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Del figlicidio in televisione
di Renato Sigurtà, Cristina Lomazzi e Gaia Mombelli
1. INTRODUZIONE
Cosa spinge uno psicoanalista ad avventurarsi in una ricerca psico-sociale? Una serie di piccole casuali osservazioni rimaste allo stato latente che a un certo punto si condensano in una ipotesi che emerge e chiede di essere verificata?. Oppure l'accorgersi che le teorie sulla struttura della personalità cui ha sempre creduto e che sono state alla base del suo modo di procedere terapeutico, stanno entrando in una collisione sempre più netta e grave con l'opinione e il comportamento sociale?
Nel mio caso credo si possa parlare di una commistione tra le due situazioni, anche se l'idea della presente ricerca mi venne improvvisa mentre assistevo (sono sempre stato teledipendente, ma il fenomeno è ancora più esteso da quando mi sono ritirato dalla professione attiva ) a una puntata dello show fiume per tutte le famiglie "Buona Domenica".
In quel periodo nella soap opera italiana Vivere stava succedendo una vicenda piuttosto interessante : una giovane e graziosa signora, abbandonata dal marito che si era messo con un'altra e ci stava facendo una figlia, si era invaghita, ricambiata, di un aitante diciottenne grande amico del coetaneo figlio unico della signora. Quest'ultimo appariva disperato e manifestava alla madre tutto il suo disgusto per una vicenda che tra l'altro lo poneva, nella piccola comunità comasca, come oggetto di pettegolezzo e di irrisione. L'alone scandalistico non impediva che la vicenda ricca di passione e di erotismo continuasse rigogliosa.
Contemporaneamente a Montecastrilli, ridente paesello in provincia di Terni, una giovane e piacente madre di tre figli rispettivamente di 17, 13 e 11 anni, a quanto pare piuttosto trascurata da un marito camionista spesso assente e in presenza urlante e manesco, si era perdutamente innamorata del compagno di scuola della figlia maggiore anche lui diciassettenne, era scappata col fanciullo del suo cuore in altro paese e, là dove la realtà supera la fantasia, il loro amore stava dando un frutto.
Maurizio Costanzo da par suo non si lasciò scappare lo scoop e in quella occasione presentò in contemporanea i protagonisti della fiction e della realtà. Quello che mi colpì maggiormente non fu tanto l'atteggiamento dei protagonisti della vicenda reale, quanto il comportamento del pubblico che si trovò d'accordo nell'approvare la storia come un diritto della coppia a vivere il loro tenero e fruttifero amore in nome della caducità della vita e del diritto alla felicità cui nessuno deve rinunciare, se ha la fortuna di imbattervisi anche per breve tempo. Il destino dei figli della signora , traumatizzati dall'abbandono e sbalzati di colpo alla ribalta di un additamento pseudo compassionevole (il padre aveva dovuto mandarli lontano presso i nonni, perché si rifiutavano non solo di andare a scuola, ma persino di affrontare le vie del paese) non sembrava aver colpito nessuno degli astanti, tanto che fu lo stesso Costanzo a doverne ricordare l'esistenza in un tentativo di smorzare l'entusiasmo che tanto amore stava suscitando, tentativo peraltro caduto nel nulla, chè la coppia della prosperosa Francesca e del suo non meno sovrappeso Paolo fu congedata tra applausi, incoraggiamenti e auguri.
Questa specie di generale approvazione nei confronti di un comportamento così privo di considerazione dell'altrui sofferenza, approvazione dietro la quale sembrava potersi intravedere un sentimento di invidia per tanta appagante spregiudicatezza, mi colpì profondamente, mi riportò alla mente situazioni analoghe presentatemi in altre occasioni dal teleschermo e mi obbligò a risiedermi simbolicamente nella poltrona del mio studio ormai da cinque anni relegata in soffitta.
Proprio in occasione della fine di una attività durata cinquant'anni mi è stato chiesto cosa considerassi come il punto sul quale mi sentivo più sicuro come elemento fondamentale per la formazione della personalità. L'unica risposta che mi sono sentito di dare è che, genetica a parte, il carattere e quindi il destino di ognuno di noi sono in gran parte determinati dal quando, dal quanto e dal modo con i quali abbiamo dovuto confrontarci con la paura dell'abbandono, questo angoscioso sentimento che impariamo inevitabilmente a conoscere nei primi mesi di vita quando, essendo ancora praticamente paralitici (è lo scotto che dobbiamo pagare per il nostro ambizioso progetto di divenire bipedi), ci rendiamo conto che chi ci accudisce non fa parte di noi, non è un nostro prolungamento sempre obbediente, ma è al contrario un essere potentissimo, enorme e del tutto da noi indipendente, alla cui presenza e benevolenza dobbiamo ogni cosa, il cibo, il benessere e in definitiva la sopravvivenza. Se l'alleanza è buona, se viene ben presto rinforzata dalla presenza attenta, benevola e rassicurante della figura paterna, se l'Altro ci fa sentire sin da principio degli esseri importantissimi e degni del suo amore e il rapporto è quindi improntato a fiducia, la momentanea paura dell'abbandono si vanifica sino quasi a scomparire e noi cresciamo con un sentimento di sicurezza e di valida autostima, stato d'animo indispensabile per un sereno futuro fatto di indipendenza, confidenza nelle nostre possibilità realizzative e soprattutto fede negli affetti e nelle coraggiose scelte di vita.
Ma se qualcosa si inceppa prima che il figlio abbia raggiunto una sufficiente autonomia, quella paura ricompare devastante e si accompagna a un inevitabile crollo dell'autostima, sino a volte a una deformazione caratteriale cui anni e anni di eccellente trattamento psicoterapeutico potranno porre solo un parziale rimedio.
Ora una delle cause principali e purtroppo sempre più frequenti di tale inceppamento è la separazione dei genitori. Infatti ogni separazione, anche la più soft, fa puntualmente ricomparire nei figli non tanto la paura, quanto la realtà dell'abbandono. La ferita che ne deriva non è solo dovuta alla perdita di un oggetto amato, quanto a un meccanismo molto più complesso: poiché il modo di pensare dell'infanzia è essenzialmente egocentrico e tale persiste sino ai 10 ani ed oltre, ogni accadimento che riguarda il figlio è da lui letto in chiave di protagonista e pertanto l'abbandono si declina pressappoco così "io non valgo niente, sono una piccola cosa che si può lasciare senza eccessivo rimpianto, io non valgo proprio niente, non sono riuscito a tenere unita la famiglia, forse sono addirittura la causa della loro separazione".
Questo primo destruente vissuto di annichilimento provocherà come immediata reazione un abbassamento del livello del rendimento scolastico (tutte le insegnanti che dalle elementari ai licei ho contattato nel corso delle consulenze tecniche espletate per conto del Tribunale dei Minori e della sezione del Tribunale Civile assegnata al Diritto di Famiglia, mi hanno detto che sulle basi del crollo dei voti possono riconoscere il giorno e l'ora nei quali l'allievo che è oggetto dell'indagine è stato coinvolto nel dramma famigliare) cui seguiranno sconvolgenti crisi di rabbia impotente che facilmente si tramuteranno in sensi di colpa ben difficili a debellare e quindi tali da indurre assurdi atteggiamenti sacrificali e riparatorii.
A mio parere questo dilagante figlicidio subdolo riceve dai mass media un pesante assenso e induce a un aperto impulso imitativo. Non esiste talk show nel quale una avvenente fanciulla o un famoso play boy non parlino, sotto lo sguardo benevolo del conduttore e degli altri intervenuti, dei loro numerosi successivi amori consacrati e non, soffermandosi su vari particolari tra i quali primeggia la classifica delle prestazioni e solo per inciso si viene a sapere che durante il tragitto ci è scappato un figlio. Di esempi ve ne sono infiniti e giornalieri, rimbalzanti dal piccolo schermo a quello grande (American beauty, Happiness e come filosofia di fondo lo stesso Pane e tulipani), dai quotidiani ai rotocalchi.
2. LA RICERCA
Questo comportamento che minaccia di introdurre nella vita dei figli fisicamente vivi, ma dentro già morti perché privi di entusiasmi e sicurezze, mi ha indotto a chiedere all'Istituto Gemelli Musatti i collaboratori per condurre una ricerca sufficientemente dimostrativa sui programmi televisivi a più larga diffusione, con lo scopo di verificare se questa ipotesi fosse una mia impressione o corrispondesse a realtà.
Mi sono state assegnate due collaboratrici particolarmente valide ed efficienti, le dottoresse Cristina Lomazzi e Gaia Lumbelli che univano a queste qualità di base il pregio di avere esperienza nel campo radiofonico e televisivo e soprattutto quello di essere giovani e quindi in grado di compensare e attenuare l'inevitabile anche se controllata mia tendenza a rifarmi al tempo che fu.
Abbiamo stabilito come durata delle ricerca un periodo di tre mesi (7 gennaio-14 aprile 2002), abbiamo passato in rivista le trasmissioni dei palinsesti Rai e Mediaset e scelto come programmi da osservare le seguenti testate: Costanzo show, I fatti vostri, Sembra ieri, C'è posta per te, Il trucco c'è, La vita in diretta, Verissimo e Buona domenica. In maniera non sistematica, ma solo se trattavano temi pertinenti abbiamo visionato anche Porta a Porta e Terra.
In un secondo tempo abbiamo tralasciato C'è posta per te e Il trucco c'è, perché troppo evidentemente artefatte e non significative. Ogni trasmissione è stata registrata e visionata. Ne sono stati conservati i pezzi che collegialmente abbiamo ritenuti pertinenti alla ricerca.
Per restare alle cifre, abbiamo visionato circa 600 ore di trasmissione e siamo giunti a isolare ed evidenziare 120 situazioni (nel capitolo compilato dalla dottoressa Lomazzi sono descritte a seconda delle trasmissioni le varie tipologie di questi momenti) nelle quali si parla di genitori separati con figli. Solo nel dieci per cento dei casi si tratta di persone non appartenenti al jet set o al mondo dello spettacolo con il coro degli aspiranti che girano attorno, ma più semplicemente alla gente comune.
In una decina di casi abbiamo ritrovato in trasmissioni diverse anche se a volte appartenenti alla medesima rete, personaggi già visti che ripetevano la loro storia per lo più con pochissime varianti, tranne quella molto caratteristica della rapidità con la quale un compagno o una compagna usciti di scena a gennaio sono già rimpiazzati quindici giorni dopo. Spesso ritroviamo i medesimi nomi che a volte si sganciano da una coppia per formarne un'altra. L'abbandonato a sua volta fa sapere quasi subito di essere nuovamente accompagnato, il tutto con un ritmo così frenetico che denuncia l'immatura impossibilità del soggetto a rimanere solo e la sostanziale mancanza di affetto oggettuale.
I figli ci sono sempre, molto spesso anche numerosi e per lo più appartenenti a successivi matrimoni o amori. Direttamente non compaiono mai, se non nel caso si tratti di persone già adulte e aventi una personale notorietà, vengono comunque quasi sempre descritti come bambini felici, adorati dal genitore in quel momento intervistato e perfettamente a loro agio nel turbinio di sostituti che li circondano.
Non dello stesso parere sembrano essere i figli adulti che apertamente denunciano l'ambivalenza nei riguardi soprattutto della figura materna e l'aver cercato e a volte per fortuna trovato in uno dei successivi accompagnatori di mammà (in genere quello che durava più a lungo) la fonte di calore e di sicurezza della quale avevano così acuta necessità.
A proposito di rapidità degli eventi, nel breve spazio temporale di tre mesi abbiamo seguito la vicenda di un bambino di un anno e mezzo che definito come il figlio felice di una coppia solida e consacrata, perdeva ben presto il padre dedito ad altri amori, ma la madre premurosa glielo sostituiva con un altro più avvenente nello spazio di una settimana; abbiamo appreso di un altro infante ancora al livello fetale, dapprima che avrebbe avuto il riconoscimento paterno, poi che il gentiluomo ci aveva ripensato e si era tirato indietro, salvo ripetere questo passo di danza un paio di volte ancora. Lo abbiamo lasciato come figlio di madre sola, ma non è detto che la situazione sia definitiva.
Una avvenente e arguta giovane attrice ha raccontato a una divertita Iva Zanicchi a "Sembra ieri": "il mio unico grande amore costante è mia figlia che ha ora quattro anni, l'amore per suo padre è passato, perché in fondo gli amori sono come dei viaggi più o meno lunghi a seconda se sono interessanti o no, ma come tutti i viaggi prima o poi finiscono...".
Tra le tante interviste ce ne è una molto singolare : è quella di un famoso attore che parla del suo fedele e felice matrimonio che dura da più di venti anni quasi con pudore "sembra scandaloso...ma questa dovrebbe essere la normalità, invece quando una coppia che fa parte del mondo dello spettacolo resiste nel tempo sembra che sia anormale..." .
Vi sono poi interviste esprimenti una crudele ed egoistica ristrettezza mentale come quella ad una famosa attrice del passato che dichiara con assoluto convincimento che i figli soffrono solo sino a un certo punto della separazione dei genitori, ma che poi nel prosieguo della conversazione lascia comprendere le origini di questa sua miopia per il fatto che "a me i bambini stufano...".
Un gruppo di interviste in genere dedicate alla gente comune riguardano i problemi affettivo giudiziari che la separazione comporta, figli che non si riescono a vedere perché non si è in regola con il pagamento degli alimenti o perché il genitore affidatario si è trasferito dall'altra parte della penisola se non addirittura all'estero. Questo permette l'introduzione in scena di famosi avvocati matrimonialisti che porgono per fortuna pareri pacati e illuminanti. Non così purtroppo certi psichiatri che affermano che non si deve evitare il divorzio per i figli, perché mandare avanti una situazione familiare impregnata di ipocrisia non significa fare il bene dei minori.
Si potrebbe andare avanti ancora a dare degli esempi perché ognuna delle 120 storie contiene particolari significativi, ma mi limiterò in questa sede a riportarne uno tristemente significativo.
A circa due anni di distanza dagli avvenimenti che hanno fatto discutere tutta Italia, la troupe de "La vita in diretta" ha raggiunto nella nuova casa gli "Amanti di Montecastrilli" che sono tornati al paesello e vivono con il loro bambino di venti mesi. L'intervista è in diretta e viene inserita in un dibattito sul concetto di "peccato" (una sorta di "salotto", categoria di cui si discuterà nel prossimo paragrafo). In questo caso comunque, un ampio spazio è riservato esclusivamente a questa vicenda che si può quindi considerare come un'intervista con coro.
Monica Leoffredi, che affianca Cucuzza nel condurre la trasmissione, introduce il collegamento affermando: "A distanza di due anni, gli amanti di MonteCastrilli non sono più amanti, sono una famiglia". La presentazione "politically correct" della conduttrice viene smentita dalla scritta che appare qualche secondo dopo in sovraimpressione durante il collegamento: "Gli amanti di Montecastrilli", appunto.(1) In studio Cucuzza e alcuni ospiti sono liberi di intervenire e parlare direttamente alla coppia. Sono il giornalista Cesare Lanza, il professore Stefano Zecchi e Susanna Torretta. Il tema della conversazione è il peccato. Alla fine Cesare Lanza chiude la discussione sentenziando: "A distanza di due anni va detto che il vero peccato fu commesso da una società morbosa e voyeuristica, dall'aggressività dei Mass-media e dal marito volgare e sguaiato di Agnese".
La giornalista che si trova a casa della coppia, chiude con maggior sensibilità il collegamento augurando "ogni bene a voi, ai tuoi tre figli (nati dal matrimonio fallito di lei ) e al tuo ex marito". Come emerge anche da questo esempio, spesso il coro si schiera a favore dell'intervistato o degli intervistati. Nella vicenda in questione, infatti, è sorprendente che non emergano posizioni critiche nei confronti di questa nuova famiglia, soprattutto alla luce dell'acceso dibattito provocato alla fine del 1999 dalla fuga di Leonardo e Agnese. Al contrario, l'affermazione di Cesare Lanza così come appare in questa trasmissione, sembra sintetizzare l'opinione dominante.(2)
3. CONSIDERAZIONI
La prima obbiezione che può essere mossa è quella che l'indagine ha avuto come oggetto praticamente solo il mondo degli attori, un mondo particolare formato spesso da persone che per le vicende della loro vita sono rimaste a uno stato di sviluppo psichico ove prevalgono le pulsioni narcisistiche, soggetti che non avendo ancora raggiunto una salda identità propria sono portati a imitare quelle altrui ( e per questo passano spesso con successo dall'interpretazione di un personaggio a un altro completamente diverso) e come gli adolescenti hanno una autostima fragile sempre necessitante della conferma esterna e pertanto un assoluto bisogno di essere riconosciuti, ammirati e amati da qualcuno , non tanto importa da chi, purché abbia degli occhi adoranti. Un mondo dal quale lo spettatore dovrebbe facilmente distinguersi una volta spento il televisore.
Ma in questi ultimi anni il desiderio di far parte di quel mondo o almeno di poterlo imitare si è lentamente impossessato degli utenti. Bene lo sanno i pubblicitari e gli esperti di comunicazione. Qualche anno fa una giovane attrice elegante e truccata intenta ai fornelli a reclamizzare un prodotto alimentare non ne aumentava affatto la vendita, la casalinga irrideva al connubio -con quelle mani e quelle unghie quella lì i fornelli non li ha neppure visti-, ora invece le mamme televisive con le quali la spettatrice ama identificarsi devono essere giovani, più simili a delle figlie che a delle madri, dinamiche e soprattutto abbigliate in modo da non avere nulla che ricordi la casalinga classica con la veste da lavoro e il grande grembiule. Se anche sono ritratte mentre lavano delicatamente un piatto, una volta tolti i lunghi guanti di gomma e il minuscolo paragrembo appariranno elegantissime e pronte per una serata di gala.
Poter essere al di là dello schermo televisivo e avere l'occasione di carpire un poco di notorietà fa si che le candidate al posto di veline siano migliaia e che per poter partecipare al concorso "Saranno famosi" si facciano carte false. Il desiderio di apparire è così forte che invade anche le persone non più giovani, sicché molte delle scene nelle quali marito e moglie si distruggono accusandosi delle peggiori nefandezze sono preparate ad arte e interpretate da attori di secondo piano, ma altre sono vere e comunque appaiono vere, perché tutto è giustificato dal desiderio di essere là davanti alle telecamere.
Recentemente i chirurghi plastici dichiarano che le richieste da parte di giovani di poter trasformare il loro mento, perché diventi simile a quello di Ridge di Beautiful, sono in continuo aumento. Contemporaneamente le giovani giapponesi chiedono al bisturi magico che si adoperi per trasformare i loro ridenti e suggestivi occhi a mandorla in grandi occhi occidentali. Si parla tanto di globalizzazione dei prodotti sotto la spinta degli interessi delle grandi industrie multinazionali, ma quanto incide su questo fenomeno la globalizzazione dei desideri spinta dal messaggio uniformante dei mass-media. Quel mondo con i suoi riti e le sue regole non ci appare più come qualcosa di estraneo ed effimero, ma diviene un modello da imitare e fare nostro.
Così in questa nostra esistenza che in pochi anni igiene e vitamine hanno reso incredibilmente più lunga, pensiamo sia giusto cercare nuove soluzioni di vita e soprattutto nuovi amori. Lo fanno loro e ci dicono come sono contenti di questa incessante danza delle coppie che per scambiarsi non hanno neppure più bisogno che, come avveniva nei tempi antichi, un cerimoniere dica loro: et maintenent, changez de dame! Pertanto possiamo farlo anche noi. E' vero, ci sono i figli, ma a quelli basta dire e dimostrare con doni che papà e mamma si sono lasciati perché non si volevano più bene, ma che nei loro confronti il loro grande, grandissimo amore è immutato. Come si possa poi dimostrarlo quando nella vicenda si insinueranno necessariamente avvocati, giudici e periti e cominceremo a scannarci sull'entità dell'appannaggio al coniuge più debole, sui giorni di visita del genitore non affidatario e sul chi paga i vestiti, le spese mediche e le refezioni scolastiche, questo al momento non lo consideriamo spinti come siamo dall'urgenza del cambiamento. Poi noi siamo persone ragionevoli, sono cose che accadono agli altri che non sanno ben comportarsi in situazioni che sono sì delicate ma gestibili.
E poi perché sposarsi? Il matrimonio è suggestivo, tutto quel cerimoniale é commuovente, ma si tratta di giurare davanti a tutti che ci ameremo e saremo fedeli per sempre in ogni circostanza. E se poi ci siamo confusi e un bel giorno ci rendiamo conto di esserci legati alla persona sbagliata? Quanto tempo, quante spiegazioni, quanta burocrazia e quanto danaro per ottenere la libertà! Meglio mettersi assieme così semplicemente senza tanti orpelli. Oggi la società accetta che si abbia un compagno o una compagna, a volte ci vengono fatti persino dei regali come se ci fossimo sposati, poi se la questione funziona si va avanti, se qualcosa si incrina basta sfilare la valigia (sempre pronta) di sotto al letto e andarsene.
Se arriva un figlio si può pensare al matrimonio, ma, ci dice lo psicologo dalle pagine del rotocalco che troviamo dal parrucchiere, questa corsa ai ripari dovuta al timore che le mancate nozze possano influire negativamente sulla futura serenità del bambino è una preoccupazione infondata, quello che conta per lui è la solidità dei sentimenti e la quantità di investimento affettivo reciproco tra i genitori, il fatto che questi siano o meno sposati è secondario.
Così avviene che in Europa il 26% delle nascite avvenga fuori dal matrimonio con picchi di quasi il 50% negli stati nordici ove la Legge è molto generosa con le madri nubili. In Italia siamo ancora a percentuali più basse, solamente Milano raggiunge un rispettabile 25%.
Poi succede che il figlio seienne di una coppia molto anticonformista e perciò unita solo di fatto li senta litigare e colga questa frase: Se non la smetti faccio la valigia e me ne vado, tanto non siamo neppure sposati! Chiede allora spiegazioni e avuta la conferma che i genitori non lo hanno ritenuto degno di un rassicurante matrimonio, viene colto da una improvvisa scarica diarroica che si trasformerà in una vera encopresi che tormenterà lui e i genitori per più di dieci anni.
Spesso ho sentito dire, non solo, come ho già accennato, da parte dei genitori nelle interviste prese in considerazione, ma anche nella mia pratica privata da parte dei figli, che è meglio così, che si trovano perfettamente a loro agio in queste "famiglie allargate", come è di moda dire per evitare di dover ammettere che sarebbe più giusto definirle "famiglie distrutte".
Questi stessi ragazzi sono stati indirizzati a me perché hanno estrema difficoltà a farsi degli amici, dato che chiedono rapporti esclusivi e sono quindi sempre pronti a sospettare nell'altro un interesse labile e mutevole, perché controllano ossessivamente il genitore affidatario, ne spiano le amicizie nella paura che un altro adulto possa penetrare nella fortezza e occupare il posto di chi se ne è andato, perché di fronte al primo insuccesso dicono di non voler più praticare quello sport che li entusiasmava sino al giorno prima, insomma perché alla base si sentono insicuri e abbandonabili. Poiché peraltro devono sopravvivere, quando non imboccano la strada dei paradisi artificiali, fanno di tutto per considerare la situazione come ottimale, da loro stessi desiderata e pilotata, fatto quest'ultimo che ha del vero perché ben presto imparano a trarre profitto dal senso di colpa dei genitori che spesso temono di essere superati l'uno dall'altro nella capacità di mantenere alto l'affetto dei figli e pertanto vanno a gara nell'appagare i desideri che vengono espressi con un incessante crescendo. Ed ecco gli abiti e i relativi accessori tutti firmati, costosissimi, senza che nessuno dei due genitori abbia il coraggio di dire di no e di dimostrare che al momento non ha i soldi per far fronte a queste spese. Che se poi uno non può, c'è sempre l'altro che trova il modo di fare quello specifico dono.
Mi si dirà che la moda dei capi griffati è diffusa in tutta la gioventù anche quando i ragazzi hanno dietro famiglie unite, ma questo nei figli dei separati assume delle valenze esasperate, anche perché con la "divisa" in ordine ci si sente più sicuri e validi.
Nei soggetti intervistati nel corso della ricerca è significativamente alta la percentuale di casi nei quali si dichiarano figli di genitori a loro volta separati, anche se quella separazione è caduta in un'epoca nella quale era meno accettata dal contesto sociale. E' questa una catena dolorosa ma facilmente prevedibile. Come ho già detto, i soggetti che sono incapaci di un amore maturo che implica quindi una tolleranza per i difetti dell'altro, fondamentalmente non amano, ma hanno bisogno di essere amati, per cui ogni gesto dell'altro non perfettamente rispondente a questa necessità viene ingrandito e diviene ben presto intollerabile, da cui la rottura. Queste persone generano a loro volta dei figli che assorbiranno questo clima e saranno dolorosamente portati a declinare il tutto in chiave egocentrica e quindi per nulla portati alla comprensione e al perdono.
Questo fenomeno a cascata non produrrà necessariamente dei soggetti pavidi e sfiduciati, a seconda delle circostanze potremo anche avere dei vincenti, ma sempre dei soggetti rigidamente costretti a mantenere sempre quell'atteggiamento anche quando la situazione richiederebbe altri comportamenti, privi di entusiasmi e soprattutto incapaci di abbandonarsi pienamente ai sentimenti, al pianto liberatore come alla risata colmante di gioia.
Ora io credo, come ho già accennato all'inizio che si debba vedere in questo comportamento così cieco nei confronti dei figli una nuova, ben camuffata forma di figlicidio.
4. DEL FIGLICIDIO
Si deve allo psicoanalista Arnold Rascovsky l'inizio dello studio sistematico di questo doloroso fenomeno che l'umanità ha sempre avuto sotto gli occhi, ma che, per l'orrore che suscita, ha sempre cercato di nascondere e negare.
Ha cominciato col negare il termine; nei vocabolari di tutte le nazioni civili troviamo espressioni ben precise per ognuno dei possibili omicidi che possono essere commessi all'interno di una famiglia: parricidio, matricidio, fratricidio e uxoricidio, ma quando si tratta di figli il termine sfuma in un più generico infanticidio, come se fosse qualcosa che non ci tocca direttamente. Persino su Internet, mentre la voce infanticidio è seguita da numerose pagine di bibliografia che trattano l'argomento sotto vari punti di vista, la voce figlicidio fa riferimento solo a due o tre lavori tra i quali i più importanti sono il libro di Rascovsky tradotto in italiano nel 1973 e intitolato appunto "il figlicidio" e un paio di lavori dello psicoanalista italiano Emanuele Bonasia tra i quali il più importante e significativo è "La guerra, la morte e il figlicidio".
Persino un recente libro di Giulia di Bello e di Patrizia Meningolo (ETS 1997) pur avendo l'argomento al centro della trattazione, ignora il termine e titola "Il rifiuto della maternità. L'infanticidio in Italia dall'ottocento ai giorni nostri."
Per inciso persino il mio computer, mentre accetta il vocabolo infanticidio, di fronte alla parola fratricidio la sottolinea vivamente di rosso, quasi volesse affermare trattarsi di termine sbagliato o comunque sconosciuto. Tutti questi tentativi di mascheramento se non di negazione cercano di nascondere quel complesso sentimento nei riguardi dei figli nel quale accanto ad amore, orgoglio e dedizione troviamo anche odio e invidia per una creatura che sale mentre tu fatalmente scendi, rabbia per tutte le responsabilità che ti graveranno addosso e per tutte le limitazioni che ti dovrai imporre, gelosia per i successi che potrà avere più di te e vergogna anticipatoria per i suo eventuali fallimenti, sia un gravame con il quale la società umana ha dovuto fare i conti sin dall'inizio.
Le stragi degli innocenti (significativo l'etimo della parola: non ancora in grado di nuocere) che periodicamente ritroviamo nelle storie dei vari popoli e che metaforicamente esprimono la paura del padre di essere sopraffatto dai figli, le capanne costruite sul cadaverino del primogenito sacrificato, le prime file degli eserciti romani in battaglia formate da infantes (età media anni 17, se raggiungevi i 25, in combattimento non morivi più perché te ne stavi per statuto nelle retrovie), i bambini puniti con frustini dal diametro e dal peso progressivo in funzione della gravità della colpa, i lattanti mandati a balia nelle campagne (80.000 da Parigi nel 1790) in rapporto di due o tre per nutrice e colà lasciati per anni al ritmo di una o due visite nel periodo e nessun intervento all'eventuale funerale, i ragazzini che l'inizio dell'era industriale confina in miniera a riempire i carrelli del carbone e a morire di tubercolosi e infine l'enorme successo tuttora confermato di libri come David Copperfield, Olivier Twist, Barnaby Rudge, la piccola Dorrit di Dickens e Senza famiglia di Malot, ove pagine e pagine si soffermano sulle sofferenze inaudite inferte a poveri bambini indifesi con minuzia di particolari e compiaciuta insistenza sulle atrocità tali da far pensare che gli autori "avvertissero" l'interesse che avrebbero suscitato, tutto ci conferma l'esistenza del bisogno figlicida che da sempre pervade l'animo umano.
5. CONCLUSIONE
Mi si dirà che tutto questo appartiene al passato, che l'umanità si è finalmente resa conto dell'assurda atrocità di questo suo comportamento e che è in atto un gran movimento riparatorio. Abbiamo creato il Tribunale per la difesa dei minori, Il Telefono Azzurro è pronto a rispondere e intervenire, esiste a Milano un validissimo Centro per il Bambino Maltrattato e la cura della crisi famigliare, un paio di volte al mese veniamo invitati ad acquistare una pianta di azalee o di ortensie per i bambini che soffrono di malattie genetiche rare per le quali la grande industria farmaceutica non offre ricerca adeguata perché non remunerativa, ogni gran cantante regala almeno una volta all'anno i proventi di un suo megaconcerto per aiutare i diseredati dell'Angola, del Biafra e di tutte le altre Nazioni dalle quali ci giungono immagini di fanciulli dal ventre gonfio sormontato da un volto scheletrico e sorretto da gambe scarnificate.
No, non siamo diventati più buoni perché quei morituri li creiamo noi attraverso una politica di macroinvestimenti che comportano in definitiva sradicamenti di intere popolazioni per i processi di desertificazione che certi progetti industriali implicano, perché non combattiamo con sufficiente forza i fenomeni di tratta e vendita dei minori che vengono avviati alla mendicità organizzata, alla prostituzione pedofila e a volte persino al mercato di organi.
No, non siamo divenuti più buoni anche al di là dei casi estremi sopra elencati, abbiamo solo cambiato strategia. Un tempo l'attacco figlicida era diretto, veniva perpetrato dalla società e dalla famiglia a volto scoperto, in funzione di usanze, tradizioni e superstizioni da tutti condivise, ma la famiglia restava unita e curava la prole risparmiata, ora si colpiscono i figli, tutti i figli indiscriminatamente dissolvendo intorno a loro il nucleo famigliare, il caldo nido rassicurante e formante.
Il diffondersi a macchia d'olio della separazione e del divorzio con tutte le battaglie che ne conseguono "in nome dei figli", ma in realtà sulla loro pelle e il crescente numero di coppie di fatto che ancor più frequentemente e facilmente si sciolgono indipendentemente dal fatto che siano nati o meno dei bambini, mi sembrano la prova di quanto intendo sostenere.
Mi si dirà che il divorzio è ormai un dato di fatto che abbiamo approvato a maggioranza, che è entrato nei costumi della nostra società e che quindi non si può più fare marcia indietro. Poiché peraltro sappiamo che i danni che deriveranno inevitabilmente alla personalità dei figli potranno essere gravi e compromettenti il loro futuro, dobbiamo fare di tutto perché la rottura del nucleo famigliare avvenga, quando ci sono dei figli soprattutto se piccoli, solo nei casi obbiettivamente estremi.
I mezzi di comunicazione di massa dovrebbero quindi trovare il modo di raggiungere la maggior parte dell'audience con chiare ed esaustive trasmissioni che spiegassero i rischi cui vanno incontro le innocenti vittime delle dirompenti decisioni dei loro genitori.
Pertanto quello che io rimprovero, soprattutto alla televisione è l'atteggiamento di tacita approvazione nei confronti di tutti quei personaggi che narrano i loro plurimi amori e il disinvolto cambio di partner, mentre mostrano la loro superficialità nell'osservare le reazioni dei figli di fronte a tali sconvolgimenti.
Questo implicito suggerimento che è possibile e lecito vivere più vite nell'arco di una esistenza, questo ammiccamento complice con l'accompagnamento di liete musichette mi ricorda molto il serpente tentatore del lontano Paradiso Terrestre.
E i serpenti, come ognuno sa , sono infidi e vanno schiacciati.
Note:
1 E' comunque curioso che il termine amanti compaia quasi esclusivamente, nelle trasmissioni da noi esaminate, per questa coppia villereccia, mentre in tutti gli altri casi si usano termini meno specifici come compagni e soprattutto fidanzati. Direbbe Freud che ancora una volta il rimosso ritorna nel rimovente. (R. Sigurtà)
2 L'affermazione sentenziosa è tanto più sconcertante e deviante lo spettatore in quanto che in tutta l'intervista Agnese non ha fatto che confermare un egocentrismo cieco nei confronti degli altri suoi tre figli da lei accusati di incomprensione "si rifiutano di vedermi non so perché" e liquidati con un indifferente "quando cresceranno capiranno".
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