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Marcello Morelli
L'interazione uomo - calcolatore (Riflessioni sul tema) |
La machine conduit l'homme à se spècialiser dans l'humain. In quello stesso periodo il rapporto fra l'uomo e il calcolatore ha cominciato a divenire meno complesso e difficile, grazie all'avvento dei primi linguaggi di programmazione simbolici che hanno rapidamente messo in secondo piano i precedenti linguaggi assemblativi, caratterizzati da una scarsa mnemonicità e da una certa necessità di conoscere bene il funzionamento delle macchine per le quali si sviluppavano i programmi.
Un secondo momento, almeno altrettanto importante, è stato quello (metà degli anni '60) in cui è avvenuta l'introduzione dei primi sistemi operativi: un software, in altre parole, al quale erano delegate alcune funzioni (quelle relative, per esempio, alla gestione delle unità d'input/output) fino a quel momento svolte dall'operatore umano (il "programmatore") con notevole dispendio di fatica e con molte possibilità d'errore. Si può affermare che, da quel momento in poi, buona parte del progresso tecnologico, a livello software, e, per alcuni aspetti, anche per l'hardware, ha avuto l'obiettivo prioritario di cercare di ridurre l'impegno di chi doveva programmare e gestire l'utilizzo dei calcolatori. Si sono attribuite, in altre parole, a questi ultimi, le complesse funzioni di controllo del loro stesso funzionamento, all'inizio poste totalmente a carico dell'operatore umano. Un terzo momento fondamentale nello sviluppo dell'informatica è stato rappresentato proprio dall'immissione sul mercato dei Personal Computer: piccole, ma potentissime macchine in grado di svolgere lavori per i quali, in un tempo nemmeno troppo lontano - parliamo in fin dei conti di alcuni anni, non certo di secoli - occorrevano calcolatori dalle dimensioni gigantesche, con conseguenti problemi di spazio, esigenze di condizionamento degli ambienti che li ospitavano, ecc.
Un ulteriore momento significativo nell'evoluzione dell'informatica, è stato quello in cui alla possibilità di operare su caratteri alfabetici e numerici, ancorché organizzati in forma di testi più o meno articolati e strutturati, si è aggiunta la capacità delle macchine di elaborare le immagini (disegni, grafici, fotografie) sia fisse sia in movimento (film), e i suoni (voce, ecc.). Questo momento, quello cioè dell'introduzione sullo scena dell'informatica della cosiddetta multimedialità, può senza dubbio considerarsi uno dei più importanti e caratterizzanti, soprattutto perché ha aperto nuovi orizzonti al settore delle applicazioni, talché si può considerare che, allo stato attuale della tecnica, non vi siano limiti pratici alla potenzialità dei sistemi informatici, posti in grado, ormai, di soddisfare anche le più complesse esigenze applicative.
2. In questo scenario di cui abbiamo sinteticamente richiamato gli elementi più caratteristici e determinanti, si muovono oggi quanti, sia per motivi di lavoro, sia per semplice intrattenimento hanno a che fare con strumenti informatici.
L'aspetto sul quale ci sembra opportuno soffermare la nostra riflessione è quello dell'analisi dell'influenza che uno strumento - ché, in fin dei conti, di questo si tratta - come il calcolatore può avere sul comportamento dell'uomo e sui suoi rapporti con il contesto sociale in cui opera e si trova a vivere, se, cioè, esso non sia dissimile da tanti altri strumenti di cui oggi disponiamo (dal televisore alla macchina calcolatrice, dalla lavastoviglie alle macchine da calcolo) e che, pur semplificando o alleviando le difficoltà del vivere quotidiano, in realtà non hanno certamente influenza sui rapporti interpersonali, sul comportamento di ciascuno di noi, sulla stessa nostra psicologia (usiamo il termine in modo forse improprio, ma certamente sufficiente per comprendere di cosa stiamo parlando). Per iniziare queste riflessioni, di cui abbiamo sentito l'esigenza o quanto meno l'opportunità, occorre prendere in considerazione il modo più comune e più diffuso di utilizzo dei moderni sistemi di elaborazione delle informazioni, i Personal Computer: si tratta di macchine caratterizzate da un'estrema semplicità d'uso, grazie alla potenza dei moderni sistemi operativi - citiamo per tutti il famosissimo Windows '95 della Microsoft - e dal fatto che un semplicissimo apparecchio, il modem, mette in grado il Personal Computer di collegarsi ad una normale linea telefonica e, grazie a questa, con il mondo intero attraverso, per esempio, la rete telematica Internet. Ciò che caratterizza l'attuale modo di operare con un Personal Computer (e lo stesso vale per le macchine più complesse, come le workstation) è la cosiddetta interattività, vale a dire la possibilità di interloquire, interagire con il calcolatore per modificare via via i parametri che governano una determinata applicazione, per ottenere, conseguentemente, risultati diversi e via via più adeguati alle effettive esigenze dell'utente della macchina. Si tratta, è facile rendersene conto, di un fatto di non scarso rilievo. In un certo senso si può affermare che il Personal Computer rappresenta una specie di "appendice" esterna dell'uomo, un "arto" in più per percorrere strade nuove e visitare nuovi mondi. In effetti, è propria l'interattività a consentire l'elaborazione della maggior parte delle applicazioni, da quelle dell'entertainment, a quelle della formazione a distanza, da quelle commerciali a quelle tecniche o scientifiche.
Ora, l'interattività, significa realmente "colloquio" con l'elaboratore, nel senso che normalmente si dà a questo termine? O non è forse qualcosa di estremamente più limitato e, dunque, nemmeno lontanamente paragonabile alla normale "conversazione" fra essere umani? E' ovvio che la domanda è puramente retorica e che la risposta non può che essere, almeno per il momento, negativa. Se le cose stanno così, allora, e non abbiamo motivo per ritenere il contrario, questa eccessivamente sbandierata interattività con i calcolatori non è molto dissimile - almeno sotto il profilo concettuale - da quella che si ha, per esempio, con un normale apparecchio televisivo, pur sempre controllabile con un telecomando: l'impostazione di un dato sulla tastiera di quest'ultimo dà luogo all'impostazione di un canale, o della pagina del televideo o di altri elementi caratteristici del funzionamento del televisore (sintonia, luminosità, tono di colore, livello audio, ecc.).
E, avendo fatto riferimento ad una delle parole "magiche" dell'informatica, cioè "apprendimento", è bene soffermarci per un attimo sul significato che si intende attribuire a tale termine, al fine di evitare fraintendimenti estremamente pericolosi e, in ogni caso, distorcenti della realtà. Cosa deve intendersi, dunque, per apprendere? Un calcolatore può davvero imparare? Certamente un calcolatore può ricordare: l'enorme capacità dei moderni sistemi di elaborazione delle informazioni - ormai si parla quasi sempre di capacità di memoria dell'ordine di alcuni Gigabyte, cioè di alcuni miliardi di informazioni elementari (per esempio un carattere alfabetico o numerico) - fa di questi strumenti degli apparati in grado di archiviare negli organi di memoria oggi disponibili, siano essi hard disk o floppy disk o, ancora CD Rom, video dischi, DVD, ecc., quantità di informazioni pressoché illimitate. Ma per apprendere non basta ricordare, occorre, almeno per una macchina, è evidente, avere dei modelli di riferimento da costruire in base all'esperienza che si viene man mano maturando, per "incasellare", in un certo senso, i concetti appresi e poter fare riferimento proprio a questi per "rispondere", in pratica, alle richieste che gli fossero poste in un momento successivo. Occorre cioè, in altre parole, che il calcolatore abbia la possibilità di correlare, associare, estrarre, raggruppare, scegliere le informazioni memorizzate - acquisite, possiamo dire, durante una qualsiasi "esperienza" - secondo dei modelli di comportamento da applicare caso per caso, formulando eventuali risposte ad altrettanto eventuali domande postegli dall'utente. Ma, e qui sta il punto più difficile, se, come si è accennato, il calcolatore deve costruire dei modelli per apprendere, per esempio, dei concetti che descrivono una determinata realtà, occorre che tali concetti siano, dall'utente, formalizzati, essendo questa l'unica strada per raggiungere l'obiettivo che ci siamo prefissi. E il lavoro di formalizzazione è estremamente oneroso e complesso, tale, da scoraggiare, nella maggior parte di casi l'utente a porsi su questa strada.
3. Chiunque utilizzi oggi un Personal Computer sul quale è installato uno dei sistemi operativi avanzati, come Windows 95, si rende immediatamente conto che il linguaggio impiegato per comandare il funzionamento del computer non è fatto, nella stragrande maggioranza dei casi, da parole, bensì da immagini - o icone -. La ragione è presto spiegata: il linguaggio iconico è più immediato, perché mnemonico, e naturalmente più espressivo, nella sua sinteticità, di quello naturale (e ancora di più se parliamo di linguaggi codificati) e questo ha contribuito e contribuisce validamente a fare del PC uno strumento davvero alla portata di tutti. Ma tutto ciò non ha forse qualche risvolto negativo? Certamente, e proprio sulla capacità di utilizzo del linguaggio naturale da parte di chi, per il grande uso del linguaggio iconico, finisce, inevitabilmente, con il trascurare e peggiorare quello che, in realtà, dovrebbe essergli di gran lunga più familiare.
4. Ma, forse, l'influenza maggiore - ancora una volta sui giovani in quanto chiaramente più recettivi
Analogo rischio può sussistere per quanto riguarda la cosiddetta "realtà virtuale": la creazione di un mondo non reale, "altro" rispetto a quello reale, la possibilità di far muovere in questo mondo degli avatar, cioè dei sé stessi duplicati nella realtà virtuale non può non presentare problematiche notevoli, forse ben più gravi di quelle che, nel caso della televisione, hanno fatto scorrere i tradizionali fiumi di inchiostro. |
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