"W. R. Bion precursore dell'etica del limite ? "
Mi occupo di filosofia, in particolare di filosofia morale, e a questa mia competenza voglio attenermi nelle brevi considerazioni che mi accingo a proporvi.
Mi sono limitata a sbirciare in alcuni aspetti della teoria psicanalitica di Bion, enfatizzandone le possibili manifestazioni filosofiche.
Nella lettura che ne ho fatto ho compiuto un'operazione forse impropria: ho provato a considerare Bion come un oggetto filosofico e ho provato a rintracciare nella sua opera e nella sua teoria qualche affinità fra etica e psicanalisi o, almeno, fra il modello psicanalitico che Bion propone e determinati modelli etici, quelli che si definiscono situazionali e relazionali fra i quali io privilegio l'etica della responsabilità.
Devo dire che Bion si presta notevolmente a questo lavoro di interscambio disciplinare per la sua grande capacità di mettere all'opera categorie e modelli di altre discipline, dalla scienza al mito, dalla matematica alla filosofia. Collocandomi da questa prospettiva più filosofica, farò un uso piuttosto libero dei termini che adopererò.
Le parole o - in termini filosofici, le categorie - sulle quali ho scelto di concentrare l'attenzione richiamano diverse delle cose già accennate dal dottor Malcom Pines e costituiscono un insieme complesso. Esse sono: relazione, cura, comunicazione, limite.
Relazione è la categoria che costituisce il tessuto connettivo di tutte le altre. Bion si pone il problema di come andare a fondo ed esplorare nei meandri più nascosti il complesso di impulsi e di emotività che quel termine può esprimere.
Ancora: relazione è termine centrale - nonché fra i più problematici - tanto per la psicanalisi quanto per l'etica; entrambe presuppongono, infatti, una concezione relazionale degli individui. L'evento etico esiste in quanto si produce nella relazione interindividuale. L'etica è la disciplina che presiede alle modalità e alle forme delle relazioni interpersonali all'interno di comunità più o meno ampie.
La psicanalisi di Bion ha un presupposto teorico e pratico: l'appartenenza dell'io a un gruppo, il legame. La psicosi è considerata un'alterazione dei legami che si stabiliscono all'interno di un mondo relazionale.
Quindi si può registrare un'affinità importante fra etica e psicanalisi nel punto in cui esse si originano: l'io in relazione. Questo punto comune di partenza non esclude tuttavia differenze rilevanti, certamente dovute anche al fatto che si tratta di due discipline che si occupano dell'io e dell'attività umana in condizioni relazionali differenti. Nel mio discorso, tuttavia, affinità e differenze si intrecceranno.
Parto da tre termini importanti che qualificano il discorso psicanalitico di Bion: gruppo, legame, relazione mettendoli a confronto e avanzando considerazioni filosofiche.
I tre termini indicano situazioni differenti e non vanno confusi.
L'Introduzione a Bion di Grinberg si apre con l'affermazione dell'essere umano come un "animale gregario". E' impossibile che l'uomo non sia membro di un gruppo: dalla famiglia in poi. Vi è in sostanza un'accettazione dell'assunto aristotelico dell'uomo come animale sociale, anche se - bisogna aggiungere - si tratta di un animale sociale con spinte centrifughe, che tende a fuggire dalla società, a sottrarsi al legame sociale. Sono importanti a questo proposito le considerazioni che Bion fa su narcisismo e social-ismo, su cui tornerò.
Dal punto di vista etico-filosofico, vi è una differenza importante fra appartenenza a un gruppo e relazione. Il gruppo segnala in prima istanza un'appartenenza oggettiva insopprimibile di cui il singolo individuo è una parte non primaria.
Un esempio filosofico recente che pone la comunità prima dell'individuo è rappresentato dalla concezione comunitarista, che ha autorevoli esponenti soprattutto statunitensi. Tale concezione sostiene che l'io è inserito in una rete di pratiche sociali della comunità da cui non sempre è possibile prendere le distanze, dissociarsi.
La comunità obbliga a determinati ruoli e comportamenti sociali. La libertà individuale si esercita soltanto in condizioni comunitarie e valoriali determinate e pressoché inalterabili. Mi sembra che anche Bion abbia presenti queste dimensioni quando parla in termini critici di "deriva spirituale che porta le comunità ad elaborare forme di associazione che sono tanto distruttive della salute psicologica dell'individuo quanto lo sarebbe una comunità senza servizi di sanità pubblica rispetto alla propria salute fisica" [Cogitations. Pensieri, Milano 1996, p. 340.]
Quando Bion parla del gruppo nella teoria psicanalitica ha ben presente questo carattere di secondarietà dell'io rispetto al gruppo stesso: nel gruppo l'individuo non è in primo piano. "Nel rapporto con il gruppo il benessere dell'individuo viene dopo la sopravvivenza del gruppo" [Cogitations cit., p. 50]. E' in primo piano una relazionalità di gruppo che fa perno sul nascondimento dell'individuo e dei suoi desideri. E' questo ciò che accade nella formazione di quella che Bion chiama "mentalità gruppale", la quale "si forma attraverso l'opinione, la volontà o il desiderio unanime del gruppo esistente in un momento dato. Gli individui vi contribuiscono in maniera anonima o incosciente", come spiega Grinberg.
E' solo nel gruppo di lavoro che viene richiesta ai suoi membri del gruppo di cooperazione, lo sforzo di attività, direi di soggettività, che però non è mai l'autonomia, che invece è richiesta alla relazione attiva che qualifica, ad esempio, l'evento etico del tipo non comunitario e "non conformistico" (nel senso di non semplice conformità a un imperativo morale): l'evento etico, cioè, nel senso di quella che possiamo chiamare "etica della responsabilità".
Nella relazione di questo tipo l'individuo è attivo, consapevole: mette in gioco una capacità di autonomia, di consapevolezza di influire sulle relazioni e di esserne influenzato. Da questa consapevolezza della relazione e dalla capacità di farsene carico in maniera autonoma sorge la responsabilità.
Il gioco fra autonomia e relazione e la relazione reciproca che si svolge su un piano di eguale rispetto [reciproco] sono i presupposti dell'etica della responsabilità. La responsabilità è data dal fatto che si è disponibili ad assumere il punto di vista dell'altro, anche dell'altro lontano, fuori dal gruppo.
Si coglie una dimensione simile a questa nel concetto bioniano di relatedeness: relazionalità come capacità di stabilire relazioni, di essere attivi in essa, di coltivarla, in qualche modo.
In questo contesto la relazione viene presentata anche come una "realtà aperta":
"Quando si parla di Io-Tu - sostiene Bion richiamandosi a Martin Buber - la cosa significativa non sono i due oggetti correlati, ma la relazione che intercorre tra di essi: cioè una realtà aperta che non ha alcuna terminazione" [Cogitations cit., p. 367].
La parte attiva della relazione è espressa da Bion col termine cura: nel senso della preoccupazione, concern, care, che comporta il voler inserire l'altro nei proprio progetti: "esprimere sentimenti di considerazione, di simpatia, di valore per l'oggetto", senza considerarlo un possesso. E' questo il nucleo di un'etica della cura responsabile: è questo insieme col rispetto per se stessi, come ha insegnato Kant.
Bion riprende questo concetto quando dice:
"Cura per la vita vuol dire che una persona deve avere rispetto per se stesso nella sua qualità di oggetto vivo. La mancanza di cura implica una mancanza di rispetto per se stesso e, a fortiori, per gli altri, il che è fondamentale e di rilevanza proporzionalmente grave per l'analisi". [Cogitations cit., p. 248]
L'assenza di cura per se stesso o per l'analista equivale a immaginarsi una libertà infinita e distruttiva. In questo desiderio distruttivo vi è paradossalmente anche la necessità del limite alla libertà tendenzialmente infinita, la necessità della moderazione. Il paziente gioca con la libertà e i suoi limiti: ha bisogno del limite alla libertà per continuare a essere distruttivo.
Anche nell'etica della responsabilità si svolge un gioco simile fra libertà e limite, fra autodeterminazione e attenzione all'altro, ma al fine di essere morali e avere cura della relazione, Bion direbbe: "avere cura della vita".
Nel pensiero di Bion non vi è, tuttavia, una proposta univoca di relazione; questa si presenta, anzi, in veste multiforme. Esistono particolari tipi di relazioni che si formano all'interno del gruppo: e vanno da quelle che contraddistinguono il rapporto fra il gruppo e il mistico-genio - di tipo commensalistico, simbiotico, parassitario - fino a quella più attiva, di tipo cooperativo che contraddistingue il gruppo di lavoro.
Cruciale in questo contesto è la connessione relazione-comunicazione - linguaggio, che Bion esprime con il mito di Babele, nel quale si produce il circolo comunicazione - cooperazione - distruzione della comunicazione. Si tratta dell'"attacco al legame, al linguaggio che rende possibile la cooperazione". [Cogitations cit., p. 142]
Il linguaggio è un mezzo per instaurare una relazione - dobbiamo forse ribadire: una relazione come una condizione diversa dal possesso, dal possedere o essere posseduto. [Cogitations cit., p. 265]
Fra i due poli del gruppo e della relazione si può collocare ciò che Bion chiama legame: cioè un'esperienza emozionale in cui due persone (oppure due parti della stessa persona) entrano in interrelazione. Si inseriscono in questa concezione del legame le considerazioni sui tre legami fondamentali: Amore, Odio, Conoscenza, in particolare la conoscenza psicanalitica che è la forma speculare dell'"attacco al legame".
Nell'esplorazione di quel complesso così importante per Bion - quali sono "gli attacchi al legame" - emerge la polarità fondamentale che ho già richiamato fra narcisismo e social-ismo e che si può esprimere nei termini seguenti.
Nell'individuo esistono due tendenze istintuali contrapposte: una ego-centrica, l'altra sociocentrica. "Questa bipolarità degli istinti - sostiene Bion - si riferisce al loro funzionamento come elementi nel compiersi della vita di ogni individuo in quanto individuo e come elementi nella sua vita in quanto animale sociale" [Cogitations cit., p. 117]. C'è una lotta fra ciò che possiamo chiamare "autodeterminazione" da un lato, e, dall'altro, immersione nella socialità fino alla dipendenza acritica da essa. Nell'etica della responsabilità vi è un continuo ponderare fra aspirazione individuale all'autodeterminazione e il dover contemperare anche le ragioni degli altri come pegno da pagare alla socialità.
A un certo punto della sua riflessione Bion pone esplicitamente la questione del rapporto fra questa polarità di narcisismo e socialismo e la morale. Dice, cito:
"Nel postulare il socialismo come l'altro polo del narcisismo, avevo in mente l'idea che il socialismo del paziente minaccia il suo primato come individuo e che il gruppo gli chiede la subordinazione a scopi che sono al di fuori della sua personalità. Questo vale in particolare per quanto riguarda l'aggressività. Vale anche per la moralità? Esiste un istinto morale che sia anche bi-polare, un istinto che spinga il paziente in direzioni conflittuali perché la sua opinione morale in quanto individuo è in conflitto con l'opinione morale che ha in quanto membro del gruppo?" [Cogitations cit., pp. 116-117]
Bion coglie qui due problemi importanti anche nell'etica. Si chiede:
1. Se la morale corrisponda a un istinto;
2. Se possano darsi conflitti nella scelta morale.
Per quel che riguarda la prima questione - un'antica questione nella storia della morale -, dal punto di vista della mia etica della responsabilità, la risposta è no. Su questo punto devo sottolineare la differenza della mia risposta da quella data prima dal dottor Malcom Pines. Non esiste un senso morale istintivo; esiste un senso morale costruito nell'interazione fra individuo e comunità o società.
Alla seconda questione la risposta è sì: la scelta morale si produce attraverso conflitti, anche conflitti fra doveri contrapposti, contrariamente a quanto pensava Kant. I dilemmi morali sono terribili proprio perché bisogna scegliere fra oggetti di eguale valore, fra doveri egualmente giusti: ad esempio, fra una convinzione individuale e la conformità a convinzioni condivise dalla comunità di appartenenza. Allora, la scelta etica è sempre inedita perché autonomo e singolare, unico, è il processo che ad essa porta: anche se si tratta di un'autonomia dialogica perché nel ragionamento etico e nel processo di ponderazione entra il punto di vista dell'altro: l'altro viene preso in considerazione come possibile interlocutore con il quale l'agente morale interagisce nella situazione concreta.
Sto parlando di un tipo di etica definita situazionale, che tiene conto dell'interdipendenza fra sé e l'altro e che risponde a una modalità "contestuale e narrativa". (C. Gilligan, Co voce di donna, Milano 1987)
Tutto questo si può riassumere dicendo che si tratta di un'etica senza imperativi, che la scelta etica non consiste nella conformità a comandamenti, a regole predate.
Anche in questo caso si può stabilire un'affinità con alcuni passaggi della teoria di Bion a proposito delle sue note su memoria e desiderio, nelle quali emerge l'importanza per il lavoro psicanalitico della unicità e irripetibilità della situazione:
"Ogni seduta a cui lo psicanalista prende parte non deve avere nessuna storia e nessun futuro" (É) L'unica cosa importante in ogni seduta è l'ignoto. Non si deve permettere a niente di distrarre dall'intuizione di esso". [Cogitations cit., p. 288]
Per produrre una situazione nuova, bisogna affrontare l'ignoto non fondandosi sull'esperienza del passato, sulla memoria, che comporta il rischio di teorie generalizzate che disturbano l'intuizione e "l'evoluzione": disturbano cioè l'esperienza emotiva con un individuo unico in una situazione irripetibile. "La mia prima regola - sostiene Bion in un'altra parte di Cogitations - è quella di creare qualsiasi regola mi pare". [Cogitations cit., p. 238 ]
Se questa affermazione la si potesse tradurre in termini etici, bisognerebbe fare riferimento alla trasvalutazione dei valori e all'etica della vita di Nietzsche o all'etica autocreata di Sartre. A Nietzsche quando, descrivendo l'individuo sovrano, sostiene che "il suo agire non solo non è più conforme a regole, ma è fantastico, creativo". A Sartre quando fa dire al suo personaggio Oreste: "Sono condannato a non avere altra legge che la mia (...) ogni uomo deve inventare il suo cammino".
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