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A. M. P.
SEMINARI 1997 - '98
Marcello Morelli

L'interazione uomo - calcolatore (Riflessioni sul tema)


La machine conduit l'homme à se spècialiser dans l'humain.
Jean Fourastié

1. Lo sviluppo delle tecnologie per il trattamento automatico delle informazioni è stato caratterizzato, per quanto attiene al tema di cui vogliamo occuparci in questa sede, da alcuni momenti particolarmente significativi: il primo (fine anni '50) coincide con il passaggio dalle cosiddette macchine meccanografiche (macchine ed apparati elettromeccanici, in grado di elaborare caratteri numerici ed alfabetici in base a comandi forniti dall'operatore per mezzo di un pannello di controllo) ai primi calcolatori elettronici e, in particolare, all'utilizzo dei nastri magnetici per l'archiviazione delle informazioni, fino a quel momento immagazzinate esclusivamente su schede perforate (cartoncini aventi il formato della banconota da un dollaro, in cui opportune perforazioni consentivano di memorizzare sia caratteri numerici sia alfabetici). La ragione dell'importanza di questo momento va ricercata nel fatto che, per la prima volta, l'operatore non era in grado di "vedere", e quindi di seguirne il comportamento, le informazioni che veniva trattando, non essendo possibile certamente prendere conoscenza dell'esistenza di determinate informazioni archiviate in forma magnetica su un nastro di plastica ricoperto da ossidi metallici.
In quello stesso periodo il rapporto fra l'uomo e il calcolatore ha cominciato a divenire meno complesso e difficile, grazie all'avvento dei primi linguaggi di programmazione simbolici che hanno rapidamente messo in secondo piano i precedenti linguaggi assemblativi, caratterizzati da una scarsa mnemonicità e da una certa necessità di conoscere bene il funzionamento delle macchine per le quali si sviluppavano i programmi.

Un secondo momento, almeno altrettanto importante, è stato quello (metà degli anni '60) in cui è avvenuta l'introduzione dei primi sistemi operativi: un software, in altre parole, al quale erano delegate alcune funzioni (quelle relative, per esempio, alla gestione delle unità d'input/output) fino a quel momento svolte dall'operatore umano (il "programmatore") con notevole dispendio di fatica e con molte possibilità d'errore. Si può affermare che, da quel momento in poi, buona parte del progresso tecnologico, a livello software, e, per alcuni aspetti, anche per l'hardware, ha avuto l'obiettivo prioritario di cercare di ridurre l'impegno di chi doveva programmare e gestire l'utilizzo dei calcolatori. Si sono attribuite, in altre parole, a questi ultimi, le complesse funzioni di controllo del loro stesso funzionamento, all'inizio poste totalmente a carico dell'operatore umano.
In pratica, con la sofisticazione sempre più spinta dei sistemi operativi - avvenuta grazie anche alla disponibilità di macchine via via più "potenti", in termini di velocità e capacità di memoria (anche se molta parte della potenza dei moderni sistemi di elaborazione, per esempio personal computer, viene proprio utilizzata dai sistemi operativi che ne gestiscono il funzionamento) il rapporto uomo/calcolatore si è semplificato, l'utilizzo delle macchine è diventato "user friendly" tanto è vero che, oggi, alle soglie del nuovo millennio, chiunque è in grado di lavorare con un Personal Computer ancorché privo di qualsiasi conoscenza tecnica o tecnologica nell'area dell'informatica.

Un terzo momento fondamentale nello sviluppo dell'informatica è stato rappresentato proprio dall'immissione sul mercato dei Personal Computer: piccole, ma potentissime macchine in grado di svolgere lavori per i quali, in un tempo nemmeno troppo lontano - parliamo in fin dei conti di alcuni anni, non certo di secoli - occorrevano calcolatori dalle dimensioni gigantesche, con conseguenti problemi di spazio, esigenze di condizionamento degli ambienti che li ospitavano, ecc.

Un ulteriore momento significativo nell'evoluzione dell'informatica, è stato quello in cui alla possibilità di operare su caratteri alfabetici e numerici, ancorché organizzati in forma di testi più o meno articolati e strutturati, si è aggiunta la capacità delle macchine di elaborare le immagini (disegni, grafici, fotografie) sia fisse sia in movimento (film), e i suoni (voce, ecc.). Questo momento, quello cioè dell'introduzione sullo scena dell'informatica della cosiddetta multimedialità, può senza dubbio considerarsi uno dei più importanti e caratterizzanti, soprattutto perché ha aperto nuovi orizzonti al settore delle applicazioni, talché si può considerare che, allo stato attuale della tecnica, non vi siano limiti pratici alla potenzialità dei sistemi informatici, posti in grado, ormai, di soddisfare anche le più complesse esigenze applicative.
L'ultimo stadio, in ordine di tempo, nell'evoluzione della tecnologia, almeno per quello che qui c'interessa, è quello che ha visto l'introduzione delle reti telematiche, di cui Internet è il segno più visibile e certamente più importante sotto molti profili, certamente sotto quello applicativo.

2. In questo scenario di cui abbiamo sinteticamente richiamato gli elementi più caratteristici e determinanti, si muovono oggi quanti, sia per motivi di lavoro, sia per semplice intrattenimento hanno a che fare con strumenti informatici.
Può essere di un qualche interesse, allora, riflettere su quale sia il rapporto che lega l'uomo al calcolatore e quali implicazioni questo rapporto abbia con la normale vita di tutti i giorni di ciascuno di noi.

L'aspetto sul quale ci sembra opportuno soffermare la nostra riflessione è quello dell'analisi dell'influenza che uno strumento - ché, in fin dei conti, di questo si tratta - come il calcolatore può avere sul comportamento dell'uomo e sui suoi rapporti con il contesto sociale in cui opera e si trova a vivere, se, cioè, esso non sia dissimile da tanti altri strumenti di cui oggi disponiamo (dal televisore alla macchina calcolatrice, dalla lavastoviglie alle macchine da calcolo) e che, pur semplificando o alleviando le difficoltà del vivere quotidiano, in realtà non hanno certamente influenza sui rapporti interpersonali, sul comportamento di ciascuno di noi, sulla stessa nostra psicologia (usiamo il termine in modo forse improprio, ma certamente sufficiente per comprendere di cosa stiamo parlando).
In particolare vorremmo tentare di rispondere a una domanda: se cioè, per esempio, il calcolatore aiuti realmente l'uomo, o almeno, alcuni uomini, a migliorare la qualità della loro vita, intendendo con questo, non certo il più adeguato soddisfacimento di esigenze di tipo fisico (lavoro meno gravoso, accesso ad informazioni remote senza doversi sobbarcare a spostamenti fisici, ecc.), quanto di tipo spirituale, morale, etico, ecc.

Per iniziare queste riflessioni, di cui abbiamo sentito l'esigenza o quanto meno l'opportunità, occorre prendere in considerazione il modo più comune e più diffuso di utilizzo dei moderni sistemi di elaborazione delle informazioni, i Personal Computer: si tratta di macchine caratterizzate da un'estrema semplicità d'uso, grazie alla potenza dei moderni sistemi operativi - citiamo per tutti il famosissimo Windows '95 della Microsoft - e dal fatto che un semplicissimo apparecchio, il modem, mette in grado il Personal Computer di collegarsi ad una normale linea telefonica e, grazie a questa, con il mondo intero attraverso, per esempio, la rete telematica Internet. Ciò che caratterizza l'attuale modo di operare con un Personal Computer (e lo stesso vale per le macchine più complesse, come le workstation) è la cosiddetta interattività, vale a dire la possibilità di interloquire, interagire con il calcolatore per modificare via via i parametri che governano una determinata applicazione, per ottenere, conseguentemente, risultati diversi e via via più adeguati alle effettive esigenze dell'utente della macchina. Si tratta, è facile rendersene conto, di un fatto di non scarso rilievo. In un certo senso si può affermare che il Personal Computer rappresenta una specie di "appendice" esterna dell'uomo, un "arto" in più per percorrere strade nuove e visitare nuovi mondi. In effetti, è propria l'interattività a consentire l'elaborazione della maggior parte delle applicazioni, da quelle dell'entertainment, a quelle della formazione a distanza, da quelle commerciali a quelle tecniche o scientifiche.

Ora, l'interattività, significa realmente "colloquio" con l'elaboratore, nel senso che normalmente si dà a questo termine? O non è forse qualcosa di estremamente più limitato e, dunque, nemmeno lontanamente paragonabile alla normale "conversazione" fra essere umani? E' ovvio che la domanda è puramente retorica e che la risposta non può che essere, almeno per il momento, negativa. Se le cose stanno così, allora, e non abbiamo motivo per ritenere il contrario, questa eccessivamente sbandierata interattività con i calcolatori non è molto dissimile - almeno sotto il profilo concettuale - da quella che si ha, per esempio, con un normale apparecchio televisivo, pur sempre controllabile con un telecomando: l'impostazione di un dato sulla tastiera di quest'ultimo dà luogo all'impostazione di un canale, o della pagina del televideo o di altri elementi caratteristici del funzionamento del televisore (sintonia, luminosità, tono di colore, livello audio, ecc.).
E', dunque, solo una più ampia e più articolata possibilità di controllare i parametri di funzionamento del sistema che rende un Personal Computer "più interattivo" di un televisore? In realtà, le cose sono molto più complesse, perché vi è un aspetto che differenzia le potenzialità di un qualsiasi sistema per l'elaborazione delle informazioni da quelle di apparecchi, pur sofisticati, come per esempio, un televisore o un impianto ad alta fedeltà, ed è la capacità dell'apparato logico del calcolatore di adeguare, istante per istante, il proprio funzionamento alle "sollecitazioni" che gli pervengono dall'operatore, cioè di rispondere e di adattare il proprio comportamento, in modo logicamente coerente, a quelle che sono le istruzioni, i comandi che gli pervengono dall'esterno, potendo, in un certo senso, apprendere, dall'esperienza che via via la macchina viene accumulando.

E, avendo fatto riferimento ad una delle parole "magiche" dell'informatica, cioè "apprendimento", è bene soffermarci per un attimo sul significato che si intende attribuire a tale termine, al fine di evitare fraintendimenti estremamente pericolosi e, in ogni caso, distorcenti della realtà. Cosa deve intendersi, dunque, per apprendere? Un calcolatore può davvero imparare? Certamente un calcolatore può ricordare: l'enorme capacità dei moderni sistemi di elaborazione delle informazioni - ormai si parla quasi sempre di capacità di memoria dell'ordine di alcuni Gigabyte, cioè di alcuni miliardi di informazioni elementari (per esempio un carattere alfabetico o numerico) - fa di questi strumenti degli apparati in grado di archiviare negli organi di memoria oggi disponibili, siano essi hard disk o floppy disk o, ancora CD Rom, video dischi, DVD, ecc., quantità di informazioni pressoché illimitate. Ma per apprendere non basta ricordare, occorre, almeno per una macchina, è evidente, avere dei modelli di riferimento da costruire in base all'esperienza che si viene man mano maturando, per "incasellare", in un certo senso, i concetti appresi e poter fare riferimento proprio a questi per "rispondere", in pratica, alle richieste che gli fossero poste in un momento successivo. Occorre cioè, in altre parole, che il calcolatore abbia la possibilità di correlare, associare, estrarre, raggruppare, scegliere le informazioni memorizzate - acquisite, possiamo dire, durante una qualsiasi "esperienza" - secondo dei modelli di comportamento da applicare caso per caso, formulando eventuali risposte ad altrettanto eventuali domande postegli dall'utente. Ma, e qui sta il punto più difficile, se, come si è accennato, il calcolatore deve costruire dei modelli per apprendere, per esempio, dei concetti che descrivono una determinata realtà, occorre che tali concetti siano, dall'utente, formalizzati, essendo questa l'unica strada per raggiungere l'obiettivo che ci siamo prefissi. E il lavoro di formalizzazione è estremamente oneroso e complesso, tale, da scoraggiare, nella maggior parte di casi l'utente a porsi su questa strada.
Diverso è il caso in cui il calcolatore apprende nel senso, molto più semplice, di archiviare delle informazioni al fine di utilizzare, in un momento successivo, queste per l'elaborazione di determinate applicazioni (si veda quanto accade nel caso dei sistemi per il riconoscimento dei caratteri o della voce).

3. Chiunque utilizzi oggi un Personal Computer sul quale è installato uno dei sistemi operativi avanzati, come Windows 95, si rende immediatamente conto che il linguaggio impiegato per comandare il funzionamento del computer non è fatto, nella stragrande maggioranza dei casi, da parole, bensì da immagini - o icone -. La ragione è presto spiegata: il linguaggio iconico è più immediato, perché mnemonico, e naturalmente più espressivo, nella sua sinteticità, di quello naturale (e ancora di più se parliamo di linguaggi codificati) e questo ha contribuito e contribuisce validamente a fare del PC uno strumento davvero alla portata di tutti. Ma tutto ciò non ha forse qualche risvolto negativo? Certamente, e proprio sulla capacità di utilizzo del linguaggio naturale da parte di chi, per il grande uso del linguaggio iconico, finisce, inevitabilmente, con il trascurare e peggiorare quello che, in realtà, dovrebbe essergli di gran lunga più familiare.
In effetti, già da parte di alcuni studiosi si va sottolineando l'influenza dell'utilizzo sempre più ampio del linguaggio iconico sulla evoluzione del linguaggio naturale: viviamo, ormai, in un mondo che è fatto sempre più di immagini e la realtà - o l'artificiosità - di questo mondo non può non modificare il comportamento degli individui, in termini di quella che, soprattutto, è la loro alfabetizzazione in senso tradizionale. Già il linguaggio correntemente usato dai giovani risente di questa influenza: sigle, abbreviazioni gergali e non, forme grafiche che sostituiscono parole o intere frasi (X al posto di per, TVB al posto di Ti Voglio Bene, ecc.), linguaggio che diventa esprimibile attraverso forme puramente iconiche (è il caso dei, purtroppo diffusissimi e incivili, "graffiti metropolitani"), spesso appannaggio di gruppi organizzati di giovani che si riconoscono in vere e proprie associazioni di tipo tribale, e l'elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Vi è dunque una evoluzione, a mio parere non in senso positivo, del linguaggio, che si arricchisce - si fa per dire - di nuove forme ed espressioni mutuate dal mondo dell'informatica, nei cui confronti, ed è forse questo uno degli aspetti più gravidi di conseguenze negative, non viene operata nessuna analisi critica, limitandosi ad una semplice "presa di possesso" assolutamente acritica.

4. Ma, forse, l'influenza maggiore - ancora una volta sui giovani in quanto chiaramente più recettivi
perché non disponibili ad una valutazione sull'utilità, le conseguenze, i rischi che possono derivare da una adozione aprioristica di linguaggi, comportamenti, schemi di giudizio, mode, ecc.- degli strumenti informatici sulla società è rappresentato dall'utilizzo e dall'esistenza stessa della "grande rete", di Internet. Questo mezzo di comunicazione, infatti, presenta, a mio giudizio, aspetti di grande interesse sotto il profilo sociologico e psicologico, cui sarebbe opportuno destinare un'attenzione maggiore rispetto a quella dedicata a questa tematica fino a questo momento. Da questo punto di vista la nostra società sta percorrendo una strada di cui non si intravede il punto terminale e c'è il rischio, come per altri aspetti della nostra vita quotidiana, di giungere rapidamente ad un "punto di non ritorno" senza che siano stati approntati strumenti efficaci per controllare fenomeni nuovi e in gran parte sconosciuti sotto il profilo dell'indagine scientifica.
In altri termini, vi è ragione di ritenere che l'utilizzo indiscriminato di Internet possa in qualche modo produrre effetti negativi sui cybernauti, effetti molto più gravi di quelli che, per esempio, negli ultimi venti anni sono stati attribuiti all'uso incondizionato e acritico della televisione. E non intendo certo riferirmi ai problemi derivanti da un uso "delinquenziale" della rete (si vedano per esempio i casi di criminalità organizzata nel campo della pedofilia, esplosi negli ultimi tempi) quanto invece ad alcune delle sue applicazioni che possono coinvolgere - e, in qualche modo, suggestionare particolarmente i soggetti più deboli - soprattutto i giovani: intendo riferirmi alle diffusissime chat line, ed alla realtà virtuale. Le prime offrono, come è ben noto, la possibilità di conversare, protetti dalla più assoluta anonimità, con persone che possono trovarsi in luoghi lontanissimi, con differenti problematiche alle spalle, avendo, come oggetto della conversazione, i temi più diversi. Ebbene, le chat line offrono la possibilità di nascondere volutamente la propria personalità, sostituendola o modificandola nel modo più vario - per esempio un uomo può fingersi una donna o viceversa - creando in tal modo, in ogni istante, un "altro da sé", con tutte le conseguenze psicologiche che un atteggiamento del genere può comportare. Sono evidenti i rischi che questo vero e proprio sdoppiamento o falsificazione della personalità può indurre specificamente nei soggetti più deboli, portandoli a vivere per qualche tempo ijn un mondo assolutamente diverso da quello reale, con conseguente non improbabile difficoltà al momento del rientro nella realtà di tutti i giorni.

Analogo rischio può sussistere per quanto riguarda la cosiddetta "realtà virtuale": la creazione di un mondo non reale, "altro" rispetto a quello reale, la possibilità di far muovere in questo mondo degli avatar, cioè dei sé stessi duplicati nella realtà virtuale non può non presentare problematiche notevoli, forse ben più gravi di quelle che, nel caso della televisione, hanno fatto scorrere i tradizionali fiumi di inchiostro.
Sono questi gli aspetti della interazione dei moderni sistemi di elaborazione con gli utenti che andrebbero esplorati, discussi analizzati a fondo, senza, però, e in questo è la difficoltà maggiore, essere condizionati dalla "notizia facile", lo "scoop" mediatico, il volgarizzare a tutti i costi le tematiche oggetto di studio. Certamente siamo di fronte a un fatto evolutivo non solo della tecnica e della tecnologia, ma degli stessi costumi: recentissime indagini statistiche mostrano, per esempio, che l'utilizzo delle cosiddette play station, sorta di piccoli computer in grado di visualizzare sullo schermo di una normale televisione, giochi di ogni tipo è particolarmente frequente da parte di persone, soprattutto di sesso maschile di età compresa fra i trenta e i quarant'anni. Viene spontaneo il pensare che ciò non sia del tutto casuale, ma rifletta il bisogno di molti, peraltro non solo nella fascia di età indicata, di sentirsi in qualche modo più partecipi di fatti che si riescono a controllare, come avviene in un gioco virtuale e a dimostrare, con la capacità di dominare le diverse situazioni che il gioco simulativo propone, di essere in grado di risultare in alcuni momenti della propria vita vittoriosi sugli altri, anche quando, cioè, gli "altri" sono solo un gioco elettronico.


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