, ma anche del desiderio, spesso rimosso o 'forcluso', che ha l'operatore nei confronti del ragazzo, e si sono potuti connettere al rinnegamento del desiderio dell'operatore gli agiti dell'operatore stesso con l'adolescente, col gruppo dei ragazzi o coi colleghi.
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