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"Pensare la psicoanalisi" Dedicato a Rosario Merendino |
Lucrezia Giordanelli
"Pensare la psicoanalisi" |
E' con grande commozione che mi accingo a parlare dell'ultimo libro di Rosario, libro che esprime compiutamente il suo pensiero, pensiero che io conosco per averne discusso innumerevoli volte nel corso di un'amicizia ultra-trentennale, nei tanti gruppi e convegni a cui abbiamo partecipato insieme. Abbiamo anche scritto insieme dei lavori in occasione di Congressi della SPI, anche se "insieme" significava integrare concezioni e teorizzazioni spesso molto diverse, sottolineando così una separatezza che era poi differenziazione, e quindi la modalità di lavoro del pensiero secondo Rosario nell'ambito della relazione analitica. E qui entriamo proprio nel vivo della teorizzazione di Merendino, che nel libro utilizza una vastissima casistica per dimostrare come l'analista svolga una funzione differenziante, e come in analisi la trasformazione avvenga quando il pensiero, che lavora con rappresenatzioni indifferenziate, riesce a produrre rappresentazioni il più differenziate possibili, e quindi più adeguate alle esigenze della vita. Per Merendino il pensiero è organizzazione che opera, a partire dall'indifferenziato madre-bambino, creando la relazione di alterità con gli oggetti e costruendo sempre nuove relazioni, quindi introducendo la differenziazione a vari livelli. L'abilità dell'analista consisterebbe nel riuscire, attraverso le proprie rappresentazioni indifferenziate, con quelle dell'analizzzando, in modo da comprenderne i bisogni e le sofferenze, e poi costruire la relazione analitica attraverso l'interazione delle due organizzazioni individuali di pensiero, la propria e quella dell'analizzando. Tale interazione dovrebbe avvenire allo stesso livello, sia che si tratti di livelli elementari o psicotici, sia che si tratti di livelli evoluti, maturi o concettuali ed astratti. Ciò comporterebbe per l'analista il riconoscimento e l'elaborazione dei propri coinvolgimenti e delle proprie collusioni, e il lavoro di differenziazione da questi permetterebbe il passaggio all'analizzando di rappresentazioni più differenziate, in modo che l'analizzando possa, attraverso l'identificazione, sviluppare il proprio pensiero. Ma che è l'analista e che è l'analizzando? Sono effettivamente e soltanto le persone fisiche della realtà? O si può invece parlare di un campo analitico come soggetto mentale della psicoanalisi, campo che comprende le rappresentazioni di entrambi i componenti della coppia analitica, rappresentazioni relative non solo alla loro persona, ma anche al loro contesto storico, culturale, geografico ecc.? Il campo di ognuno dei due allora si integrerà con quello dell'altro, e da questa integrazione nascerà un nuovo campo relazionale, in cui saranno presenti tutti gli oggetti mentali della coppia analitica, e anche gli oggetti prementali protomentali, cioè quegli oggetti che non sono stati, e forse non possono essere, investiti di senso e di libido, i cosiddetti elementi beta di Bion. Questi elementi possono essere responsabili, qualora non possano essere elaborati ed utilizzati, di una relazione persecutoria. Qualora invece dal reticolo di relazioni, e cioè di rappresentazioni e di simboli, si costituiscano nuovi oggetti mentali, avremo quei cambiamenti (Merendino dice che è meglio parlare di mutazioni) che soddisferanno meglio i bisogni della vita e i desideri. Lo scenario analitico si potrebbe definire anche come campo del desiderio, desisderio che origina da uno stato di frustrazione più o meno grave nell'ambito della relazione madre-bambino e che cerca soddisfacimento nell'analista in quanto madre idedale. L'analista sostituirà al soddisfacimento ideale quello reale mediante la parola interpretativa, veicolo di attenzione e di affetto. Ma l'interpretazione, secondo l'A., ha effetti trasformativi solo se scaturisce dalla coincidenza dei desideri dei due componenti il sistema analitico, in quanto questa coincidenza ricostituisce la relazione primaria indifferenziata madre-bambino e ha effetti strutturanti. Merendino dà la massima importanza alla relazione indifferenziata del bambino con la madre, tanto che la figura del padre viene ad essere considerata soltanto come sostituto della madre o come elemento di separazione e di differenziazione. Il desiderio per Merendino è sempre pre.edipico, legato alla mancanza del primo oggetto d'amore, conseguenza quindi del bisogno e ala servizio di questo. Il bisogno, che rende dipendente dall'oggetto attraverso la comunicazione e il congiungimento con esso ai fini della costituzione, dello sviluppo e del mantenimento del Sé, è sempre più o meno frustrato, e allora il bisogno organizza il desiderio, che prima di tutto è relazione libidica con se stesso, conferma del proprio essere, del proprio esistere, della propria identità, e quindi fondamentalmente narcisistico. Il bisogno è quindi "l'attività mentale e motoria finalizzata al mantenimento e allo sviluppo delle potenzialità fisiche, psichiche e mentali della vita" (pag.59), mentre il desiderio è una "pulsione aggrediente" che muove il soggetto ala ricerca dell'altro, con lo scopo di congiungersi con esso, anche se questo congiungimento è "al servizio dell'essere, dell'esistere e del narcisismo ad essi connesso". In analisi i due soggetti mettono a confronto le reciproche rappresentazioni arcaiche di sé e la nostalgia della mancata relazione totale con l'Altro. Allora in analisi l'altro diventa l'oggetto perduto, e anche se non è l'oggetto del bisogno diventa l'oggetto del desiderio, che si muove sul piano-simbolico - e non sul piano della realtà come l'oggetto del bisogno - ed è quindi un oggetto ideale e il sostituto del primo oggetto. Se tutto ciò non si verifica, se il campo analitico non è percorso dal desiderio, domina la frammentazione, la psicosi, l'autismo. Allora l'oggetto diventa persecutorio, tanto più quanto meno lo si è sentito soddisfacente nella realtà, e l'analista allora non può essere il sostituto della figura materna, ma deve accogliere, contenere il paziente, tenendo a bada i propri fantasmi persecutori e investendo sull'altro la propria libido, ponendosi come oggetto nuovo e diverso, capace di soddisfare le esigenze del paziente. Merendino insiste sull'importanza della soddisfazione del bisogno primario, che ha "effetti strutturanti e apre la strada agli investimenti libidici oggettuali nel corso della vita" Egli dice che la difesa ottimale per ovviare alla frustrazione è la sostituzione della rappresentazione della madre reale con quella della madre ideale, con conseguente sviluppo del desiderio, che spinge alla ricerca di oggetti d'amore reali sostitutivi della madre ideale. Meno funzionale è la difesa che consiste nel ritiro della libido nel Sé, perché allora non si forma la capacità di simbolizzare e non si sviluppa il desiderio; non si forma una relazione con l'oggetto idealizzato, poiché difensivamente il soggetto idealizza solo se stesso. (pag.73) Ed è qui che interviene la parola dell'analista per fugare il sentimento di mancanza e di assenza dell'analizzando, per stabilire simbolicamente il contatto sensoriale, il rapporto tra contenitore e contenuto. La parola esprime il desiderio dell'analista e dell'analizzando e congiunge il soggetto con il mondo. Merendino esprime i suoi assunti teorici ipotizzando che la fantasia incoscia nasca dalla rimozione del desiderio. Il neonato si rappresenta fuso con la madre, ma la frustrazione dei suoi bisogni fa sì che si rimuova, insieme al desiderio di congiungimento con la madre, anche la rappresentazione di sé e dell'altro come relazionati. Così si verificherebbe "il primo atto di idealizzazione di sé come sé autarchico uno-tutto e di autoinvestimento libidico". Se poi è troppo lungo il tempo di rimozione del desiderio, il rimosso si strutturerà come parte non integrata e non più integrabile dell'apparato mentale, il neonato diverrà preda di fantasmi persecutori e allora o investirà tutta la propria libido sulla rappresentazione idealizzata di sé come uno-tutto autarchico e si chiuderà nell'autismo o nella psicosi narcisistica o diverrà paranoico. Merendino pensa che il primo nucleo mentale del Sé costituito dalla traccia mnestica dello stato primordiale indifferenziato, legato alla condivisione che il feto o il neonato realizzano con il corpo materno. Pensa anche che tale traccia mnestica stimoli le allucinazioni tese al ripristino di tale stato indifferenziato, i cui residui vanno a formare le fantasie arcaiche . La rappresentazione più arcaica di sé sarebbe quella dell'uno-tutto, laddove l'uno sarebbe l'insieme madre-bambino e il tutto significherebbe che al di fuori di loro due non vi è nulla. Merendino definisce questo Sé Uno-Tutto come differenziato reale, in quanto si autopercepisce e si autorappresenta e afferma che nel corso della vita, per sostenere le varie frustrazioni e limitazioni si ricorrerà all'idealizzazione come difesa primaria, costruendosi un'immagine ideale e narcisistica di sé, che corrisponderà a un Sé differenziato ideale Uno-Tutto, che verrà allucinato come tale. Ci sarebbero quindi diverse organizzazioni del Sé, dal Sé primordiale indifferenziato (traccia mnestica del continuum corpo materno-corpo del bambino) al Sé differenziato reale Uno.-Tutto (la rappresentazione di sé del neonato unito alla madre) al Sé differenziato ideale (rappresentazione autarchica, monadica di sé come immune da ogni frustrazione e indipendente da ogni matrice) al Sé differenziato ideale Uno-Tutto (rappresentazione di sé come tutt'uno con l'Altro, altro concepito come indistinto e identico a sé). Per Merendino la salute è l'equilibrio tra la forza centripeta che tende all'assetto indistinto e indifferenziato tra organismo fetale e organismo materno, di cui la mente conserva la traccia mnestica, e la forza centrifuga propria dei processi di differenziazione e distinzione, mentre la malattia, sia mentale che fisica è la rottura, reversibile o irreversibile, dell'equilibrio tra le due forze. In analisi ha luogo una "coincidenza" tra l'analista e l'analizzando a livello del Sé Uno-Tutto, coincidenza che deve essere accettata ma anche superata per poter giungere alla distinzione e alla simbolizzazione. L'A. ipotizza che se l'analista non riconosce la coincidenza corre dei rischi, per es. nei casi di pazienti affetti da malattie organiche può ammalarsi perché il paziente può scindere la mente dal corpo, libidizzare il corpo dell'analista, introiettarlo e risucchiarne libido. E' invece importante che l'analizzando impari a distinguere tra Sé e Non-Sé, e cioè a riconoscere l'analista come altro da sé e che riesca a riunificare la propria mente col proprio soma e ad abolire la scissione. L'identificazione con l'analista lo condurrà allora alla capacità di simbolizzare e il Sé indiferenziato permarrà come la parte più antica e più profonda del Sé, a cui attiene la comunicazione più silenziosa, la parte della struttura mente-soma che è inosservabile e irraggiungibile dalla nostra indagine, il "core self" di Winnicott o il punto "O" di Bion. Ma se la relazione primaria non è stata soddisfacente, se nel rapporto con la madre il bambino non ha sperimentato "quell'intendersi" che porta al soddisfacimento del bisogno nel momento in cui questo si manifesta, che cosa avviene e come può intervenire l'analista? Merendino descrive tre possibili reazioni alla relazione primaria frustrante: 1) l'onnipotenza, con la costituzione di un Sé Uno-Tutto chiuso in se stesso, senza parti e senza confini, che si presenta all'analista come persona priva di memoria, di storia, di linguaggio e di sognni. 2) la negazione della relazione e l'auto-rappresentarsi come cosa, cosa dunque priva di pensiero e di affetti, per cui l'identità di tali persone è legata al possesso e all'uso di certe cose e al mantenimento di certe abitudini, spesso sostenute da idee fisse, di natura ideale (ideologie) o persecutoria (fobie). 3) infine la rappresentazione di sé come gruppo uno-tutto, in cui non c'è pensiero né azione individuale, ma tutto deriva dal gruppo e gli eventi dei componenti del gruppo sono intercambiabili (idee, miti, oppure malattie o angosce). La terapia ha lo scopo di ripristinare l'unità mente-soma del soggetto, perché non può esistere alcuna manifestazione o funzione somica cui non corrisponda una rappresentazione mentale, né alcuna manifestazione o funzione mentale senza riferimento al soma. "Non esiste una mente separata dal soma né un soma separato dalla mente" (pag. 121), è solo la malattia che separa mente e soma e la terapia deve riunirli. "Il germe della malattia risiede in Sé indifferenziato prevalentemente persecutorio e in un Sé differenziato ideale che opera le sue difese per scissione dell'odio dall'amore, del corpo dalla mente e della relazione con sé dalla relazione con l'altro, ed inoltre per negazione dal fantasma persecutorio a vantaggio di una radicale idealizzazione di sé" (pag. 132). Ed è proprio attraverso la coincidenza idealizzante tra paziente e analista che si verifica il processo difensivo, da cui si potrà poi passare in terapia alla separazione e alla differenziazione. Perché anche l'analista proietterà sull'altro la propria immagine ideale e la relazione diventerà un Sé Uno-Tutto, un campo relazionale uno-tuto identico a se stesso, qualcosa di aspaziale e atemporale. Sarà poi compito dell'analista riconquistare il proprio Sé differenziato reale e quindi la propria identità, in un continuo faticoso processo che richiederà una costante auto-analisi. Secondo Merendino è comunque importante condividere la sofferenza del paziente, quindi anche il senso della perdita di sé e il senso di frammentazione, per cui sarebbe inevitabile una crisi di identità dell'analista. Ed è proprio qui che si manifesta, credo, la maggior differenza tra un'analisi e l'altra, tra un analista e l'altro. Perché la coincidenza proposta da Merendino si può accettare, secondo me, solo a livello "mistico", come qualcosa che è fuori dalla realtà fattuale e si riferisce a livelli così profondi da essere inattingibili. Se poi invece parliamo di condivisione, riferendoci alle sofferenze specifiche del paziente, io non sono più d'accordo, proprio perché ritengo impossibile condividere alcunchè con alcuno, poiché ognuno vive la propria esperienza nei modi e nelle forme che gli sono propri e che caratterialmente gli corrispondono e non può forzarsi, ammesso che ciò sia utile, a piegare la propria sensibilità alle regole e ai codici dell'altro. Penso anche che se ciò si verificasse sarebbe molto distruttivo per l'analista, e che le enormi difese che dovrebbe mettere in campo potrebbero interferire con la sua autenticità, indispensabile alla relazione col paziente. La relazione è contraria alla coincidenza, e per me tutto è relazione. Non voglio parlare qui delle mie teorie, ma intendevo soltanto precisare una differenza sostanziale tra me e l'autore, che peraltro rientra nelle differenze, prima di tutto caratteriali, che diventano complementarità in persone che sono riuscite a lavorare così bene insieme. Un'altra differenza è questo concetto del Sé Uno-Tutto, che considera la rappresentazione arcaica di sé come Sé Bambino-Madre, negando quindi le potenzialità squisitamente personali del bambino. Secondo Merendino la sublimazione non può esistere senza la rappresentazione di una protorelazione unico-totale, e l'angoscia e il dispiacere della perdita di tale protorelazione; la sublimazione si può considerare come la sintesi riuscita tra Io-piacere e Io-realtà ed è il pensiero, che trasforma la pulsione sessuale in pulsione epistemica, che attribuisce agli oggetti prescelti, sostituti dell'oggetto originario, senso e significato e dà loro attenzione, interesse ed affetto, togliendo tutto ciò ad altri oggetti, che vengono rimossi. La sublimazione sarebbe quindi organizzata dall'Io per evitare il dolore della separazione dall'Uno-Tutto infinito originario e ricercare oggetti non spiacevoli da investire libidicamente. Il pensiero governa tutto l'apparato psico-fisico umano, strutturando anche l'incoscio e la coscienza, come modalità distinte di accogliere e di elaborare le percezioni e i loro precipitati e le rappresentazioni ed affetti ad esse collegati. Per Merendino "l'angoscia resistenziale e caratteriale ha origine nel trauma di un mancato rapporto di appartenenza e di amore e si presenta come incapacità di appartenere e di amare, come vuoto di relazioni significative" (pag.202). L'appartenenza è per Merendino imprescindibile per la salute psico-fisica della persona, è il Sé Uno-Tutto, è la coincidenza, è il paradiso perduto a cui si tenta di ritornare.
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