Rivista
Medicina Psicosomatica
Organo Ufficiale della Società Italiana di Medicina Psicosomatica
Antonio Bernabei, Laura Mollichella
Università Degli Studi di Roma "La Sapienza"
Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica
IL RISCHIO PSICOSOMATICO IN REALTÀ VIRTUALE
PSYCHOSOMATIC RISK IN VIRTUAL REALITY
Pubblicato su: Medicina Psicosomatica, Vol.42, n.4, 1997, pp.215-230
(Società Editrice Universo, Roma)
Miti sulla natura del corpo umano: in principio era la fisiologia dualista
In Genesi 2.7, l'uomo modellato con polvere riceve "un alito di vita" che il Signore soffia nelle sue narici.
Si delinea una distinzione tra materia e principio vitale non materiale. Alla morte, "il soffio vitale torna a Dio che lo ha dato" (Qoelet 12.7) con l'ultimo atto espiratorio.
Il dualismo comporta sia una svalutazione del corpo rispetto al principio vitale, sia il problema della relazione tra i due principi.
I primi uomini, dall'ebraico Adamo (argilla) al manicheo Ohrmazd, sono costituiti da un corpo che imprigiona l'anima: secondo un inno manicheo, Az (madre dei demoni, il cui nome vuol dire desiderio) "creò il corpo e la prigione e vi incatenò l'anima afflitta" (1).
Il problema della relazione corpo-anima secondo i manichei poteva così riassumersi: come riguadagnare coscienza della natura divina dell'anima, come separare l'anima dalla materia corporea (disgustosa poiché Az l'ha costituita "dal sudiciume dei demoni"), come farla tornare al regno di luce.
Nella fisiologia manichea (1), la meditazione, le pratiche dietetiche, la rinuncia al lavoro fisico, l'astinenza sessuale consentivano purificazione, in ciò coadiuvate dalla defecazione che aiuta a liberarsi dalla materia oscura: i processi fisiologici salvano l'anima dalla prigionia del corpo.
Le antropogonie indoeuropee (2) tendono a stabilire non solo una consustanzialità tra corpo umano e universo, ma anche una omologia abbastanza dettagliata tra parti del corpo e parti del cosmo (carne-terra, sangue-acqua, cervello-nuvola, ecc.); tali omologie erano alla base del sacrificio, per cui le varie parti del corpo della vittima sostenevano il cosmo, ed erano alla base della terapia, per cui le fratture possono rinsaldarsi con l'introduzione di frammenti di pietra, le ferite essere guarite dalla terra, l'alopecia essere trattata dall'erba.
La relazione allomorfa (tra capelli ed erba, tra ossa e pietre, ecc.) garantisce l'efficacia della cura.
La morte implica trasformazione nella controparte macrocosmica, ripetendo in qualche modo la cosmogonia.
Molto più recente è il modello del corpo umano come replica del corpo sociale: l'apologo di Menenio Agrippa, riportato da Livio 2.32, desume dalla stratificazione gerarchica degli organi del corpo, e dalla loro mutua interdipendenza, la legittimazione delle stratificazioni sociali.
Il modello è peraltro rinvenibile in fonti molto più antiche, come per esempio in un inno di creazione vedico (Rgveda 10.90).
La polarità destra-sinistra codifica simbolicamente altre polarità, quali donna-uomo, luce-oscurità, cultura-natura, ecc. Evidentemente, il corpo è portatore di un simbolismo che lo trascende, ed è inserito in una mappa di significati disposti in opposizione.
Nei rituali e nell'ideologia dei cultori euroamericani contemporanei del corpo (dalle diete al body-building, alla moda, ecc.) possono essere rintracciate forti analogie con le ideologie più antiche, basate sulla fisiologia dualista: anche nelle pratiche salutiste contemporanee è espresso il concetto che la regolazione dei processi corporei ha effetti benefici sulla psiche (3). E con qualche riscontro di senso comune.
Il mito sulla natura del corpo umano, come costituito da materia imprigionante e impura, e da un'anima imprigionata alla ricerca della via del ritorno ad una sua dimensione propria, è alla base non solo di una fisiologia dualista, ma anche di una dimensione virtuale del corpo e delle sue relazioni con la psiche, che può essere esperita nell'immaginario individuale, nei contenuti dei media, nella letteratura psicosomatica.
E' necessario inoltre osservare che alcune rappresentazioni di relazioni allomorfe, ma consustanziali, tra il corpo umano e sue parti ed elementi della natura, sembrano richiamare la trascrizione simbolica del processo primario.
Come nel sogno "gli oggetti simboleggiati appartengono per lo più sempre alla stessa sfera di elementi e di situazioni" (4), così anche le relazioni allomorfe, ma omologhe, tra parti del corpo e parti della natura, sembrano implicare simbolismi abbastanza trasparenti.
E questo senza voler imporre alla dimensione antropologica forzate interpretazioni psicodinamiche: quanto meno delle regole del processo primario sarà utile tenere conto nell'esplorazione della realtà virtuale.
La realtà virtuale e il giudizio di realtà
Secondo il Grande Dizionario Garzanti della Lingua Italiana (5) il termine virtuale vuol dire "che esiste ma non si è ancora realizzato", oppure anche "potenziale, possibile": tale significato è attribuito alla realtà virtuale.
Il termine virtuale sembra tuttavia aver acquistato significati non ancora previsti dai dizionari: la realtà virtuale, nell'accezione corrente quella sperimentata nell'interazione con un computer, non necessariamente è realizzabile, ma può restare pura rappresentazione, sia perché in assoluto irrealizzabile (per esempio un universo popolato di animali preistorici), sia perché realisticamente fuori della portata di colui che sperimenta l'interazione virtuale (per esempio la guida simulata di un aviogetto per chi non sia neanche ipoteticamente idoneo).
Al di là dell'aspetto di gioco o di studio, che si realizza nelle applicazioni più comuni con un "head mounted display", nel caso che l'esperienza della realtà virtuale diventi sempre di più frammentata sarà necessario valutare se il "reality monitoring" (6) ne possa essere alterato.
Per "reality monitoring" si intende la capacità di discriminare tra tracce mnemoniche derivate dall'esterno, da percezioni, e tracce mnemoniche derivate dall'interno, che originano dall'immaginazione (7).
Naturalmente, la memoria esterna non può essere considerata una copia diretta dell'informazione fisica ricevuta attraverso i sensi, mentre i dati sensoriali sono elaborati, interpretati, ricostruiti sulla base della conoscenza precedente, immagazzinata come schema, in senso costruttivista.
In altri termini l'informazione sensoriale derivata dall'esterno è integrata con la conoscenza derivata dall'interno.
E' clinicamente noto che il reality monitoring viene meno nella schizofrenia, e in generale in tutti gli stati deliranti e allucinatori, inclusi gli stati confusionali, e nelle demenze: almeno da un punto di vista generale sembra lecito porsi l'interrogativo se l'intensa frequentazione della realtà virtuale possa mettere a repentaglio la capacità di distinguere tra reale e immaginario nell'esperienza corrente e nella memoria.
In termini di senso comune, le probabilità di confusione aumentano con il tempo trascorso in realtà virtuale, con il significato personale attribuito alle esperienze virtuali in relazione a esperienze reali, e infine con l'organizzazione di costrutti che originano prevalentemente dall'esperienza virtuale.
Per esemplificare: un soggetto, con difficoltà sessuali, sperimenta una complessa realtà virtuale, di tema sessuale, motivante e gratificante, derivandone costrutti su di sé e sui partners virtuali, nell'esperienza virtuale, che poi trasporta nell'interazione reale.
Dal punto di vista qualitativo, le produzioni mentali immaginative sono solo molto limitatamente sovrapponibili: un'attività immaginativa gratificante e compensatoria viene comunque organizzata dal soggetto immaginante, che si serve, oltre che delle informazioni generali che possiede sul tema, dei suoi stessi costrutti. Al massimo, può tendere a impiegare costrutti mai sperimentati da lui stesso nell'interazione reale.
La realtà virtuale, per esempio del tipo su ipotizzato, viene programmata da altri, e il soggetto che la sperimenta può viverla derivando i costrutti relativi, che sono implicitamente suggeriti dal programma.
Per esemplificare: un partner sessuale virtuale è programmato in modo da rinforzare certi comportamenti, e non altri, che il repertorio del programma consente a chi sperimenta quella realtà virtuale; i comportamenti rinforzati sono sottesi da costrutti (per esempio sulla propria amabilità e desiderabilità) che non hanno relazione con i costrutti reali del soggetto.
Johnson e Raye (8) suggeriscono che vi sono due modi che permettono di distinguere memorie e realtà interne ed esterne: il primo modo dipende dalle caratteristiche delle tracce mnemoniche e degli input percettivi (le memorie esterne sono più ricche in attributi sensoriali, come suono, colore, immagine: lo stesso può dirsi degli input sensoriali), e inoltre memorie e input esterni sono accompagnati da più informazioni contestuali che li legano ad un tempo e ad un luogo specifico.
Viceversa le memorie e le fantasie generate internamente sono più schematiche, mancano di dettagli contestuali, e portano tracce di operazioni cognitive come il ragionamento, l'inferenza o l'attività immaginativa stessa.
Evidentemente, i due tipi di realtà e di memoria sono confondibili, come avviene nella schizofrenia, nella confusione mentale, nella demenza, ma molto limitatamente nell'esperienza normale: ciò probabilmente dipende soprattutto da criteri di plausibilità e coerenza dell'evento ricordato o della realtà sperimentata.
Se tuttavia sogni e fantasie, pur violando leggi naturali e senso comune, diventano quantitativamente, e magari anche qualitativamente, parte dell'esperienza individuale, è da chiedersi se il concetto di reality monitoring debba essere modificato, e se non sia giusto porsi il problema dei confini tra res extensa e res cogitans ai tempi della realtà virtuale.
Johnson e coll. (6) hanno dimostrato che individui capaci di formare immagini visive mentali insolitamente vivide e dettagliate possono avere serie difficoltà a distinguere se una memoria derivi dall'esterno o dall'interno: è da chiedersi se non sia plausibile qualcosa di simile nei frequentatori più assidui della realtà virtuale.
Anderson (9) ha dimostrato che la difficoltà di distinguere tra memorie esterne e memorie interne è funzione anche delle condizioni in cui la traccia mnemonica viene formata: condizioni che rendono più difficile la memorizzazione di un evento interno, includendo le tracce delle operazioni cognitive necessarie allo scopo, rendono più probabile l'individuazione della memoria interna come tale; è da chiedersi cosa possa avvenire della memorizzazione di un processo mentale innescato e guidato dalla programmazione della realtà virtuale, magari all'individuo ben nota, perché già molto frequentata.
Difficoltà supplementari nel reality monitoring sono state evidenziate nei bambini (10) e negli anziani (11): la possibile spiegazione è che il bambino e l'anziano abbiano difficoltà a codificare, accanto all'evento che si memorizza, le caratteristiche sensoriali e contestuali che fanno archiviare una data esperienza come memoria esterna; inoltre sembra che almeno nell'anziano (7) valga la regola "se in dubbio, decidi che è reale". Questo sembra indicare che i giovani e gli anziani potrebbero essere più vulnerabili rispetto alla possibilità di confondere reale e virtuale, almeno in termini di rievocazione mnemonica.
Il reality monitoring può essere considerato una forma della metacognizione e dipende dall'esercizio della metamemoria, vale a dire dalla conoscenza di come la memoria, la propria in particolare, funziona (7): l'ipotesi che si vuole sostenere può essere riassunta dicendo che la metacognizione discriminatoria tra memoria di realtà esterna, memoria di eventi immaginati., e memoria di realtà virtuali cui si è esposti, è inversamente proporzionale alla durata dell'esperienza virtuale e alle difficoltà personali (per età o disturbi psicopatologici associati) di discriminazione.
Non necessariamente poi un osservatore esterno, se anche lui sottoposto ad una identica o simile realtà virtuale, sarebbe capace di discriminare, o al limite sarebbe interessato a discriminare, tra la natura reale e quella interna-virtuale di un altro soggetto, come invece ordinariamente accade, per esempio quando si riesce a discriminare con successo, in una testimonianza, ciò che è stato osservato e ciò che è stato immaginato (12), adoperando criteri di discriminazione delle qualità del non-reale, come precedentemente ricordato.
Una citazione attuale: l'errore di Cartesio
L'errore di Cartesio (13), è un espressione che fa riferimento a una serie di idee sul corpo e sulla mente dell'autore del Discours de la méthode (1637) e dei Principia Philosophiae (1644), che hanno profondamente influenzato il pensiero occidentale, segnando la separazione tra la "cosa pensante" e la "cosa estesa".
Parafrasando Descartes (14), il concetto può essere espresso nella conoscenza, attraverso l'operazione mentale del "cogito ergo sum", di una sostanza pensante che non dipende da alcunché di materiale e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo; questo "io, cioè l'anima" è del tutto distinta dal corpo e, "anche se questo non fosse affatto, essa non cesserebbe di essere quella che è".
Una tale posizione si traduce nella separazione delle attività mentali dalla struttura e dal funzionamento del corpo. I sentimenti e gli affetti associati all'esperienza o al dolore fisico, e a qualunque attività cognitiva, vengono radicalmente separati dal corpo.
L'idea di una mente scissa dal corpo sopravvive tutt'oggi: la pratica di indagare l'attività cognitiva senza riferimenti neurobiologici, la metafora dell'attività mentale come programma di computer, lo stesso riduzionismo dell'attività mentale al puro evento cerebrale organico, sono conseguenze ultime del separatismo cartesiano.
La stessa psicosomatica, cioè lo studio degli effetti somatici di processi psicologici, mostra il continuo sforzo di colmare la separazione tra psiche e soma, continuando di necessità ad impiegare costrutti diversi (quelli della psiche e quelli del corpo), nel momento in cui tenta di stabilire una connessione tra i due ambiti. La stessa impostazione causa-effetto (dall'antecedente psichico al conseguente somatico) manifesta il tentativo di connettere due entità che l'impostazione cartesiana ha diviso.
La proposta, che è innanzitutto linguistica, e dunque speculativa, di Damasio (13), di considerare corpo, mente, e ambiente, come un insieme integrato, oltre ai suoi riflessi generali, nel tentativo di pensare come realtà unica ciò che di solito viene pensato come realtà separate, pone un problema di impostazione tra l'insieme corpo-mente e la realtà virtuale. Questa, nel momento in cui è esperita, anche nelle forme relativamente rudimentali, ma perfettibili, che sono attualmente possibili, costituisce tutta la realtà ambientale in cui l'insieme corpo-mente è immerso.
Per questa ragione, ha forse qualche interesse tentare di prevedere le conseguenze (psicosomatiche) della pratica della realtà virtuale da parte della cosa unica.
Le possibili aree di interazione critica tra la cosa unica e la realtà virtuale possono essere:
1) Analogie tra situazioni della realtà virtuale e dell'esperienza individuale, che implicano la possibilità di inferenze che il soggetto trasporta dalla realtà virtuale all'esperienza comune, e viceversa.
2) L'uso dei riferimenti anaforici, con ciò intendendo il riferimento retrospettivo a un'entità già sperimentata o menzionata in realtà virtuale o nell'esperienza reale, nella dimensione alternativa a quella in cui è avvenuta la menzione o l'esperienza iniziale.
3) La probabilità, teorica ma non tanto, che in realtà virtuale possano avvenire esperienze per le quali non sono disponibili espressioni linguistiche: potrebbe seguirne una sorta di afasia. Simili considerazioni sono possibili rispetto a ipotetiche agnosie, amnesie e dislessie.
4) Programmazione nella realtà virtuale di processi cognitivi con caratteristiche di funzionamento diverse dai processi cognitivi naturali: l'intelligenza artificiale non necessariamente deve essere programmata per imitare i compiti cognitivi cosiddetti naturali.
5) Alterazioni dell'elaborazione automatica, cioè del processo di operazioni mentali che si verificano senza inizializzazione cosciente.
6) Diversificazione delle regole probabilistiche nel mondo virtuale rispetto a quello reale.
7) Immagine corporea nella realtà virtuale non coincidente con l'immagine corporea dell'esperienza corrente.
8) Processi, abilità e strutture cognitive attribuite a personaggi del mondo virtuale, non solo diverse da quelle reali come precedentemente ipotizzato, ma anche in grado di evolversi progressivamente nei contatti successivi con la realtà virtuale.
9) Apprendimento nella realtà virtuale con regole diverse che nell'esperienza, per esempio per non adeguamento della realtà virtuale alle regole del condizionamento operante.
10) Eventuale capacità della realtà virtuale di interferire sullo stato di coscienza.
11) Induzione di emozioni.
12) Apprendimento di modalità di comunicazione non verbale specificamente progettate per la realtà virtuale.
13) Strutturazione della realtà virtuale in maniera da richiedere strategie di problem-solving del tutto inusuali.
14) Personaggi della realtà virtuale che usino modalità inferenziali non consuete e non corrispondenti a quelle dell'esperienza reale.
15) Distrazione dell'attenzione da sé, con concentrazione sulla realtà virtuale.
16) Evasione nella realtà virtuale come modo di far fronte ad eventi stressanti.
Intenzionalmente non si fa riferimento alle alterazioni dello stile percettivo e alle possibilità di alterazione degli input sensoriali che potrebbero realizzarsi in realtà virtuale: l'esame di tali aspetti introdurrebbe elementi di complessità non strettamente riferibili all'oggetto di questo lavoro.
Seguiranno ora considerazioni generali sull'interazione uomo-computer e sulle possibili conseguenze psicosomatiche delle distorsioni dei processi cognitivi sopra ipotizzati.
Interazione uomo-computer
Da un punto di vista generale, vengono descritte due modalità di interazione uomo-computer, la manipolazione diretta e l'interazione conversazionale (15).
Il concetto di manipolazione diretta si basa sull'idea che il computer sia uno strumento che ci permette di compiere azioni direttamente su oggetti del genere che ci interessano (calcoli, gestione testi, gestione immagini, ecc.).
In questa modalità di interazione è inclusa una simulazione del reale: per esempio, all'interno di un sistema di scrittura tipo Word per Windows, alcune proprietà della carta, della gomma e della penna sono riprodotte, ed altre sono invece sospese. Una metafora è quella della rappresentazione teatrale del mondo (16), dove un mondo reale viene simulato, sospendendone però certe caratteristiche, come, per esempio, la sequenzialità temporale non reversibile.
Il secondo tipo di interazione è conversazionale. Da un punto di vista generale un menù di opzioni, fra cui scegliere per eseguire poi operazioni di manipolazione diretta, è già un'interazione. Apparentemente più complesse ma sostanzialmente uguali nel significato sono le finestre di dialogo. Su algoritmi di relativa semplicità si basano poi interazioni conversazionali con il computer, che simulano per esempio un colloquio psichiatrico, con un paziente simulato (17).
Al di là dell'aspetto formalmente suggestivo di alcune interfacce conversazionali, l'obiettivo non è ovviamente quello di raggiungere una conversazione uomo-macchina apparentemente indistinguibile da quella uomo-uomo, anche se questo soddisferebbe nientemeno che il postulato di Turing (18) per la realizzazione di intelligenze artificiali, ma è costituito dal processo di ingegneria cognitiva sottostante alla programmazione del sistema interattivo.
Di fatto però, verosimilmente soddisfacendo il principio di Turing, le conseguenze emotive ed emozionali dell'interazione con una macchina intelligente sono l'aspetto più elementare del vissuto della realtà virtuale, che l'evoluzione tecnica ha reso infinitamente più varia e complessa dell'antica e suggestiva interazione tramite tastiera e stampante, e non priva forse di conseguenze psicosomatiche, come si vedrà.
Un terzo tipo di interazione uomo-computer è la realtà virtuale.
E' indicativo il precoce interesse per il virtuale di T. Leary (18): si è di fronte ad un livello di conoscenza e di esperienza, appunto virtuale, ma fuori dell'ordinario, quanto la dimensione psichedelica.
Fin dagli esordi fu evidente che il mondo virtuale poteva consentire versioni computerizzate dei giochi di ruolo, per esempio con Whole Earth Catalogue (19), che permetteva di interagire con la natura in modo ecologicamente corretto.
Nel convegno Cyberthon del 1990, i partecipanti, sia pure sensibili a ideologie radicali sugli psichedelici, stabilirono una chiara relazione tra esperienze psichedeliche e virtuale (20).
Le necessità industriali hanno stimolato, a fini di simulazione di compiti complessi, soprattutto di interesse militare, la progettazione di display tridimensionali (21); ma ancora antecedente è il concetto di "display definitivo" di Sutherland (22) che fa esplicito riferimento al concetto che l'output di un calcolatore possa divenire sensibile, e cioè visivo, acustico, cinestesico.
Rispetto ai simulatori di volo, Sutherland delinea la possibilità di un'interfaccia che possa riprodurre l'esperienza di qualunque spazio artificiale, "entro il quale il computer sia in grado di controllare l'esistenza della materia", o almeno l'esperienza di essa.
Naturalmente, non viene esperito il linguaggio di programmazione o il linguaggio macchina, ma ciò che gli effettori periferici, governati da quei linguaggi, producono.
La parola ciberspazio è stata definita (23) un'"allucinazione consensuale": il termine offre una versione divulgativa del concetto di display definitivo, in teoria la rappresentazione sensoriale di ogni informazione possibile.
E' stato suggerito (18) che il concetto di "villaggio globale", secondo McLuhan, che descriveva un nuovo ambiente di lavoro post-industriale reso possibile dalla tecnologia della comunicazione, abbia reso più popolare il termine ciberspazio, che non è solo la sfera dell'informazione ma anche la sfera dell'interazione uomo-macchina mediata da percezioni complesse, consensualmente convalidabili ma non reali, che si includono in una possibilità interattiva.
Un'applicazione esplicativa è nelle tecnologie dell'industria spaziale che simulano le condizioni di volo in assenza di gravità (18).
Con qualche forzatura, si può stabilire un parallelo tra virus biologici, virus dei computer (nell'accezione corrente) e progettazione di segmenti di realtà artificiale: mentre è vero che solo il virus biologico ha un fenotipo esteso e delimitato, i virus del computer e i programmi che simulano aspetti del ciberspazio sono in ultima analisi accomunati al virus biologico dalla proprietà di riprodurre qualcosa di esperibile, con il microscopio elettronico o con un display, proponendosi così come un possibile elemento, non continuo, dell'evoluzione.
E' stato suggerito che i confini tra l'interno e l'esterno del corpo si vadano dissolvendo per un processo di disseminazione del corpo nelle reti telematiche (25): mentre la nozione di corpo disseminato fa riferimento ad un contatto di superficie tra organico e inorganico, che realizza un transito, uni o bidirezionale, tra noi e il robot, nella realtà virtuale "immersiva" (25) si verifica una dislocazione del corpo che viene vissuta come reale, ma non ha materialità alcuna.
Indossare un casco e un guanto sono le modalità di immersione attuali nella realtà virtuale, ma deve essere sottolineato che storicamente la prima esperienza di spazio virtuale è data dalla telefonia, poiché, sulla base di un'insieme di informazioni che viaggiano via microfono-cavo, il cervello sperimenta uno spazio acustico virtuale, che realizza una "disseminazione corporea" bidirezionale. Essa è forse addirittura concettualmente più complessa della disseminazione unidirezionale che si realizza con l'head mounted display, e che tende a trovare moderne e preoccupanti applicazioni innovative con InterSkin, una tuta per cibersesso a distanza tra partner. In una tale applicazione l'interazione avviene materialmente sul corpo del partecipante, ma l'effetto sperimentato ha origine del tutto immateriale. Altre applicazioni hanno realizzato la possibilità di una eccitazione motoria, per cui gli arti del soggetto si muovono del tutto involontariamente, controllati a distanza (26).
Il display a cuffia, Dataglove, i sensori di posizione e movimento, gli attivatori, e infine gli elettrodi stimolatori sono l'interfaccia che consente l'ingresso nella realtà virtuale immersiva così come attualmente esperibile. Nella versione più casalinga le interfacce utente-computer implicano un vero e proprio alterego, cioè il puntatore che si muove in uno spazio, inclusa una terza dimensione simulata, attraverso finestre di dialogo.
Mentre, sul piano del senso comune, la realtà virtuale immersiva potrebbe esser liquidata come una sorta di gioco irrilevante, non si può fare a meno di citare Ortega y Gasset: "io sono io e le mie circostanze", cioè l'individuo esiste solo nell'interazione con l'ambiente nel quale vive (27). Anche un critico d'arte, Robert Hughes, ha affermato "in breve realtà significa interazione", intendendo che la realtà include gli sforzi fatti dal pittore per percepirla (28).
Su un altro piano, è da sottolineare la crescente vitalità di modalità di riflessione filosofica, in netta opposizione al tradizionale empirismo, che privilegiano il "discorso teoretico" (29), e cioè la produzione di teorie critiche della realtà che stanno alla realtà come il significante sta al significato, cioè in maniera arbitraria.
In pratica, il dato culturale, cioè il linguaggio, costituisce il fatto più rilevante.
Feyerabend (30), nell'affermare che "qualsiasi cosa può andar bene", nel senso che quest'ultimo è il solo principio che può valere in tutte le circostanze e in tutte le fasi dello sviluppo umano, in contrasto con un presunto giudizio di realtà fortemente diffuso e costante, ha implicitamente sostenuto la soggettività, cioè la virtualità soggettivamente organizzata, di qualsiasi giudizio di realtà, che merita di essere mantenuto se utile.
E' appena il caso di chiedersi quali potrebbero essere gli effetti dell'estensione del principio di Feyerabend a un'esperienza individuale che includa l'esperienza comune e l'esperienza della realtà virtuale immersiva.
Attualmente la diffusione anche domestica di connessioni a reti telematiche rende effettivamente possibile la consultazione di ipertesti, con ciò intendendo l'accesso ad una quantità indefinitamente ampia di informazioni, peraltro molto approssimativamente organizzata dai motori di ricerca, cioè da quegli indici analitici dell'ipertesto che offrono approssimative guide per temi.
La frequentazione di questa "biblioteca di Babele", con riferimento al racconto di Borges (31), costituisce già una sorta di realtà virtuale, non tanto per il progetto costruttivo, che in fondo è solo quello di una biblioteca con al massimo rudimentali interazioni con i vari bibliotecari, ma per il fatto che il pensiero euristico del lettore è sostituito da una procedura algoritmica del sistema (32), con evidente mutazione rispetto al processo reale consueto.
Sembra a questo punto lecito porsi l'interrogativo sugli effetti di un'intensa frequenza della realtà virtuale immersiva, resa probabilmente ancor più allettante dall'introduzione di complesse interfacce sensoriali ed effettrici, e dalla maggiore complessità dei programmi di gestione. Un aspetto particolare di tale questione sono le possibili conseguenze psicosomatiche.
Ipotesi sulla psicosomatica nella realtà virtuale
In un certo senso, già ora la malattia psicosomatica mette radici in una realtà virtuale: mentre è dimostrato che lo stress acuto ha conseguenze somatiche, non è altrettanto evidente che lo stress sociale cronico produca specifiche conseguenze somatiche. Tuttavia, il concetto di stress sociale come agente patogeno ha tale diffusione che molti individui, ritenendo di essere oggetto di stress sociale cronico, rispondono a tale valutazione con una reazione disposizionale anche somatica, con gli stessi effetti dello stress acuto. La differenza risiede nella valutazione dello stress cronico come stress acuto patogeno, e questo per ragioni culturali e non naturali.
Un'adeguata esposizione della questione è stata effettuata da Dantzer (33).
A parte questo ci si propone qui di delineare le caratteristiche di una realtà virtuale immersiva potenzialmente idonea a produrre malattie psicosomatiche, con meccanismi simili a quelli verificatesi nella realtà naturale.
Il movimento psicosomatico ha prodotto una realtà virtuale? Groddeck (34) ha sostenuto, ma Alexander (35) e Dumbar (36) hanno fortemente avversato, l'idea che la malattia psicosomatica abbia una funzione simbolica.
Da un punto di vista puramente teorico si potrebbe immaginare una realtà virtuale i cui personaggi, eventualmente lo stesso individuo che la sperimenta, presentano disturbi somatici interpretabili in senso simbolico, o con una specifica relazione con un dato conflitto, ovvero con una data personalità: in pratica, la drammatizzazione in realtà virtuale di teorie psicosomatiche classiche.
Come è stato già discusso a proposito degli effetti dello stress sociale, potrebbe avere un'importanza critica l'apprendimento in realtà virtuale di un presunto potere patogeno della stessa realtà virtuale sperimentale.
Un quesito particolare è quello sulle caratteristiche dell'immaginario e dei processi di simbolizzazione dei futuri assidui frequentatori della realtà virtuale: il concetto di pensiero operativo (37), cioè poco capace di immaginare e simbolizzare, può far ipotizzare una ricerca motivata dell'esperienza virtuale, in quanto sostitutiva, da parte dell'alexitimico (38). Probabilmente, l'individuo trasporterebbe nell'esperienza virtuale la sua alexitimia e le sue difficoltà di simbolizzazione; se la realtà virtuale venisse programmata in modo da ridurre al minimo la sollecitazione potenzialmente emotivizzante, allora si realizzerebbe verosimilmente un ambiente virtuale vantaggioso, che comunque dovrebbe offrire all'individuo rinforzi competenti al proseguimento dell'esperienza virtuale: il rinforzo negativo dell'esperienza reale emotivizzante, il rinforzo presumibilmente positivo di una realtà fantastica, come potrebbe essere gradito ad un soggetto con organizzazione cognitiva psicosomatica (39), o addirittura capace di abbassare la tensione emotiva, o di restringere il campo di coscienza a contenuti esclusivamente gradevoli, come potrebbe essere gradito, con noti meccanismi, ad un alexitimico tossicofilico.
Si vuole qui ipotizzare che una realtà virtuale immersiva opportunamente progettata potrebbe essere una realtà alternativa per il paziente con una organizzazione cognitiva psicosomatica, e con affetti presumibilmente protettivi, al prezzo di un proporzionale distacco dall'interazione reale.
Lo studio dei fattori psicologici nella malattia somatica con una prospettiva biologica, legata ai nomi di Cannon e Seyle (40), propone una causalità lineare che mette in connessione l'angoscia psicologica, una conseguente attivazione neuroormonale sostenuta, e conseguenti alterazioni funzionali a livello dell'organo bersaglio che, associate ad eventuali alterazioni strutturali prepatologiche che intervengano per conseguenza, producono la patologia definitiva (41). In questa prospettiva lineare gli effetti di esperienze in realtà virtuale immersiva, sono sostanzialmente da ricondurre al tipo, cioè ai contenuti, dell'esperienza virtuale: a questo può essere aggiunta la considerazione correttiva che la valutazione cognitiva dell'esperienza virtuale vissuta rende quella realtà virtuale più o meno stressante, e quindi più o meno patogena.
In definitiva, nella progettazione della realtà virtuale, si dovrebbero tenere in conto gli stessi meccanismi lineari che si verificano nell'esperienza reale.
Gli effetti psicosomatici di una data esperienza virtuale, in questa prospettiva, appaiono una prevedibile funzione del tipo di esperienza virtuale, della sua durata, e della valutazione cognitiva che il soggetto dà ai suoi contenuti.
Un'ipotesi suggestiva è l'eventuale effetto patogeno di un'esperienza virtuale che sistematicamente inibisca l'azione del soggetto immerso in essa: Gray (42) e Laborit (43) hanno attribuito, rispettivamente, l'ansia patologica e le malattie psicosomatiche ad una iperattività del sistema inibitore dell'azione. L'inibizione comportamentale, che risulta dalla previsione di una punizione o dall'assenza di una ricompensa attesa, potrebbe risultare da un'esperienza virtuale specificamente disegnata, magari per scopi completamente diversi, in modo da attivare il sistema inibitore dell'azione. In via ipotetica, potrebbe essere il caso di una realtà virtuale progettata nel senso suddetto allo scopo di sopprimere, con situazioni e stimoli avversivi, comportamenti indesiderabili dell'esperienza reale: un impiego terapeutico ingenuo della realtà virtuale, per esempio, potrebbe produrre malattia psicosomatica.
Naturalmente, non sarebbe sufficiente una singola e limitata esperienza di realtà virtuale immersiva a determinare conseguenze psicosomatiche. Nel noto modello di Kagan e Levi (44), le modificazioni funzionali dell'organo bersaglio sono possibili solo per sollecitazioni ripetute dei meccanismi reattivi fisiologici e psicologici che derivano da frustrazioni e conflitti ripetuti. Nello stesso modello si attribuisce comprensibile importanza ai fattori genetici e all'esperienza precedente. In via ipotetica, un'esperienza virtuale progettata con un numero non piccolo di gradi di libertà, in cui le esperienze virtuali sono più o meno gratificanti e desiderabili a seconda dei comportamenti che il soggetto è in grado di avere negli scenari virtuali successivi, potrebbe determinare, in un soggetto in senso lato predisposto, e con esperienze precedenti che hanno prodotto non competenza o autovalutazione di non competenza in una situazione reale analoga a quella virtuale, concreti disturbi psicosomatici.
In via ipotetica ed esemplificativa: dato un soggetto con irrisolte difficoltà sessuali, un'esperienza virtuale senz'altro gratificante potrebbe avere effetto nullo sul piano psicosomatico, mentre un'esperienza virtuale in cui l'erogazione di esperienze gratificanti sia condizionata a comportamenti opportuni del soggetto, che invece non è in grado di erogarli, potrebbe avere effetto patogeno.
Sembra ragionevole affermare che tanto maggiore è il tempo trascorso in realtà virtuale immersiva, tanto minore sarebbe il tempo trascorso nella fruizione e nello sviluppo di legami di attaccamento.
Sembra evidente che l'abitudine al virtuale è del tutto alternativa alla situazione naturale dell'attaccamento, di ricerca "protettiva" di una figura conosciuta in situazioni di solitudine, dolore, pericolo, fatica.
Forse presto l'epistemologia evoluzionistica prenderà atto che, nelle osservazioni etologiche di richiesta di cure, nella specie umana sta comparendo una mutazione: l'immersione nella realtà virtuale in alternativa alla richiesta di cura ai conspecifici, che offre un vantaggio in termini di sopravvivenza (se il bilanciamento con l'esperienza reale coesistente non è disturbante) e di adattamento all'ambiente (per immersione in un ambiente virtuale, alternato all'esperienza dell'ambiente reale).
La teoria dell'attaccamento dovrebbe iniziare a considerare l'ipotesi di una base sicura virtuale, dopo aver descritto quella reale (45).
La capacità di formare legami di attaccamento aumenta le probabilità di sopravvivenza e adattamento all'ambiente, e nel genoma umano si è inscritta tale capacità per il vantaggio che essa offre (46): la realtà virtuale immersiva, mentre indebolisce il legame con i conspecifici, può avere, almeno nel breve tempo, una capacità protettiva rispetto all'esperienza reale, rispetto alla quale può costituire un'alternativa gratificante in cui rifugiarsi, un luogo in cui sviluppare un senso di competenza, presumibilmente però non esportabile dalla realtà virtuale stessa.
Teoricamente, e considerando anche che interessi commerciali tenderebbero a rendere il più possibile attraente la realtà virtuale, salvo disegni sperimentali di tipo opposto, è da ritenere che l'esperienza virtuale, per quanto riguarda la programmazione del sistema simulato, stimolerebbe, con gli stessi meccanismi di feed-back e feed-forward descritti per la realtà naturale (47), l'esperienza virtuale, allo scopo di offrire, presumibilmente in realtà virtuale, la possibilità di attaccamento a figure protettive e gratificanti.
Come nella realtà naturale, le figure di attaccamento sarebbero programmate, e non dalle consuete fasi della vita, ma dal progetto del sistemista della realtà virtuale: come puro esercizio teorico si possono immaginare caratteristiche limite, ed eventuale effetto favorente o inducente un'organizzazione cognitiva psicosomatica.
I vari punti che il sistemista virtuale dovrebbe prendere in considerazione, riguardo l'attaccamento in realtà virtuale, sono così delineabili:
1) Indurre la formazione di una Immagine cui corrisponde un Piano, e una condotta; è il modello di Miller, Galanter e Pribram (48) nella progettazione del virtuale.
2) Programmare l'Immagine (parentale, sessuale, sociale, ecc.) e le alternative di condotta in virtuale, probabilmente per vendere il prodotto il più possibile, in maniera da essere compatibili con i Piani meno adeguati, quelli cioè degli individui che più probabilmente tendono a consumare realtà virtuale come alternativa gratificante all'esperienza reale.
3) Includere nella nota sequenza Test-Operazione-Test-Uscita (TOTE), per le ragioni di mercato su accennate, un Test, opportunamente disegnato dal sistemista, così facilmente solubile da soddisfare l'Immagine in maniera facile, cioè senza creare percezioni di inadeguatezza sullo stato attuale dei rapporti organismo-ambiente virtuale, cui dovrebbe seguire l'attivazione di un piano di operazioni, nel virtuale, che tendono a mutare lo stato dei rapporti fino a corrispondenza con l'Immagine. Come è noto, a questo punto un secondo Test rileva la corrispondenza raggiunta tra la situazione virtuale e l'Immagine di Piano; segue eventuale attivazione di un nuovo Piano.
4) Offrire (poiché, come più volte osservato, il frequentatore assiduo della realtà virtuale ha un Piano di attaccamento probabilmente poco funzionale, posta la sua preferenza per la realtà virtuale) una situazione virtuale in cui le abilità comportamentali richieste, che operano l'avvicinamento alla figura con cui si tende a realizzare l'attaccamento (p. e. sociale, sessuale ...), siano minime, in quanto fortemente sostenute dal sistema, che garantisce l'attaccamento richiesto anche a fronte di un Piano di attaccamento molto rudimentale, con esiti quindi non riproducibili sul piano reale.
Si è supposto che il sistemista dei sistemi virtuali tenga in conto il modello TOTE, nonostante la sua relativa obsolescenza in ambito cognitivista, perché il sistema memoria valori-categorie (49) si presterebbe meno facilmente all'esemplificazione della programmazione: sostanzialmente, però, un processo basato sulla continua categorizzazione percettiva dell'ambiente virtuale, basato sulla memoria valori-categorie, non sarebbe, concettualmente, diverso.
Quanto sopra è stato delineato nell'ipotesi, del tutto arbitraria, che il frequentatore assiduo della realtà virtuale immersiva non abbia un attaccamento sicuro, ma venga piuttosto da un'infanzia con modalità di attaccamento evitante, resistente o disorganizzato, nel senso della Main (50). Proprio per queste considerazioni è sembrato lecito ipotizzare che una frequenza regolare della realtà virtuale potesse avere la capacità di rinforzare, o parzialmente indurre, un'organizzazione cognitiva di tipo psicosomatico: si può ipotizzare che questo avverrebbe, oltre che per le ragioni sopra elencate, attraverso processi che appaiono significativamente contrastanti con i metodi di trattamento clinico dell'organizzazione cognitiva psicosomatica.
L'azione cognitiva patogena della realtà virtuale, nel senso suddetto, può essere così ipotizzato:
1) In realtà virtuale, il riconoscimento degli stati interni, sia viscerali, che emozionali, perde importanza e non è comunque facilmente considerabile nella programmazione del sistema: a chi sperimenta la realtà virtuale è ovviamente più facile offrire la possibilità di scegliere tra alternative interattive che meglio soddisfano necessità immediate di rinforzo di un'idea o di un bisogno, che non l'opportunità di analizzare i propri stati interni ai fini del comportamento ulteriore immediato e dell'autorappresentazione.
2) In realtà virtuale è molto improbabile che il soggetto abbia l'opportunità di sentire od esprimere le proprie emozioni, posto che egli viene piuttosto invogliato a scegliere, fra le alternative date, la sequenza comportamentale ed esperienziale più immediatamente gratificante, e comunque coerente con il tipo di realtà virtuale inizialmente prescelto. Chi sceglie di immergersi in un'esperienza virtuale che simula il volo, ad esempio, è invogliato a comportarsi in modo efficiente nel volo simulato, ma non a sentire ed esprimere emozioni; lo stesso evidentemente vale per esperienze virtuali di altro tipo, intuibilmente ad alto valore commerciale.
3) La realtà virtuale quindi si proporrebbe, come certi familiari o terapeuti patogeni, come capace di offrire soluzioni efficaci a problemi individuali che solo il soggetto conosce, o può conoscere. Mentre è augurabile che ognuno sia il più possibile consapevole delle determinanti psicologiche dei propri disturbi fisici, l'esperienza virtuale tende inversamente a scoraggiare l'ascolto del corpo e la lettura delle emozioni, realizzando sequenze operative che conducono alla gratificazione in virtuale e scoraggiano l'evoluzione della conoscenza individuale.
Riassunto
Il lavoro esamina i possibili effetti cognitivi della immersione in realtà virtuale, in particolare sull'organizzazione cognitiva psicosomatica.
Si esaminano poi gli effetti verosimili della realtà virtuale sul "reality monitoring", sulla relazione mente-corpo-ambiente (reale e virtuale), e delle teorie psicosomatiche stesse, considerate come dimensione virtuale.
Summary
This paper analyses the possible cognitive effects of immersion in virtual reality, in particular on cognitive psychosomatic organization.
We also analyse the possible effects of virtual reality on "reality monitoring", on real-virtual mind-body-environment relation, and of psychosomatic theories, considered as virtual dimesion.
Résumé
Ce travail analyse les possibles effets cognitifs de l'immersion en réalité virtuelle, particulièrement sur l'organisation cognitive psichosomatique.
Après on examine les effets vraisemblables de la réalité virtuelle dans le "reality monitoring", dans la relation esprit-corps-milieu (réel et virtuel), et des théories psichosomatiques, considérées comme dimension virtuelle.
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