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Elena Gelmini
I vissuti emotivi della malattia organica grave e i suoi effetti sullo sviluppo psichico di alcuni bambini in età di latenza, aiutati a scuola con uno "special time" |
INTRODUZIONE
Lavoro da 8 anni come psicologa in una scuola di periferia che accoglie circa mille bambini di età compresa dai 3 ai 10 anni; in particolare, mi occupo dei bambini a rischio che mi vengono segnalati dai genitori o dagli insegnanti e per i quali, per varie ragioni, è impossibile l'invio alle strutture pubbliche. A tali bambini offro un intervento individuale, secondo il modello dello "special time" (M.Boston e D.Daws, 1977; I.Wittenberg, G.Williams, E.Osborne, 1983; B.Copley e B.Forryan, 1987; P.Carignani, 1994), concordato con genitori e insegnanti. Lo scopo è quello di offrire ai bambini a rischio un "setting" strutturato per aiutarli ad affrontare le loro difficoltà. Questo setting consiste nel vedere individualmente un bambino in una stanza all'interno dell'istituzione scolastica, per un periodo di tempo limitato e costante, una volta alla settimana, per un intero anno scolastico. Gli effetti che queste malattie possono avere sullo sviluppo mentale del bambino possono variare molto ma, in ogni caso, l'esperienza di dover tollerare cure mediche molto intrusive, la perdita di funzioni fisiche, la paura di morire, non possono non turbare molto profondamente questi bambini.
D. Judd (1994) sostiene che, anche se la causa dei disturbi somatici è prevalentemente o interamente fisica, ci sono sempre delle dinamiche psichiche concomitanti.
A.Novelletto e E.Gozzano (1983) sostengono, più in particolare, che la ferita narcisistica, causata al Sè da interventi chirurgici, può tradursi, a lungo termine, in disturbi psichici se il bambino non può disporre di un valido aiuto psicologico o di risorse alternative. Il costituirsi di questa esperienza di contenimento (Bion, 1962) ha favorito nei bambini il ripristino di un dialogo più fiducioso con l'adulto e con se stessi. Solo dopo aver espresso i sentimenti più negativi e dolorosi e le fantasie distruttive, i bambini hanno iniziato a distinguere con minore confusione ciò che apparteneva al corpo da ciò che apparteneva alla mente, rimettendo in moto la speranza e affrontando con più forza il dolore mentale. In questo senso è importante, come sostiene Spinetta, dare ai bambini malati l'opportunità di "parlare delle loro preoccupazioni così che possano ricevere sostegno nelle loro lotte" (Spinetta, 1982).
L'intervento è risultato utile nella misura in cui il bambino si è sentito aiutato a mitigare il dolore, la paura, l'angoscia, il senso di perdita dovuto alle tante limitazioni imposte dalla malattia e a dare significato alla sua sofferenza. Questi bambini non sono in grado di distinguere tra la sofferenza causata dalla malattia che è dentro di loro e la sofferenza imposta loro dall'esterno per curarli (A.Freud,1952); sopportano senza capire e la loro mente, gravata da insostenibili fantasie distruttive, perde man mano la propria capacità di contenimento. Così ogni episodio doloroso, connesso con la cura o con il peggioramento delle condizioni fisiche, provoca un ulteriore trauma psichico. Trauma nel senso definito da Fenichel (1951) come blocco delle funzioni dell'Io, attivato per dirigere tutte le energie disponibili a fronteggiare l'invasione di una eccitazione insopportabilmente intensa e dolorosa. Ciò per l'imporsi violento alla mente di un pericolo sempre presente, determinato dalla realtà di un corpo sofferente e ammalato che a livello fantasmatico è percepito in orribile trasformazione.
Una recente ricerca di Pinocs (1992) sulla sindrome da stress post- traumatico è significativa per il tipo di lavoro che io ho svolto con i bambini traumatizzati e che descriverò. Pinocs parla di "trauma che ha bisogno di essere elaborato e sviluppato per l'influenza che può avere sullo sviluppo attuale e successivo del bambino traumatizzato. Nell'aiutare tali bambini è importante considerare quali sono i fattori che stimolano lo sviluppo della loro capacità di recupero, aiutandoli così ad affrontare le avversità nella loro vita".(R.Emanuel 1996). Anche Musatti (1949) affermava che il dolore fisico e, più in generale, lo stato di malattia, richiama tutte le energie psichiche del malato su se stesso, determinando un distacco dal mondo. In tono minore, anche Freud (1914) nel saggio sul narcisismo, cita una strofa della poesia di Busch: "Concentrated is his soul in his molar narrow hole", per sottolineare come nei momenti di malattia fisica la persona si ripiega su se stessa e sul suo dolore.
Più in particolare, nella malattia organica grave del bambino, la presenza di disturbi dell'apprendimento e del comportamento sono, secondo la mia ipotesi, il risultato del fallimento dei normali meccanismi di difesa messi in atto contro le angosce di morte che qualsiasi esperienza di malattia riattiva nella vita di fantasia. Se non elaborate, tali angosce possono compromettere l'integrazione del sistema mente-corpo mediata dal dolore. In ogni situazione traumatica, inoltre, il bambino tenta di compensare, per quanto gli è possibile, la sua grave situazione con la regressione e l'impiego di meccanismi di difesa sempre più primitivi e meno elaborati: negazione, scissione, proiezione (A.S.Pilleri, A.Oliverio Ferraris, 1989). Si può così riprodurre uno stato di impotenza simile a quello di un bambino più piccolo, con un corto circuito tra la capacità di simbolizzazione e quella dell'esame di realtà. Ciò determina uno stato in cui dolore fisico, angoscia primitiva e traumatica e dolore psichico si confondono e il bambino, divenuto meno capace di tollerare il dolore, utilizza con maggior frequenza i sintomi fisici per comunicare il suo malessere, venendo così a rinforzare la sua identità nella malattia.
Dal resoconto dei colloqui con i bambini ammalati che ho seguito, risulta evidente come essi rivivano negli episodi più dolorosi della loro malattia una angosciosa situazione emotiva simile a quella del neonato, per il quale la morte può essere fonte di un "terrore senza nome" (Bion,1984). I bambini di cui parlo sperimentano questo terrore in quanto vivono in un'angosciante incertezza all'ombra della morte. Winnicott (1962), sempre in riferimento all'angoscia di morte provata dal neonato, parla invece di un primitivo terrore di disintegrazione, di caduta senza fine e di un sentirsi "continuamente alle prese con un'ansia indicibile". Le esperienze di angoscia, terrore e disperazione, che i bambini vivono durante i momenti più difficili della loro malattia, diventano la ripetizione delle primissime esperienze indifferenziate di ansia e dolore i cui contenuti inconsci si riferiscono sempre alla perdita, alla distruttività, alla morte. Così Rank (1929) considera l'ansia di morte come paura della separazione, originata nel trauma della nascita e la identifica come la prima emozione umana. Per Freud (1926) il conflitto tra pulsioni di morte e pulsioni di vita è il fondamento su cui si basa ogni sviluppo individuale. La pulsione di morte è la forma primordiale di autodistruttività e di aggressività contro sè stessi; i sentimenti di ansia nell'infanzia sono riconducibili a un sentimento di perdita della persona amata. L'ansia di separazione si trasforma in ansia di castrazione, che equivale a separazione dagli organi genitali, e, infine, in paura della perdita dell'amore del superego. La perdita dell'oggetto o la separazione di qualsiasi tipo sono per Freud precondizione d'ansia. Secondo Freud, quindi, una delle più dolorose esperienze dell'esistenza umana è l'ansia relativa alla mutilazione fisica quando è connessa all'angoscia di castrazione. Melanie Klein (1949) mise in luce il terrore infantile di essere accoltellato, lacerato, smembrato. Essa spiega questa ansia persecutoria come conseguenza dell'introiezione degli impulsi sadici del bambino, stimolati dal bisogno di stornare la tensione dell'istinto di morte. Secondo A. J. Arlow (1965), invece, la malattia in genere è considerata da tutti un'intrusione ostile ed estranea e la morte come un assassinio. Egli spiega ciò come sopravvivenza arcaica di quella nozione infantile che tutto ciò che è doloroso o spiacevole sia estraneo all'Io, cioè non faccia parte di esso. In quest'ottica, inconsciamente la morte può significare punizione, non soltanto come separazione e perdita, ma anche sotto forma di mutilazione del corpo, di tortura o di totale annichilimento. Questi significati occupano il mondo interno di alcuni bambini malati e si ritrovano nei loro giochi e fantasie perchè vengono attivati nelle condizioni di malattia, ma non sono creati dalla malattia stessa (J.C. Rheingold, 1967). La genesi dell'angoscia di morte rimane comunque un problema complesso, che comprende sia elementi universali, che si rifanno ai significati inconsci legati allo sviluppo evolutivo e alla dipendenza biologica del bambino, che un'ampia gamma di esperienze individuali. La malattia amplifica l'intensità delle emozioni e attiva i meccanismi di difesa primitivi per fronteggiare il riemergere delle paure primitive di abbandono, mutilazione, perdita e annientamento.
Vengono presentati qui di seguito i casi di 2 bambini malati gravi.
Tutti e 2 i bambini mi sono stati segnalati per disturbi comportamentali e difficoltà apprenditive e sono stati da me seguiti a scuola, una volta alla settimana, per un intero anno scolastico.
Dalle sedute emerge come nei bambini in una tale situazione prendono corpo fantasie ancora più angoscianti della realtà stessa, riferite ad una persecuzione proveniente da una fonte invisibile e onnipresente che attacca il corpo e la vitalità del bambino stesso.
Andrea nasce di 2,5 Kg, settimino, a causa di una improvvisa e grave emorragia, dopo una gravidanza gemellare durante la quale, al secondo mese, il gemello muore a causa di malformazioni multiple. Viene eseguito un parto cesareo, ma l'anestesia totale lascia la madre in fin di vita per una grave complicazione polmonare ed è ricoverata con urgenza in un centro pneumologico.
Lo sviluppo psicofisico del bambino progredisce normalmente fino a 3 anni. Dopo l'inizio della scuola materna Andrea inizia a zoppicare, senza che il pediatra riesca a spiegarne il motivo. A 3 anni e mezzo il bambino ha un primo improvviso svenimento seguito, pochi mesi dopo, da un altro svenimento. Un professore di Boston accetta di seguire il bambino e, dopo aver a lungo studiato con la sua équipe la complessa e grave sintomatologia, non riesce a formulare una diagnosi. I genitori rimangono sconvolti quando lo sentono definire un caso "unico al mondo". Il medico suggerisce un intervento immediato all'anca ormai in necrosi, che però non viene eseguito perchè i genitori vi si oppongono a causa dell'incertezza del risultato.
Attualmente il bambino non porta più il tutore metallico, inseritogli nell'anca 2 anni fa, ma soffre sempre di coliche renali, di dolori reumatici e di una lieve insufficienza cardiaca; l'epilessia è tenuta sotto controllo con i farmaci. Conosco la vicenda di Andrea durante una riunione congiunta tra insegnanti, la madre e il medico scolastico. Tutti sollecitano un mio intervento per aiutare il bambino ad affrontare la sua malattia. Nella riunione la madre ribadisce che lei, il marito e i sanitari, concordemente, hanno scelto di non mettere al corrente il bambino della sua grave condizione fisica per evitargli un trauma; il bambino sa solo che ha dei problemi di salute che con la crescita si risolveranno. Accetto di seguire il bambino spiegando che il mio intervento sarà finalizzato ad aiutare Andrea a riflettere sulle sue esperienze e a comprendere ciò che gli sta accadendo per rendere meno doloroso possibile il processo di adattamento alla sua malattia. A questo scopo, dico loro, sarà necessario introdurre gradatamente il bambino verso una maggiore consapevolezza circa il suo stato fisico. Tutti concordano su tale finalità.
Nel successivo colloquio con i genitori appare evidente la loro difficoltà a sostenere emotivamente il figlio; sono estremamente gravati dal dolore di aver messo al mondo un bambino così malato, ma rifiutano il mio consiglio di avere anche per loro stessi un sostegno psicologico; accolgono invece con sollievo e gratitudine la mia offerta di seguire il figlio con uno "special time" e concordano con la finalità del mio lavoro. La madre si incarica di parlare al bambino del progetto di farlo aiutare con dei colloqui a scuola. "Andrea nomina e manipola con esitazione gli strumenti contenuti nella valigetta del dottore ma, dopo aver trovato una siringa, prende il burattino che raffigura il diavolo e, con espressione allarmata, mi dice che ha bisogno di una puntura per essere curato. Con movimenti rapidi e abili, finge di iniettargli una medicina, poi, scuotendo mestamente il capo, commenta: "Così poveretto l'ha fatto diventare la malattia"! Quindi abbandona tristemente il diavolo tra gli altri pupazzi". Con mia grande sorpresa Andrea sembra portare, fin dal primo incontro, il tema della sua malattia. Durante il gioco, infatti, il bambino manifesta sgomento di fronte a questa realtà che lui sembra vivere come la causa della sua trasformazione in un bambino diverso e forse cattivo come un diavolo. Mostra pena e dolore per le cure che subisce e, nella mestizia con cui abbandona tra i giochi il burattino, dopo aver tentato invano di curarlo, sembra comunicarmi l'impossibilità di tollerare la sua assoluta impotenza di fronte alla malattia. In un gioco, realizzato in un incontro successivo, Andrea mostra come si senta già sollecitato dal lavoro e, attraverso l'elaborazione delle sue fantasie inconsce, riesce ad avviare un faticoso percorso mentale alla ricerca di significati che possano dare senso e rendere più contenibile ed esprimibile la sua dolorosa esperienza. Mi racconta la fiaba di Pinocchio cambiandone l'inizio e la fine: dice che il burattino, diventato di legno per una strana malattia, alla fine trova la morte nella pancia della balena perchè non riesce a trasformarsi in un bambino buono.
Andrea sembra vivere la malattia come una forza ignota che lo trasforma in un bambino diverso e gli preclude la possibilità di diventare un bambino normale. Gradatamente l'elaborazione dei contenuti delle fantasie più profonde aiuta Andrea a creare altri nuclei di pensiero intorno alla sua esperienza di malattia. Così in un gioco, che fa in seduta qualche settimana dopo, Andrea si confronta nuovamente con l'angosciosa e intollerabile realtà della devastazione che la malattia produce sul suo corpo: "Andrea sta giocando con una tigre di plastica quando mi dice che questa (la tigre), figlia del "saggio e potente leone", è nata ammalata con la pelle che si sta spaccando tutta e ciò l'ha fatta diventare cattiva, ce l'ha con tutti". Gratta con le dita sulla pelle della tigre.... Il contenuto di tale fantasia sembra avvicinarsi ad emozioni molto violente riferite alla percezione, sul proprio corpo, della distruttività della sua malattia. L'intollerabile angoscia che ne consegue, non più contenuta, sollecita la sua aggressività; una risposta comunque vitale e difensiva alla sensazioni dolorose che sente distruttive dentro di sè. La pelle sembra qui perdere la sua funzione di contenimento e appare essere l'organo che lui sente colpito dalla malattia: è proprio la membrana che dovrebbe offrire un primo contenimento a essere colpita e a non poter più svolgere la propria funzione.
Così Andrea sembra essere alla disperata ricerca di un contenimento che lo possa aiutare a trovare un significato alla sua malattia perchè si trova di fronte ad una situazione confusa e pervasa di angosciante silenzio. Nessuno lo aiuta a capire le ragioni della minaccia reale a cui è sottoposto il suo corpo. Nel sesto incontro, dopo una assenza da scuola per una colica renale, Andrea, sempre attraverso il gioco, riesce ad esprimere la sua impotenza e il suo disperato bisogno di protezione. Drammatizza una storia in cui il personaggio principale dopo aver subito il furto dei propri abiti e delle proprie armi viene crudelmente ucciso dal nemico. Il bambino sembra mostrare, in giochi di questo tipo, quanto sia vicino ad una consapevolezza della pericolosità della sua situazione di ammalato. Si sente disperatamente solo e impotente di fronte alla malattia che gli sottrae forze e difese consegnandolo, così, ad una morte violenta. L'elaborazione di questa fantasia aiuta in seguito Andrea a distinguere la violenza prodotta da sentimenti di odio dalla violenza della malattia determinata da cause fisiche. Il graduale lavoro di avvicinamento del bambino alla sua sofferenza continua a sollevare intense angosce di morte; ciò è espresso in una serie di giochi aggressivi e crudeli come in quello che segue: "Andrea prende alcuni animali feroci e preistorici e li fa scontrare, con rabbia, uno contro l'altro fino alla morte. Gli animali si mordono tra di loro proprio all'altezza dell'attaccatura delle gambe al corpo. L'unico a salvarsi è il dinosauro da lui ritenuto il più forte".
L'estrema violenza che viene drammatizzata in questo gioco sembra rappresentare l'azione aggressiva e crudele della malattia che colpisce il corpo del bambino. Questa difesa ben presto si manifesta anche in classe dove Andrea spesso provoca i suoi compagni e li conduce verso intensi litigi. Le reazioni altrettanto violente dei compagni spingono però Andrea ad iniziare un doloroso confronto tra le sue fantasie e la realtà. I contenuti di questi litigi con i compagni vengono riportati in seduta, dove Andrea comincia ad elaborarli e questo sembra aprire il suo sguardo verso la realtà della sua esperienza. In questo modo, piano piano, iniziano ad emergere alcune funzioni dell'Io e di un Super-Io capace di mitigare gli aspetti persecutori della malattia. La figura paterna nei suoi giochi assume progressivamente un aspetto meno tirannico e consente ad Andrea di dialogare maggiormente con essa, lasciandole svolgere anche una funzione protettiva. Naturalmente la situazione fisica di Andrea influisce pesantemente sulla sua condizione emotiva; l'ansia fondamentale che accompagna le fantasie dominanti, nei momenti di maggior malessere, è riferita al terrore di essere annientato e quindi di morire. L'angoscia di morte è sempre così invasiva che Andrea non può che proiettarla e ciò è evidenziato dalla fantasia del seguente gioco: Andrea ha preso in mano una tigre, un leone e un rinoceronte e li fa scontrare rabbiosamente contro un cavallo che rimane ferito. Poi fa scontrare una giraffa contro un dinosauro e anche la giraffa rimane ferita. Preoccupato cura con premura gli animali feriti e, dopo aver gridato con sollievo "sono salvi", rinchiude nel recinto tutti gli altri. La violenza con la quale Andrea fa scontrare gli animali feroci contro il cavallo e la giraffa è particolarmente intensa e sembra indicare lo stato di grave allarme e pericolo nel quale il bambino sente di trovarsi. Il cavallo e la giraffa assumono in vari giochi il ruolo dei genitori che vengono aggrediti dagli animali feroci che, a loro volta, sembrano rappresentare le violente emozioni distruttive, prive di un adeguato contenimento. Questa esplosione di distruttività genera un ulteriore allarme in Andrea che a questo punto si preoccupa anche di rimediare all'attacco realizzato, ma la violenza e l'intensità delle scissioni e delle proiezioni sembra consentire solo una prima forma di riparazione di tipo "maniacale" che ripara il danno in maniera magica. Intendo dire che il bambino, nella scissione che mette in atto tra aspetti distruttivi e oggetti protetti da essi, attiva un processo che fa intravedere la possibilità di una iniziale riparazione, rapida e totale, una riparazione che potrebbe essere definita maniacale secondo la definizione kleiniana ben descritta da H.Rey (1986). Il senso di sollievo provato per la riparazione effettuata, gli permette di sollevarsi dall'angoscia di morte e dal senso di colpa e di avvicinarsi per la prima volta alla speranza della sopravvivenza. In questo modo può cominciare a contenere i propri aspetti aggressivi. Grazie a questo processo Andrea può continuare a portare nelle sedute materiale connesso con il problema della distruttività della malattia; la malattia inizia ad essere percepita come aggressione reale al suo corpo. Lo sforzo di esprimere sensazioni ed emozioni così travolgenti e dolorose comporta anche un aumento dell'angoscia che sollecita ulteriormente l'aggressività del bambino. Nei primi giochi il diavolo, il dinosauro e gli animali feroci, con la loro distruttività, rappresentavano in modo molto concreto l'angoscia di morte. Con intensa sofferenza il bambino inizia a confrontarsi adesso con i propri aspetti aggressivi che percepisce come qualcosa che può esistere indipendentemente dalla malattia e rendergli invece di fatto più difficile sopportare quest'ultima. Durante una seduta, dopo aver legato tra loro cavallo e dinosauro con tre nodi molto stretti ed esaltando la forza di quest'ultimo, mi dice che la cattiveria e non la malattia è causa di morte in quanto quest'ultima può essere guarita dalle medicine. In quest'ultima affermazione il bambino, sostenuto dal suo stesso processo di speranza, imputa alla malattia i suoi problemi organici e distingue così il senso della vita che continua, in quanto le medicine "guariscono la malattia". Dentro di lui c'è però ancora il dubbio che la sua malattia possa essere la conseguenza della sua aggressività e la morte potrebbe essere la giusta punizione. Questo dubbio sembra così dare un significato di colpevolizzazione alla sua situazione di ammalato e, a livello inconscio, sente tuttora di essersi ammalato perchè cattivo. Questo modello di pensiero continua così ad attivare un'intensa angoscia che il bambino potrà risolvere soltanto quando riuscirà a staccare dalla propria esperienza di malattia l'idea che questa sia una conseguenza della sua cattiveria. Contemporaneamente a scuola Andrea diventa ancora più litigioso e spesso si trova implicato in bisticci perchè si appropria degli oggetti dei compagni affermando con estrema sicurezza essere suoi. Il bisogno di possedere gli oggetti, adesso sentito in modo così intenso dal bambino, sembra legarsi allo sforzo di affermare una sua consistenza vitale. Possedere sembra legato, per Andrea, ad un disperato e concreto tentativo di esistere, di sentirsi integrato e, quindi la sua "prepotenza" ha forse la funzione di affrancarlo dalla minaccia, rappresentata a livello inconscio, dell'equazione simbolica "non possedere=non esistere=morire". Tuttavia, piano piano, il bambino inizia a conoscere e a utilizzare i significati delle sue fantasie inconsce e a rendersi conto degli effetti che hanno su di lui. Questo lavoro fa emergere altro materiale che lui evidenzia in un confronto/scontro con il padre. Andrea dice: "Papà può cavalcare lo stallone e io no! Io cavalco il pony". Inscena una corsa sfrenata tra lo stallone e il pony, quest'ultimo vince, ma dopo la vittoria cade e si ferisce gravemente. Commenta che il pony forse è caduto perchè si è dispiaciuto di aver superato lo stallone. L'ansia è resa devastante dal sentirsi mutilato nel corpo. Le dolorose percezioni corporee invadono la mente di fisicità e sollecitano sentimenti ambivalenti a cui è difficile dare una svolta evolutiva. Il padre è percepito come robusto, alto, può fare tutto, Andrea ha solo limiti e divieti. In lui non c'è la sicurezza e la speranza di diventare grande, per questo la competitività con il padre è un sentimento molto penoso. Freud (1905) sostiene che il bambino sopporta questa competizione in quanto proietta nel futuro la sua capacità di diventare grande come il padre, Andrea sente che a lui tale speranza è negata e la competizione non ha una svolta evolutiva con l'identificazione. Il pony, di cui il bambino mi parla estesamente in molte sedute, sembra rappresentare il senso della sua impotenza e la sua mancanza di speranza di diventare grande. Mentre per il bambino lo stallone rappresenta forse la libertà di crescere e di provare piacere. Andrea si sente come il piccolo pony che non cresce...lui non potrà diventare uno stallone perchè è ammalato! Il confronto tra il pony e lo stallone è insopportabile perchè pone il bambino di fronte alla realtà crudele della sua malattia che non gli dà speranze di crescita. Andrea tenta allora di annullare la differenza tra sè e il padre e passare dalla dimensione dell'impotenza, determinata dalla minaccia della malattia, a quella dell'onnipotenza di poter trionfare sullo stallone e ritrovare così una parità assoluta con il padre, visto che non può trovare una svolta evolutiva con l'identificazione.
Piano piano l'elaborazione e il contenimento aiutano il bambino a sopportare con minor dolore questo senso di impotenza, riconducendolo a contare su se stesso in modo tale da sostenere il processo di speranza avviato.
Il fluttuare dalla fantasia onnipotente, (per esempio mi racconta che possiede una tenuta con molti cavalli e una moto di grossa cilindrata con la quale scorazza per il paese), con le evidenti bugie, all'assoluta impotenza, con la sua malattia, gli impedisce di attivare il processo di integrazione mentale e questo lo porta ancora a ricadute con un disperato senso di perdita di sè. "Un padre diventa re e con la sua autorità misconosce il figlio che lo ha deluso perchè si è ammalato così lo degrada tra i tanti altri che ha appena adottato. Il tempo passa e il re si ritrova solo e deluso, allora cerca il suo vero figlio che intanto è cresciuto ed è stato affidato ad una famiglia numerosa, ma non riesce a riconoscerlo. Sempre più solo è costretto ad affidare al fiuto del suo cavallo adorato l'ultima possibilità di identificare il suo vero figlio. Il gioco a questo punto si fa confuso....e inizia una lotta feroce tra gli umani e i dinosauri, quest'ultimi hanno la meglio per la loro forza fisica". Andrea esprime qui la delusione inferta al padre dal suo stato di malattia. Da ciò il conseguente terribile dubbio di non essere lui il vero figlio. Il successivo, disperato tentativo di recuperare attraverso "l'odore" tale identità, sembra rappresentare uno sforzo estremo di ritornare in contatto con se stesso, attraverso le sue percezioni sensoriali e avere così la conferma della propria esistenza. Il tema del "vero figlio" ritorna anche in altre sedute e mi ha fatto spesso venire in mente che potesse essere anche connesso alla primitiva esperienza intrauterina di essere sopravissuto al gemello. Possiamo forse immaginare che ad un qualche livello di fantasia profonda ci possa essere per Andrea un atavico senso di colpa nei confronti di questa morte prematura, anche se questa non può essere, da parte mia, che una congettura immaginativa.
Alla fine del 4 mese di "special time" Andrea parte per l'America per essere visitato dal medico di Boston e assiste, senza che nessuno se ne accorga, al colloquio dei suoi genitori con il professore che, senza mezzi termini, spiega la gravità della situazione fisica e della scarsità di speranza che il bambino possa sopravvivere alla malattia. Vedo Andrea una settimana dopo il suo rientro, trovo il bambino molto angosciato e agitato coinvolto in una disperata lotta con il pensiero della morte. Riporto i momenti più significativi della seduta: "E' teso, il viso cupo, mi guarda e balbettando e respirando con difficoltà mi dice che deve subire un'operazione estremamente rischiosa e difficile che, se fallisse, potrebbe farlo morire. Con grande angoscia aggiunge che farebbe la stessa fine se si rifiutasse di farsi operare. Gli dico che mi rendo conto di quanto lo faccia soffrire e star male la preoccupazione per l'operazione. Con estrema difficoltà mi racconta che ha assistito al colloquio tra i genitori e il professore americano e mi ripete che se l'operazione fallisse lui morirà. Pensando al bisogno del bambino di essere sostenuto da verità con speranze di vita anche se senza obiettivi definiti, lo aiuto a considerare l'eventuale fallimento dell'operazione come una non soluzione al suo problema fisico più che come causa di morte sicura. Il bambino utilizza immediatamente le mie parole come certezze di vita, ma ciò contrasta dentro di lui con il dubbio della morte per la pericolosità dell'operazione più volte ribadita dal professore. Il bambino mostra, in tutta la sua intensità, un enorme dolore mentale per la difficoltà a pensare ad un'esperienza ignota e pericolosa come quella di un intervento chirurgico dagli esiti incerti e forse mortali. L'angoscia che il suo corpo malato produce è talmente terrificante che, per annullarla, il bambino ricorre ad una massiccia scissione che lo porta ad una specie di delirio nel quale mi racconta quelle che mi sembrano essere delle vere e proprie allucinazioni. "Andrea mi dice che lui vede Dio e gli angeli e mi chiede angosciato di credergli. Rispondo che forse vorrebbe avere vicino a sè un'essere onnipotente che sconfigga la sua malattia. Lui ripete che si sente solo di fronte alla sua malattia e questa è così violenta perchè lui è "il più cattivo". Abbassa le palpebre, sbadiglia più volte e mi dice che si sente troppo stanco. Gli dico che forse mi sta mostrando la sua disperata lotta tra la malattia rappresentate dal diavolo e la guarigione rappresentate da Dio. Andrea si rianima un pò e più sollevato mi dice che forse con l'aiuto di Dio potrà anche guarire. Quindi mi sussura di non dire a nessuno quello che mi ha detto.
Andrea prova, in questa seduta, un dolore troppo intenso e violento che non riesce più a contenere, se ne sente pericolosamente minacciato e rapidamente si trasforma in delirio. Andrea non può tollerare un'esperienza così devastante e, attraverso un violento processo di scissione e proiezione cerca di difendersi dall'angoscia di morte risvegliata dalla consapevolezza della gravità della sua malattia. Il conflitto fra Dio e il diavolo indica con molta forza il grado di scissione a cui Andrea deve arrivare per affrontare il pensiero della propria malattia. "E' molto triste e mesto.... inizia a disegnare la testa di un cavallo, poi lascia alla matita il compito di seguire un impulso....dalla testa del cavallo si diparte una grande quantità di linee che, a serpentina, ritornano al collo del cavallo, lasciando la visione di un corpo in dissoluzione. Torna alla testa del cavallo e disegna un occhio triste... senza guardarmi e con un tono di voce basso mi spiega che quel cavallo è rimasto con la sola testa, perchè il corpo man mano si è distrutto (disegno n1). Commento che forse quando si è ammalati ci si sente un pò così e lui tristissimo mi risponde che quel cavallo però pensa. Dopodichè disegna la testa di una cavalla e spiega che lui, anche se è innamorato pazzo di lei, sa che non può amarla perchè è vecchio e malato. Prende un altro foglio e mi dice che vuole parlare della sua malattia. Disegna un osso lungo e mi spiega che il "coso" (che è il nome che dà alla malattia) è entrato nel suo corpo per distruggerlo, poi congiunge le mani e chiude gli occhi in segno di morte. Con il pennarello nero segna con più cerchi concentrici la zona che lui chiama malata e con il pennarello grigio colora la zona che lui chiama destino poi aggiuge che il destino è voluto da Dio e disegna in alto un triangolo e segna la zona con il pennarello verde (disegno n2). Inizia a calcare il foglio con i pennarelli e a spiegare: "Il "coso" è voluto dal destino, ma c'è anche il diavolo, che è prima del destino, che ha voluto e reso grave la mia malattia". Andrea si sta angosciosamente chiedendo il perchè della sua malattia. Continua a spiegarmi il disegno calcando con i colori: "La speranza, quella forza di cui mi hai parlato prima....quella che abbiamo tutti, quella sì che viene da Dio....Lui è onnipotente. Infatti il diavolo voleva diventare onnipotente e Dio lo ha punito ed è stato cacciato all'inferno. Allora vedi che non si può diventare onnipotenti, per questo il destino è la mia malattia, non è voluta nè da Dio nè dal diavolo. Intanto calca a tal punto la zona identificata come destino che buca il foglio, buca poi anche la zona corrispondente alla parte interna malata del suo corpo che lui chiama "coso". Il foglio si presenta tutto scarabocchiato e si individuano tre zone colorate: verde=Dio e la speranza, il rosso=diavolo e la punizione, il grigio=destino e l'incertezza e il blu=malattia e morte. Dopo di ciò il bambino si stende sul lettino e, dopo pochi minuti di silenzio, più sollevato, inizia a parlarmi di ciò che ha fatto il giorno prima. Poco prima di salutarci, mi dice: "Adesso mi sento meglio, non so perchè, ma mi sento più leggero forse perchè ti ho detto delle cose che mi pesavano dentro...però tu non devi dirle a nessuno, sono un segreto tra me e te". Andrea, in questa seduta, sembra essere più capace di contenere e rappresentare la sua angoscia; la testa di quel cavallo che pensa, con il corpo in dissoluzione, sembra rappresentare la sua dolorosa condizione: il pensiero del cavallo sembra essere l'ultimo baluardo a cui sorreggersi per sopportare la malattia del suo corpo in dissoluzione. Si sente triste, svogliato, assente perchè è malato e questo lo fa sentire vecchio e impossibilitato ad amare. Questa capacità di rappresentazione sembra consentirgli di avvicinarsi al problema della sua malattia. Di fronte ad una così grande consapevolezza del pericolo in cui si trova è ancora necessaria una scissione, scissione che tocca dei livelli estremi. Dio e il diavolo rappresentano qui per Andrea il conflitto tra la vita e la morte, tra la salute e la malattia. Questo è l'unico modo in cui Andrea sembra potersi avvicinare a questa angoscia, riuscendo a ridurre il dolore della sua esperienza. Credo che in questa fase il mio compito non poteva essere altro che quello di accogliere la sua angoscia così come si presentava, senza tentare di introdurre nuovi livelli di comprensione non ancora integrabili per il bambino. L'unico tentativo di chiarimento da parte mia è stato quello di sottolineare come le malattie non vengano come punizione, ma fanno parte delle cose della vita. Andrea gradualmente è così arrivato a parlarmi non più solo dei contenuti delle sue angosce, ma anche dei contenuti di alcune sue fantasie meno terribili, dove i personaggi non trovano più la morte, ma, dopo aver risolto situazioni difficili, cambiano le loro condizioni di vita. Tale cambiamento è anche stato determinato dal lieve miglioramento delle condizioni fisiche del bambino, seguite alla somministrazione di una cura farmacologica più efficace. Durante tutto l'anno scolastico il bambino ha avuto molte assenze dovute a brevi ricoveri e ai molti malesseri fisici, ma ha saltato poche sedute di "special time" con me. Tutto ciò, a mio parere, sembra dimostrare l'estremo bisogno del bambino di una persona adulta che lo sostenga nella sua lotta contro la malattia e lo aiuti a dare un significato e un valore alla sua esperienza di dolore. Si è così arrivati alla fine dell'anno scolastico e Andrea, dopo tutto questo lavoro, è riuscito ad affrontare il delicato lavoro emotivo della separazione. Nella seduta che segue, Andrea riesce, attraverso la drammatizzazione dei momenti più dolorosi e disintegranti delle sue esperienze chirurgiche, ad esprimere la sua paura di essere abbandonato al suo dolore.
In una delle ultime sedute mi chiede di giocare con lui e di fingere di essere il medico che lo opera, pregandomi di iniziare dall'iniezione dell'anestesia. Io, benchè cosciente di quanto questo bambino fosse particolarmente prono a forti ansie rispetto alla penetrazione di oggetti, corpi estranei, eseguo quello che lui mi suggerisce, permettendogli di mettere in atto una difesa controfobica. Si stende sul lettino e mentre gli spiego in cosa consiste l'operazione lo rassicuro sul buon esito. Prima di iniettargli il liquido per l'anestesia gli dico che ciò gli permetterà di dormire e di non sentire dolore. Quando fingo di inettargli l'anestesia lui è nuovamente assalito dal terrore di morire e angosciato mi chiede: "Come si fa a non avere paura di morire o di non svegliarsi più che è la stessa cosa?" Aggiunge che si sente come uno che sta affogando e deve in quel momento imparare a nuotare; se riesce non muore, altrimenti se pensa che non ce la fa, morirà. Dico che dentro di lui c'è una grande fiducia che gli sta permettendo di affrontare quel dolore che oggi, in tutta la sua intensità, ha condiviso con me. Più sollevato mi chiede di continuare il gioco e di sentirgli il cuore e di fargli il vaccino contro l'epatite B commentando che solo così ci si difende dal virus. Questo ci permette di parlare delle difese dell'organismo fino a giungere a parlare di quelle che aiutano la mente, come l'essere aiutati a sopportare il dolore, la preoccupazione, la tristezza, l'angoscia e, il bambino aggiunge:"la malattia". Il pensiero del bambino sembra, in quest'ultima seduta, essersi mobilitato e essere più in grado di contenere l'esperienza rendendo l'angoscia della malattia più tollerabile senza aver bisogno di scivolare nel delirio. Così Andrea riesce a tenere all'interno della propria mente i dati emotivi e sensoriali della propria esperienza senza scissioni e proiezioni e il pensiero può integrarli in un processo di conoscenza.
L'esperienza di un possibile contenimento delle sue angosce avviata con lo "special time", aiuta Andrea, alla fine di un anno di lavoro, ad affrontare le proprie esperienze emotive, connesse con la malattia, con una maggiore integrazione mentale che, precedentemente, cercava disperatamente di allontanare con la scissione, l'onnipotenza e la negazione. I miglioramenti di tale lavoro si sono evidenziati quando il bambino ha potuto cominciare a portare negli incontri materiale relativo alle sue esperienze di vita al di fuori della malattia: le difficoltà scolastiche, i rapporti con i compagni, con i genitori ecc..
Inizialmente, la malattia sembrava essere vissuta da Andrea come una forza ignota e inconoscibile che lo avrebbe distrutto dall'interno a causa di una qualche sua grave colpa. Questa difficile situazione è stata anche determinata dal fatto che Andrea si è trovato di fronte alla realtà della malattia senza alcun sostegno emotivo e con un assoluto senso di impotenza, in quanto genitori e medici non lo mettevano al corrente di ciò che gli stava accadendo. Per sollevare Andrea da tale dolore ho cercato di rompere il silenzio che lo circondava e di facilitare una presa di coscienza sulla sua condizione. Sin dall'inizio del nostro lavoro Andrea ha mostrato, nei suoi giochi, come fosse difficile per lui darsi una spiegazione di quanto gli andava accadendo. La malattia che in maniera così violenta aggrediva il suo corpo dall'interno, sembrava essersi impadronita anche della mente di Andrea che, da solo, cercava di dare un ordine e un significato a questa sua drammatica esperienza. L'incapacità da parte dei genitori di affrontare il tema con il bambino e l'angoscia che loro stessi proiettavano su Andrea aveva messo Andrea in una condizione difficilmente sopportabile. Così, nei suoi primi giochi, Andrea mostra come sia difficile per lui separare la malattia da una fantasia di punizione rivolta contro se stesso. Sin dai primi giochi è emerso il terrore di Andrea di essere trasformato dalla malattia in un bambino diverso. La temuta irreversibilità di tale trasformazione era legata alla distruttività della malattia, la cui percezione inconscia suscitava continuamente intollerabili angosce di morte. Andrea aveva vissuto per molto tempo la sua malattia come conseguenza della sua "cattiveria" e la morte veniva fantasticata come una punizione. Tale nesso è stato rinforzato dal peggioramento, nel tempo, delle condizioni fisiche del bambino che hanno determinato anche un impoverimento delle sue risorse mentali. Il bambino ha tentato allora, attraverso scissioni e proiezioni e il ricorso a fantasie onnipotenti, di espellere le parti del proprio sè che sentiva cattive e allontanare così l'idea intollerabile che era la cattiveria la causa della sua malattia. L'elaborazione di tali difese ha aiutato il bambino a percepire i propri impulsi aggressivi e a distinguerli dalla distruttività della malattia; questo lavoro gli ha permesso di confrontarsi anche con altri conflitti emotivi della sua crescita che coinvolgevano la percezione del suo corpo malato. Le percezioni corporee dolorose e le ferite subite con le operazioni erano sentite da Andrea come causate da una forza ignota, penetrante e distruttiva. Tutto ciò ha sollecitato in lui sentimenti ambivalenti, cosicchè il bambino ha sperimentato una dolorosa perdita di speranza di poter crescere (pony) e diventare grande come il padre. Questa disperazione ha aggravato la sofferenza di Andrea e, nei momenti più drammatici, per esempio durante l'elaborazione dell'esperienza americana, il bambino è dovuto ricorrere di nuovo a meccanismi difensivi primari come la scissione, la proiezione e l'identificazione proiettiva. L'angoscia di morte non contenuta si è fatta così violenta che il bambino si è rifugiato, anche attraverso il delirio, in una dimensione di onnipotenza. Il delirio diventava così il mezzo con cui Andrea salvaguardava la propria mente da angosce intollerabili. La malattia in questi momenti di dolore insopportabile è stata di nuovo percepita come la conseguenza di una grave colpa. A livello inconscio Andrea ha iniziato ad equiparare la distruttività della malattia ai suoi aspetti aggressivi. Nei momenti di grande dolore fisico Andrea tentava disperatamente di difendersi dall'angoscia del suo corpo in distruzione mettendo in atto una scissione tra corpo e mente. Questa ed altre difese si alternavano man mano che emergevano nuove paure. Quest'ultime facevano riferimento, a livello intrapsichico, alle conseguenze della sua aggressività che lo facevano temere per la sopravvivenza dei suoi oggetti buoni interni. Andrea ha tentato di porvi rimedio con un processo di riparazione inizialmente di tipo maniacale, in quanto rapido e totale. Ma attraverso l'avvio di tale processo il pensiero del bambino si è aperto al senso della vita e non più solo al senso della morte che fino ad allora lo aveva bloccato. Ciò si è rivelato molto importante in quanto, insieme alla esperienze di vita che iniziava ad elaborare in seduta, Andrea ha potuto dare nuovo spazio alla speranza. Gradualmente, attraverso un maggiore contenimento delle angosce più intense e l'elaborazione delle fantasie inconsce, il bambino è riuscito a sviluppare una sua capacità di pensare che gli ha permesso di elaborare e dare una forma più sopportabile alla sua dolorosa esperienza di malattia. Con il procedere dello "special time" Andrea è riuscito, anche se con grande sofferenza, ad affrontare situazioni ad alto contenuto d'angoscia, riuscendo a contenerle all'interno di una dimensione mentale. Ha potuto così avere la possibilità di reintegrare ed elaborare ulteriormente la traumatica esperienza vissuta in America. Nel corso dello "special time" Andrea ha così potuto fare l'esperienza di un contenimento che ha ridato forza integrante al suo pensiero; ha potuto cominciare a discriminare e a distinguere l'esperienza fisica della sua malattia dalle emozioni ad essa connessa, riuscendo, almeno parzialmente, a dipanare il groviglio precedente in cui malattia ed emozioni erano la stessa cosa. I disturbi dell'apprendimento di Andrea sono così apparsi essere non solo la conseguenza della sua malattia, ma anche il risultato di messa in atto per non pensare; la memoria, ad esempio, era stata la prima facoltà ad essere colpita, come se il bambino cercasse nell'oblio di cancellare la percezione del dolore. Attraverso la mobilitazione del pensiero Andrea è riuscito, dopo un anno di lavoro, a distinguere con minore fatica la realtà esterna da quella interiore e a confondere meno il dolore fisico da quello mentale, quest'ultimo reso più sopportabile in quanto riconosciuto e accolto. I suoi netti miglioramenti in ambito scolastico, il recupero della capacità di ricordare quanto andava studiando per la scuola, la realizzazione di migliori rapporti con i suoi compagni e le sue insegnanti mi sembra che stiano a dimostrare una nuova capacità di contenimento di Andrea delle sue esperienze fisiche ed emotive.
Gino, secondogenito, è nato a termine, con parto eutocico, dopo una gestazione molto sofferta a causa di una toxoplasmosi che la madre ha contratto al settimo mese di gravidanza. Lo sviluppo psicofisico del bambino è proseguito nella norma fino a 4 anni, durante i quali, però, la madre aveva notato con preoccupazione che il figlio diventava cianotico ad ogni sforzo od emozione eccessiva. Tali sintomi erano stati riferiti ai vari pediatri consultati, ma nessuno di loro aveva riscontrato qualcosa di patologico. L'inizio della scuola materna è risultato molto difficile per il bambino a causa del dolore e della disperazione provati al momento della separazione dalla madre; separazione già subita in precedenza a 1 anno, a causa di un ricovero di 15 giorni in ospedale della sorella accompagnata dalla madre e, successivamente a 2 anni, della madre stessa per un mese. Un'altra separazione si è ripetuta l'anno successivo con il ritorno a scuola, ma è stata interrotta dalla prima influenza che è subito peggiorata in polmonite e che quindi ha reso necessario il ricovero urgente in ospedale. Qui i sanitari si sono immediatamente resi conto che il problema più grave del bambino non era la polmonite, ma una malformazione cardiaca. Il bambino è stato quindi operato al cuore: l'operazione è riuscita bene e, nel giro di pochi mesi, si è ristabilito facilmente, anche se ha dovuto subire per un anno intero le conseguenze fisiche e psicologiche di un'infezione all'uretere causatagli dal catetere inseritogli in vescica dopo l'intervento al cuore. Il bambino è sempre sotto controllo medico e attualmente presenta un ingrossamento del muscolo cardiaco che gli provoca un facile affaticamento, ha periodicamente delle infezioni dovute a ritenzione urinaria e un sonno irregolare dovuto ai continui risvegli per urinare. Queste vicende mi vengono riferite dalla madre in un colloquio richiesto dalla stessa perchè preoccupata per i disturbi apprenditivi del figlio evidenziatesi soprattutto nella difficoltà a memorizzare gli apprendimenti scolastici. La signora appare molto sensibile ai problemi del figlio; dal racconto emerge che il bambino ha vissuto, ospedalizzazione e intervento chirurgico in modo drammatico anche se lei stessa, il marito e i sanitari avevano cercato di preservarlo dalla paura e dal terrore tenendolo all'oscuro di tutto ciò che gli accadeva. Mi racconta che il bambino, subito dopo l'operazione (4anni), è stato per molti giorni legato e sotto effetto di psicofarmaci perchè con disperazione tentava di strapparsi i vari cateteri inseriti per il drenaggio. Lei e il marito non sapevano come tranquillizzarlo, si sono sentiti incapaci, soffrendo moltissimo. Si sono però resi conto che l'intervento aveva ormai determinato un trauma irreversibile nel figlio; trauma che si è evidenziato con una lenta, ma progressiva regressione. Il bambino una volta tornato a casa, ha smesso di parlare dei suoi bisogni o dei malesseri, non ha più voluto disegnare, giocava poco preferendo invece attività di movimento. Ultimamente, esegue, con ossessiva ripetitività, sempre di nascosto e per più di un'ora al giorno, dei salti ritmici a zig-zag. Il bambino ha grosse difficoltà ad esprimersi con scioltezza e, a scuola, presenta un comportamento timido ed inibito, mentre a casa ha frequenti scoppi d'ira, soprattutto quando si trova di fronte alle difficoltà dei compiti scolastici. La signora con l'approvazione del marito, assente per lavoro, mi autorizza per uno "special time". Mi trovo davanti un bel bambino, biondo con gli occhi azzurri, risponde con timidezza e imbarazzo al mio sorriso accogliente e mi dà fiducioso la mano sudata per essere accompagnato nella stanza dell'incontro. La voce rauca, l'emorme difficoltà ad esprimersi e l'abbondante salivazione rallentano in modo esasperante il dialogo di conoscenza reciproca. Con delicatezza aiuto il bambino a ricostruire le frasi che, composte da parole distanziate da pause estremamente lunghe, perdono di significato. Nel primo disegno il bambino mi presenta in modo simbolico la sua situazione interna, dove predomina una casa chiusa con sopra un sole nascosto a metà da una porzione di cielo e, vicino, un fiore esile; lui è sulla sinistra con una enorme bocca aperta che sembra urlare. Non riesco a definire quell'urlo, il sentimento che mi provoca è di solitudine e di dolore. In questo colloquio devo controllare l'esasperazione che il procedere lento ed estenuante dell'espressione verbale del bambino provoca in me: impiega molti minuti a portare a termine una frase. Dico al bambino che non deve essere facile parlare con me persona nuova, che non si conosce, per la prima volta. Il bambino, più sollevato, mi sorride e utilizza il mio aiuto per ricostruire e farmi capire ciò che, con tanta difficoltà, mi vuole comunicare. Senza interrompere il fluire lento e stentato della sua parola, piano piano si tranquillizza e sento che si va instaurando un rapporto di fiducia. Seguono altri colloqui dove Gino ripropone sempre lo stesso tema elementare e semplice dei primi disegni: un bambino, la casa, il sole, dei fiori. Nel disegno del quinto incontro avviene qualcosa di nuovo e molto significativo:
".....disegna un robot che lega tutto intorno con dei fili e poi incapsula in un groviglio. Tutto ciò mi fa immediatamente pensare alla traumatica situazione di essere legato dopo l'operazione, non dico nulla in riferimento a ciò e lui alla mia domanda risponde che il personaggio è un robot. Commento che mi sembra un bambino legato e lui: "No,..è... un... robot!"...l'espressione diventa tesa, saliva e deglutisce molto e nel mentre si tormenta le mani, alza il viso solo per un fugace sguardo, quando delicatamente gli dico che mi sembra un bambino disteso. Lui con estrema difficoltà ribadisce: "Si,..ma,.. è... un robot,... non io!". Intuisco che il bambino si sta avvicinando con estrema cautela alla sua esperienza traumatica. Vedo in quel disegno lui steso sul lettino dell'ospedale con i molti tubi del drenaggio. Così gli dico: "Forse mi stai dicendo che non riconosci in questo disegno te stesso perchè quando eri steso su quel lettino di ospedale ti sentivi come un robot, non un bambino perchè troppo era il dolore, lo spavento e forse la rabbia che ti ha provocato quell'esperienza". Il bambino con foga: "Mi hanno legato....legato mi hanno....non potevo più muovermi!". Sono sentimenti di terrore e disperazione che il bambino sta rivivendo nel ricordo dell'esperienza e che mi comunica attraverso l'espressione allarmata del suo viso e del suo faticosissimo incedere nel racconto: "...poi avevo...avevo... tanti fili...che mi portavano via il sangue...". Si ferma abbassa lo sguardo e tormenta le mani, io gli dico che quelle cannucce erano necessarie per far guarire bene la ferita che aveva in mezzo al petto. Continua: "...mi avevano detto ...che mi ...portavano al mare e...invece mi ...hanno fatto...un buco grosso qui!". Si avvicina tremante, si solleva gli indumenti e mi mostra l'enorme cicatrice che ha sul petto.(disegno n1) I successivi colloqui rimangono sempre difficoltosi nell'espressione, ma meno esasperanti, mentre i disegni diventano straordinariamente ricchi di storie fantastiche che invadono tutto lo spazio a disposizione. Riporto la storia del primo dei disegni di questo periodo, in quanto evidenzia in modo paradigmatico la qualità e l'intensità dei sentimenti che forse l'esperienza traumatica aveva paralizzato nel suo mondo interno. "Mi racconta che la barca dei pirati, nonostante la protezione delle sabbie mobili, era stata assalita dai soldati. La battaglia era scoppiata perchè i pirati volevano sbarcare sulla terra ferma e fare razzie. Così la barca, sotto l'attacco dei soldati e i contraccolpi dei pirati, alla fine si era spezzata nel mezzo, lasciando cadere in mare alcuni pirati; i soldati catturati erano finiti nella stiva. Alla mia richiesta di come finisca la storia mi risponde esitante che proprio non lo sa". ( disegno n2) Credo che la mia domanda lo abbia posto di fronte ad una risposta da dare in tempo reale, mentre la sua possibilità di storicizzare e raccontare quella storia, che si riferiva a lui stesso, era in corso di svolgimento e dipendeva dal transfert e da quanto sentiva di poter trarre aiuto da me. Le sabbie mobili sembrano rappresentare l'estenuante fatica del suo processo di sviluppo. La battaglia sembra essere la lotta che il bambino sente dentro di sè tra la distruttività, vissuta con l'operazione e rappresentata dai pirati e le difese rappresentate dai soldati; gli elementi appuntiti potrebbero invece rappresentare dei fantasmatici bisturi, mentre la sua ferita somatica sembra essere rappresentata dallo squarcio provocato in mezzo alla barca. Credo che il bambino in fantasia s'identifichi nel pirata come se volesse rimpossessarsi dei beni di cui si è sentito derubato e razziato. Alla fine del colloquio, infatti, mi chiarirà che lui è sempre stato convinto che i medici, durante l'operazione, gli avessero rubato il cuore. Quel disegno mi ha espresso un senso di smarrimento, in quanto sembrava rappresentare il corrispettivo fantasmatico di sue antiche e sofferte sensazioni corporee che, diventate patrimonio della sua fantasia e qui sepolte, non sono state dimenticate, ma hanno continuato a esistere come presenza inconscia e a provocare angosce di morte. Questa fantasia faceva ancora rivivere al bambino l'esperienza traumatica dell'operazione, espressa alcuni incontri prima con estrema sofferenza: in quelle parole, separate da pause molto lunghe che frantumavano il significato, tentava forse di distanziarsi da emozioni intollerabili. Inoltre, le lunghe pause, che poneva sistematicamente tra le parole dei suoi stentati discorsi, riproducevano forse le sue dolorose esperienze di separazione che, subite senza alcuna spiegazione, gli impedivano di capire il significato di ciò che gli stava accadendo. Forse proiettavano anche in me l'esperienza, da lui vissuta, di essere tenuto in sospeso e senza qualcosa a cui appigliarsi. D'altronde non c'erano state parole, all'epoca della sua operazione, per contenere e comprendere il suo dolore e la sua disperazione; ora invece attraverso le parole io cercavo di tradurre in pensieri i suoi sentimenti, le sue fantasie, i suoi significati inconsci. Con il procedere dei colloqui il bambino passa da storie piene di aggressioni, all'espressione più esplicita di angoscia relativa al bisogno di protezione. Questo gli permette di elaborare ulterirmente le angosce abbandoniche vissute durante la sua esperienza traumatica e comincia ad usare i giocattoli; tra questi utilizza solo ed esclusivamente gli animaletti. In un gioco simula, con un atteggiamento molto controllato e senza alcun suono, una lotta tra tutti gli animali; quelli feroci uccidono quelli domestici, perchè, mi spiega, sono solo cattivi. Poco dopo però si sofferma a far interagire con un abbraccio un'orsa con un piccolo panda che, abbandonato dalla madre, viene salvato da morte sicura da quest'altra madre. Il gioco, così aggressivo nelle azioni simulate e muto nell'espressione, sembrava indicarmi i contenuti dei silenzi vissuti dal bambino come abbandoni e subiti come violenti. Attraverso i momenti del mio silenzio attento e partecipe ho cercato allora di restituire al bambino, un'esperienza silenziosa che lui invece potesse introiettare come accogliente. Gino è andato avanti con giochi simili a questo per molte sedute in cui, dopo aver simulato degli scontri violenti, un piccolo veniva abbandonato o si perdeva, ma alla fine era sempre ritrovato. Il contenimento offerto dalla relazione gradatamente riattiva nel bambino la capacità di apprendimento e, ben presto, emergono altre paure riferite al timore di essere escluso dal rapporto tra i suoi genitori. A questo punto inizia veramente ad entrare in comunicazione con se stesso e a confrontarsi con inquietanti e aggressive fantasie edipiche. Ciò è rappresentato, all'inizio, in un disegno dove evidenzia un minaccioso conflitto fonte di un doloroso stato interno. Disegna un robot arancione e mi specifica che è una madre buona, vicino a lei 3 robot viola che identifica come padre, figlio e madre cattivi. Il figlio cattivo ha una solida barriera nera. Di lato disegna un robot nero, padre buono, che attacca la madre cattiva che ha una difesa molto fragile rappresentata dal contorno giallo (disegno n3). Il racconto si limita a drammatizzare l'alternarsi degli attacchi tra padre cattivo e madre buona e viceversa, dove il cattivo è quello che attacca e ferisce perchè è cattivo. Il bambino in fantasia si vive come cattivo, bloccato da qualcosa di rigido che non gli permette di esprimersi e lo mantiene in uno stato di immobilità emotiva, estraniato rispetto al flusso dei sentimenti contrapposti di amore e odio, buono e cattivo, che la relazione con me inizia a riattivare e differenziare. Dal disegno passa ad elaborare ulteriormente tale situazione con il gioco: rovescia sul ventre gli animali per determinarne il sesso, poi li contrappone maschio e femmina in una lotta estenuante, dove alla fine i maschi vincono con la forza. Successivamente mi racconta, sempre un pò stentatamente, che ha assistito più volte alla monta di un toro su una mucca e di un cavallo su una cavalla (il padre ha una fattoria), ma ciò che più lo ha impressionato, per la drammaticità, è stata per lui la nascita. Tale evento lo ha sconvolto per il dolore, a suo parere insopportabile, che provoca alla madre. A questo proposito mi dice che si ritiene fortunato di essere nato maschio perchè non dovrà "più" soffrire tanto. Quel "più" mi ha fatto pensare che la nascita per lui equivalesse al togliere con violenza alla madre qualcosa di vitale, come è sempre stato convinto fosse successo a lui, quando pensava che i medici gli avessero tolto il cuore. Dopo queste sedute il bambino inizia a parlarmi del suo dolore. "..sentivo dolore, e non riuscivo a muovermi e mi faceva male la ferita ... il dolore che sentivo al petto mi faceva pensare che morivo...". Questo gli permette di rielaborare ulteriormente, attraverso la parola, il trauma subito e, in un successivo colloquio, mi spiega con disperata difficoltà che, dopo l'operazione, vedendo del sangue nei tubicini che uscivano dal suo corpo, era terrorizzato perchè pensava che i medici volessero farlo morire. Il bambino nella seduta ha potuto esprimere la fantasia terrificante da lui vissuta come reale. Nei successivi giochi, che sostituiscono per un pò di tempo il disegno, le pulsioni aggressive assumono ancora una posizione predominante; la lotta è sempre tra animali feroci e domestici, quest'ultimi sempre sconfitti. Il lento, ma profondo processo di elaborazione, avviato intanto dalla relazione di transfert, sembra permettere al bambino di sentire come più tollerabili anche le esperienze emotive conflittuali del suo normale processo di sviluppo, da lui vissute a causa del trauma, in modo estremamente angosciante e violento. Il bambino può così confrontarsi con un oggetto accogliente e i sentimenti distruttivi vengono modulati dalla nascita di affetti positivi.
Lentamente inizia a migliorare e a scuola riesce, anche se ancora con difficoltà, a ricordare meglio e a ripetere la lezione; a casa, mi riferisce la madre, gli scoppi d'ira sono più contenuti, permangono invece i salti ripetuti ossessivamente anche se diminusce il tempo di esecuzione. Dopo un anno di lavoro, in una seduta, prima della interruzione delle vacanze estive, rappresenta la sua esperienza traumatica attraverso un disegno. Suddivide il foglio in più settori che rappresentano le varie stanze dell'ospedale dove lui è stato (disegno n4). Per primo disegna la sala giochi e mi racconta che lì si è così divertito che pensava veramente di essere in vacanza. Poi disegna lui steso sul lettino davanti alla sala operatoria e mi racconta della sua angosciante attesa mentre era lì ad aspettare qualcosa di terrificante perchè non sapeva a cosa andava incontro e, violentemente, tentava di divincolarsi dalla morsa del sonno prodotto dall'anestesia. Dopo l'operazione lui si è sentito impazzire dal dolore che sentiva al petto e che gli sembrava aumentasse quando pensava che i dottori gli avessero portato via il cuore, sicuro di ciò dalla visione dei tubi di drenaggio dai quali usciva sangue. Dopo questa seduta il bambino migliora nel linguaggio, il suo raccontare, anche se ancora un pò stentato, diventa meno frammentato perchè le lunghissime pause spariscono. A poco a poco appaiono nel gioco, a fianco dei sentimenti rabbiosi, sentimenti teneri e delicati che lo aiutano ad elaborare la separazione per le vacanze estive. Nell'ultimo incontro, dopo avermi chiesto se durante le vacanze vedo ancora i bambini e aver ottenuto una risposta negativa, mi parla dei suoi salti che esegue di nascosto; mi dice che sono diminuiti, ma li esegue ancora e che ora sente la voglia di eliminarli del tutto. Il fatto che il bambino mi parli del suo segreto penso sia un ulterire segno della caduta di una sua difesa e un corrispettivo rafforzamento da parte dell'Io. Sembra che il bambino abbia sentito il beneficio del lavoro svolto e ora, attraverso la consapevolezza del suo disagio, ricerchi quella continuità nella relazione che lo ha aiutato a superare il blocco emotivo creato dal trauma.
Nel corso del lavoro con Gino mi sono spesso chiesta se il riproporsi, nel tempo, delle sue difficoltà connesse alla separazione dalla madre non fossero state, in parte, causate dalla malattia. In altre parole, la malattia, all'epoca in cui non era stata ancora diagnosticata, provocando affanno e mancanza di respiro, portava il bambino alla ricerca disperata della presenza materna che, con il suo intervento, riusciva a dargli sollievo e a risolvere la difficile situazione respiratoria. Ho pensato quindi che la malattia abbia reso il bambino più sensibile alla problematica della separazione. Già al primo incontro l'esasperante modalità con cui Gino si esprime segnala che il suo mondo emotivo interno è paralizzato e che, forse, lui è spaventato ad iniziare questa nuova esperienza. Le pause molto lunghe, poste tra le parole dei suoi stentati discorsi, rendono difficile la comprensione di ciò che vuole comunicare; sembrano esprimere la sofferenza delle sue separazioni subite senza capire, perchè nessuno ha cercato di prepararlo e sostenerlo ad eventi così traumatizzanti, come l'ospedalizzazione e l'operazione al cuore, ma soprattutto sembrano avvertirmi che per lui la comprensione e la conoscenza sono processi molto pericolosi oltre che troppo dolorosi. Per controllare tali processi ha dovuto bloccare tutto il suo mondo affettivo paralizzando il rapporto tra l'Io, il mondo interno e quello esterno. Nel primo disegno, dove rappresenta un bambino che urla, comunica invece il terrore di avvicinarsi al suo dolore. E'ancora il disegno il mezzo attraverso il quale Gino riesce prima a rappresentare la sua esperienza traumatica dell'operazione e poi, lentamente, a più riprese durante tutto l'anno di "special time", ad avviare il processo di elaborazione. Lentamente l'esperienza dell'accoglienza e del contenimento consentono a Gino di ricordare e dare significato ad antiche e sofferte "memorie somatiche" (P.Heimann, 1942-80), attraverso il graduale processo di elaborazione delle sue fantasie inconsce. Queste, all'epoca del trauma, tradotte in sensazioni ed emozioni violente, avevano saturato la sua mente come cose non pensabili e perciò stesso dolorosamente incontenibili. Tutto ciò penso abbia continuato a sollecitare nella fantasia inconscia del bambino intollerabili angosce di morte che, a loro volta, hanno ostacolato il delicato processo di integrazione mente-corpo. Tuttavia, l'aver sollecitato Gino a dare spazio alla sua fantasia penso lo abbia aiutato a superare la confusione paralizzante ed incongrua della sua realtà interna, in quanto, proprio grazie all'espressione delle sue fantasie attraverso il gioco e il disegno, le emozioni e i sentimenti hanno potuto essere rappresentati e successivamente pensati. Così Gino ha potuto esprime e capire i sentimenti di terrore che aveva provato con l'operazione e che successivamente lo avevano reso intollerante a qualsiasi dolore fisico. Il lento, ma profondo processo di rielaborazione permette al bambino di arrivare ad una maggiore integrazione mentale e a ristabilire un maggiore equilibrio della relazione mente-corpo. Con meno timore Gino riesce a dare un significato reale alle sue sensazioni corporee e a distinguerle dalle emozioni. In tal modo arriva a capire perchè il dolore fisico diventa angosciosamente incontenibile quando è confuso con quello psichico; "Mi dice che appena uscito dalla sala operatoria sentiva un grande dolore al petto che diventava insopportabile quando pensava che i medici gli avessero portato via il cuore". Le sensazioni dolorose provenienti dal corpo non potevano essere contenute nella mente del bambino perchè, nella fantasia inconscia, erano sentite come conseguenza di una aggressione violenta reale, forse una punizione, verso la quale il bambino si è sentito impotente e, sprovvisto di qualsiasi difesa, invaso da un'angoscia di morte violenta e intollerabile, che Bion definisce "terrore senza nome". L'elaborazione aiuta Gino a mitigare l'onnipotenza delle fantasie inconsce e a differenziarle dalla realtà e lui migliora le sue capacità apprenditive. Forse le difficoltà a capire e memorizzare gli apprendimenti scolastici rappresentavano per lui una difesa contro una realtà da conoscere che in precedenza aveva subito con terrore e inimmaginabile dolore. Diventato più sereno, Gino riesce anche ad esprimere con maggiore facilità le proprie necessità. La madre stessa mi dirà con sollievo, in un breve colloquio, che il figlio finalmente ha ripreso ad esprimere verbalmente i suoi bisogni; dopo l'operazione non si sapeva mai se aveva fame, sonno, se era triste, se aveva qualche malessere ecc...; era la madre ad indovinare gli stati d'animo del figlio, ma non poteva nominarli perchè diventavano per Gino un pretesto per i suoi scoppi d'ira. Il blocco emotivo era, quindi, una difesa estrema di Gino per controllare, io penso, anche la sua distruttività equiparata a livello inconscio alla violenza dell'operazione e avente quindi come effetto, se espressa, quello di togliergli parte della sua vitalità. Gli scoppi d'ira rappresentavano, forse, un modo per espellere violentemente un'angoscia e un terrore intollerabili quando questi erano dominati da aspetti di fisicità non pensabili. Forse, per il bambino, dopo il trauma, gran parte dei suoi processi proiettivi erano da lui vissuti, a livello delle sue fantasie inconsce, con terrore per paura, se attivati, di perdere qualcosa di vitale. In questa ottica, anche i problemi di ritenzione urinaria potrebbero essere interpretati come un tentativo concreto, da parte del bambino, di trattenere parti di sè, per non rimanere vuoto, come si è sentito da quando aveva creduto che i medici gli avessero portato via il cuore. Questo terribile pensiero, forse, è anche alla base della sua coazione a ripetere che, espressa nell'angosciosa stereotipia motoria, sembra rappresentare la realizzazione di un movimento vitale continuo, in contrapposizione all'angoscia di morte che la paralisi emotiva sollecitava dentro di sè. Nel corso del lavoro Gino arriva a drammatizzare nel gioco la violenza che lui sente di aver subito con l'operazione e che, a livello delle sue fantasie inconsce, identifica con la ferocia degli animali selvaggi che si accaniscono contro gli animali domestici. Quest'ultimi rappresentano forse la sua disperata impotenza e solitudine in quanto l'animale domestico soccombe alla ferocia dell'animale selvaggio senza essere salvato da nessuno. Questo confronto lo spinge ad affrontare ed elaborare le angosce abbandoniche che sollecitano ulteriori fantasie dolorose e violente. E' l'elaborazione di una di queste violente fantasie, legate al dolore della partoriente e all'espulsione del feto che permette di capire come la nascita sia da lui equiparata all'operazione che ha subito facendogli credere che i medici gli avessero strappato via il suo cuore. Dopo un anno di lavoro, sono via via spariti gli scoppi d'ira e il bambino ha iniziato a comunicare i propri bisogni e a relazionarsi con gli altri con maggiore interesse. Altro segno di miglioramento è la completa remissione delIa problematica della ritenzione urinaria e il netto miglioramento a scuola. Permane invece la stereotipia motoria, ma alla fine dell'anno Gino mi parla dei suoi salti eseguiti di nascosto, facendo così cadere una sua ulteriore difesa. Il suo Io, più rinforzato, può in tal modo chiedere liberamente di continuare ad essere aiutato per procedere con più sicurezza e serenità sul suo cammino di crescita.
In questo lavoro ho cercato innanzitutto di evidenziare come l'esperienza di gravi malattie organiche abbia provocato degli effetti negativi sullo sviluppo emotivo dei bambini malati che ho seguito a scuola. In secondo luogo ho voluto descrivere il tipo di aiuto che ho potuto offrire loro con lo "special time" e il tipo di evoluzione che questo lavoro ha consentito. Nella dissertation ho riportato, per ragioni di spazio, i casi di due soli bambini, ma nel corso dello stesso anno scolastico ho seguito altri bambini malati: Filippo, 8 anni, trapiantato di fegato e sempre sotto terapia antirigetto ed Enrico, 9 anni, con un accelerato e precoce sviluppo puberale per un sospetto tumore all'ipofisi. Le conclusioni qui riportate si riferiscono pertanto al lavoro che ho svolto con questi quattro bambini. E' singolare il fatto che nessuno di loro avesse avuto, fino al momento della segnalazione a scuola, una spiegazione rispetto alla propria malatttia o un adeguato sostegno psicologico. La segnalazione da parte dei genitori e la loro autorizzazione per uno "special time" è avvenuta solo quando i disturbi del comportamento e dell'apprendimento di questi bambini sono diventati evidenti a scuola ed hanno iniziato ad interferire pesantemente sul loro processo di apprendimento. Tali disturbi sembravano essere l'espressione di una profonda sofferenza psichica che non potevano altrimenti esprimere. Infatti dalla loro storia risultava evidente che tale sofferenza non era stata presa in seria considerazione nè dai genitori nè dai medici, troppo preoccupati e impegnati a risolvere i problemi fisici legati alla sopravvivenza di questi bambini. Inoltre, nella sincera convinzione di proteggerli dal dolore della consapevolezza della malattia, li tenevano all'oscuro della loro condizione di malati gravi. Ma il silenzio non ha fatto altro che appesantire le sofferenze dei bambini, che si sono trovati soli e impossibilitati a contenere emozioni, sensazioni e sentimenti relativi alla loro malattia. L'intensità dell'angoscia ha toccato i livelli più profondi dell'integrazione mente-corpo, minacciata anche da un utilizzo esorbitante di difese quali la scissione, la proiezione, la negazione, la regressione, l'onnipotenza. La loro mente è stata così totalmente impegnata nei processi difensivi e impossibilitata ad affrontare le trasformazioni del loro corpo malato. Questi bambini si sono trovati quindi di fronte ad una realtà ignota e priva di senso di una malattia non conosciuta. Ciò ha prodotto in ognuno di loro una sensazione di impotenza in quanto la componente psichica del dolore fisico veniva da loro negata allo scopo di allontanare la consapevolezza del pericolo e veniva perciò avvertita come un'emozione non contenibile, violenta, travolgente e distruttiva. Questa situazione mentale così confusa e dolorosa ha spinto questi bambini alla ricerca di spiegazioni consapevoli e inconsce relative alla malattia, nel tentativo di dare una coesione al loro sè continuamente minacciato e un senso alla loro esperienza. Il tentativo di darsi delle spiegazioni aveva quindi la funzione di contenere il dolore psichico sollecitato dalle loro malattie e aggravato dal fatto che riattivava, secondo la definizione di P.Heimann, antiche "memorie somatiche" (Heimann P. 1942-80). P. Heimann, d'accordo con il modello teorico proposto da Freud che dichiarò che l'Io è in primo luogo un Io corporeo, ha sottolineato che le esperienze fisiche precoci hanno degli effetti duraturi in quanto, depositandosi come memorie somatiche, si rimettono in moto in determinate situazioni. Le memorie somatiche poi, nello stadio operativo dell'apparato psichico, assumono il significato di dati psicologici. Le esperienze fisiche di questi bambini sono state dolorose e traumatiche fin dalla nascita ed hanno lasciato "memorie" che, durante i periodi di recrudescenza della malattia, si sono rimesse in moto sollecitando emozioni violente e incontrollabili. Con processi difensivi massicci questi bambini hanno tentato da soli di tenere a bada queste emozioni negandole e facendole defluire in sensazioni senza mai poter accedere al loro significato (A.B.Ferrari,1992). Così Andrea tentava, attraverso meccanismi di difesa maniacali e violente scissioni e proiezioni, di allontanare da sè la percezione della pericolosità della propria malattia, mentre Gino, attraverso una paralisi dell'espressione delle sue emozioni, ha tentato di tenere a bada le sue fantasie persecutorie. Degli altri due bambini che non ho potuto presentare si è evidenziato che Filippo, attraverso l'ipercinesia e con modalità aggressive e provocatorie, tentava disperatamente di allontanare il pensiero dalla gravità della sua malattia, mentre Enrico tentava di difendersi dalla percezione di un corpo che troppo in fretta mostrava i segni di una pubertà avanzata attraverso una particolare forma di regressione psichica.
Il dolore fisico e la preoccupazione per la propria integrità corporea ha sollecitato e intensificato arcaiche e terrificanti angosce di morte riferite alla perdita dell'unità del proprio sè. Questi bambini sono quindi vissuti sempre nell'incertezza di continuare ad esistere, in un'angosia definita da Winnicott come un "cadere senza fine" (Winnicott, 1962) oppure da Tustin come "uno straripare e dissolversi" (Tustin, 1986).
Il lavoro di "special time" si è rivelato per questi bambini come un'importante spazio mentale del quale hanno gradatamente cominciato a fare uso fino ad arrivare a poter elaborare nuovi pensieri intorno alle loro esperienze di malattia. Questo spazio per pensare si è sviluppato in quanto l'esperienza di contenimento ha permesso a questi bambini di dare espressione, attraverso il gioco e il disegno, ai contenuti inconsci delle loro fantasie che, fino ad allora non ascoltate, avevano determinato una confusione paralizzante ed incongrua tra realtà esterna e realtà interna. Quest'ultima realtà, fatta di emozioni e sentimenti, ha potuto così essere rappresentata, elaborata e trasformata in pensiero. Lentamente questi bambini sono riusciti, anche se con molto dolore, ad elaborare ad un livello più simbolico le loro sofferenze psichiche e a sviluppare un migliore contenimento mentale per quelle fisiche. Nel corso di un anno di "special time" si sono via via evidenziati i cambiamenti positivi di questi bambini che, riattivate le loro capacità evolutive, hanno iniziato a migliorare nell'apprendimento. I miglioramenti nel comportamento hanno subito invece delle oscillazioni in concomitanza con la recrudescenza della malattia. Penso sia stato molto utile che l'istituzione scolastica abbia potuto offrire un'aiuto a questi bambini che, per vari motivi, non avrebbero mai potuto affrontare una psicoterapia esterna. I genitori stessi, stimolati dai miglioramenti dei loro figli, si sono resi conto che il loro silenzio aveva aggiunto sofferenza invece di attenuarla e che solo ascoltando e parlando con i figli di questa sofferenza era possibile renderla meno drammatica. Sono diventati così più capaci di sostenere emotivamente i loro figli. Ciò, a detta dei genitori, ha permesso di instaurare un dialogo più aperto in tutta la famiglia creando un maggior grado di coesione, grazie al quale i bambini hanno ritrovato quella comprensione e protezione di cui avevano bisogno per riaprire il loro pensiero alla fiducia e alla speranza. Attualmente sto proseguendo il lavoro di "special time" con Gino ed Andrea che, nonostante le frequenti assenze da scuola per malesseri o brevi ricoveri o controlli medici, vengono regolarmente agli incontri di "special time" mostrando il loro estremo bisogno di essere accompagnati e sostenuti nella lotta contro la malattia. In conclusione vorrei sottolineare che anch'io, come chiunque si impegni a sostenere un bambino ammalato, ho vissuto questa esperienza con un doloroso senso di impotenza, consapevole di non poter risolvere la situazione di malattia dei bambini che ho seguito. Tuttavia, mi sembra che l'aiuto che lo "special time" ha potuto offrire loro, con tutti i suoi limiti, ha prodotto degli effetti positivi permettendo loro una maggiore integrazione interna della loro esperienza di malattia.
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