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Anno IV - N° 3 - Settembre 2004

Articolo del maestro



R. Maroh

Un riesame del concetto di adolescenza prolungata secondo Peter Blos

a cura di Arnaldo Novelletto



La teoria psicoanalitica dello sviluppo adolescente poggia su tre punti fondamentali:
a) L’idea Freudiana (1905) che lo spostamento della genialità sia prodotto da un aumento d’intensità dell’istinto sessuale e da un urgente bisogno di difendersidal tabù dell’incesto;
b) La descrizione che Anna Freud fece nel 1958 del “tumulto adolescente” e l’importanza che ella attribuì allo scioglimento del legame libidico incestuoso infantile con l’oggetto;
c) Il processo dell’adolescenza come processo di seconda individuazione secondo Blos (1967) e la sua teoria dell’adolescenza come ricapitolazione del periodo edipico (1979)
Tuttavia, malgrado queste formidabili premesse e tante significative aggiunte ed elaborazioni più recenti, l’adolescenza come fase di sviluppo resta relativamente trascurata nella teoria psicoanalitica (A. Freud 1958). I rendiconti dei trattamenti psicoanalitici svolti su adulti mancano regolarmente di ricostruzioni dell’adolescenza (Eissler 1958).
Qualcuno ( Goettsche 1986) ha attribuito questo problema alla natura stessa dell’adolescenza e alla “minaccia” che il suo risveglio rappresenta sia per l’analista che per l’analizzando.
Indipendentemente dalle sfide che le esperienze e gli affetti dell’adolescenza pongono alla tecnica analitica, anche se gli analisti continuano a scansare l’impatto poderoso che l’adolescenza ha sullo sviluppo della personalità e dei sintomi patologici (Beiser, 1984), non posssiamo non riconoscere il problema e prenderlo in considerazione.
La teoria psicoanalitica è rimasta ancorata al complesso d’Edipo grazie alle scoperte e alle formulazioni freudiane.
L’insistenza di Freud sul portare l’inconscio e alla coscienza e sul recupero dei ricordi infantili rimossi fece si che il lavoro psicoanalitico si concentrasse sulla prima infanzia. Però le recenti riformulazioni della teoria, basata sui nuovi dati dell’osservazione del bambino e sulle scoperte della psicologia del sé, ci hanno messi in grado di guardare in modo diverso al processo di sviluppo e quindi di considerare l’adolescenza da un nuovo punto di vista.
In questa occasione mi soffermerò sul concetto di “adolescenza prolungata”. Questa nozione – che riguarda un tipo particolare di patologia – si basa sul concetto classico di rielaborazione del periodo edipico.
Io sono convinto che se si mette il concetto di Edipo al centro dell’adolescenza, continuando così a ritenere i cambiamenti relazionali tipici del periodo come direttamente collegati al complesso di Edipo, si distorce la nostra possibilità di comprendere l’adolescenza nella vita di tutti i nostri pazienti. Credo che ciò ci porti a considerare certi giovani adulti come malati e a non poter vedere gli aspetti sani dei nostri pazienti.
Spero di far progredire l’idea che una visione dell’adolescenza basata sulla psicologia del sé permette di evitare i trabocchetti impliciti nella teoria dell’adoloscenza prolungata e di migliorare la comprensione dei pazienti, sia adolescenti che adulti.

L’adolescenza prolungata

L’adolescenza prolungata fu descritta per la prima volta da S. Bernfeld (1923) in una relazione alla Società Psicoanalitica di Vienna, il 15 febbraio 1922. Bernfeld tratteggiò una serie di adolescenti maschi nei quali il desiderio psichico per un oggetto andava oltre il processo fisiologico della pulsione genitale. Egli ne descrisse certe caratteristiche e distinse “questo complesso dalla definizione di pubertà che aveva data Freud” (Jones, 1925).
Questi giovani si preoccupano di ideali e di estetica. Si deprimono penosamente quando cercano di produrre un’opera d’arte, una nuova forma di politica o qualche altro tentativo del genere. Inoltre “le componenti sessuali non si concentrano nella ricerca di un oggetto, la loro parte maggiore si trasforma in libido dell’io, dando luogo a una nuova situazione narcistica (secondaria)”. Bernfeld si riferiva ripetutamente a queste situazioni come a cambiamenti adolescenziali narcisistici che non potevano essere ricondotti a fissazioni remote o a regressioni e non definiva questi giovani come disturbati.
Quando P. Blos (1979) scrisse di una “adolescenza maschile prolungata”, notò che Bernfeld aveva studiato “il fenomeno sociale osservato nei movimenti giovanili europei dopo la prima guerra mondiale” . Egli proseguiva dicendo che “I membri di questi gruppi presentavano una forte predilezione per l’intellettualizzazione e la repressione sessuale, cosicchè rimandavano la risoluzione del conflitto adolescenziale e conseguentemente il consolidamento della personalità proprio della tarda adolescenza”.
Anna Freud (1958) commentò il “tipo protratto” dell’adolescenza maschile secondo Bernfeld dicendo che “Essa si estende molto al di là dei limiti di tempo normale per le caratteristiche adolescenti, ed è notevole per le tendenze alla prodìuttività, sia artistica che letteraria o scientifica, e per la forte inclinazione verso le mete ideali e i valori spirituali”. Inoltre “In questo modo Bernfeld ha reso conto delle elaborazioni dei processi normali dell’adolescente sotto l’ipatto delle frustrazioni interne e delle pressioni ambientali esterne”.
Per Blos (1954) il termine “adolescenza prolungata” stava perdendo specificità, per cui egli descrisse il suo soggetto esattamente come il giovane americano di classe media grosso modo tra i diciotto e i ventidue anni, che generalmente studia in un college e comunque nutre aspirazioni professionistiche, circostanza che di solito lo rende finanziariamente dipendente dalla sua famiglia per i primi anni dell’età adulta”. Blos (1979) sosteneva che il quadro che aveva descritto nel 1954 era ancora valido, sebbene nei successivi 25 anni la fenomenologia fosse radicalmente cambiata (ora la società comprendeva gli “emarginati” e “stili di vita alternativi” e sebbene il concetto di moratoria psicosociale introdotto da Erikson fosse stato generalmente accettato.
Blos definiva l’adolescenza prolungata come “una statica perseverazione nella posizione adolescente che in circostanze normali è limitata nel tempo ed è per natura transitoria.Una fase di sviluppo che si ritiene debba essere lasciata alle proprie spalle dopo aver esaurito il suo compito, è diventata un modo di vivere.
Invece della spinta progressiva che normalmente conduce l’adolescente allo stato adulto, l’adolescenza prolungata arresta questo movimento in avanti, con il risultato che il processo adolescenziale non è lasciato cadere, ma rimane aperto all’infinito.
Infatti la crisi adolescenziale persiste, insieme alla disperazione e all’ansia….L’accanito attaccamento all’instabilità di tutte le scelte di vita trasforma qualunque moto verso lo stato adulto come un risultato che non vale ciò che costa. Questo dilemma porta il soggetto ad escogitare modi ingegnosi di combinare gratificazioni infantili con prerogative adulte. Gli sforzi adolescenziali di aggirare la finalità delle scelte e delle opzioni esigono la conclusione dell’adolescenza”.
E ancora: “La differenza essenziale che distingue i casi in questione da altre forme di reazione adolescenziale sembra consistere in una notevole resistenza a cedere alla spinta regressiva, insieme all’evitamento persistente di qualunque consolidamento del processo adolescenziale….L’adolescenza prolungata è espressione della necessità interiore di mantenere aperta la crisi adolescenziale.
Il processo adolescenziale può considerarsi chiuso quando si è raggiunta un’organizzazione gerarchica e relativamente inflessibile delle spinte genitali e pregenitali e quando le funzioni dell’io hanno acquisito una significativa capacità di resistere alla regressione…. In netto contrasto con i processi di differenziazione dell’io che sono tipici della sintesi del carattere dell’adolescente, l’adolescenza prolungata è caratterizzata dall’impossibilità di acquisire un’organizzazione stabile e immodificabile delle spinte istintive e delle funzioni dell’Io…Quando questi adolescenti tentano di infrangere le loro dipendenze infantili, realizzano subito che questa mossa è seguita da un impoverimento narcisistico al quale sono impreparati e che non possono sopportare”.
In quelle pagine Blos descriveva l’adolescenza prolungata come simile a un disturbo del carattere. I cambiamenti non sono vissuti come ego-alieni. Però, a differenza dei disturbi caratteriali, non c’è rigidità, ma flessibilità,-la flessibilità adolescente – per un certo tempo. “ Alla fine, tra l’inizio e la metà della seconda decade della vita, l’adolescenza prolungata porta a una sistemazione più organizzata e rigida. Il disturbo narcisistico di personalità descrive perfettamente la tendenza generale di sviluppo patologico che l’adolescenza prolungata prenderà”(Blos, 1929).

La visione che Blos ha dell’adolescenza (basata sul modello istintuale, in parte modificato dalla patologia dell’io e da quella delle relazioni oggettuali) riposa essenzialmente sul lavoro della Mahler, imperniato sulla separazione/individuazione.Questo modello che è centrato sulla genitalità e l’autonomia, non può spiegare la psicologia degli individui descritti, che continuano a funzionare su trasformazioni narcisistiche che utilizzano oggetti – sé, sia originari che nuovi. Perciò quando cadono sotto l’osservazione essi sono etichettati come variante patologica.
Io credo che Blos, confondendo l’immodificabilità e la resistenza alla regressione “con la stabilità e la salute, abbia mancato di riconoscere le variazioni che si trovano nelle strutture compensatorie di ogni sé.

La concezione prevalente dell’adolescenza

Erikson (1968), pur avendo costruito la sua psicologia dell’adattamento sulla base della teoria istintuale tradizionale, notò che la teoria dela libido non forniva una spiegazione adeguata dell’adolescenza prolungata, nella quale individui sessualmente maturi hanno un ritardo più o meno grande nell’acquisire la capacità psicosessuale di una vita intima e la disponibilità psicosociale a generare figli”. Per spiegare questo fenomeno egli introdusse il concetto di moratoria psicosociale, intesa come periodo in cui la società accorda una laatenza o un ritardo dello sviluppo psicosessuale onde consentire che si faccia esperienza di un ruolo in modo da consolidare quanto già acquisito ivi comprese le nuove identità.
Io credo che Erikson postulò questa moratoria per spiegare la discrepanza tra le sue osservazioni dello sviluppo adolescente e quelle praviste dalla teoria prevalente (cioè il modello della progressivaa separazione/individuazione e della conclusione strutturale) e anche per assicurarsi di non essere malinteso quando parlava di quello stato patologico che è l’adolescenza prolungata.

Come ha osservato Singer (1987) l’uso del modello della separazione/individuazione persiste tuttora nella teoria e nella prtica di molti influenti terapeuti di adolescenti. Per esempio quando Masterson (1980) si riferisce all’individuazione e all’indipendenza sembra abbracciare il modello di sviluppo della separazione/individuazione adolescenziale. Così pure Offer, pur avendo messo in dubbio i modelli tradizionali dello sviluppo e della psicopatologia adolescenziale (in particolare che il tumulto adolescente è normale) insieme a Baittle (1971) aderì al modello tradizionale della separazione /individuazione quando scrisse che “la funzione principale della rivolta dell’adolescente normale è quella di iniziare o esacerbare un processo che porta all’emancipazione dai genitori”.

Il dissenso rispetto al modello della separazione/individuazione

Schafer (1973) ha criticato il termine separazione / individuazione, definendolo una concretizzazione, una di quelle manifestazioni di pensiero influenzate dal processo primario che, come distacco o simili, sono tutt’al più metafore, non verità. Schafer si è opposto al termine individuazione in rapporto all’adolescenza, perché esso complica ulteriormente la nostra comprensione di quella fase, anziché approfondirla. Inoltre ha aggiunto che nell’individuarsi l’individuo non rinuncia ai legami con le rappresentazioni infantili dell’oggetto: “L’emancipazione autentica si costruisce tanto sulla revisione, la modulazione e l’accettazione selettiva, quanto sul rifiuto, la padronanza elastica, le sostituzioni complesse e altri cambiamenti di scopo, rappresentazioni e schemi di comportamento.
Questi cambiamenti sono necessariamente lenti, sottili, ambivalenti, limitati e mutevoli”.
Molti altri hanno messo in discussione la concezione di Blos, che l’adolescenza si concluda con un consolidamento e una strutturazione finali della personalità. Per esempio Escoll (1987) ha scritto: “Spesso il consolidamento che ci aspettiamo di trovare ha piuttosto l’aspetto di un patchwork….molti giovani adulti potremmo descriverli come in marcia verso un consolidamento visto a diversi livelli di risoluzione e non completamente raggiunto se non più tardi, talvolta in una fase avanzata di giovane adulto o addirittura in età adulta”.

Galatzer – Levy (1984) sostiene che la concezione di Blos (che la conclusione dell’adolescenza normale richieda la profonda rinuncia dei bisogni, sia istintivi che desessualizzati, verso i genitori), pur avendo uno scarso supporto clinico, è fortemente ancorata alle idee di Freud, Mahler e della filosofia occidentale.
Infatti l’autore cita Anthony (1970) e Cohler (1980) nel sostenere che “i coinvolgimenti a lungo termine con genitori e nonni, a livello sia manifesto che profondo, sono aspetti dello sviluppo normale di molti figli e genitori”.
Kenny (1987) in una ricerca su 173 studenti del primo anno di college, ha messo in dubbio che una sana autonomia richieda lo scioglimento dei legami famigliari. Egli ha trovato che, tra gli studenti con attacamento sicuro “la maggior parte considerava i genitori come base sicura, che incoraggiava l’indipendenza e restava fruibile come fonte di sostegno, ove necessario”.
Curiosamente Kenny riferiva che i sentimenti di attaccamento ai genitori di solito favoriscono il successivo distacco dalla famiglia, indicando che forse l’attaccamento resta importante lungo tutto il processo del lasciare la famiglia e può continuare a funzionare come sostegno sano.

(Seguono due paragrafi sulla psicologia del sé che qui si omettono, dal momento che il loro contenuto consiste in citazioni di testi che posssono essere reperiti nelle bibliografia).

Discussione

L’adolescenza prolungata non è uno stato psicopatologico, bensì il risultato di una teorizzazione inadeguata, applicata a dati attendibili. Se si considera l’adolescenza come invasa dall’aumento di energia libidica (Freud 1905) e il concomitante traguardo evolutivo come scioglimento dei legami infantili incestuosi con l’oggetto (A. Freud 1958) allora il paradigma della separazione/individuazione è conseguenziale.
Quel concetto di adolescenza (come ricapitolazione della separazione/individuazione) sancisce che il contatto psicologico perdurante con gli “oggetti infantili” è prova d’immaturità.
Il paradigma sé/oggetto-sé offre un’alternativa, e cioè che, durante l’adolescenza e l’età adulta i legami con gli oggetti-sé sono mantenuti. Un individuo non si separa mai né s’individua, né diventa psicologicamente indipendente.
Un altro individuo resta psicologicamente attaccato. Il contrasto tra questi modelli è drammatico!
La teoria tradizionale ci dice che gli adolescenti dovrebbero separarsi e individuarsi, che dovrebbero “rinunciare” alle pretese infantili e “crescere”. Eppure in qualche modo i pazienti, gli amici, i figli e i soggetti delle ricerche non si comportano così.
Questo preconcetto ha permeato larga parte della nostra cultura e del pensiero psicoanalitico. Esso può essere responsabile del “tumulto” normativo descritto nella letteratura. Gli adolescenti si sentono a disagio perché credono di star “rompendo” i loro legami con i genitori e non sono disposti a farlo.
Equiparare l’adolescenza con la rinuncia degli oggetti incestuosi dell’infanzia implica che ci si sposti dal punto 1 al punto 2 senza aver attraversato cambiamenti graduali tra sé e l’oggetto-sé: 1,1 –1,2-1,3- 1, X ecc.-Nessuno crede veramente a questo, salvo coloro che nella latenza non vedono accadere nulla e che vedono l’adolescenza solo come una rielaborazione del periodo edipico. Dobbiamo continuare ad attenerci ad un modello che non coglie i cambiamenti graduali e flessibili che si verificano nell’adolescenza normale? Dobbiamo continuare ad attenerci ad un modello che suggerisce un tutto o un nulla nell’aprire una breccia tra adolescenti e genitori?Anche se sappiamo tutti che questo non è il modo giusto, continuiamo a condividere una teoria che implica che lo è . Perché?
Così come i nuovi risultati della ricerca sull’infanzia mettono in dubbio oppure negano molti dei precetti tradizionali del modello istintuale, una gran parte del lavoro clinico e di ricerca sugli adolescenti ci chiede di separarci dal modello dell’individuazione. Ci possiamo fondare su quei modelli, pur riconoscendo quanto alcuni adolescenti si sentono inetti perché sono incapaci di mantenere con i loro genitori dei legami corroboranti.
Il nuovo modello parla di cambiamenti graduali nella relazione sé/oggetto-sé come si sperimentano intrapsichicamente.
Anna Freud aveva sicuramente ciò in mente quando parlava di spostamento di attaccamenti libidici sui coetanei e quando notava che l’adolescente è quello flessibile e capace di sperimentare, cioè quello che si separa in modo graduale, come salendo una scala.

Ora noi riconosciamo che l’investimento graduale su nuovi oggetti (coetanei, altri adulti, eroi, personaggi immaginari, partner sessuali) si verifica nel contesto del legame sé/oggetto-sé originale ed arcaico, così come si è modificato e trasformato negli anni della preadolescenza. Infatti è il sostegno da parte dei genitori, così come è stato sperimentato dall’adolescente, che facilita l’investimento graduale di nuove relazioni.

Conclusione

La fase adolescenziale è trascurata nelle descrizioni di casi clinici perché la teoria tradizionalmente accettata non illumina adeguatamente la vita psichica profonda, come risulta sul tarttamento psicoanalitico. Io affermo che, contrariamente alla concezione psicoanalitica tradizionale, la psicologia dell’adolescenza non scaturisce da vicissitudini della genitalità.
L’adolescenza non è in primo luogo la rieleborazione del complesso edipico. Mettere l’accento sulla rinuncia degli oggetti inconsci infantili incestuosi e più generalmente sulla ricapitolazione della separazione/individuazione, sebbene teoricamente elegante, non descrive correttamente il processo adolescenziale.

Se continuiamo a credere che lo fa, considereremo malati adolescenti che non lo sono, come accade nell’adolescenza prolungata. Inoltre continuare a sostenere che lo sviluppo adolescenziale riuscito deve concludersi in una organizzazione relativamente immodificabile di pulsioni e difese ci impedisce di vedere manifestazioni sane del periodo adolescente e la natura continua dello sviluppo verso lo stato adulto.
Il valore della psicologia del sé sta nell’accento che essa pone sull’esperienza personale nella situazione clinica. Dal suo punto di vista tale introspezione e l’empatia definiscono il campo psicologico profondo. E bisogna essere disponibili a modificare la teoria quando è necessario, anche a spese di una dottrina consolidata nel tempo. L’adolescenza prolungata è una riaffermazione dell’idea che la chiusura dell’adolescenza e l’iniziazione del giovane adulto presuppongono la rinuncia dei legami con i genitori e l’assunzione di una struttura caratteriale immodificabile veramente autonoma, pienamente individuata e completamente separata. Proprio come il transfert perdura dopo la conclusione di un’analisi, il legame evolutivo con i nostri oggetti-sé perdura oltre l’adolescenza. L’introiezione trasformativa, la strutturazione e i tratti dell’empatia, del buon senso compaiono gradualmente.E’ la schiettezza dell’equazione adolescente sé/oggetto-sé che fa sperare in un adulto aperto a nuove idee e a nuove esperienze e che tuttavia trae rigore dal tornare al passato remoto. Non parliamo più di separazione ed individuazione dell’adolescente! Parliamo invece, come fecero molti anni fa Wolf, Gedo e Terman (1972) dell’adolescenza come periodo significativo di “trasformazione del sé”. E riconosciamo che il processo di trasformazione evolutiva continua nell’età adulta .
E’ così che l’adolescenza viene “prolungata”.

Bibliografia

Articolo rivisto ed edito da Shelley Doctors e Robert Leider, e pubblicato su Adolescent Psichyatry (vol. 23, 1998, 3-19) che qui si ringrazia.
Traduzione di A. Novelletto



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