| | Anno IV - N° 2 - Maggio 2004
Lavori originali: Il lavoro psicoanalitico con adolescenti nelle istituzioni Roma, 8-15-22 Maggio 2004
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La Supervisione in istituzione quale strumento per motivare alla formazione psicodinamica
Cristina Ricciardi*
In via preliminare propongo alcune delimitazioni di campo:
- il lavoro di supervisione cui faccio riferimento non tende alla formazione di operatori che lavorano stabilmente in ambito psichiatrico; si configura come un'occasione al servizio di giovani appena laureati in medicina e in psicologia che si avvicinano all'area dell'adolescenza, per consentire loro di significare la psicopatologia dal punto di vista psicodinamico e di cominciare ad acquisire elementi di conoscenza a sostegno del diritto di scegliere e di non rinunciare a priori all'opportunità di una specifica formazione psicodinamica;
- con la parola 'supervisione' mi riferisco all'impegno di discutere protocolli di colloqui liberi e sedute di gioco in fase diagnostica. Come supervisore mantengo fermo nella mente, come chiave di lettura, il riferimento alla teoria psicoanalitica sia per quanto attiene allo sviluppo che per quanto attiene alla significazione del disagio, nel mentre limito l'enfasi sulla teoria consapevole che per i giovani sono ancora da accettare i principi psicodinamici; evoco un discreto richiamo ad essa ogni qualvolta i contenuti dei colloqui lo sollecitino. L'incitamento graduale a familiarizzare con la teoria segue naturalmente l'emergere dell'esigenza del giovane come eco della maturazione della convinzione che l'accesso alla diagnosi consegue il mobilitarsi nell'incontro operatore-adolescente di valenze che facilitino uno sguardo sul mondo interno e sull'assetto psichico e non la stigmatizzazione di un insieme di sintomi come propone il DSM IV;
- le modalità di condurre "la supervisione" in tale contesto non possono rispecchiare quelle adottate per il training psicoanalitico: ad es. la gestione del silenzio esige cura ed attenzione; l'esplicitazione di ipotesi di senso, più presente rispetto alla supervisione di un terapeuta in formazione, si avvale della cautela di evidenziare un loro chiaro supporto negli elementi del colloquio; come pure si avvale della cura di mantenerle scevre da elementi magici, suggestivi o fanatici. La formulazione delle stesse esplicitazioni solitamente contiene il riconoscimento delle qualità del giovane al fine di mantenere viva la curiosità e di sostenere la motivazione e l'investimento sulle proprie risorse; aiuta altresì a mantenere attiva nel giovane stesso un'attitudine positiva e fiduciosa; essa è sostenuta dall'idea che, nella mente dell'altro esista una possibile ampia transitabilità di tutti i propri pensieri. Cerco in definitiva di limitare il rischio, sempre in agguato, di favorire angosce e smarrimento, cui può seguire chiusura della mente, come pure quello di sollecitare attivismi, velleità di onnipotenza di comprensione per lasciare il campo all'insaturità e promuovere pensabilità;
- come supervisore appartengo all'istituzione, il che comporta una difficoltà in più: è noto come nella letteratura si condivida l'idea che il supervisore non debba appartenere al gruppo istituzionale. Ciò consente di ovviare alle ricadute dei contraddittori istituzionali sul lavoro di supervisione comunque presenti anche quando i vertici dell'istituzione danno il loro avallo alla supervisione dinamica.
Come strutturata (con funzioni non apicali) svolgo le mie mansioni presso la struttura Universitaria di NPI di Napoli ove afferiscono pazienti in età evolutiva che presentano ogni tipo di disagio. L'impegno della supervisione dinamica non è istituzionalizzato all'interno del Corso di specializzazione; esso è condiviso con giovani specializzandi in NPI che ne fanno spontaneamente richiesta.
E' una realtà che si va sempre più confermando che i giovani specializzandi, in carenza di una sufficiente specifica conoscenza, hanno scelto tale disciplina ignari talora che essa chieda loro di acquisire una variegata gamma di competenze, quali ad esempio quelle in psicodiagnostica psicodinamica e in psicoterapia. Tale ignorare è tanto più evidente quando la scelta risulta un ripiego rispetto a quella prioritaria di Pediatria, Psichiatria o Neurologia.
Una volta iniziata la scuola, il lavoro con la patologia su base biologica sembra non comportare loro grosso travaglio finché non si ritrovano ad 'ascoltare' il disagio profondo che la stessa patologia fa vivere al paziente, all'ambiente significativo ed anche a loro stessi. Più palesemente difficile risulta fronteggiare la messe di emozioni e sentimenti che vengono suscitati dal contatto con la profonda sofferenza connessa al disagio psichiatrico del bambino o dell'adolescente; si ritrovano carenti di strumenti per poterla comprendere e per poter, quindi, prodigare aiuto. Finiscono col restare disorientati e rispondere al momento a tali difficoltà spesso col bypassarle, negarle o con un irrigidimento dell'assetto mentale: quest'ultimo li induce, per fronteggiare la frustrazione, a soluzioni terapeutiche stereotipate, imitative, e/o ad un abbandono del campo.
Riflettendo sui vissuti da loro spesso esplicitati, mi sono ritrovata a collegarli naturalmente a quelli degli adolescenti. In fondo stanno come loro transitando in un mondo nuovo e pieno di incertezze.
Il loro narcisismo è naturalmente reso più fragile: sentono frustrate le aspettative di avvalersi delle tante potenzialità derivanti da quanto appreso negli studi universitari in cui hanno già profuso tante energie: il primo rendiconto del proprio operato, dell'appropriazione delle proprie nascenti funzioni, dei propri pensieri, li confronta a impotenza e fragilità, alla stregua dell'adolescente che si ritrova in fragilità rispetto alla possibilità di fruire di un corpo e di una mente sì con tante nuove potenzialità, la cui gestione, però, è ancora in fieri. La necessità poi di rinunciare a riferimenti derivanti dagli studi medici, che invitano più alla operatività che al mettersi in crisi, costituisce una ulteriore fonte di fragilità e richiama ancora quella dell'adolescente costretto nel suo procedere a rinunciare ai legami con gli oggetti d'amore ed a fare il lutto della megalomania infantile. Si sentono allora anche loro sollecitati a trovare, a mò di "protesi", dei modelli di interventi proposti dalla moda e, apparentemente, più facilmente abbordabili.
Anche quando resta grande il desiderio di conoscere ed apprendere, può accadere che risulti talora difficile avvicinarsi all'esperienza di supervisione dinamica. Come alibi spesso si presta il discredito cui spesso soggiace la psicoanalisi nei vari cicli e ricicli della vita della psichiatria istituzionale o l'enfasi oggi riposta sulle neuroscienze come alternativa definita talora in opposizione e non come forza sinergica e naturalmente cooperante al servizio della sofferenza umana; inoltre da forte deterrente può funzionare il mancato sostegno da parte dei vertici dei servizi. Non possiamo sottacere la diffusa esperienza che ci vede terapeuti ricercati e corteggiati quando si tratta di prendere in carico pazienti scomodi: allora tutte le virtù analitiche sono osannate nel mentre continuano a restare neglette quando si deve sostenerne il metodo e l'iter formativo. E di fatto per i giovani una volta trovate le suddette protesi, si rafforza il rischio che esse possano diventare permanenti con abdicazione rispetto alla ricerca di altre possibilità di formazione per dispiegare proprie risorse.
Gli specializzandi che hanno finito col non soggiacere al frastuono e alla sfiducia e che si ritrovano sostenuti e invogliati anche dall'esperienza di loro colleghi, si avvicinano alla supervisione dinamica e a fare parte di un piccolo gruppo aperto, solitamente composto talora anche da psicologi e specialisti in formazione presso una scuola di psicoterapia.
Funzione prioritaria come supervisore è di aiutarli a mantenere una visione critica sulle "protesi" cui si appoggiano e favorire un'apertura a nuove possibilità di comprensione e di entrare in relazione con altri modelli di formazione.
L'eterogeneità di un piccolo gruppo ha risvolti a diversa valenza; chi già appartiene al gruppo funge da anello intermedio: aiuta il nuovo venuto a smorzare eventuali disagi iniziali, si pone come esempio garante dell'autenticità e della gradualità dell'apprendimento, aiuta a non fomentare velleità e tentativi di imitazione, contribuisce a stemperare l'effetto del perturbante stupore all'emergere di affetti e contenuti che la lettura dinamica spesso sollecita.
Passo ora allo specifico dell'esperienza. Lo specializzando in fase iniziale assiste alle sedute di supervisione di casi condotti in consultazione o approfondimento da colleghi già inseriti nel gruppo al fine di cominciare a familiarizzare con metodo e setting. Passa poi a condurre in prima persona i colloqui con gli adolescenti o con i genitori. Vengono discussi tutti i protocolli redatti dopo gli incontri.
Solitamente i primi protocolli degli incontri con gli adolescenti sono ricchi di descrizioni di comportamenti, di fatti, di eventi ed esperienze e contemplano la concretezza della realtà esterna. La cura della supervisione fin dall'inizio tende a sollecitare la curiosità dei giovani e sostenere, con gradualità, la credenza che vi sia un significato dinamico sotteso ai sintomi, ai comportamenti, dell'adolescente ricollegabili per lo più a sentimenti ed emozioni difficilmente tollerabili ed assumibili dall'adolescente stesso e a cogliere con estrema gradualità nelle comunicazioni del paziente non solo la concretezza della realtà esterna ma anche il collegamento con la realtà interna.
L'attaccarsi dei giovani professionisti al reale viene promosso non solo dal personale vissuto di inadeguatezza a fronteggiare l'emergenza degli elementi psichici dell'adolescente, sovente anche dal premere di vissuti ed ansie personali sollecitati dalle comunicazioni del paziente. La difficoltà a dispiegarli e discriminarli in assenza di una bagaglio di conoscenze e di strumenti adeguati, può comportare il rischio di sollecitare frustrazione o al contrario onnipotenza narcisistica.
Difensivamente possono attivarsi nei supervisionati reazioni aggressive che prendono come bersaglio gli stessi adolescenti, l'ambiente loro significativo e la stessa istituzione, talora in analogia e in collusione con le stesse modalità reattive degli adolescenti; si possono attivare in alternativa istanze superegoiche sfocianti nell'autosvalutazione o nella condanna dell'altro rafforzata dal pregiudizio che minaccia anche l'incipiente fiducia nella credenza nel metodo e nella teoria psicodinamica
E' questa un'evenienza più facilmente ricorrente quando l'adolescente propone naturalmente tematiche legate alla sessualità, alla violenza, al dileggio delle figure genitoriali; ma anche quando propone la drammaticità di condotte quali quella suicidali sostenute da angosce che facilmente possano richiamare quelle dei giovani operatori quando ancora sono sospese nella loro definizione.
Modulare l'affiorare di tale istanze, piuttosto che soffocarle, nel mentre internamente ne colgo la valenza stimolante la crescita e la motivazione ad apprendere, rappresenta una vera fatica ed impegno sul piano emotivo e conoscitivo come supervisore; la mia azione di ascolto-sintesi-restituzione resta allora ispirata ad "un sapiente dosaggio della quantità di pensiero che può risultare tollerabile" e può contribuire ad alleviare l'angoscia del giovane e ad allontanare conseguenti svalutazione o idealizzazione del metodo o del supervisore.
Mantenendomi aderente al materiale del paziente, tendo ad aiutare i supervisionati a familiarizzare gradualmente col linguaggio dell'adolescente e ad esplicitare, la pluralità di senso del suo discorso sostenendo la fiducia nella loro pensabilità; resta implicito lo scopo di far acquisire dimestichezza con le tematiche tipiche del procedere adolescenziale, soprattutto quelle legate, per esempio, alla sessualità che, suscitando pudore, sembrano sostenere un'inibizione della pensabilità.
Poter fornire un realistico sostegno narcisistico, nutrire la fiducia nella possibilità di "giocare" in supervisione col discorso sotteso alle allusioni dell'adolescente; scoprire il piacere di pensare e di attingere a proprie risorse, contribuisce a favorire l'investimento positivo sull'attesa in supervisione: tale attesa si configura come recettiva rispetto al dispiegarsi del discorso interno del gruppo al lavoro e di quello insito nel resoconto del colloquio con l'adolescente. Sarà poi piacevole sorpresa verificarne il risvolto nel rapporto con gli adolescenti.
Per i giovani professionisti risulta difficile dare spazio all'Io all'adolescente nel definire il suo mondo interno dal momento che non hanno strumenti per gestire il vissuto di sorpresa che spesso li raggiunge. Controllano le emergenze in seduta saturandole col loro pensiero per non sentirsi impotenti e finiscono col competere col paziente: questo va contro l'adolescente che ha bisogno di non sentirsi troppo limitato dall'adulto.
Il giovane professionista, in difficoltà o frastornato dal rapido succedersi di cambiamenti di comunicazioni tipico dell'adolescente, può cedere all'abuso di elementi di tecnica: interpreta fuori tempo e fuori contesto rispetto alla comunicazione del ragazzo e devia dal discorso interno dell'adolescente
Investendo positivamente sull'attesa, il professionista in supervisoine si ritrova a modulare la fretta nel saturare gli ambiti dei significati delle comunicazioni dell'adolescente e a far sì che anche l'adolescente possa a sua volta investire positivamente l'attesa, il tutto a favore dell'istaurarsi della fiducia dell'adolescente di essere compreso e di permettersi tempo e spazio per propri insigth.
Una fonte di tale risultato risiede nell'attitudine ad aiutare il giovane professionista nell'evitare che si verifichi una sovrapposizione tra proprio mondo di pensieri con quello del supervisore: ne potrebbe derivare una perdita di distinzioni e di confini. Il confronto col proprio limite, promotore di ansia depressiva o controreattivamente di onnipotenza narcisistica, se ben dosato ne svela l'elemento propulsivo perché definisce in chiave positiva il punto da cui partire per il dispiegarsi di proprie potenzialità e di nuove intuizioni e contribuisce a stornare il viraggio verso un operare imitativo. La ricaduta positiva è reperibile nel suo modo di relazionarsi con l'adolescente.
La supervisione ripercorre il movimento di separazione-individuazione verso il distacco dal gruppo per pensare da solo, come accade per l'adolescente.
La supervisione suscita affetti nei giovani professionisti verso il supervisore ed il compito di questi di aiutarli a negoziare con essi, al fine di favorire la possibilità di un'esperienza continuativa e tale che possa realisticamente sollecitare libertà di scelte.
Come supervisori siamo costretti ad una continua funzione autoriflessiva e autocritica, che contenga sempre la consapevolezza dei propri limiti. Tale funzione ci consentirà di trattenerci dal sollecitare esplicitamente percorsi analitici per consentire che essi siano promossi da esigenze interne; ci consentirà anche di aiutare il giovane ad affrontare e tollerare il paradosso evidente e frustrante di doversi impegnare a ricercare e sostenere una motivazione alla formazione presso altre scuole di psicoterapia quando è già inserito in un percorso formativo, quello della scuola di specializzazione, che tra l'altro li abilita alla prassi psicoterapica.
In conclusione, nella mia esperienza di supervisione dinamica coloro che l'hanno condivisa sono tutti passati ad un percorso formativo personale e poi all'inserimento in una scuola di psicoterapia quasi tutti ad orientamento psicoanalitico. Come ho sottolineato all'inizio c'è stata a monte una selezione spontanea in quanto l'accesso alla supervisione era per libera scelta. E' questa solo apparentemente una condizione privilegiata, in quanto ritengo che tutti i giovani abbiano diritto a fare una esperienza prolungata di supervisione dinamica a prescindere dalla motivazione iniziale e dal suo esitare poi in una formazione.
Il fine di una supervisione, se riusciamo a ben condurla, non si esaurisce, a mio avviso, nel consentire al un allievo di adire ad una formazione psicodinamica per diventare psicoterapeuti.
Così pure ritengo che, qualunque sia il limite dell'istituzione, un lavoro di supervisione dinamica produca sempre esiti a valenza positiva, almeno nell'aiutare a definire entro quali ambiti il singolo allievo si possa cimentare. Che uso poi egli ne potrà fare in un futuro non può essere aprioristicamente definibile. Forse tale uso potrà essere tanto più creativo, sia per l'operatore che per il paziente, quanto più l'accesso alla supervisione potrà essere vagliato a fondo sia dall'allievo che dal supervisore e l'esperienza potrà procedere nel rispetto delle personali attitudini. L'augurio che ci si formula è che essa possa comunque promuovere la conoscenza delle valenze dinamiche delle varie situazioni psicopatologiche che contribuisca ad un'attenta diagnosi psichiatrica; sarà essa che sosterrà l'indicazione di psicoterapia e, ove necessiti, una scelta farmacologica condivisa da chi prenderà in carico psicoterapico il paziente, nonché la possibilità di in un dialogo condiviso con altre figure che si occupano del soggetto.
Note
*Docente in Neuropsichiatria Infantile: Seconda Università Napoli. Psicoanalista IPA. Membro Ordinario ARPAD. Membro Ordinario ASNE-SIPsia.
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