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Anno IV - N° 2 - Maggio 2004

Lavori originali: “Il lavoro psicoanalitico con adolescenti nelle istituzioni”
Roma, 8-15-22 Maggio 2004




“Azioni terapeutiche nella psicoterapia psicoanalitica con gli adolescenti nelle istituzioni”

Gianluigi Monniello*



Premessa
L'impegnativo argomento di oggi mi ha sollecitato ad un lavoro analitico sulla mia attività clinica e organizzativa in servizi destinati all'adolescente. Le mie riflessioni, dunque, propongono una visione soggettiva delle esperienze istituzionali delle quali sono stato e sono partecipe.
Questo Dipartimento universitario, grazie ad Arnaldo Novelletto, è stato all'avanguardia in Italia nel campo della psichiatria psicoanalitica dell'adolescenza e compagno di strada, in ritardo solo di qualche anno e purtroppo con molti meno mezzi finanziari ed umani, di altre istituzioni europee dirette da autorevoli colleghi che, con il tempo, ho avuto il piacere di conoscere di persona.
Il mio coinvolgimento è iniziato da specializzando di NPI. Ho vissuto la soddisfazione di partecipare alla fondazione dei primi due servizi psichiatrici destinati all'adolescente, il servizio ambulatoriale ed il Reparto Degenze. A distanza di qualche anno, sospinto anche da un incidente sul campo, occorsomi in Reparto, ho iniziato la mia analisi personale e successivamente il mio training psicoanalitico. Mi sento di appartenere a quel gruppo di colleghi della mia generazione che si sono avvicinati alla psicoanalisi a partire dall'impegno politico e sociale senza per questo sottovalutare, fin dall'inizio, le questioni personali. Mi considero, per riprendere alcuni spunti della discussione di queste giornate, uno psicoanalista "verso il divano".
Nel dicembre 1994 ho contribuito a fondare l'ARPAd ed al suo interno ho ricoperto, per sette anni, la carica amministrativa di segretario.
L'entusiasmo e le promettenti potenzialità di un nutrito gruppo di giovani colleghi, riunito interamente intorno ad Arnaldo Novelletto, ha prodotto, nell'arco di una generazione, diversi risultati operativi e raccolto riconoscimenti scientifici sia a livello nazionale che internazionale. Se forse alcune esperienze potevano essere maggiormente tesaurizzate e alcune concettualizzazioni più sistematizzate, credo che questo vada almeno in buona parte addebitato ad una sorta di fedeltà al funzionamento adolescente, che non valuta l'utile immediato. Ci sono state poi perdite insostituibili, penso ad Adriano Giannotti e a Marco Lombardo Radice e c'è stata una politica accademica che non ha valorizzato la psichiatria dell'adolescenza.
Da qualche anno, grazie al sicuro convincimento di Teresa Carratelli, la psichiatria psicodinamica dell'adolescenza ha una posizione centrale nelle attività della II Divisione e nell'insegnamento universitario. Così, nel 1997, ho avuto l'opportunità di avviare l'esperienza dell'Ospedale Diurno. I dati numerici e di produttività, in continua crescita, garantiscono, almeno per ora, il consenso dell'Azienda Policlinico, anche se i ritmi attuali avvicinano alla condizione del "compito impossibile assegnato a se stessi" (Zagier Roberts, 1994). Così parlare di azioni terapeutiche significa anche essere consapevoli di ciò che si fa e ridurre i rischi di tale deriva.

Azioni terapeutiche nella clinica istituzionale
Descrivo, per prima cosa, alcune necessità fisiologiche da preservare all'interno della cornice istituzionale, perché possano dispiegarsi le azioni terapeutiche.
La clinica istituzionale rivolta all'adolescente fortemente problematico sollecita ad esplorare più e più volte i resti inconsci dell'area materna originaria. Credo che questa interpretazione psicoanalitica non sia riduttiva e banale ma piuttosto di grande valore e possa orientarci data la nostra connaturata condizione di nascere comunque dentro le istituzioni, dentro condomini, come ci ha ricordato Novelletto (2004). Tante vicissitudini personali che ciascuno di noi attraversa nei suoi incontri ravvicinati con le istituzioni possono essere tradotte, anche solo a titolo di semplice esercizio interpretativo, in altrettanti dialoghi infiniti con la prima istituzione nella quale siamo immessi, la madre. Variegati sono i paesaggi possibili, dai più sereni e ariosi ai più inquieti e opprimenti.
Con una acutezza quasi poetica, Searles (1979) ha ipotizzato che uno degli impulsi innati più potenti che l'uomo ha nei confronti dei suoi simili, a partire dall'inizio della sua vita, sia un impulso essenzialmente psicoterapeutico. Tale impulso, la cui natura non può che essere altruistica (interesse per l'altro) e al contempo egoistica (autoconservativa), sarebbe subito in azione nei confronti della propria madre. L'aspetto cruciale è che ciascuno di noi deve, fin da subito, sentire di essere capace di farlo, altrimenti, prima o poi, si ammala psichicamente.
Se questo è lo scenario nel quale invariabilmente ci muoviamo è necessario allora considerare dove si collochi la presenza della figura del padre, perché possa declinarsi una salutare triangolazione edipica.
In altri tempi la dimensione paterna veniva nutrita e rafforzata attraverso l'ascolto dei padri pneumatofori, dei maestri spirituali. Per la mente adolescente di oggi alimentare la dimensione paterna è più di un antidoto, significa prevenire il delirio di veneficio e di influenzamento che può derivare dall'essere risucchiati dalla dimensione del materno originario. Significa anche sentirsi sufficientemente garantiti di non trasmettere alle generazioni successive un senso di indifferenziazione, di incertezza dei propri limiti identitari o l'idea di escursioni incestuose sempre passibili di restare impunite.
Grande intuizione della psicoanalisi, mantenere vivo il pensiero del suo padre fondatore, Freud, far lavorare il suo pensiero. Come scrive Mitchell (1993): "Uno degli aspetti più caratteristici e più affascinanti della psicoanalisi è la centralità e la presenza costante del suo fondatore". Ciò che intendo suggerire è che la psicoanalisi, in quanto disciplina, invita ad un atteggiamento di dedizione verso le fonti originarie quale elemento che garantisce i personali processi creativi e trasformativi. Quando il legame a queste fonti manca o è reciso emerge l'angoscia di separazione con le relative manifestazioni psicopatologiche quali i passaggi all'atto, le scissioni e le competizioni distruttive.
Nel '68 c'era uno slogan che ho sempre avuto a cuore. A 15 anni avevo riprodotto il manifesto che lo conteneva e lo avevo appeso nella mia stanza. Diceva: "L'état c'est chacun de nous". Mi torna sempre in mente quando sono chiamato a ricordare, all'interno del Diurno, di non considerare proprietà personale quanto appartiene all'istituzione. Ripensando a quella mia iniziativa di adolescente, mi verrebbe da interpretarmi così: conteneva il tentativo di rappresentare un luogo dove pensarmi in intimità né fusionale né incestuosa con altre persone.
Un'altra necessità fisiologica è aver cura del luogo di insediamento istituzionale. L'importanza del coinvolgimento dell'ambiente esterno da parte dell'adolescente è ampiamente descritto in letteratura. In particolare Jeammet (1980) ha parlato di "spazio psichico allargato" proprio per sottolineare come l'adolescente tenda a riversare sull'ambiente parte delle funzioni deputate al suo apparato psichico in difficoltà. Come ho già sostenuto in un altro lavoro (Monniello, Spano, 2003) l'ambiente istituzionale per rendersi terapeutico deve tendere a costruirsi come un "sito analitico allargato". Tale concetto riprende la metafora proposta da Donnet (1985) di "sito analitico" per figurare l'azione analitica e lo spazio-tempo in cui essa si "situa". E' la partecipazione dell'intero gruppo dei curanti alla costruzione del sito analitico allargato, luogo di possibile insediamento per lo sviluppo della vita psichica, a svolgere una azione terapeutica specifica per l'adolescente attraverso una serie di strategie terapeutiche secondarie (osservazione e confronto con altre manifestazioni comportamentali e relazionali, confronto con convinzioni o immagini di se stessi disfunzionali, incoraggiamento a ricercare soluzioni nuove ai problemi, esposizione alle situazioni temute, senso di accettazione di ciò che viene espresso e validazione empatica della prospettiva di ciascuno, per segnalarne solo alcune).
Una ulteriore necessità fisiologica, perché l'istituzione svolga una azione terapeutica, riguarda l'assetto mentale dei componenti del gruppo dei curanti e di chi li dirige. Si tratta di mantenere attivo il funzionamento analitico nei confronti dell'adolescente, delle dinamiche di gruppo e soprattutto di se stessi. L'autoanalisi, il lavoro riflessivo sul proprio funzionamento affinato dall'esperienza analitica personale, fornisce "quel qualcosa in più" che è necessario alla relazione con l'adolescente per produrre il cambiamento.
Quando parlo di autoanalisi non mi riferisco quindi all'uso che ne faceva Freud che si è analizzato da solo, né a quanto resta di non analizzato dopo l'analisi personale; resti che peraltro possono avere un valore significativo nelle dinamiche controtransferali con il paziente. Mi riferisco, in particolare, alla personale disponibilità, da parte dei curanti, a rivisitare la naturale incompiutezza della loro vita adolescente. L'azione terapeutica, infatti, risiede in un aspetto della soggettività di ciascun operatore: nella sua capacità di immaginare, mentre si sintonizza con la condizione adolescente, la crescita potenziale di quest'ultimo. E' tale condizione a rilanciare i processi di sviluppo. Tutto ciò, ancora una volta, evidenzia quanto sia necessario che una istituzione psichiatrica per adolescenti sia diretta da uno psicoanalista che possa funzionare come tale (Monniello et al., 2000).

Quale tipo di psicoterapia psicoanalitica è possibile all'interno di un ambiente istituzionale?
Di fronte alla grande mole di richieste di aiuto, alle scarse risorse umane, alle pressioni produttive dovute all'aziendalizzazione da una parte e al necessario ventaglio di offerte terapeutiche che l'adolescente fortemente problematico richiede dall'altra, c'è la consapevolezza di svolgere prevalentemente una attività di osservazione psicodiagnostica, di diagnosi lunga (Novelletto,1986) o di psicoterapia di sostegno, sia nel setting individuale che in quello della psicoterapia di gruppo.
Tutto questo nel tempo ha prodotto modelli di intervento centrati sull'analisi del sé, sulla restaurazione di un narcisismo fragilizzato, sulla rimessa in moto dei processi maturativi, sulla riabilitazione psichica. D'altra parte la prospettiva di ricollocare l'adolescente in un percorso sano di sviluppo costituisce un punto d'arrivo spesso irraggiungibile in molti dei quadri psicopatologici complessi con i quali ci confrontiamo quotidianamente.
In molti casi l'auspicio può essere quello di avviare ad un futuro lavoro psicoanalitico l'adolescente che, in una situazione di sofferenza psichica, ha potuto incontrare un interlocutore attento e rispettoso del suo funzionamento adolescenziale.
Date queste condizioni limitate di disponibilità esterne ed interne è naturale chiedersi come sia possibile mantenere operanti le condizioni necessarie, perché si possa avviare, nell'adolescente, una domanda d'analisi, seppur, certamente, in forma implicita. Non si può, infatti, che essere d'accordo con Piera Aulagnier (1975) quando scrive: "Perché ci sia una domanda, è necessaria una offerta. L'atto di domandare implica che chi risponde sia sperato essere, dal richiedente, desideroso di tale domanda... e permetta una localizzazione nel registro relazionale e dunque nella posizione identificatoria dei due interlocutori". In realtà in ambito istituzionale universitario il pensiero dell'analista, la sua attenzione liberamente fluttuante, le sue libere associazioni sono spesso distratti, frastornati, messi fuori causa dalle pressioni quotidiane, quali i doveri di assistenza, il rispetto di regole amministrative, i rapporti con i superiori e con i collaboratori, l'insegnamento agli studenti, pressioni che possono limitare la disposizione professionale e le capacità di ascolto di sé e dell'altro.
Perché il pensiero psicoanalitico resti operante e vivificante nel contesto istituzionale è necessario poter attingere, di tanto in tanto, quando è possibile, nell'istituzione e con l'adolescente, alla "convinzione all'opera" rappresentata dall'essere dentro una "situazione analizzante", sufficientemente stabile da dare continuità all'azione analitica e allo spazio-tempo nella quale essa si situa.

Azioni terapeutiche nella psicoterapia psicoanalitica nelle istituzioni
Spesso mi domando che cosa sia risultato terapeuticamente efficace nelle esperienze psicoterapeutiche da me condotte con l'adolescente. Lavorare in una istituzione ha il vantaggio di vedere spesso ritornare dei giovani, degli adulti a richiedere la traccia scritta del loro percorso istituzionale, e cioè la cartella clinica. Spesso si tratta dei casi più problematici, di coloro che hanno imboccato una carriera psichiatrica. Di solito le loro storie sono quelle che ricostruisco più facilmente, perché non si sono trasformate di molto. Altri hanno dei ricordi dell'ambiente, ma sui contenuti domina la rimozione. Di tanto in tanto, ed è l'esito più rasserenante, alcuni riferiscono di non avere ricordi particolari della relazione ma piuttosto di aver provato nella loro mente un "clic" e di aver cominciato a pensare, a riflettere e questo mi sembra l'esito più significativo. L'oggetto esterno assolutamente necessario all'organizzazione della struttura psichica si è sanamente cancellato, si è fatto dimenticare.
La psicoterapia psicoanalitica, in questi casi, ha rappresentato una seconda occasione per il loro sviluppo, ha proposto una costrizione spazio-temporale e instaurato un nuovo rapporto con la temporalità psichica. Una pausa durante la quale si è realizzato un ritorno su di sé, in una posteriorità fino a quel momento impossibile.
I processi all'opera, nelle azioni terapeutiche della psicoterapia psicoanalitica con gli adolescenti, possono schematicamente essere organizzati secondo due categorie: quelli che fanno uso dei vari apporti trasformativi legati alla relazione terapeutica e quelli che favoriscono l'introspezione e quindi il consolidamento dell'identità.

Apporti trasformativi legati alla relazione terapeutica.
L'ampliamento delle conoscenze sullo sviluppo infantile ha permesso di riconoscere il ruolo centrale giocato dall'empatia, dalla responsività, dagli scambi visivi, dalla sintonizzazione affettiva, dalla contingenza della risposta e dal senso di sentirsi agenti del proprio cambiamento. Tutti questi diversi processi relazionali possono essere considerati alla luce dei concetti di rispecchiamento e di risonanza.
Ritengo che anche l'adolescente sia biologicamente orientato a ricercare il rispecchiamento, condizione che rilancia lo scambio intersoggettivo e che permette la progressiva consapevolezza dell'esistenza di qualcuno che capisce e risponde intenzionalmente alle sue attese adolescenziali.
E' ora possibile riconoscere le basi neurofisiologiche del rispecchiamento nei cosiddetti "neuroni specchio" (Rizzolatti, Arbib, 1998). La struttura dei neuroni specchio ed il loro funzionamento hanno suggerito l'esistenza di un legame con gli eventi della psicoterapia: il sistema dei neuroni specchio immagazzina e codifica modelli comportamentali inconsci non riflessivi, modelli di risposte che sono definiti "memoria procedurale" (Stern, 1998). Pertanto, ad esempio, l'essere vicini ad un terapeuta che rimanga calmo e comprensivo, che mostri compassione e sollecitudine quando il paziente rivive una situazione traumatica, produce una nuova e salutare esperienza emotiva.
La risonanza, invece, è stata descritta come la risposta di una persona ad un'altra, laddove è la sonorità espressa ad essere riconosciuta e a generare una risposta. Alla base ci sono quei processi identificati da Stern come modalità di condivisioni di stati, modalità di essere vicini all'altro, tutte condizioni che implicano la sincronizzazione dei suoni con i gesti. Meares (2000) considera l'effetto della risonanza come la trasformazione di un processo lineare in un processo complesso.
D'altra parte la non risonanza si manifesta come incapacità a farsi coinvolgere, a connettersi emotivamente con gli altri attraverso gli stati di condivisione e di sintonizzazione. La non risonanza è un fattore che milita contro il cambiamento psichico.
Una particolare caratteristica dei pazienti adolescenti con disturbi della personalità è una sorta di analfabetismo emotivo, per cui il linguaggio delle emozioni risulta alieno. Tali pazienti sembrano non possedere una precisa nozione dell'essere emotivamente compresi da qualcuno capace di tollerare, capire, sentire e contenere il dolore di un'altra persona.
Il continuo possibile riarticolarsi del rispecchiamento e della risonanza con l'adolescente si traduce, secondo me, nella possibilità di nuove occasioni di rimaneggiamento psichico particolarmente ampie che echeggiano le prime fasi dello sviluppo ma in presenza delle specificità cognitive dell'adolescenza. Tale nuova condizione può essere descritta, nel linguaggio delle neuroscienze, come modificazione delle reti associative inconsce e, nel linguaggio psicoanalitico, come riorganizzazione e potenziamento del funzionamento preconscio.
Un'azione terapeutica fondamentale è riconoscere e nominare la sofferenza narcisistica dell'adolescente e così darle dignità ai suoi occhi. E' qui che l'empatia svolge il suo ruolo insostituibile. Questo significa percepire dentro di noi la sofferenza dell'adolescente, impegnato suo malgrado nel processo di crescita, sofferenza che si cela sotto i suoi agiti tragici, onnipotenti e drastici, autodistruttivi e distruttivi. Sono il riconoscimento e la conoscenza empatici dell'analista a comunicare all'adolescente la dignità della sua sofferenza. Anche fino ad arrivare a dichiarare, nei casi più difficili, la propria personale impotenza, speculare alla sua, di fronte alla pervasiva e crudele delusione che egli prova, senza possibilità di appello, nei confronti di se stesso.
Può avvenire allora che l'adolescente intraveda una via d'uscita, la possibilità di salvare la faccia, di operare una concertazione fra parti di sé, si distragga dall'essere solo follemente dipendente e si ritrovi, sorpreso e stupito, ad investire altri aspetti di sé e dell'oggetto. Ma perché ciò avvenga è necessario che l'analista dia voce ai suoi personali moti di intolleranza verso i propri vissuti di indifferenziazione e, al contempo, si lasci andare alla forza di attrazione, al richiamo che l'orbita materna ancora esercita su di lui. In questo senso il lavoro di lutto per l'espulsione dalla perfezione del narcisismo primario non si esaurisce una volta per tutte ma rappresenta un lavoro in corso, svolto su una linea di cresta, al limite, sul bordo, al servizio del nostro psichismo e del nostro operare psicoanalitico.
Marina, 17 anni e mezzo, a pochi mesi dall'esame di maturità, smette di andare a scuola, rifiuta di rispondere al telefono a compagni e professori, non mangia. Non si dispera neppure più e non ha più lacrime per piangere. Resta seduta sul suo letto, immobile.
Marina è sempre stata una ragazza giudiziosa, impegnata socialmente, generosa e sensibile. I genitori, inizialmente disorientati e delusi, la hanno esortata sia con le buone che con le cattive a reagire. Quindi, con il passare dei giorni, si sono fatti molto preoccupati e spaventati. Non riconoscono più la figlia, non sanno più come prenderla. La madre si rende conto che arrabbiarsi non serve, ma il vedere la figlia in quelle condizioni la annienta, la rende folle. Ha bisogno di fare qualcosa, in preda all'angoscia, prefigura il peggio. Ha avuto il mio nominativo. Mi telefona, insistentemente, al Dipartimento, viene personalmente a cercarmi. Mi fa chiamare anche da un collega. Si profila come una situazione fortemente problematica.
Marina accetta di parlare, di incontrarmi. Parla di sé, di come era e di come in pochi giorni sia cambiata la sua vita e quella della sua famiglia. Aveva già progettato di intraprendere la stessa professione dei genitori. Le era sembrato un percorso naturale. Ora non se ne farà più niente. Ripete, con la sua voce, molte delle cose che la madre mi aveva raccontato per telefono. Sa del collega che mi ha cercato. E' molto amico dei genitori. "Fa il medico di famiglia. Va sempre di corsa, anche se è simpatico".
Le dico che con quel medico siamo molto amici, da adolescenti.
Si descrive nella sua stanza, immobile, a non fare niente. Mi sembra quasi attendere una mia conferma alla sua indegnità. Resto in silenzio. Mi trovo a pensare che, in questo periodo, sempre più spesso, nella mia stanza, in Diurno, mi piacerebbe riuscire a non fare nulla. Non rispondere al telefono, non vedere altri nuovi casi, non ascoltare altre storie difficili.
Marina, nel frattempo, inizia a guardarsi intorno. Osserva la stanza. Il suo sguardo si sofferma un po' più a lungo sulla porta chiusa. Noto una qualche espressione sul suo volto, che sul momento non so decifrare. Dal corridoio arrivano le voci forti e invadenti dei ragazzi e di rimando quelle degli operatori. Temo che da un momento all'altro la porta possa venire aperta e mi sia richiesto qualcosa. Penso, con un misto di delusione e irritazione, alla discrepanza fra le mie teorizzazioni sul "sito analitico allargato" e la realtà della vita quotidiana nella mia famiglia istituzionale. Mi torna in mente un storiella zen. Un monaco è inseguito da una tigre e scappando si trova sul bordo di un precipizio. Sotto un'altra tigre lo aspetta. C'è solo una radice di vite selvatica alla quale aggrapparsi. Ci si aggrappa ma due topi iniziano a rosicchiare la radice. Vicino alla radice vede una bella fragola. La afferra. Come era dolce quella fragola! Mi trovo a sorridere fra me e me per quella nuova via e smetto di continuare a pensare in termini dicotomici.
Riconosco che mi fa proprio piacere di stare chiuso nella mia stanza con una ragazza, graziosa anche se triste, con le occhiaie, ripiegata su se stessa. Qualche volta con una delle mie figlie ci rifugiamo, dal resto della famiglia, nel mio studio. Lei fa i suoi compiti ed io i miei.
Le chiedo della sua stanza. Sì, lì c'è qualcosa di suo, la sente la sua stanza. Aggiunge: "Solo in questi ultimi giorni, da quando sto così, riesco a chiudere la porta".
Le dico: "Che bella cosa chiudere la porta".
E' sorpresa. Il gesto di chiudere la porta lo vive ogni volta come una sgarberia nei riguardi della madre, così come non fare niente.
Le propongo l'ipotesi della presenza in lei di un progetto spontaneo e saggio che la spinge ora a stare da sola. E' una esigenza assolutamente vitale. E' legittimo fermarsi e potersi così ascoltare. Il suo ritiro è un modo per farsi più capace. E'una sua esigenza di maturazione che ha deciso di seguire.
Marina sorride e commenta che a questa ipotesi non aveva mai pensato.
Momento particolarmente efficace, mutativo di incontro fra Marina e me. Ambedue ora siamo ben contenti di chiudere la porta. Difficile stabilire esattamente il modo attraverso il quale si sia prodotto il cambiamento, resta il fatto che Marina ora dispone di una nuova conoscenza, potremmo dire implicita, che le permette di modificare il suo precedente modo di essere in relazione con l'altra persona.

Introspezione e consolidamento dell'identità.
Scrive Winnicott (1969): "Dobbiamo prendere come assunto di base la tendenza ereditaria di ogni nuovo individuo verso la crescita e lo sviluppo. In condizioni ambientali sufficientemente buone, l'individuo porta dentro di sé, tra le altre cose, una tendenza verso l'integrazione della personalità".
La naturale spinta all'autocura è stato valorizzata da Anthony (1974) in un famoso lavoro, tradotto nell'ultimo numero della rivista telematica Adolescenza e Psicoanalisi (2004), ma trova ora maggior respiro nel concetto di self-righting (autocorrezione, ristabilimento autonomo dell'equilibrio) utilizzato da Lichtenberg (1989). Tale concetto è stato mutuato dall'embriologia e ripreso anche da Edelman (1989) che ha parlato dell'esistenza di veri e propri piani, evoluzionisticamente fondati, codificati nel genoma umano, in grado di generare sistemi motivazionali innati. Tali piani non sono cancellabili, per cui l'individuo tende a ripristinarli, quando il piano non è realizzabile. Resta, comunque, la possibilità che la tendenza al self-righting sia influenzata dalle esperienze delle prime relazioni con le figure di accudimento. Ciò aiuterebbe a spiegare i casi in cui essa appare poco o affatto operante (Pancheri, Paparo, 2003).
Tornando a Lichtenberg, ricordo che secondo questo autore il progresso nell'analisi è il risultato di due processi: il self-righting, cioè il ritorno al funzionamento normale che avviene, entro certi limiti, quando un ostacolo è stato rimosso, e la riorganizzazione delle rappresentazioni simboliche (insight), che avviene attraverso la scoperta di nuovi significati. Il self-righting è promosso dalla comprensione empatica e dalla responsività dell'analista.
Del resto l'esperienza dell'introspezione, nell'adolescente, è soprattutto legata allo sviluppo della capacità autoriflessiva, all'accesso alle libere associazioni e al ripetersi dell'esperienza di provare più e più volte piacere nel pensare. L'introspezione richiede un allenamento ad abbandonarsi, lasciarsi andare alle libere associazioni. E' pertanto il punto d'arrivo del processo adolescenziale normale e rappresenta il banco di prova degli investimenti narcisistici e oggettuali, e quindi della qualità del lavoro terapeutico svolto.
Classicamente l'introspezione, nel trattamento analitico, è il risultato dell'interpretazione di transfert, cioè della trasposizione di sentimenti, fantasie, desideri, qualunque ne sia l'origine, sulla persona dell'analista da parte del paziente. Riguardo a questa fondamentale questione dell'interpretazione e del transfert nel lavoro clinico con l'adolescente, rimando al lavoro scritto con Adriana Maltese (1998).
Comunque, sulla scia dell'interpretazione di transfert la tecnica interpretativa, in adolescenza, ha ricercato focalizzazioni diverse quali l'interpretazione del transfert di breakdown, sostenuta da Egle e Moses Laufer che hanno sempre sottolineato la necessità di favorire la presa di coscienza, nell'adolescente, dell'esperienza di crollo dell'assetto del suo apparato psichico, a seguito dell'evento puberale. E' tale esperienza a renderlo incapace di integrare il proprio corpo sessuato nell'immagine che egli ha di se stesso. Per molti anni il riconoscimento, l'esplorazione e l'elaborazione delle caratteristiche della fantasia masturbatoria centrale, depositaria del vissuto di breakdown, ha costituito un riferimento cruciale nel lavoro analitico con l'adolescente.
Un'altra forma di intervento interpretativo muove dalla concettualizzazione di Jeammet, il quale considera centrale, in adolescenza, l'emergere della patologia della dipendenza dall'oggetto esterno che diventa drammaticamente necessario per controbilanciare la carenza delle basi narcisistiche. L'adolescente è allora esposto continuamente alla invadente presenza di vissuti minacciosi di fragilità e mortificazione narcisistica. Il transfert è quindi primariamente di carattere narcisistico, anela ad un sostegno al sé e pertanto gli interventi interpretativi perseguono l'obiettivo di rafforzare la fragilità identitaria.
Un interessante contributo interpretativo è quello che propone all'adolescente di leggere molte sue manifestazioni sintomatiche e comportamentali, nonché molte sue produzioni oniriche come personali costruzioni di scene, le scene pubertarie che tradurrebbero in forma attiva, grazie ai suoi attuali strumenti cognitivi e in presenza di un corpo sessuato, quanto non è stato organizzato ma piuttosto subìto passivamente nel confronto con la scena primaria, nel corso dell'infanzia. Così l'attenzione viene rivolta soprattutto verso colui che è già adolescente piuttosto che verso il bambino presente nel discorso dell'adolescente. L'infantile potrà essere ascoltato dall'adolescente e sarà quindi disponibile per il processo di cura solo più tardi, quando i processi adolescenti avranno svolto il loro corso (Gutton, 2000).
Ancora, possono essere segnalati all'adolescente, per comprendere le sue difficoltà, alcuni possibili impedimenti alla sua soggettivazione, nel corso del suo sviluppo. Alcuni eventi della vita avrebbero ritardato la possibilità di fare le esperienze necessarie che ora possono essere ricercate attraverso
le manifestazioni psicopatologiche. Di fronte ai possibili rischi per il suo sviluppo psichico, è essenziale per l'adolescente lavorare alla costruzione di un proprio sistema referenziale adeguato, esterno a sé, al proprio universo duale e narcisistico, che abbia la forza d'attrazione necessaria e sufficiente per avviare una differenziazione soggettivante.
La tecnica consigliata è quella di favorire l'autointerpretazione dell'adolescente, piuttosto che interpretare dall'esterno. All'analista è richiesto uno stile d'interlocuzione dialogica, finalizzato a sensibilizzare l'adolescente verso il sicuro convincimento dell'esistenza di un suo apparato psichico e dell'inconscio.
Mario ha ora più di 19 anni. Ha iniziato il suo ricovero in Diurno e la sua psicoterapia individuale più di tre anni fa. Era allora completamente in balia di crisi d'angoscia paralizzanti che gli impedivano la frequenza scolastica e le uscite con gli amici. Viveva stati di disperazione e resisteva a fatica, aggrappandosi alla madre, a voci e visioni che lo spingevano, nel corso di crisi improvvise di panico, a gettarsi dalla finestra alla ricerca di una possibile liberazione, nell'illusione di prendere il volo.
Bambino deprivato della presenza della madre, per una crisi depressiva protratta di quest'ultima dopo la sua nascita, Mario aveva molto idealizzato il padre, persona con idee grandiose, ma con una vita fallimentare anche perché alcolista.
Recentemente Mario mi dice di aver scoperto qualcosa. Fino ad ora lui coltivava, nonostante tutto la fantasia che la sua vita sarebbe cambiata così, in un momento, ad un certo punto. Sarebbe arrivato qualcuno che lo avrebbe liberato da tutte le sue difficoltà e da tutti i suoi problemi.
Ha ora l'impressione che questa fantasia sia venuta meno. Sente che le sue realizzazioni richiedono tempo e fatica per essere gradualmente realizzate.
Da parte mia mi limito a riprendere quel suo avverbio, gradualmente.
Mario sottolinea allora che quello che ritiene di aver soprattutto ricevuto dal lavoro analitico è il senso della gradualità delle cose. Ha scoperto la possibilità di costruire per strati e aggiunge: "Così anche il fatto di trovare qui una sintonia con lei; ho scoperto che è il risultato di qualcosa che posso scegliere, progettare, cercare di realizzare. Prima pensavo che l'essere in sintonia con lei fosse "matematico". Era così e basta. Qui, con lei, tutto poteva essere solo buono, positivo, ottimale. Ora mi rendo conto che questa fantasia escludeva la mia possibilità di scegliere in prima persona. Era come se nulla dipendesse da me. Come quando si ha una immagine dei propri genitori come perfetti, rispetto alla loro reale condizione. Ma, se sono perfetti, tutto è nelle loro mani, me compreso!".
Ho ripreso questo breve passaggio clinico per segnalare come l'accesso alla soggettivazione stabile sia il risultato dei processi di interiorizzazione della relazione terapeutica.
A proposito della posizione dell'analista nella relazione analitica l'accento è oggi non più sulle regole di comportamento ma sul rigore del pensiero, non sulle restrizioni e sull'autocontrollo ma sul coinvolgimento emotivo nell'autoriflessione, non sull'applicazione di una psicoanalisi per tutte le situazioni ma sulla partecipazione creativa dell'analista.
La riflessione è dunque rivolta alla persona dell'analista, alla sua formazione, ai suoi vissuti controtransferali, in buona sostanza al suo funzionamento mentale.
Secondo Laufer (1996) è necessario che l'analista d'adolescente svolga frequenti viaggi nella propria adolescenza. Solo così, infatti, viene favorita quella condizione di libertà interiore che serve all'analista d'adolescente. Nel lavoro clinico va pertanto riconosciuta una emergenza necessaria di aspetti adolescenziali personali che sono alla ricerca di una loro figurazione e che si pongono al servizio del processo di sviluppo dell'adolescente.
E' bene ricordare, infine, che l'adolescente vive il bisogno di dispiegare diversi transfert, perché questo è attinente alla sua crescita. Può essere allora indicato non alimentare taluni tentativi dell'adolescente di ripetere con l'analista il rapporto che ha avuto con la figura materna, tentativi volti a ritardare la progressione e la differenziazione a discapito dell'investimento su di sé e su nuovi oggetti. L'obiettivo resta quello di accompagnare l'adolescente nel difficile confronto con la sua crescita emotiva, sostenendolo nell'investimento del suo funzionamento mentale, emotivo e cognitivo, investimento terzo fra narcisismo e oggettualità.

Conclusioni
L'impatto della pubertà segna la fine dell'infanzia. L'adolescente vive una serie di processi di trasformazione, che come psicoanalisti abbiamo l'opportunità di incontrare in corso d'opera. La comprensione del processo di soggettivazione dell'adolescente richiede una specificità psicoterapeutica ormai, credo, riconosciuta da tutti. All'intensità del gioco pulsionale e alla parte assunta dall'oggetto esterno nel lavorìo psichico della mente adolescente, si aggiunge il potenziamento dei processi "auto" (autoerotismi, funzione autoriflessiva). Così, al contempo, realtà esterna (alterità) e realtà interna (processi "auto") caratterizzano la grande ricchezza dello psichismo adolescente.
Per questo la psicoanalisi trova tutto il suo senso e la sua specificità ma anche nuova vitalità nell'incontrare l'adolescente.
La riflessione sulle azioni terapeutiche nella psicoterapia psicoanalitica con l'adolescente in istituzione, indica come le esplorazioni psicoanalitiche sul funzionamento della mente adolescente, se condotte con dedizione, possano offrire apporti sorprendenti, in termini di crescita mentale, all'adolescente ed all'analista e contribuire a regolare il funzionamento della vita delle istituzioni destinate al trattamento dell'adolescente problematico. Anche se al momento attuale non è possibile stabilire esattamente quali siano le modalità attraverso le quali la psicoterapia psicoanalitica può produrre un cambiamento, siamo maggiormente in grado di riconoscere quali possano essere gli impedimenti al processo di soggettivazione da rimuovere perché esso possa continuare a svolgere il suo corso.
Sarebbe irragionevole che proprio quando i contributi delle neuroscienze cognitive confermano la centralità imprescindibile della relazione umana per lo sviluppo psichico, come hanno sottolineato nel loro lavoro Carratelli e Ardizzone (2004), il pensiero e il metodo psicoanalitici non siano posti saldamente al centro dell'operare psichiatrico, trasmettendo l'importanza dello spazio e del tempo necessari perché l'incontro fra due apparati psichici possa dispiegarsi e dare i suoi frutti sotto forma di salute mentale.

Riassunto
Il lavoro propone le riflessioni dell'Autore sulla storia della sua personale attività clinica e organizzativa condotta in servizi destinati all'adolescente, in ambito universitario (Università degli Studi "La Sapienza"). Sono indicate le necessità fisiologiche da preservare all'interno della cornice istituzionale, perché possano dispiegarsi efficaci azioni terapeutiche (costruire un luogo che permetta una intimità né fusionale né incestuosa con le altre persone, aver cura del luogo di insediamento istituzionale e dell'assetto mentale dei componenti del gruppo dei curanti e di chi li dirige). Viene sostenuta la possibilità e l'utilità di condurre anche vere e proprie psicoterapie psicoanalitiche accanto ai diversi interventi terapeutici e riabilitativi previsti nel Diurno, servizio destinato ad adolescenti con una psicopatologia medio-grave.
In particolare i processi all'opera, nelle azioni terapeutiche della psicoterapia psicoanalitica con gli adolescenti, sono schematicamente distinte in due categorie: quelli che fanno uso dei vari apporti trasformativi legati alla relazione terapeutica e quelli che favoriscono l'introspezione e quindi il consolidamento dell'identità. Due storie cliniche illustrano il dispiegarsi di tali azioni terapeutiche. Inoltre, sostiene l'Autore, l'attenta considerazione delle azioni terapeutiche nella psicoterapia psicoanalitica con l'adolescente in istituzione, evidenzia che "le esplorazioni psicoanalitiche" sul funzionamento della mente adolescente, se condotte con dedizione, offrono notevoli apporti, in termini di crescita mentale, all'adolescente ed all'analista e contribuiscono a regolare il funzionamento della vita delle istituzioni destinate al trattamento dell'adolescente problematico.


Note
* (Dipartimento di Scienze Neurologiche, Psichiatriche e Riabilitative dell'Età Evolutiva, 2° Divisione (Primario Prof.ssa Teresa Carratelli), Università degli Studi di Roma "La Sapienza". Psicoanalista SPI, Socio fondatore ARPAd, Vice President I.S.A.P.


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