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Goriano Rugi
Riflessioni sul modello psicoanalitico di campo |
Il modello di campo che la psicoanalisi ha sviluppato in questi ultimi anni si propone come particolarmente interessante per le sue capacità di fornire una valida descrizione di complessi fenomeni analitici, gruppali e istituzionali. Questo modello, ancora in progress, è però variamente inteso dagli autori e sembra oscillare da una semplice valenza metaforica ad una applicazione rigida e riduttiva del modello originario che la psicoanalisi ha mediato dalla fisica. Molti autori hanno prodotto sforzi ammirevoli e tuttavia persiste una certa confusione e un vivace dibattito sulla natura stessa e la portata di questo modello. Alcuni contestano che si possa parlare di un nuovo modello, altri si domandano se il modello proposto sia sufficientemente coerente e sviluppato da poter essere considerato un'alternativa ai precedenti o se sia solo un arricchimento utile in certe situazioni o certe patologie. Il modello di campo è poi una evoluzione del modello relazionale o ne rappresenta una rottura?
Alcuni autori osservano che la forte opzione relativista e costruttivista potrebbe implicare il rischio di una perdita di profondità e specificità proprie dell'esperienza analitica. Terapeuta e paziente apparirebbero relegati al ruolo di semplici co-attori di un copione senza autore. Attribuire una prevalenza radicale ai fenomeni che si producono nel "qui ed ora" a scapito della realtà storica e pulsionale, sembrerebbe infatti ridurre il campo ad un sistema autoreferenziale, appiattito sulla bidimensionalità e centrato sulla fenomenologia interna della relazione. Claudio Neri (1993;1995), ad esempio, considera prematuro ogni tentativo di sintesi del concetto di campo, e sembra preferire mantenerlo a livello di contenitore insaturo al fine di evitare la perdita della potenziale ricchezza clinica e teorica dei vari nuclei di senso che coesistono al suo interno; ciò presenta degli indubbi vantaggi e tuttavia sembra evocare anche il rischio di una funzione-ricettacolo che alla lunga potrebbe dissolverne il valore euristico. Fernando Riolo (1997) ammette che ancora non esiste una teoria psicoanalitica del campo e che questa implicherebbe una revisione puntuale degli elementi della teoria e della tecnica psicoanalitica in termini di fenomeni di campo. L'autore, che appare il più consapevole dei forti vincoli con l'originale modello fisico, tenta una sintesi complessa di questo nel tentativo di individuare le invarianti indispensabili per la costruzione di un modello generale di campo psicoanalitico. Per queste ragioni Riolo mette in guardia da una semplice importazione-ibridazione del modello fisicalista, come da un suo impiego puramente suggestivo e metaforico, ed è contrario ad ogni uso generico e aspecifico del concetto di campo, inteso talvolta come sinonimo di "spazio analitico", "setting", "relazione analitica", "controtransfert"etc. Giuseppe Di Chiara (1997) sembra invece usare il concetto di campo psicoanalitico nel senso generico di "campo relazionale", di cui segue i naturali destini di formazione, evoluzione, dissolvenza e introiezione; una posizione che lascia ovviamente aperta la domanda su quali differenze e specificità possa presentare il concetto di campo rispetto ad altri concetti ben noti come quello di "processo psicoanalitico". Domenico Chianese (1997) ammette la necessità di superare una concezione puramente interattiva dell'incontro tra paziente ed analista aprendo alla ricerca su quelle "aree intermedie" comuni ad entrambi e mediate dalla cultura e dall'intersoggettività. Per l'autore il campo resta legato ad una dimensione spaziale e temporale, di fantasmi comuni , "chiasmi", scene, riti, rappresentazioni più che interazioni; in questa ottica il lavoro sui gruppi appare come il più promettente per l'approfondimento di quel fondo comune che lega analista e paziente. Chianese tuttavia non ha dubbi nel ritenere che non esiste alcun "nuovo paradigma", in quanto finora non è avvenuto alcun passaggio da un livello descrittivo ad un "modello concettuale" e non è stata definita alcuna legge generale da cui poter derivare delle modifiche tecniche. Di diversa opinione sono naturalmente Antonino Ferro, Bezoari e Barale (1991;1996) che considerano il concetto di campo come un notevole ampliamento del modello relazionale in grado di modificare l'intera situazione analitica setting compreso. Per questi autori il campo è come uno spazio-tempo di intense turbolenze emotive, che si attiva e si trasforma in base al funzionamento mentale della coppia paziente analista e che consente operazioni trasformative e narrative.
Quali sono allora le caratteristiche specifiche dell'attuale modello di campo?
Entrambi i concetti, ammettono infatti un coinvolgimento emozionale reciproco e un reciproco scambio di emozioni primitive, implicando così la formazione di uno spazio "terzo" tra soggetto e oggetto, e quindi di un campo comune di energie emotive. Possiamo quindi affermare che una prima, essenziale, nozione di campo, si apra in psicoanalisi a partire dal concetto di fantasia inconscia bipersonale dei coniugi Baranger e dallo sviluppo bioniano dell'identificazione proiettiva. Questa teoria prevede che lo spazio circostante i corpi elettrizzati e megnetizzati sia descrivibile come campo e che solo le proprietà del campo siano essenziali alla descrizione dei fenomeni, mentre la diversità delle sorgenti non conta. In base a questa Teoria Classica le interazioni vengono trasmesse a mezzo del campo perturbato e quindi sono le variazioni d'intensità delle cariche (perturbazioni), la loro velocità e distanza che determinano le trasformazioni complessive. Il campo inoltre non può essere osservato, ma solo inferito dal suo effetto sui corpi (corpo di prova); esso tuttavia può essere rappresentato con un modello formale, dato dal linguaggio matematico delle equazioni di Maxwell, che mettono in relazione le variazioni dei campi magnetici ed elettrici in un punto qualsiasi dello spazio e del tempo. Queste concezioni permisero a Lewin di considerare il gruppo come la risultante complessiva delle forze emergenti nel campo stesso e non più a partire dai caratteri dei singoli membri. Il gruppo quindi come organismo intero, che si muove sotto la spinta di potenti fattori emotivi, di valori, credenze e obiettivi, in uno scenario in cui la totalità degli eventi è concepita come una trama di variabili interdipendenti e interagenti. Lewin si limitò a utilizzare questo modello di campo mediato dalla fisica per rappresentare la struttura logica delle relazioni descritte, ciò non toglie che il suo tentativo sia stato criticato per la spregiudicata contaminazione tra elementi fenomenologici e fisici e la fallimentare pretesa di offrire un modello matematico del comportamento umano. La famosa formula C= f(P,A) non indica infatti il campo, ma il comportamento. Lewin è interessato a studiare sperimentalmente ogni comportamento C in un ambiente A inteso come globalità fenomenologica. Ogni comportamento viene quindi concepito come movimento, locomozione, passaggio cioè da una "regione" psicologica ad un'altra, e determinato dalla risultante complessiva delle forze che agiscono su quell'individuo in quel momento, compresi stati interni come bisogni e desideri, e valenze positive e negative degli oggetti nel campo. Per Lewin sono quindi importanti le barriere, i divieti, i premi, le punizioni, l'educazione, la cultura, tutto ciò che può orientare il comportamento e creare situazioni di conflitto con i desideri interni. Lewin stesso dubitava che si potesse arrivare ad una teoria unitaria dell'intero campo e tuttavia riteneva possibile e necessario rappresentare per mezzo di concetti matematici la struttura dinamica della persona e dell'ambiente. Oggi questa concezione mostra tutta la sua ingenuità comportamentistica e tuttavia converrà notare la sorprendente lucidità di Lewin nel suo tentativo di superare una dimensione essenzialista e monopersonale della psicologia a favore di una dimensione dinamico-funzionale e di campo. Ciò che a noi oggi appare inaccettabile è la dimensione sperimentale applicata ai comportamenti emozionali in quanto nega ogni principio etico e motivazionale; sconcertante infine l'ingenuità scientifica insita nella pretesa di considerare un campo aperto con infinite potenziali variabili.
Bion conosceva queste ricerche e pubblicò i suoi primi lavori sui gruppi proprio su Human Relations, la rivista che faceva capo a Lewin; tuttavia non parlò di campo almeno fino a Trasformazioni, molti anni dopo. E' possibile però che nel suo concetto di valenza resti una traccia dell'omonimo concetto lewiniano che rinvia ad un legame tra bisogno interno e oggetto. Il tentativo di superare l'aspetto essenzialistico e categoriale della psicologia e il bisogno di formalismo logico-matematico restano comunque delle caratteristiche che in qualche modo avvicinano questi due autori così diversi.
Corrao introdusse il suo modello alla metà degli anni 80 al termine di una lunga elaborazione del pensiero di Bion e un'attenta riflessione epistemologica sul modello fisico della teoria quantistica dei campi. In base dunque ad una sorta di transfert d'identità dall'individuo al gruppo, Corrao (1981) postula una funzione gamma , "intesa come una variabile incognita, che si può definire l'analogo simmetrico, nella struttura di gruppo, di ciò che rappresenta la funzione alfa nella struttura personale". Questa funzione gamma corrisponde in definitiva alla capacità del pensiero di gruppo di metabolizzare gli elementi sensoriali ed emotivi bruti dispersi nel campo analitico (elementi beta). Essa individua pertanto i livelli superiori della mente di gruppo o "campo mentale condiviso" e in particolare la capacità di reverie del gruppo. In questo modo Corrao porta alle estreme conseguenze l'intuizione introdotta nel 1977, quando riferendosi al modello bioniano contenitore\contenuto aveva affermato nel saggio Per una topologia analitica la probabilità che la "mente" potesse collocarsi non solo all'interno di un individuo, ma anche all'interno di una coppia o di un gruppo. A partire da queste considerazioni Corrao (1985;1986), introduce l'ipotesi di un concetto di campo come "funzione il cui valore dipende dalla sua posizione nello spazio-tempo" o altrimenti come "un sistema ad infiniti gradi di libertà, forniti dalle infinite determinazioni possibili che esso assume in ogni punto dello spazio ed in ogni istante del tempo". Secondo questo modello quindi il campo non è circoscrivibile, né limitabile ad osservazioni fattuali di tipo percettivo, ma riferibile a movimenti "fenomenologici eventuali", casualmente invisibili e tuttavia deducibili e simbolizzabili, secondo un linguaggio scelto. In questo senso il campo può essere descritto in base alle sue "trasformazioni cinetiche" e rappresentabile con equazioni specifiche. In questo modello non è centrale tanto il concetto di forza o di potenza, bensì quello di energia: "l'energia,-scrive Corrao (1994)- il modello energetico, che avevamo tanto criticato in Freud, adesso, tramite il concetto di campo, può essere reintrodotto. Energia non più concepita in termini di forze vettorializzabili, ma di impulsi, che implicano il concetto di propagazione, di espansione".
L'autore precisa che il suo uso delle teorie fisiche è metaforico, secondo la filosofia del "come se", ed evoca il concetto winnicottiano di oggetto transizionale, un oggetto impregnato di illusione, ma che può avere una grande funzione ermeneutica e che allo stesso modo del mito può promuovere lo sviluppo della funzione simbolica. In verità Corrao parla anche di equazioni del campo e sembra aderire ad un ipotetico modello unitario di campo quantistico che riusciamo appena ad intravedere.
Tra le due concezioni vi sono cinquanta anni di Fisica, quanti ne passano tra la teoria del campo elettromagnetico di Farady e Maxwell e la teoria quantistica dei campi di Heisenberg e Dirac.
Questo concetto di campo è stato sviluppato oggi soprattutto da Gaburri e Riolo che pur con sottolineature diverse sembrano intendere il campo analitico come un "campo emozionale", " un sistema di trasformazione della realtà fattuale ad opera della realtà emozionale" (Gaburri 1997; Riolo 1997).
Il concetto di campo quindi non si risolve in quello di relazione, ed anzi è proprio dall'insufficienza di questa che nasce la necessità di un modello più complesso, "in grado di rendere conto delle interazioni che intervengono tra analista e paziente, ma anche tra conscio e inconscio, tra mente e corpo, tra interno ed esterno, tra presente e passato..." Per Riolo quindi il campo appare legato soprattutto a ciò che esorbita il soggetto e l'oggetto della relazione: "o perchè al di qua di essi, come ciò che -pulsione, sensazione, emozione- non partecipa della natura simbolica della relazione; o perchè al di là di essi, come ciò che- proiezione, allucinazione, azione- ne è stato espulso".
Anche Gaburri concepisce il modello di campo come una evoluzione "non-lineare" rispetto al modello relazionale e ne sottolinea soprattutto l'elemento "terzo" di contenitore comune emozionale e le potenzialità trasformative degli elementi preverbali e protomentali. Il compito fondamentale dell'analista diventa allora quello di non creare impedimenti alla realizzazione di un'esperienza nuova che può scaturire dalle imprevedibili trasformazioni autoorganizzative del campo. Egli quindi deve prestare attenzione ai segnali del campo facendo uso di una particolare disposizione mentale, meno vigile e attiva, in grado di consentire una saltuaria e parziale dissolvenza del proprio io e della propria tensione a capire. Condizioni queste che Bion aveva descritto come capacità negativa quale temporaneo oscuramento di memoria, desiderio e conoscenza, allo scopo di consentire quelle particolari esperienze di autoorganizzazione da cui scaturiscono le trasformazioni in "O", in cui soggetto e oggetto divengono la Cosa che la trasformazione realizza, anzichè limitarsi a coglierla sul piano cognitivo. Nel modello di campo possiamo quindi pensare che intervengano energie non vettoriali di natura emotiva, che configurano il campo come un elemento terzo in continua attività tra paziente e analista e che potrebbe funzionare da prerequisito per rendere digeribili all'analista le associazioni del paziente e al paziente le interpretazioni dell'analista. In altre parole il campo emotivo avrebbe la funzione di sostenere, (o di ostacolare) la funzione alfa in modo da rendere possibile l'esplorare e cogliere la dimensione più arcaica, preverbale, compresi i pensieri non ancora pensati, potenzialmente emergenti dal contesto situazionale piuttosto che dalla relazione dei soggetti coinvolti: "dove c'era la mimica, il gesto, l'azione ci sarà la parola"- scrive Gaburri- echeggiando l'antico aforisma freudiano: " Dove era l'Es, ci sarà l'Io".
Il campo viene quindi a configurarsi come l'insieme dei pensieri non ancora pensati, emergenti dalla situazione piuttosto che dalle menti dei soggetti. Questo aspetto potrebbe includere anche quelle caratteristiche di "pervasività" e "invasività" descritte da Correale (1991) e Neri (1993), in cui fantasie e atmosfere sembrano invadere il campo e condizionare l'andamento della terapia a prescindere dalla relazione. Fenomeni come "il clima" di un contesto, le fantasie transgenerazionali o quelle atmosfere di depressione e noia che invadono il campo come nuvole di pesantezza e negatività, sono infatti difficilmente riconducibili ad aspetti relazionali e rinviano piuttosto ad aspetti protoemotivi a carattere diffusivo. Questa caratteristica del campo appare complessa e originale, in quanto sembra uscire dal modello di base fondato sul meccanismo dell'identificazione proiettiva, che accumunava il già noto modello di campo dei Baranger alle teorie di Bion. Per capire questa proprietà del campo occorre far riferimento non solo all'intrecciarsi delle identificazioni proiettive, ma anche a quell'aspetto protomentale del legame che Bion definisce "valenza". Con questo concetto viene infatti introdotta una cesura rispetto alla concezione della libido come unica matrice dei legami ed appare possibile affrontare il delicato crinale dove l'assenza di relazione drammaticamente convive con la presenza di un linguaggio inarticolato e occlusivo. Il sistema proto-mentale viene infatti descritto da Bion come matrice indifferenziata tra fisico e mentale, al di quà della stessa distinzione soggetto/oggetto e individuo /gruppo, e pertanto si propone come un concetto in grado di condividere la natura della pulsione freudiana e individuare la zona in cui si salda più strettamente psicoanalisi individuale e gruppale.
Diversamente da Freud, Bion (1961) pensa che nel gruppo la natura dei legami sia diversa da quella libidica, e la nomina valenza, in riferimento alla teoria chimica sulla natura automatica e aspecifica della capacità di combinazione degli atomi. Il gruppo è così concepito come un aggregato di oggetti parziali tenuti insieme dal legame-valenza; una elementare energia di attrazione meno differenziata rispetto all'investimento libidico-affettivo che nel gruppo freudiano, concepito sul modello familiare, lega il soggetto al leader quale significante dell'identificazione con l'imago paterna.
Questo aspetto del campo è stato sviluppato in modo originale da Antonino Ferro (1996) che considera il campo come uno spazio-tempo di intense turbolenze emotive, di vortici di elementi beta, che urgendo e attivando le funzioni alfa dell'analista e del campo iniziano ad essere trasformati in elementi alfa, cioè prevalentemente in immagini visive, che possono manifestarsi nel racconto del paziente, nella reverie dell'analista, nel suo controtransfert o in qualunque altro punto del campo. Essenziale per l'autore è il pensiero onirico della veglia, cioè quel continuo sognare per essere svegli, descritto da Bion, in cui la funzione alfa procede a costituire gli elementi alfa a partire da tutte le afferenze senso-percettive-emotive di ogni istante esistenziale e relazionale. Anche per Ferro il campo che si attiva e si trasforma è una funzione del lavoro mentale della coppia, della libertà dell'analista e delle sue capacità negative, come non persecuzione, non intrusione, non decodificazione, che possono permettere la trasformazione di un clima di terrore e di incubo in uno più familiare e di gusto per la ricerca.
Il concetto di Campo contiene quindi al suo interno vari "nuclei di senso", diversi tra loro e che si sono andati stratificando nel tempo;
"In psicoanalisi, qualsiasi O che non sia comune all'analista ed anche all'analizzando e che quindi non sia disponibile per la trasformazione da parte di entrambi, può essere ignorato come non pertinente alla psicoanalisi. Qualsiasi O che non sia comune ad entrambi non è suscettibile d'indagine psicoanalitica; qualsiasi apparenza contraria dipende dal non comprendere la natura della interpretazione psicoanalitica." Bion quindi osserva come un fenomeno in sé, non mentale, possa diventare mentale e assumere un significato, quando entri in un campo comune di esperienza analista-paziente di modo che possa venire elaborato e trasformato. Bion poi descrive anche il processo opposto quando un fenomeno o elemento mentale diventa una cosa in sé, come nello psicotico, che non è capace di "pensare"- nel senso di manipolare le parole e i pensieri in assenza dell'oggetto- e che non ha ricordi, ma solo "fatti nudi e crudi", e in cui le allucinazioni sono "cose-in-sé", non-pensiero (Bion, 1965). Il problema di Bion è quindi quello di esprimere in termini formali o comunque trasmissibili le complessità di ciò che avviene nella seduta analitica. Ed è proprio a questo scopo che Bion introduce in Trasformazioni il concetto di campo. Egli ammette che l'esperienza emotiva che paziente e analista vivono nella stanza d'analisi è influenzata da amore (L), odio (H) e conoscenza (K) e ricorda che la situazione analitica è stata escogitata per fornire le condizioni in cui il paziente abbia un terreno su cui proiettare. L'idea implicita nella teoria del transfert è infatti che l'analista sia la persona su cui l'analizzando trasferisce le proprie immagini. Tuttavia perfino le trasformazioni a moto rigido (nel senso classico) non sempre trovano un terreno appropriato su cui il transfert possa essere rivelato. Le teorie di Melanie Klein mostrano che un tale medium non è comunque adeguato nel caso delle trasformazioni proiettive; in particolare esso non aiuta l'analista a riconoscere gli elementi dell'identificazione proiettiva, quando compaiono in mezzo al materiale e ai sintomi clinici. L'analista deve saper scorgere i segni della identificazione proiettiva in un campo che, rispetto a quello vigente nella teoria classica, è, per così dire, multidimensionale. La situazione analitica richiede una ampiezza e una profondità maggiore di quelle che possono essere fornite da un modello tratto dalla concezione euclidea dello spazio. Un paziente che mostra trasformazioni proiettive e richiede, per essere compreso, l'uso di teorie kleiniane, adopera anche un campo che non è semplicemente l'analista o la propria personalità o anche il rapporto tra lui e l'analista, ma tutte queste cose e altre ancora. Bion infine postula che la situazione analitica possa essere considerata nel suo complesso come un sistema di energia (come già Freud nel suo Progetto di psicologia scientifica e Corrao nel suo modello di campo) in cui la somma totale di energia rimane la stessa e la instabilità di una qualunque parte del sistema può essere vista negli aumenti di "pressione". Una tale complessità può quindi essere male visualizzata in un elemento topologico come un cerchio o una sfera; il "campo" della trasformazione, o "ricettore" o "terreno" viene invece avvicinato per analogia da Bion ad un dipinto in cui il terreno per la trasformazione è la tela su cui la trasformazione è proiettata. Il modello di campo era già quindi implicito nella teoria delle trasformazioni di Bion, e tuttavia sono occorsi decenni prima che ne potessimo prendere piena consapevolezza e occorrerà ancora del tempo prima di realizzare tutta la sua enorme portata.
Seminario Università La Sapienza, Roma, 20\01\99 Riferimenti bibliografici Baranger,W. e M. (1961-2), La situazione analitica come campo bipersonale. Cortina, Milano,1990. Bezoari, M. Ferro, A. (1991), Percorsi nel campo bipersonale dell'analisi, in Riv. Psicoan. XXXVII, N. 1. Bion, W.R. ( 1961), Esperienze nei Gruppi, Armando, Roma 1979. Bion, W.R. (1965), Trasformazioni, Armando, Roma, 1973. Chianese, D. (1997), Costruzioni e Campo analitico, Borla, Roma. Corrao, F. (1977), Per una topologia analitica. In Riv.Psicoan., XXIII, N.1. Corrao, F, (1981), Struttura poliadica e funzione Gamma, in Gruppo e Funzione Analitica, II, n.2. Corrao, F. (1985), Teoria e prassi dell'Evento (Nota 1). In Gruppo e Funzione Analitica, VI, N. 1 Corrao, F. (1986), Il concetto di campo come modello teorico, in Gruppo e Funzione analitica,VII, N.1. Corrao, F. (1994), Spazio mentale. In Koinos. XV, n.1-2. Correale, A. (1991), Il campo istituzionale. Borla, Roma. Di Chiara, G. La formazione e le evoluzioni del campo psicoanalitico. in Gaburri (1997) op.cit. Ferro, A. (1996), Nella stanza d'analisi. Raffaello Cortina, Milano. Gaburri, E. (1997), (a cura di) Emozione e Interpretazione, Bollati Boringhieri, Torino Lewin, K. (1935), Teoria dinamica della personalità, Giunti Barbera, Firenze, 1965. Neri, C. Campo e fantasie trans-generazionali. In Riv. psicoan. XXXIX, N. 1. Neri, C. (1995), Gruppo, Borla, Roma. Riolo, F. (1997), Il modello di campo in psicoanalisi, in Emozione e Interpretazione, Gaburri, E. op.cit. Rugi, G. Gaburri, E. (1998), (a cura di). Il campo gruppale. Borla, Roma.
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