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di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi |
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Lambiguo transito dal tempo dellIo al tempo del Noi
Bruno Callieri Il Prof. R.A.Pisani introduce il Prof. Callieri sottolineando che egli in questo contesto è ampiamente conosciuto in quanto ospite donore dei seminari fin dallanno accademico 1989/1990. Tutti gli anni ha portato un suo contributoe spesso ha partecipato ai seminari di altri relatori. Ricorda lo splendido seminario tenuto da Pierfrancesco Galli, sulla Psicoterapia della schizofrenia, alla presenza di Callieri, di Tedeschi e di Frighi. Fu uno splendido seminario e unoccasione dincontro di questi nostri maestri.Reputa arduo, nonchè superfluo, presentare Bruno Callieri, uno dei più validi psichiatri italiani che ben ci rappresenta a livello internazionale, parlando bene francese, tedesco e inglese. Questa sera terrà un seminario il titolo del quale è stato a lungo meditato dal relatore. Il Prof. Callieri chiarisce che non è un argomento proprio sconosciuto perché ne abbiamo sempre discusso; però questa mattina, facendo lezione alla Neuro, gli è venuto in mente di modificare la tematica che avremmo dovuto discutere qui: la tematica dellidentità egoica, dellEgo, appunto , che in questi ultimi decenni è sempre più in crisi. Un identità egoica che va dal tempo dellIo, lEgo, al tempo del Noi, e in questo senso tende ad appoggiarsi allimpostazione prevalentemente heideggeriana. Questa identità del Noi, gli ha fatto riflettere che sarebbe stato bene impostare la nostra conversazione su una tematica legata al problema dellincontro, inteso questo non semplicemente come un occasione, sia pure tra tante, che si perde nel flusso della vita, ma come qualcosa di peculiare che consente al medico, alloperatore della salute mentale, a colui che ha interesse per laltro (che non sia un altro troppo diverso, ma che tenda a diventare sempre meno alieno e sempre più alter), di giustificare il passaggio dialettico da una psichiatria fatta di cataloghi, di descrizioni, di cristallizzazioni apparentemente inamovibili, ad una psicopatologia più vicina allambito che favorisce laccesso psicoterapico: a qualunque tipo di accesso psicoterapico. Mette però tra parentesi laccesso skinneriano, che sembra radicalmente tagliato fuori da questo tipo di problematiche: tutto si risolve, si esaurisce e sinquadra nello stimolo e risposta; tutto quello che accade dentro, dietro, sopra, sotto, non interessa. Ottima impostazione pratica, quella skinneriana, che però egli reputa del tutto insufficiente per noi. A questo proposito, segnala un libro pubblicato recentemente in Italia, donatogli da una sua cara amica: Mirella DIppolito, rogersiana convinta; il volume riferisce i dialoghi o, meglio, le gentili continue contrapposizioni, tra Rogers, centrato sulla persona, e Skinner, che cerca di spuntare sistematicamente tutte le armi di apertura alla persona, considerando solo i meccanismi che regolano domanda e risposta e disinteressandosi di quello che cè dentro o dietro. E unimpostazione molto diffusa. Qui in Italia, per molti anni, Callieri ha fatto lezione di psichiatria anche alla scuola skinneriana. Si è trovato a proprio agio a parlare con i singoli di argomenti ben al di fuori del loro tessuto concettuale. Richiama la necessità di portare il problema umanistico dallambito rigorosamente clinico della psichiatria istituzionale, che nasce dal manicomio, nellambito della follia vera cioè del delirio, della paranoia, della parafrenia, della schizofrenia, portarlo ad un discorso che sia più alter egoico, più volto al rapporto con laltro. Si riferisce allalienista del Secondo ottocento, chiarendo che era diverso dallo psichiatra e dal medico attuale. Ricorda quando ne parlava con Cargnello che, con una punta di sarcasmo, diceva Io sono un povero alienista, cioè: Mi occupo degli alienati. La Rivista Sperimentale di Feniatria era allora la rivista per antonomasia delle alienazioni mentali. Oggi il termine alienazionenon ci fa più rabbrividire, ma ci dà fastidio. Cargnello molti anni fa scrisse, per Feltrinelli,Dall alienità allalterità, cercando di riportare allora, il passaggio da una persona consegnata alla categoria di un irrecuperabile, alla persona recuperabile al dialogo interpersonale. Abbiamo tanti nomi di alienisti italiani, tra cui Lombroso, il primo Morselli (1880), il più importante psichiatra italiano di quellepoca, Tanzi, Lugaro, etc. Lalienista del Secondo Ottocento era determinato, in modo quasi univoco, da quello che si chiamava sano naturalismo positivista. Alieno da ogni ideologia, alieno da ogni romanticume, da ogni cosa che considerasse la sofferenza dellaltro; era invece un medico che guardava neutralmente laltro, come lanatomopatologo guarda il cadavere che sta sezionando. Solo in questo modo era possibile entrare nellottica medica del naturalismo psichiatrico, allora radicalmente imperante non solo in Italia, in Francia, in Germania, ma ovunque arrivasse il verbo della psicologia. Questo medico si esauriva tutto nellatto dellobiettivazione. Che cosa significa obiettivare? Soltanto fare lesame obiettivo? A suo modo di vedere significa reificare laltro, cosificare laltro, alla stregua di un oggetto da studiare. Si viene a studiare laltro nei suoi modi di porsi, allo stesso modo di come si studia un fegato o un cervello: come oggetto dindagine per la mia curiositas e brama di sapere, classificando. Lalienista della fine del Secondo Ottocento, in fondo, è paragonabile ad un bravo entomologo. Lentomologo studia gli insetti, le farfalle: li classifica e li mette in ordine, per poterli poi esaminare attentamente nelle loro minuzie e nei particolari che distinguono un tipo dallaltro, una specie dallaltra, una sottovarità dallaltra, in una operazione infinita di oggettivazioni successive. Reificare laltro significa risucchiare un Alter Ego, cioè una persona come noi, un altro io, in un anonimato di categorie eziopatogenetiche. Numerosi, qui, i percorsi. Callieri ricorda quando a Napoli, 50 anni fa, ebbe a seguire alcune lezioni di Vito Maria Buscaino, lillustre Maestro il quale riteneva che quasi tutte le malattie del cervello dipendessero dal cattivo funzionamento del fegato e, naturalmente, le curava con la dieta per gli epatopazienti. Altri avevano altre idee analoghe che sono affiorate ad ondate successive: dal secolo scorso ad adesso, cè stata tutta una serie di teoresi categorizzanti, che ambivano ad arrivare ad una spiegazione precisa, univoca, determinata del cosiddetto disturbo mentale. Ma cosa è la mente? E unastrazione, come è unastrazione il soma. Il soma vivo, non è certo la salma. Ma il soma vivo esiste? Esiste solo se è psiche- soma, se non è un cadavere vivo. Nello stesso tempo, come possiamo pensare che quello sia laltro, non solo nella sua natura neuronale, ma anche nella sua storicità, nel suo farsi storico? Intanto abbiamo di fronte un alter ego, un altro io come me, in quanto quello è carico non soltanto della sua naturalità, delle funzioni del suo cervello, del suo fegato, della sua milza, ma è carico di una storia individuale, diversa fin dalla nascita da tutti gli altri sei miliardi di storie di individui che ora sono nati e vivono in questo mondo. Quando diciamo storia dellaltro, è perché luomo non è solo natura, ma anche storia; anzi, in una visione storica spinta, si potrebbe azzardare di dire che il concetto di natura, nasce in un momento della storia del singolo uomo che si va facendo, nelle varie culture. Il concetto di natura non esiste in molte culture: sembra essere un concetto tipico della nostra cultura occidentale. Callieri intende dire che le malattie mentali non sono riducibili, eo ipso, a malattie del cervello. Griesinger nel 1863 diceva Le malattie mentali sono malattie del cervello : questo aspetto di assolutizzazione totale è un errore epistemologico bell e buono. Griesinger, di cui Callieri ha approfondito la documentata storia, ragionava più o meno come noi; ma in quel momento landazzo di moda gli imponeva di ragionare e fare lezioni in quella maniera, altrimenti non sarebbe mai arrivato ad insegnare psichiatria in quel tipo di università nel 1860 (come reazione al romanticismo fino ad allora imperante) quindi in un ottica di medicalizzazione radicale delluomo sofferente, disturbato psichicamente e/o nel comportamento. Qui ci troviamo di fronte ad una tematica complessa: come possiamo comporre lo psichico e il comportamentale? Il comportamento è completamente riconducibile allo psichico oppure è qualcosa che è filtrato, legato, impastato di valori culturali, di riti e miti, direbbe il quasi centenario Gillo Dorfles, riti e miti di altri tempi? Questa dimensione, il comportamento, come possiamo situarla psichicamente? Ha veramente ragione Skinner a considerarlo meramente esauribile nellangusta cornice reflessologica o dobbiamo ritenere che sia mosso e guidato da correnti sotterranee? Correnti che ne costituiscono non solo lo spessore e la densità durto con altri modi comportamentali, ma che ne costituiscono anche la sua fenomenologia, cioè il suo apparire? E un quesito al quale noi psichiatri e psicologi, non del tutto sprovvisti dal punto epistemologico ed ermeneutico, dobbiamo dare una risposta, per non muoverci come piccoli impiegati, burocrati della psiche. Callieri sottolinea limportanza dei rapporti tra neurofarmacologia e modelli comportamentali; vanno sempre presi in considerazione, ma cum grano salis: cioè non tutto si esaurisce nel rapporto tra disturbo ed effetto di un farmaco, come se si trattasse di un bilancino che li determina, tanto da arrivare persino a quelle assurdità delle dosi a scalare, a seconda. Va sempre ricordato che chi ci sta di fronte e al quale si prescrive, è un individuo che non ha un tipo di sofferenza uniformemente graduabile; una sofferenza, che viene sollecitata, costruita e soffocata nel giro di poche ore o di poche settimane da mille fattori imprevedibili. Parlando da vecchio medico psichiatra, Callieri afferma che, in un certo modo, questo è il bello della nostra professione perchè altrimenti questa sarebbe esangue e noiosa: registrare i sintomi; scartabellare i manuali prontuari e prescrivere il farmaco con un atto automatico che pian piano soffoca il rapporto interpersonale, quel rapporto che invece dovrebbe essere sempre alla base della relazione medico-paziente. E allora, come la mettiamo con la psichiatria? Possiamo chiamarla scienza del cervello? Non sarebbe meglio parlare di questa psichiatria, chiamandola semplicemente scienza umana? Human science, studio delluomo in generale, di unesistenza che non è solo natura, ma che è anche soprattutto cultura e storia, cioè che è anche e soprattutto persona. Laltro come persona, non laltro come psiche, come soma, come artificiosa unità psicosomatica, che è lunità di due concetti astratti. Piuttosto laltro come persona, contemporaneamente irriducibile a tutte le altre e nello stesso tempo anche persona latina, cioè maschera che ciascuno assume sopra, sotto e davanti ad unaltra maschera, in questo infinito proporsi in modi diversi, a seconda delle diverse situazioni, dove il nucleo profondo sfugge ad una determinazione radicale che lo esaurisca nel nostro modo di esprimerci. La persona infatti è inesauribile, soprattutto nei suoi retrò, nei suoi silenzi. Leloquenza di certi silenzi! Lo psichiatra, lantropologo attento, non sempre riesce a cogliere, non nelle parole che dice, ma nei silenzi in cui non dice, oppure in certi sguardi sfuggenti, cioè in tutto quello che non è formulabile in termini razionali, precisi, matematici, definiti. Ogni psicoterapeuta deve assolutamente tenerne conto. Quindi la psichiatria come scienza delluomo. Ma come facciamo a dire che la psichiatria è scienza delluomo? Callieri crede che lo si possa dire soltanto se, con un atto di fede, assumiamo il termine coscienza nel suo pieno significato. Cosa significa: io sono cosciente di ? Certo non stiamo a parlarne adesso, ma bisognerebbe farla una sessione triplice sulle varie impostazioni ed interpretazioni della coscienza. Ricorda un caro amico scomparso, il prof. Giannetto Cerquetelli, con il quale, nel lontano 1954, fece una trilogia sulla coscienza: la coscienza come bios, la coscienza dellio, la coscienza dellaltro, che sollevò le perplessità del prof. Vittorio Challiol , del prof. Lucio Bini e naturalmente del prof. Cerletti. Lintenzionalità della coscienza. La coscienza non è mai una coscienza e basta. Callieri si rivolge ai presenti che, nel preciso momento in cui egli sta parlando, sono coscienti di qualcosa: Tu sei attento, segui con tensione quello che sto dicendo qui e ciò per un là e per quello che lo riceve, e nello stesso tempo mi prepara e lo preparo ad un incontro che può anche essere scontro. Questa intenzionalità che anima la coscienza è quindi di un significato radicale per il mondo della vita, la Lebenswelt. Ad esempio: entri in una stanza dove trovi un trenino, due, tre bambole, costruzioni di meccano, e senti che là cè stata o cè in atto o ci sarà la presenza di un bimbo, non astratto ma concreto. Ha messo sottosopra i suoi giochetti. Quindi è lì, anche dal suo mondo della vita, come ha indicato Husserl, dal suo modo di oggettuarsi nelle cose, di manipolare il mondo; anche da lì possiamo cercare di capire che cosa anima quella presenza che pur in quel momento non cè in quanto presenza-assente. Allora si apre un altro orizzonte che cimpegna, ci turba e fa tremare le vene ai polsi degli psichiatri: la donazione di senso. Cosa significa dare un senso, donare un senso? In questa riunione qui, ora, ognuno ha il suo interesse, ognuno ha le sue motivazioni per trovarsi qui, motivazioni antiche, recenti, motivazioni che sollecitano o che annoiano. Quindi cè tutto un intreccio motivante, dal quale non possiamo prescindere; quindi la coscienza è sempre intenzionale, ed è coscienza che dà sempre un senso a quello che facciamo, tantè che delle volte, anziché dire un folle, diciamo un insensato, cioè uno che ha perduto il senso del fare. Callieri richiama lattenzione sulla differenza tra senso e significato, che è netta. Un conto è parlare di significato, un conto è scorgere il senso: che significa, che senso ha la mia vita? Nel sacrificio di un padre per un figlio leucemico morente, ha senso tutto quello che egli fa: un senso che non è un significato da decifrare dal punto di vista epistemologico, ma è qualcosa che investe la vita di quel luomo, che la scuote dalle fondamenta. La donazione di senso si gioca nella compagine corporea, dove il corpo non è semplicemente un accrocco mirabile di miliardi di neuroni o di cellule che funzionano perfettamente, ma ha un suo senso come comunicazione con laltro corpo. Il mio corpo, così ben governato da miliardi di cellule, significa qualche cosa in quanto mi permette di comunicare con laltro corpo, di vibrare insieme ad esso, in uno scambio di modi di vedere il mondo e di viverli. Allora ecco che il corpo non è mai, come diceva Merlot Pontì , solo il corpo per sé, ma come anche sosteneva Sartre, sessanta anni fa, è il corpo del inter, del tramite, del tra: tra me e te. E il corpo dellintermediarità (termine oggi in voga). Il corpo che io ho e che tu hai è lintermedio per permetterci di comunicare: l Ego e un altro Ego. Anche se poi noi sentiamo che siamo radicalmente questo corpo, ciò non ci basta, perché io ho questo corpo in quanto tendo ad aprirmi allaltro. Sto qui per il là in cui sei tu, altrimenti se io stessi solo qui, se non ci fosse un là e io fossi racchiuso solo nel mio qui, sarei messo nella mia bara invisibile, ma pur sempre una bara, cioè un qualcosa che non mi permette la com-unione, lunione con. Comunicare, comunione, esserci-con, non è mai solo qui: è un esserci-con-per, verso (at-the-world being). Cè questa direzionalità per cui, se ci mettiamo uno accanto allaltro, di fronte ad una via in salita, sappiamo che la percorriamo insieme: ecco i percorsi di vita. A lui è stato insegnato da tanti antropologi e psichiatri, tra cui evoca il nome di Eugène Minkowski, il grande psichiatra, polacco-francese, che egli conobbe personalmente. Ricorda il grande significato della psichiatria minkowskiana: il tempo vissuto, lo spazio vissuto. Reputa tuttavia inutile parlare in particolare di Minkowski, in quanto tale. E un nome che resta nel suo encounter, nel suo incontro; e la nostra vita è fatta di tanti incontri anche come questo: lincontro con luomo che ho amato e poi si è involato e poi è tornato, e mi ha reso perplesso per la vita; e altrettanto dicasi per laltro, per tutte le spinte aggressive e del tutto contraddittorie che a volte ci animano; dellincontro con laltro che avviene tramite i corpi, lo sguardo, la carezza, tramite lintercorporeità. La nostra attività quotidiana col sofferente, rischia di coinvolgerci in un modo complesso e non facilmente subito decifrabile, contenibile, dominabile e programmabile. Dallaltra parte, però, si rischia anche lappiattimento dal quotidiano al giornaliero, dal medico che partecipa alla sofferenza dellaltro al medico burocrate che vede solo il paziente, lutente, scrive la ricetta, liquidandone la presenza in pochi minuti, perché non ha tempo: deve stilare in un ora dieci di queste ricette. Ciò naturalmente sta ad indicare la possibilità che lentamente, in questa apertura di uomo che pur ci sarebbe verso laltro, pian piano la bara della chiusura viene a chiudere i suoi tasselli e lo rimette nel suo mutismo, radicale e durevole. La parola non è solo la verbalizzazione del nostro pensiero, la parola è sempre anche dialogo interiore. Callieri spiega che quello che lui sta dicendo adesso, non corrisponde a quello che aveva scritto e che avrebbe voluto dire perché, vedendo le persone, sentendo la tensione di chi ha di fronte, è stato sollecitato nellanimo ad una lettura diversa, più piena. Così quando egli incontra un paziente, non sa mai come andrà a finire: resta un mistero. E il mistero esaltante o rischioso che tesse continuamente la nostra vita, intrecciandole lirrepetibile ordito. Se vogliamo essere autenticamente alter-egoici, cioè con-laltro, noi dobbiamo scommetterci dentro: non possiamo star lì ad osservarlo, come con una specie di cannocchiale. Un uomo autentico deve partecipare con laltro, pronto a rischiare lo scacco, come già cento anni fa diceva Jaspers, e pronto a scommetterci la propria validità interiore. Qui cè il problema che ci ricollega a quel grande teologo, tedesco, protestante, Paul Tillich, in quel libro meraviglioso The courage to be, Il coraggio di esserci, cioè il coraggio di esistere, il coraggio di giocarsi con laltro. Il coraggio di poter uscire-con il malato, lautista chiuso nel suo mondo irreale, uscirci a braccetto e scambiarsi una barzelletta che possa far ridere entrambi. (Sarebbe una grande vittoria!) Callieri parla del coraggio di vincere quello stato danimo, che rischia di essere castrante, che egli definisce come perplessità; il restare perplesso, così come lo vediamo noi psichiatri, là dove la persona sofferente ti sta davanti e si guarda e si riguarda le mani: non sa cosa farne più delle mani, perché le mani servono per manipolare, per fare, ma lui è sospeso e le mani a che gli servono? Le guarda come se fossero una cosa strana, perché la mano non ha più quel significato di prolungamento del proprio essere- nel- mondo in quanto afferra, coglie, colpisce e accarezza. Ecco il problema che oggi ha ripreso la psicologia e lantropologia, Jean Luc Nancy, Marion Caresser, se caresser. Queste persone ci hanno fornito validi strumenti linguistici per nuovi orizzonti: la lingua francese è ricca di sfumature linguistiche, per modulare meglio il nostro modo di proporci allaltro e di risvegliare quelle parti dormienti dellaltro, che forse non sono state mai sollecitate da un atto damore o forse solo con disattenta noncuranza o annoiata presenza. Callieri evidenzia che la poesia italiana recente ci dà molto in questo senso. Egli vi ha trovato molto di più che nei trattati di psicopatologia, nella lettura palpitata, attenta, convissuta di certi poeti: Luciano Erba, Giovanni Giudice, senza dimenticare Montale, Ungaretti, Cardarelli. Dobbiamo avere la capacità di cogliere in quello che ci offre il poeta gli stessi suggerimenti, a volte assurdi, che ci dà il cosiddetto folle. In fondo tra follia e poesia cè un certo contatto; è lo stesso contatto sconvolgente che accade quando noi accediamo ad un Altro Mistero, alla selva misteriosa che chiamiamo il Sacro. Il sacro è qualcosa che Rudolf Otto, grande filosofo della religione, diceva sacrum et tremendum, cioè che fa tremare. Qui ci riallacciamo a Kierkegaard cum timore et tremore. Ecco quindi delinearsi questa donazione di senso, questa corporeità nellincontro con lalter-ego, questo mondificarsi che consente, anche al caso clinico più destituito di alterità, al catatonico confinato da mesi nel suo letto, quel moto improvviso, quel guizzo di ripresa che ci fa vedere che cè un mistero sottostante, una vita che noi non eravamo fino ad allora riusciti minimamente a cogliere. Callieri ci invita ad offrire, nella discussione, ulteriori stimoli di contrapposizione o di arricchimento dincontri. Considera che venti anni addietro avrebbe detto di casi, di casistica. Oggi gli rincresce, quasi, di parlare di casistica, di casi: tu sei uno dei miei casi più difficili! Mah! Tu sei un Tu, sei un Alter-Ego; come posso pensare di classificarti, dincluderti in una categoria rigida, insieme ad altri casi consimili? Lui lha fatto per tanti anni, in buona fede, ed oggi se ne rincresce. Il rapporto delluomo con laltro uomo è un rapporto sempre aperto, è sempre pieno; un interrogativo risolto ne fa sorgere un altro; è un rapporto sempre denso di angolature diverse, che ti consente un arricchimento continuo di scambi. Tu con laltro, laltro che diventa della tua carne, tu che cerchi da un lato di abbracciarlo, di possederlo, dallaltro invece di eliminarlo perché diventa ingombrante, in un continuo movimento dialettico. Laltro spesso è scomodo; laltro a volte è qualcosa che suscita antipatia, avversione, ostilità,odio. Lodio verso laltro, lodio per lintruso. Ecco la famosa espressione sartriana, per lAutre . Nella Nausea Lautre cest lenfer , laltro è linferno. Non davvero il mio alter-ego, compagno di via. E soltanto quello che si è venuto a metter seduto di fronte a me, e mi ha rovinato tutto con la sola presenza: mi opprime, lo ucciderei. E lopposto dellaltro come compagno di strada; è laltro come uno che debbo eliminare, odiare, soffocare, buttar via. Qui, oltre questa tensione dialettica tra natura e storia, tra corpo che ho e corpo che sono, tra intercorporeità mia e tua, tra spiegazione e comprensione, cè un tertium. Cè sempre un tertium nelle cose, non siamo mai una moneta a due facce sole; cè sempre nella moneta a due facce, una terza faccia che ci sfugge, che non vediamo, ma cè. Qual è questa faccia? Per noi psichiatri che ci siamo abbastanza aperti allaltro, anche al gruppo-altro, è linterpretazione. Perché io ti spiego quando, come neurologo, so i neuroni, le vie che mi consentono di dire, di quel riflesso o di quel disturbo la causa, lorigine; invece ti comprendo, nella tua e nella mia simpatia e antipatia, per una data azione compiuta o da compiere, con una presa di contatto immediata. Accanto alla spiegazione e alla comprensione ,troviamo un tertium: linterpretazione. Che senso gli do? Come linterpreto? Non è solo linterpretazione di un sogno che, se siamo junghiani, avviene in un certo modo; se siamo neo- freudiani in altro modo; se siamo vetero- freudiani, in un altro ancora: ce ne abbiamo tante di possibilità dinterpretazione. Non è solo un interpretazione sic et simpliciter, ma uninterpretazione costruttiva, cioè che aggiunge qualcosa al detto, al sentito, al consaputo, al taciuto, al sottolineato, allomesso. E quante cose omettiamo che pure sono radicalmente significative, proprio perché le abbiamo omesse mentre, se le avessimo dette, sarebbe stato tutto molto più semplice! Ecco linterpretazione costruttiva; ecco quel relativismo individualizzante, così ricco e pieno di sfumature. Davvero dobbiamo riconoscere che linterpretazione costruttiva non va apposta solo ad una presenza della metapsicologia freudiana, ma apposta anche a quello spirito acuto e inquieto, a volte anche un po bizzarro, che fu Jung. Linterpretazione costruttiva è per lui linterpretazione basata sullidea dellarchetipo: non solo dellarchetipo mio, ma dellarchetipo comune, collettivo. E che cosa significa archetipo collettivo? Qui entra di prepotenza lincontro con la gruppalità: lesserci, come esserci gruppalmente. E qualcosa di ben diverso dal mettersi in gruppo. Cè un trovarsi in gruppo, un interagire, certamente, ma cè una gruppalità che, come ci dice la Von Franz, noi portiamo dentro: noi siamo internamente già gruppo. Il Prof. Callieri non sa se la gruppalità si fondi solo sullarchetipo, ma vorrebbe aprire la discussione, dichiarando apertamente la propria inquietudine e ignoranza su questo aspetto. Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti: Il prof Pisani apre la discussione, dopo aver espresso il piacere e lonore della presenza del prof. Callieri che ci ha parlato dellIncontro, in maniera brillante e ricca di conoscenza fenomenologica. Sottolinea che lo spirito di questi seminari si basa proprio sulla gruppalità e sullincontro con gli altri e che punto fondamentale ne è la discussione. Riguardo la coscienza, evidenzia che letimologia deriva dal latino cum scio: so con gli altri. Se non ci sono gli altri, se non cè dialogo interpersonale e transpersonale, non cè coscienza, non cè lopportunità di condividere. Il dr. Lusetti fa presente che, a fronte del discorso del Prof.Callieri, così ricco di stimoli, di spunti, di tematiche, farà un intervento che scaturisce da una risonanza personale. Egli è uno psichiatra di lungo corso ed anche per lui è unepoca di bilanci. Una delle cose su cui anche lui si sta interrogando è questa tendenza della psichiatria ad oggettivare il malato, tendenza non solo della psichiatria, ma di tutta la medicina. (per Callieri è la tendenza a medicalizzare ad oltranza). Lusetti osserva che però la psichiatria si trova ad avere a che fare con un oggetto particolare che è la mente umana, e soprattutto con un soggetto particolare che è il malato di mente che, secondo la sua esperienza di 34 anni, ha la caratteristica di ribellarsi profondamente a questo processo di oggettivazione. Il malato di mente non si fa oggettivare; reagisce in mille modi, tantè che il manicomio è stata una delle risposte che non solo la psichiatria, ma anche la società hanno inventato per costringere il malato a farsi oggettivare, perché il malato di mente è inquietante per tanti aspetti. In questo momento di bilanci suoi, ragionava e voleva unopinione di Callieri, su quello che è cambiato nellassistenza psichiatrica in Italia, rispetto a questo specifico problema delloggettivazione del malato di mente, del suo ridurlo ad oggetto. Ad un certo livello, egli ritiene che sia vero che è stato liberato dallatroce condizione manicomiale, ma la sua pratica quotidiana sia in ospedale psichiatrico, sia in spdc, sia sul territorio, è che in realtà ci sono tante forme di oggettivazione del malato di mente che si evidenziano sempre di più via via che il malato di mente viene inserito, integrato nella società. Per certi versi, infatti, uno psichiatra che rompeva lo schema manicomiale, aveva più facilità di arrivare alla persona; adesso si ha a che fare con tutta una serie di istanze che sono dietro e sopra il malato di mente con le quali lo psichiatra è costretto ad interagire: le famiglie, la pressione dellopinione pubblica, la produttività delle aziende, la necessità di organizzare le équipes in un certo modo. Sembra che loggettivazione, che appariva superata per un verso, si sia per laltro riproposta. Il prof. Callieri non solo si dichiara completamente daccordo con questa analisi, ma provenendo nella sua memoria, il giovane psichiatra del periodo basagliano, col quale aveva legami, polemici ma sempre molto vivaci, si sente pieno di tristezza. Gli pare che tutto sommato nous sommes toujours là, torniamo sempre al punto di partenza; come se ci fosse una specie di destino che trasporta luomo nel suo desiderio e tentativo di liberare laltro uomo e di riportarlo autenticamente al tu; ma poi si rivela come un destino che invece ti mette proprio nella condizione di ricosificarlo: lentamente, dolcemente, insidiosamente, reificarlo. Sottolinea che fin dallinizio della sua relazione, egli ha espresso questo timore, questo cruccio della reificazione. Ha 85 anni, per cui si appresta ad imbarcarsi per lultimo volo. Ma gli piace richiamare la nostra attenzione affinché non vengano viste lucciole per lanterne. Forse perché anziano, è alquanto pessimista sulla possibilità di liberarsi da questo rischio che lentamente, dopo gli anni 70, è venuto riaprendosi, perché ci si è troppo ingolfati nellordinamento burocratico: la burocrazia è quella che distrugge la libertà dellaltro. La dr.ssa Valacca è contenta di trovarsi nel gruppo, dopo un periodo non proprio buono. Ringrazia Callieri per questa sua lezione dove i punti essenziali ruotano intorno ad alcuni concetti che in genere difficilmente riusciamo a mettere insieme, come egli ha cercato di proporre: lEgo, lIo, lAltro e il concetto di gruppalità. Questi tre concetti sono difficili da mettere insieme dal punto di vista della classifica, oltre che del senso. L Io infatti di per sé non esiste: è un entità astratta che vive attorno con una gruppalità illimitata. LAltro può essere definito come un termine di confronto versus o contra, a seconda della spinta damore o di odio. Ora il problema può essere quello delloggettività, altro concetto che è stato ripreso e portato avanti cercando di approfondirlo, anche con un senso critico riduttivo, come posto in essere dal positivismo prevalentemente ottocentesco. Evidenzia che oggi, rispetto alloggettività, si parla sostanzialmente di unoggettività debole. Il concetto di oggettività non regge più nemmeno per un ricercatore che quando indaga, condiziona ciò che indaga. Le scienze empiriche, le scienze della natura e quindi anche la psicologia sperimentale, che lei ben conosce, sono le prime a dirlo. Il concetto di oggettività, pur ridimensionato, in qualche modo può essere di garanzia per lindividuo in quanto classificando, con tutto il rischio delle classificazioni, lindividuo cerca di fare ordine che, ad un certo livello, gli permette di posizionarsi in un certo modo. Sottolinea quindi che la questione dellEgo oggi ripropone tante difficoltà, perché uno non si riconosce mai: ha tanti aspetti. La moneta non ha due facce, ne ha unaltra e unaltra ancora, rispetto allinterpretazione. La questione delloggettività servirebbe per comprendere questo atteggiamento non solo del ricercatore, ma anche del profano, e per garantire lEgo, lIo, in quanto di fronte allaltro, in un rapporto dinamico, si può anche perdere. Accenna alla tensione interna, dovuta alla molteplicità delle figure del teatro mentale, come gruppalità. Sembrerebbe che questa oggettività, come concetto e come ricerca, serva per garantire una certa definizione del contorno dellEgo. Chiede il parere di Callieri su questa sua considerazione. Il prof. Callieri dice che questo suo intervento è ricco e coinvolgente perché tocca tutti i problemi della critica dellegologia. Lintervento ha sollecitato in lui lassociazione che quando diciamo Ego, diciamo sì egoità, ma diciamo anche ipseità. Si chiede se allora lEgo è lIpse o lEgo è semplicemente una funzione emergente rispetto allinconscio, in una dialettica col Super-Ego, secondo la metapsicologia freudiana, oppure l Ego sia unistanza mutevole; unistanza che si adatta, una specie di proteo che tu prendi e ti sfugge di mano, lo riprendi, pare che hai preso questEgo e invece sta lì, da una parte e sogghigna perché ti ha fatto fesso unaltra volta. QuestEgo nostro che ci illudiamo di capire, di cogliere, dimmedesimarci nelle sue parvenze, ed è invece inafferrabile. Crede che questa sia la giustificazione del perché Agostino diceva et inquietum est cor meum donec requiescat in te, cioè questa inquietudine interna è legata proprio al nostro essere io, che regge e non regge, perché non siamo mai fondati stabilmente in qualche cosa: siamo un continuo muoversi, una specie, come si dice oggi, di liquidità. Ringrazia la dr.ssa Valacca per questa sollecitazione e le esprime la sua gioia nellaverla rivista qui. Il dr. Zipparri osserva come ancora una volta il Prof. Callieri sia riuscito a presentare in maniera esemplare un pezzo di storia della psichiatria italiana e della sua evoluzione, che coglie aspetti su cui non dovremmo mai smettere di riflettere. Ad esempio, è stato colpito dal discorso della matrice positivista della psichiatria ottocentesca: le malattie mentali sono malattie del cervello, che poi si ritrova in maniera anche prosaica nello skinnerismo. Quindi questo legare la psichiatria e la psicopatologia alla matrice positivista che era imperante, ma anche al recupero del tanto vituperato romanticismo, nella storia della psichiatria. Persino un pensatore come Freud, che è stato accostato dai neo-freudiani al marxismo, e quindi lontano dallidealismo e dal romanticismo, invece oggi si può leggere in una chiave vicina al romanticismo tedesco. Chiede il parere di Callieri. Il prof. Callieri lo ringrazia perché ha toccato un tema che considera lasse portante per capire la storia attuale della psichiatria. Ha parlato di vecchio romanticismo, quindi della psichiatria che esce dallimpostazione illuministica (Lantropologia pragmatica di Kant è del 1797), e si apre improvvisamente attraverso Ficthe, Schelling e Schopenhauer, alla psichiatria romantica. Si riferisce ad un suo libro sulla Paranoia uscito pochi giorni fa per Anicia, una piccola casa editrice. In questa sua ultima fatica, ultima in senso letterale, ha chiamato il suo amico Filippo Ferro a scrivere il capitolo sulla psichiatria romantica. La paranoia prima di Kraepelin, che la vedeva come qualcosa di strutturato in senso positivista, è la paranoia legata ai problemi della colpa e del destino, ed è tutta romantica. E un tipo di psichiatria reattiva a quella dellilluminismo, troppo reattiva tantè che prepara la reazione univoca di Griesinger e di tutto il gruppo che viene dopo. In Francia sollecita Auguste Comte che, preso o come un immane faro luminoso o come colui che ha distrutto tante cose, è stato fondamentale: lo spartiacque dell800 va visto in Auguste Comte. Egli non è nè di lingua inglese nè di lingua tedesca: egli riesce a spezzare i vincoli della psichiatria romantica e a riproporre limpostazione positivista. Callieri evidenzia come, con la sollecitazione del Dr. Zipparri può riempire un vuoto: limportanza, per questo tipo di problemi dellidentità, dellincontro, della dialettica tra psichiatria e psicoterapie, limportanza della psichiatria che precede limpostazione della classica psichiatria della fine del secolo, che poi è la psichiatria di Comte, di Lombroso, del vecchio Morselli (congresso di Parigi del 1893). E una psichiatria che irretisce il pensiero italiano fino e oltre linvasione dellidealismo crociano e gentiliano. Fa presente che per il suo libro sulla paranoia, di cui viene chiesta la data della presentazione, a parte il collaboratore Carlo Maci, che gli è stato molto accanto, deve ringraziare oltre Filippo Ferro, anche Laura Faranda che ha scritto un importante capitolo sulla paranoia nel mondo antico: che cosa significa paranoia nel mondo greco, nel mondo di Eraclito, nel mondo della Stoà, nel mondo di Sesto Empirico, nel mondo di Lucrezio (il De rerum natura). Ha scritto un capitolo bellissimo. Dice anche di aver incaricato Salvo Inglese, un collega catanzarese che si occupa di psichiatria transculturale, di curare la paranoia nei suoi aspetti più aggressivi e culturalmente più negativi: Inglese ha scritto un capitoletto dal titolo Anche Hitler carezzava i bambini, per dire che anche nelle persone che sembrano incarnare laspetto più massacrante dellaggressività del paranoico invadente, resta, in alcuni di essi, questa possibilità di dare una carezza, che sembrerebbe invece in lui radicalmente tramontata. Per noi psichiatri questo è il problema della dialettica, ben detto dalla dr.ssa Valacca: dobbiamo imparare che la nostra moneta non è a due facce, ci sono almeno tre facce. Il prof. Pisani torna alla storia della coscienza, letimologia della quale è cum scio, cioè conosco luomo insieme agli altri: non esiste coscienza se non cè questa condivisione. Gli viene in mente che nellambito della Group Analytic Society, la scuola gruppo-analitica, ha come fondamentale il concetto di meeting of minds, cioè lincontro delle menti. Se non cè lincontro delle menti non potremmo capire mai di cosa stiamo parlando, dare il senso ed anche il significato. E dallincontro delle menti, dal dialogo tra le menti, che nasce la verità. E interessato, dal punto di vista della vecchia scuola psichiatrica romana di Cerletti, di cui si considera uno degli ultimi residui, a cosa sia emerso nel 54 dallincontro tra Bini, Cerletti, Challiol e Cerquetelli, a cui lui non era presente. Il prof.Callieri è stimolato però dal meeting of minds. Propone per un altro incontro, una tematica che non è neppure sua, sulla réciprocité des consciences , la reciprocità delle coscienze. Intanto possiamo parlare di coscienza in quanto siamo reciproci: la reciprocità dincastro. Della reciprocità delle coscienze parlò in una tesi mirabile uno psicologo, francese, Maurice Nédoncelle che, nel lontano 1942, discusse alla Sorbonne questa tesi sulla reciprocità delle coscienze, proprio quando i cannoni dellesercito nazista si avvicinavano a Parigi. Egli ebbe il coraggio di parlare di reciprocità europea delle coscienze, sotto lombra affrontante dei nazisti. Tesi della Sorbonne, ripresa sei anni dopo da un altro grande coraggioso francese, Jerphagnon. Questa Francia, anche sotto il tallone nazista, parla di reciprocità delle coscienze. Osserva che Pisani ha toccato un punto che per lui va sviluppato. Il prof. Pisani si permette di chiedergli se il prossimo anno potrà fare il seminario dapertura, sulla reciprocità delle coscienze, invito che il prof. Callieri accetta. Il prof. Pisani chiede se qualcuna delle giovanissime menti che sono entrate a far parte della gruppalità, possa porre qualche domanda. Rivolge l invito a Federica Manieri, che presenta brevemente come allieva della dr.ssa Meoni. Si è laureata con una tesi sul significato del mosaico costruito dai pazienti della Meoni, dandogli un impronta essenzialmente junghiana. La dr.ssa Manieri dice di aver ascoltato piacevolmente e di aver imparato molte cose. Callieri osserva che il mezzo secolo che li separa, ha un significato di densità storica: la voce di un sopravvissuto e la voce di chi nasce adesso. Un marzo e un dicembre assieme: è bello vederli. Il prof Pisani si rivolge poi alla Dr.ssa Palumbieri e si dice curioso della sua aria piena dinterrogativi. La dr.ssa Palumbieri si presenta. E regista Rai e partecipa al gruppo in quanto moglie del Dr. S. Zipparri. Il prof.Callieri trova interessante sentire una voce del coro. La dr.ssa Palumbieri ha trovato molto stimolante lintervento di Callieri di cui elogia la capacità di grande sintesi. Avvicinarsi a tanti argomenti, contemplarli tutti, legarli tutti come quando. Nel suo campo, se si deve fare ad esempio un racconto di 100 anni di giornalismo e si deve mettere insieme quello che ha mosso il giornalismo: la notizia, i giornalisti, le testate. E una capacità di sintesi che rende il relatore stimolante e intrigante, perché è unita alla capacità di raccontare, di collegare, di mettere insieme varie trame e alla fine, come se fosse in un giallo e non abbiamo scoperto il colpevole. Il prof. Callieri le risponde con una frase suggeritagli da Giorgio Manganelli: Colpevoli sono sempre le parole dette a scapito di quelle non dette. Nella sua lunga carriera ha incontrato di tutti i tipi: da artisti della penna ad artisti del colore, da musicisti a poeti, da teologi ad accaniti razionalisti e naturalisti, per cui tutto questo mondo dintelligenze, e quasi sempre dintelligenze sofferenti, lha sempre coinvolto. Crede che la cosa più difficile per tutti noi psichiatri e psicologi sia vincere le difese che internamente abbiamo per non lasciarci troppo coinvolgere dalla sofferenza dellaltro. Fino ad un certo punto devi capire che è necessario, ma soffrire tanto insieme non va bene: bisogna darsi una regolata. Come è accaduto ad un carissimo collega freudiano: andando male unanalisi, anche lui, come il suo paziente, ha messo fine alla sua vita. Di fronte a questi atti resti molto, molto perplesso. Ricorda che per settimane rimuginava dentro questa avventura sventurata e crede che, se anche adesso gli è tornata alla mente, vuol dire che dentro di sé la ferita ancora cè, altrimenti non ne avrebbe parlato. La dr.ssa Di Gennaro assimila la relazione ad un diamante che ha una molteplicità di facce, ma un unico bagliore molto accattivante. Ha una perplessità sulla sofferenza. Soffrire col paziente è inevitabile; sicuramente non possiamo allontanarci da questa cosa, però lasciarci prendere dalla sofferenza non è utile né per il paziente né per noi. Considera che, se abbiamo fatto una buona scuola, siamo capaci di dividere il nostro, da quello che è del paziente. Il prof. Callieri commenta che è difficile. Non basta la buona scuola perché si sta sempre su filo del rasoio. Platone, quando parla della Metexi, cioè della partecipazione, fa dire a Socrate state attenti a non partecipare troppo. E il problema del limite. Note di redazione: (r) la lettura presentata così come il dialogo nel dibattito a seguire la registrazione vocale degli interventi dei partecipanti rivista dal relatore. Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com |
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