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A. M. P.
SEMINARI 2000 - 2001
Maria Antonia Ferrante

Immaginazione e immagine

Il tema scelto per la presente relazione è tanto vasto da indurmi a trattarne solo qualche aspetto, evitando di impelagarmi in una quantità di dati in un tempo oltretutto breve.
Inizierò, come sempre, dall'etimologia dei termini: immaginazione e immagine. Dopo un brevissimo excursus su di un numero limitato degli studiosi più noti che si sono in particolar modo interessati delle facoltà dell'immaginare e del produrre immagini, esporrò i punti essenziali di una teoria relativa al tema trattato che ritengo la più accreditata, secondo il mio punto di vista. Infine, mostrerò una serie di immagini, l'interpretazione simbolica delle quali renderà più comprensibile i capisaldi della teoria filosofica dell'immaginazione e dell'immagine per la quale propendo.
I termini "immaginazione" e "immagine" in greco sono detti eikasia o phantasia, riferiti l'uno e l'altro alla facoltà dell'immaginare, senza che ci sia una differenza netta fra l'attività immaginativa e quella fantastica. L'oggetto dell'immaginare o del fantasticare è detto eidolon, idolo o phantasma. Il concetto di immaginazione e quello di fantasia rinviano entrambi alla capacità di conservare mentalmente il prodotto delle percezioni sensibili. Nel tempo, il significato dei due termini, coincidenti per molti versi, si è differenziato in quanto all'immaginazione si è assegnato il ruolo di generare, ubbidendo ad interessi pratici, riproduzioni mentali di oggetti della realtà all'interno di sempre nuove associazioni o quello della creazione di immagini, mentre alla fantasia quello dell'elaborazione estetica delle rappresentazioni o immagini mentali. In termini kantiani, l'immaginazione è "pura o produttiva" quando elabora esteticamente, mentre è "riproduttiva" quando presuppone l'esperienza elaborata empiricamente. L'immaginazione o fantasia produce non solo immagini mentali visive, ma anche immagini tattili, acustiche, olfattive e motorie. Nell'atto creativo queste immagini mentali possono esprimersi in opere: dipinti, sculture, poesie, musica, danze, ecc. La presente relazione tratterà delle immagini mentali visive, le più comuni ed anche le più studiate, secondo il punto di vista di alcuni filosofi e di alcuni antropologi.

Le opere di Aristotele sull'immaginazione sono il de memoria et reminiscentia e il de anima. In queste opere lo Stagirita definisce l'immagine mentale un ricordo collegato alla sensazione e al pensare. A suo avviso, il dato sensibile nell'immagine è intimo al pensiero, anche a quello scientifico e matematico. Non si può pensare senza immagini. Per Aristotele la reminiscenza rinvia alla capacità di stabilire connessioni, spesso correggendo, dirigendo e trasformando, i dati conservati dalla memoria. La reminiscenza sarebbe in grado, a suo avviso, di "prendere e riprendere la memoria". Grande importanza Aristotele assegna al rapporto corpo mente, tutti e due implicati nell'immaginazione. Dalla periferia del corpo, come egli sottolinea, tutto ciò che è recepito dai sensi giunge al centro del cervello, sulla piccola ghiandola, dove si imprime. Per Aristotele, infine, l'immagine è sensazione, memoria, pensiero e soprattutto simbolo. "Il tutto - come sottolinea Giovanni Casertano (1999) -sistemato in un ottimismo gnoseologico".
Platone tratta il tema dell'immaginazione in Repubblica, Teeteto, Timeo e Filebo. Il filosofo si domanda: "Immaginazione e fantasia sono realtà? Ma che tipo di realtà"? Sembra consapevole della difficoltà di rispondere con chiarezza a questo interrogativo. Nel Teeteto critica il concetto di immaginazione dei sofisti i quali sorvolavano sull'aspetto creativo di questa facoltà e sulla sua autonomia nei confronti della realtà con la quale tali filosofi tendevano a confonderla. Per Platone la phantasia, nel senso greco del termine, si genera dal contatto con le cose reali per poi divenire attività creativa autonoma di cui solo l'uomo è capace. Essa esplica una funzione gnoseologica ed è accomunata alla memoria. Tuttavia, come sottolinea Platone, non sempre l'attività gnoseologica dell'immaginazione è esatta, in quanto può indurci in errore nella costruzione della conoscenza. Nel libro IV della Repubblica, il filosofo definisce l'eikasia come una visione di ombre e di apparenze riflesse su superfici lisce e lucide. Allora, ci chiediamo, quale è la definizione più vera dell'immaginazione in Platone? Nel Timeo il filosofo, per chiarire il quesito, chiama in causa il fegato, come Aristotele aveva chiamato in causa la piccola ghiandola cerebrale. Il fegato rappresenterebbe l'organo di cui si serve l'anima appetitiva per trasformare i pensieri in immagini. Quando su questo organo si riflettono i pensieri, se essi sono forti e disturbanti, il fegato riceve delle figure che si trasformano in immagini che lo rendono grinzoso e bilioso. Se, invece, i pensieri che su di esso si riflettono sono riposanti, le immagini che la superficie dell'organo registra sono serene e lo rendono roseo e disteso.
Con un salto di molti secoli giungo a Sartre il quale critica la psicologia tradizionale nel suo modo di trattare il tema dell'immaginazione (1936). Egli dice che l'immagine di un oggetto reale non può essere l'oggetto in sé, quello che sta fuori. L'immagine è una cosa minore rispetto alla cosa reale, ha un'esistenza propria pur essendo capace di stabilire rapporti con la cosa di cui è immagine. Affermando ciò, Sartre sottolinea lo stato di confusione che a suo parere si rileva nelle teorie di filosofi e di psicologi che non hanno le idee chiare fra la identità di essenza e la identità di esistenza. Egli sottolinea l'importanza del rapporto fra l'immagine mentale e l'immagine materiale che può consistere in un quadro, in una fotografia o in un qualsiasi altro oggetto. Egli critica, inoltre, la psicologia che commette l'errore di riconoscere un segno nell'immagine e un'immagine nel segno. Sartre propende per una psicologia fenomenologica dell'immagine che definisce "atto" e non "oggetto". L'immagine, ribadisce, è coscienza di qualche cosa.
L'antropologo e storico Gilbert Durand, negli anni Sessanta, a qualche decennio di distanza da Sartre, prende le misure dalla teoria dell'immaginazione del filosofo francese ponendosi in senso diametralmente opposto. Secondo il Durand, molti filosofi, come Sartre, non hanno saputo cogliere nell'immagine il suo essere portatrice di un senso che non va ricercato fuori della significazione immaginaria. L'immagine è simbolo ed è il suo senso figurato che va colto. Nel simbolismo costitutivo dell'immagine vi è omogeneità fra significante e significato. L'immaginazione genera immagini perché è potenza dinamica.
Lo storico delle religioni Mircea Eliade (1952) è convinto della saggezza popolare che riconosce all'immagine il potere di contribuire alla salute psichica in quanto garante di ricchezza interiore. L'immagine, secondo Eliade, imita "Modelli Esemplari" che sono continuamente riattualizzati e ripetuti perché entrati a far parte dell'Immaginario Collettivo. Molte immagini sono "simboli Iero-cosmici", cioè sacri, come l'Albero, la Scala, la Ruota, il Mandala, il Labirinto o il Tchuringa, oggetto che è rappresentazione della divinità. Ho riscontrato un significativo accordo fra il modo di interpretare l'Immagine da parte dei succitati antropologi- e storici delle Religioni e la teoria filosofica dell'immaginazione e dell'immagine che fa capo ad un nutrito gruppo di studiosi. Fra questi, cito solamente, Kosslyn (1978), Finke (1980) e Francesco Ferretti ( 1996, 1997, 1998 ecc. ),
impegnati, insieme a molti altri, nella ricerca in campo filosofico. Essi riconoscono la consistenza della teoria dell'immaginazione e dell'immagine detta "Pittorialista", nel senso che le immagini visive mentali hanno caratteristiche "figurali" e pertanto non sono riducibili a "proposizioni", secondo quanto afferma la teoria che a quella "Pittorialista" si oppone e che è detta "Proposizionalista" o del Mentalese". Per i "Pittorialisti" le immagini visive mentali, pur non possedendo una reale estensione spaziale, è come se l'avessero in quanto rappresentano il mondo reale, ma non come riproduzione fotografica di esso. Considerare le immagini mentali visive in questo senso significherebbe cadere nella "fallacia fotografica". Infatti, queste non sono reificate nella nostra mente, tanto che è possibile vedere in esse un "di più" che non si riscontra in quelle reali. Le immagini visive mentali possono essere "rei-interpretate". Esse ci soccorrono, ad esempio, quando, dovendo risolvere un problema, non abbiamo la parola pronta e quando non abbiamo l'oggetto reale sotto i nostri occhi. Questa teoria riconosce il valore simbolico delle immagini visive mentali. Esse non sono riducibili a proposizioni come affermano anche i cognitivisti ortodossi che rilevano nelle immagini soprattutto la loro natura linguistica.( Ferretti, 1998). La reinterpretazione delle immagini visive mentali si utilizza soprattutto nella creatività, nelle scoperte scientifiche ed in ogni altra forma di conoscenza, in quanto l'immaginazione è attività autonoma che si avvale degli stessi meccanismi della percezione visiva. Molte scoperte scientifiche sono il frutto di una vivacissima immaginazione. Secondo Ferretti:

Un motivo ulteriore di approfondimento del nostro tema ci è offerto dalla riscoperta, in ambito cognitivista, degli studi gestaltici sulla visione di Biederman (1987) di Epstein (1988) e di Zalla (1992), per citarne solo alcuni. Gaetano Kanizsa (1980, 1991) ha insistito molto sulla diversità tra "vedere" e "pensare". Contro l'ipotesi panlogistica e panlinguistica del pensiero, egli distingue due modi di andare oltre l'informazione data (due modi di interpretare lo stimolo sensoriale), quello dei processi primari e quello dei processi secondari. Mentre per i processi secondari è senz'altro corretto considerare la visione come un fatto determinato in larga parte dalle stesse leggi che regolano i processi cognitivi generali (categorizzazione e inferenza), per i processi primari la situazione cambia considerevolmente. Essi conservano un'autonomia costitutiva (in larga parte dovuta all'automaticità e indipendenza di questi processi dalla volontà o dalle credenze dei soggetti ), ed è in virtù di questo fatto che ha un senso porre la distinzione fra vedere e pensare. Abbandonata l'ipotesi dell'interpretazione come un fatto unicamente legato alla semantica del linguaggio (alla volontà intenzionale di vedere un qualcosa come un qualcos'altro), l'ipotesi di una protosemantica si fa strada anche nel caso della immagini mentali. Su questa linea importanti suggerimenti vengono dall'analisi delle proprietà gestaltiche. Reed (1974) ha mostrato per primo l'esistenza di "buone forme" nelle immagini mentali Principi costitutivi come la distinzione figura- sfondo, soltanto per fare un esempio, possono portare all'organizzazione di nuove ed inaspettate configurazioni e, dunque, a nuove interpretazioni. La buona forma gioca un ruolo essenziale nel caratterizzare le immagini. La buona forma può ridurre il carico di elaborazione richiesto lasciando maggiore capacità per scoprire una parte emergente dell'immagine. (Ferretti, op. cit., pp.171, 172 ).

La prima immagine che ora vi mostrerò è quella di un quadro del XVII, opera di un ben noto pittore olandese, Veermer. L'opera è detta "La piccola strada di Delft". Dopo la prima visione d'insieme della scena rappresentata, alquanto realistica, l'occhio coglie qualcosa che va al di là della realtà, qualcosa di magico, di irreale, come se l'immagine rinviasse ad un'esperienza onirica che ci pone fra l'essere e l'apparire. ( Bolzoni, 2002 ). Veermer, interessato agli studi sull'ottica, prolifici nell'Olanda del XVI e del XVII secolo, ha usato la camera oscura per molti dei suoi dipinti, sicuramente per la "Piccola strada di Delft". Ciò gli ha permesso di riprodurre sulla tela la scena come gli sarà realmente apparsa. Fedele alla realtà è la struttura architettonica delle case, l'abbigliamento dei personaggi, i colori del cielo. Pur tuttavia, la disposizione topologica delle donne: quella della ricamatrice, delle ragazze intente al gioco e della lavandaia denunzia un accentuato simbolismo. I personaggi sono in una "zona limite", di "confine", tra il dentro e il fuori, fra realtà e fantasia, fra il privato e il pubblico. Contemporaneo e concittadino di Spinoza, Veermer, in questo dipinto allude anche ad un concetto basilare del filosofo olandese: quello della necessità, per l'uomo, di vivere nella società rifuggendo dalla solitudine. Le donne della stradina di Delft si espongono allo sguardo del passante, anche se con un residuo di titubanza.
Spinoza ha rivolto, nel suo studio sull'immaginazione e l'immagine, particolare attenzione al rapporto corpo- mente, binomio in continua correlazione, come quello fra realtà ed immaginazione. L '"Imago" è percezione sensibile deputata a perdere tale qualità nel momento in cui contempla le cose che non sono più presenti, che sono irreali, proprie della mentis imaginatio. Immagini irreali sono quelle che vediamo nel sogno, nella finzione, nella profezia. Spinoza si è rivolto anche all'analisi dei contenuti deliranti e fantasmatici dell'immaginazione. Il percepire, l'immaginare e il ricordare operano, a suo avviso, in un intreccio indissolubile; ogni facoltà con le proprie caratteristiche peculiari, ma all'interno di un'unica attività psichica.
La seconda immagine rappresenta il pavimento musivo della cattedrale di Otranto trasformato, nel distendersi dell'opus tessellatum, in un tappeto nel cui centro è il tronco dell'"Albero della Vita". ( Bolzoni, 2002) Lateralmente ad esso si dispiegano i suoi innumerevoli rami. L'albero è, nell'immaginario collettivo, significante del corpo umano e non solo, perché, essendo termine polisemico, rinvia a molti altri significati. Per Jung, l'immagine dell'albero ha caratteri bisessuali, ma può, secondo il contesto, simboleggiare il membro virile, le madri che avviluppano e quelle che partoriscono, la vita e la morte. L'Albero della cattedrale di Otranto si presenta, appena lo si percepisce, come un assemblaggio caotico di figure. Ma, man mano che il corpo del visitatore si muove, adeguando i movimenti al percorso obbligato, la sensazione del disordine scompare per dar posto alla percezione logica del sistema dei loci . La narrazione del mosaico percorre un tempo astorico e un tempo storico: la caducità e l'eternità. Scene del Vecchio Testamento, personaggi storici e animali fantastici, secondo un chiaro piano del pictor imaginarius, si imprimono nella mente come immagini e come parole, perché lo scopo finale di tale opera è quella di fornire un apprendimento moralizzante. Gli animali simboleggiano i vizi e le virtù, i rapaci, il demonio. Il pavimento della cattedrale di Otranto fu voluto dall'arcivescovo Gionata e fu progettato dal prete Pantaleone fra il 1163 e il 1165.
La terza e la quarta immagine riguardano un famoso predicatore medioevale, San Bernardino da Siena, nato a Massa Marittima nel 1380. ( Bolzoni, 2002 ). Egli predicò in molte città e paesi d'Italia coinvolgendo in una maniera, del tutto eccezionale, un grande numero di ascoltatori. Dotto, conoscitore dei Testi Sacri e soprattutto dell'Apocalisse, preferiva parlare in volgare. La singolarità di San Bernardino risiede nell'aver capito che la parola, per imprimersi nella mente del fedele, deve sollecitare immagini immediate, emotivamente forti. Predicando contro l'usura, contro la civetteria delle donne, contro gli odi di parte e soprattutto contro la sodomia, Bernardino atteggiava il corpo a rifiuto e se sputava, per sottolineare il disgusto, quasi trascinati da una forza ipnotica, gli ascoltatori sputavano. Egli intercalava la comunicazione verbale con imitazioni da perfetto attore; soffiava per imitare il vento e dava fiato ad una tromba immaginaria, parlava di fuoco e, nella piazza di Firenze, dove predicò spesso, faceva sì che si accendesse un fuoco reale. Credendo nella potenza delle immagini reali, ne mostrava al pubblico. Questa tavoletta con il nome di Gesù, particolare di un quadro di Seno di Pietro, Madonna col Bambino e Santi della metà del XV secolo, spessissimo era fra le sue mani, imposta alla vista degli ascoltatori durante tutto il periodo della predica. Era particolarmente devoto ad un altro quadro: l'Annunciazione, di Simone Martini e di Lippo Memmi dipinta nel 1333, ora agli Uffizi. Bernardino, parlando di questo quadro al suo pubblico, guidava, con un forte potere suggestivo, idealmente, l'immaginazione degli astanti verso il quadro. Li faceva camminare e ne regolava i passi per condurli nella zona della chiesa dove era collocato il quadro. Qui giunti, li induceva ad osservarlo attentamente affinchè si concentrassero soprattutto sull'atteggiamento di meraviglia, di castità e di purezza della Vergine. Egli voleva ad ogni costo che l'immagine del dipinto si fissasse nella mente insieme alle parole, gli occhi del corpo dovevano concordare con gli occhi della mente. Potenza dell'immagine!
Le ultime due immagini riguardano un gruppo di affreschi che si trovavano a Pompei, in via dell'Abbondanza, il centro commerciale della fiorente città dove erano dislocati i negozi, le panetterie, gli ostelli e i lupanari. Solo una parte dell'opera è ancora visibile, alquanto deteriorata dal tempo, ma ancora percepibile come bella e raffinata, sia per le forme, sia per i colori. Ora la vediamo nelle fotografie d'archivio scattate nel XIX secolo, quando venne alla luce. Il dipinto, risalente più o meno a qualche anno prima dell'eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei, evoca una memoria. In questo caso, possiamo dire, una rimembranza. L'opera, giudicata artisticamente di valore,la volle il proprietario di una fullonica, l'officina dove si lavavano e si tingevano panni per poi confezionarli in abiti. Vecilio Verecundus, è questo il nome del proprietario della fullonica, ricco mercante, commissionò ad un pictor imaginarius l'affresco in parola che doveva ornare l'entrata della sua officina al di sopra ed ai lati dell'entrata, protetta da una tettoia. Con questa immagine, l'imprenditore soddisfò tre desideri contemporaneamente. Il primo, di ordine politico, rimembra l'apoteosi di Pompeo Magno che in Roma trionfò, per primo, nel 79 a. C., su un carro tirato da quattro elefanti. Sebbene un lasso di tempo piuttosto lungo separi la data del trionfo di Pompeo Magno da quella dell'esecuzione dell'affresco, la rimembranza del prestigio di cui godette a Pompei il console romano, impressa nella mente dei nuovi cittadini, si reifica in un'opera d'arte voluta dal nostalgico mercante. Al posto di Pompeo, Verecundus fa collocare sul carro "Venere Vincitrice", protettrice di Pompei ed adorata in particolar modo dal console. Rappresentando la dea, il commerciante la onora insieme a Pompeo e, contemporaneamente, la pone a tutela della sua fullonica.
Nella fascia sottostante all'immagine di Venere, Verecundus pubblicizza la sua officina invitando il probabile acquirente ad entrarvi, dopo aver guardato l'affresco, per apprezzare le operazioni relative alla tintura, alla confezione e alla vendita dei suoi abiti e di altri oggetti. Nelle immagini del gruppo di pitture qui presentate si rilevano, in sequenza logica, i diversi intendimenti dell'imprenditore. Senza nessuna frase scritta, Verecundus fa parlare le immagini che rinviano ad un passato remoto: al favore di cui godettero a Pompei il dittatore Silla e Pompeo Magno, alle loro conquiste in terra d'Africa, ( espresse utilizzando gli elefanti e non i cavalli per il carro trionfale ) da dove giungevano i molluschi dai quali ricavare la porpora per le fulloniche e un gran numero di elefanti. L'immagine di Venere Vincitrice, di Fortuna e di Felicitas, le dee minori adorate da Silla, collocate ai lati di Venere, esprimono la religiosità e l'indirizzo politico del mercante. La pubblicità, attraverso l'immagine, è come quella di tutti i tempi: accattivante e persuasiva.

Conclusione


Quanto detto sull'immaginazione e sul suo prodotto, l'immagine, mira a sottolineare come in ogni comportamento umano, il ruolo della memoria, da quella recente a quella remota, combinandosi con l'esperienza percettiva, flusso continuo del nostro esistere, genera immagini e non solo visive. Immagini che esistono per se stesse, immagini autonome la cui funzione simbolica ci aiuta ad interpretare, a decodificare, a consolidare la nostra conoscenza. L'immagine mentale è un mezzo di comunicazione che, quando si trasforma in oggetto reale, come nell'opera d'arte, favorisce l'incontro degli uomini. In tutte le discipline umane, nella Medicina come nella Fisica e nella Matematica, nella Filosofia come nella Psicologia e nell'Arte, l'attività immaginativa riveste un ruolo di vitale importanza. Il bambino è capace di immaginare e fantasticare già in tenera età e dell'immaginazione si avvale nei suoi giochi trasformando il mondo reale per ridurlo ai suoi bisogni. Immagini di ogni genere guidano le tecniche terapeutiche, soprattutto quelle che utilizzano l'interpretazione. I miti, le leggende e le favole sono combinazioni di immagini deputate a trasmettere ed a conservare messaggi. L'individuo che sa immaginare è, sia pure al suo livello, un individuo creativo. Dobbiamo a questa eccezionale capacità umana le opere che sfidano il tempo. Dante deve all'immaginazione la sua grandiosa "Divina". Essa capta i nostri sensi facendoci sentire sulla carne il freddo e il fuoco, facendoci ascoltare le grida, il canto e la preghiera, facendoci vedere la perdizione del peccatore e la gloria degli eletti.

Bibliografia


Bolzoni,L. ( 2002 ) La rete delle immagini. Einaudi, Torino.
Durand, G. Le strutture antropologiche dell'immaginario. Trad. Ital. 1984, Dedalo, Bari
Eliade, M. Immagini e Simboli. Trad. Ital. 1984, Jaca Book, Milano
Ferraris. M. ( 1996 ) L'immaginazione. Il Mulino, Bologna.
Ferretti, F. ( 1998 ) Pensare Vedendo. Le immagini mentali nella scienza cognitiva. Carocci, Roma.
Formigari, L; Caserteno , G.; Cubeddu, I.( a cura di ), ( 1999 ), Imago in phantasia depicta. Studi sulla teoria dell'immaginazione. Carocci, Roma.
Sartre, J. P., L'immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni. Trad. Ital. 1062, Bombiani, Milano
Schapiro, M. Parole e Immagini. Trad. Ital. 1985, Parma, Edizioni Pratiche

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