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di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi |
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Il trattamento gruppoanalitico delle cefalee essenziali
Dr.ssa Giuseppina Colangeli Il Dr. S. Zipparri, coordinatore dell’incontro presenta la Dr.ssa Giuseppina Colangeli che è psicologa, psicoterapeuta. Fa parte del gruppo storico che ha lavorato a fianco del Prof. Pisani infatti, oltre che lavorare privatamente come psicoterapeuta, collabora col Prof. Pisani nell’ambito del trattamento gruppoanalitico. Il Dr. Zipparri dà la parola alla Dr.ssa Colangeli che presenta il proprio lavoro suddiviso in due parti: una prima parte teorica, per dare una visione d’insieme e una terminologia sulla classificazione delle cefalee; una seconda parte pratica, dove farà riferimento all’esperienza clinica e porterà esempi in modo da porre in corrispondenza la teoria e la pratica. La Dr.ssa Colangeli dà lettura della sua relazione dal titolo: [(t) “IL TRATTAMENTO GRUPPOANALITICO DELLE CEFALEE ESSENZIALI” * *Giuseppina Colangeli, Rosanna Cerbo, Rocco A. Pisani. Policlinico Umberto I di Roma - centro di Medicina del Dolore “Enzo Borzomati”- I Padiglione Viale del Policlinico, 155 Roma, ITALIA Riassunto E’ riferita un’esperienza di psicoterapia gruppoanalitica con pazienti affetti da cefalea essenziale che, per circa tre anni hanno partecipato come membri ad un gruppo analitico condotto da G. Colangeli e R. A. Pisani. Sono riportate alcune sedute del gruppo particolarmente significative in proposito e gli autori ribadiscono che, dove non esiste una patologia organica,va presa in considerazione l’ipotesi di una forte componente psicosomatica. In particolare si afferma che questo tipo di cefalea implica un meccanismo di somatizzazione sostenuta da istanze auto aggressive e una forte componente psicosomatica. Prima di parlare del tema specifico è opportuno sintetizzare alcune nozioni fondamentali che riguardano la Gruppoanalisi. Il mal di testa è sicuramente un’esperienza comune a tutti, è una patologia che affligge da sempre l’uomo e che affonda le radici in epoche lontane. La patogenesi delle cefalee è stata studiata ampiamente sul piano biologico, mentre altri Autori hanno cercato di comprendere le cefalee essenziali attraverso lo studio della psicopatologia, della psicodinamica e del comportamento degli individui. Per affrontare il problema delle cefalee e delle sue manifestazioni è indispensabile fare riferimento alle nozioni e alle dimensioni teoriche che sottendono la psicosomatica, poiché la cefalea è un disturbo che esprime significati inconsci rimossi attraverso la somatizzazione ed è, perciò, un disturbo da inquadrare nell’ambito di una visione unitaria tra mente e corpo. Il principale ideatore e ispiratore della medicina psicosomatica è stato F. Alexander (1891-1964), psicoanalista statunitense di origine ungherese, che considerava la malattia come una funzione di parecchie variabili: ereditarietà, esperienze primordiali della prima infanzia, sonno, educazione, traumi affettivi, clima affettivo, ecc. In altri termini, sosteneva che ogni stato emotivo avesse la sua sindrome fisiologica propria. La chiave di volta di ogni processo psicosomatico è quello che Freud definì “il salto dallo psichico al somatico”, introducendo il concetto di “conversione” a cui attribuì, oltre la concezione economica, un significato simbolico, per cui un organo o una parte del corpo esprimono rappresentazioni rimosse. Freud collegò la conversione al problema dell’isteria: infatti, attribuiva i sintomi isterici alla rimozione d’idee o pensieri incompatibili con la sensibilità morale o sociale dell’individuo. Per mantenere la rimozione, la libido associata all’idea insopportabile deve essere eliminata da essa; tale energia viene poi trasformata in un’espressione somatica che Freud chiamò - appunto - conversione (Freud,1894). Il sintomo fu visto come un’espressione, mascherata mediante la conversione, di una fantasia inconscia: una fantasia inconscia originata dal complesso edipico e dalle fantasie aggressive della prima infanzia (Freud, 1896 a – 1906). Stekel (1950) riteneva che tutte le nevrosi fossero causate da un conflitto psichico, ed estese il modello freudiano della conversione isterica a un ampio spettro di disturbi somatici, introducendo il termine somatizzazione (somatisieren) quale processo per cui una nevrosi sedimentata nel profondo viene espressa attraverso un disturbo fisico ( Stenkel, 1924). Usò, tuttavia, i termini “somatizzazione” e “conversione” per denotare lo stesso processo, estendendolo oltre i confini dell’isteria fino a includere i disturbi somatici. A seguito di numerosi studi, dal punto di vista psicosomatico, sugli aspetti psicodinamici delle cefalee (emicrania, cefalea tensiva, cefalea a grappolo) sono state formulate varie ipotesi; tra cui quella della repressione dell’aggressività . Il paziente cefalalgico preferisce rifugiarsi nel razionale e controllare il mondo istintuale. Tale controllo finisce per inibire le pulsioni come l’aggressività e la sessualità e, l’attacco emicranico rappresenta il momento acuto del conflitto tra le pulsioni istintuali che cercano di emergere e la coscienza che si oppone a esse (Marty, 1972 – Pisani R.A.,Arzilli A. 1989). I pazienti emicranici scelgono il capo per il conflitto tra razionalità e sentimento; sono generalmente persone che provengono da famiglie rigide e dove sono severamente puniti i sentimenti di ostilità. Il paziente deve reprimere i suoi impulsi aggressivi e, quando quest’aggressività aumenta, si scarica con un attacco cefalalgico (Pisani A. 1994). Dal punto di vista psicoanalitico il dolore è ritenuto un sintomo di conversione delle pulsioni istintuali. L’emicrania sarebbe il risultato della regressione d’impulsi aggressivi e il sintomo una autopunizione ed autoaggressione per espiare il senso di colpa ( Pisani A. , Arzilli 1994). A questo proposito, desideriamo qui ricordare uno studio dell’emicrania, mirato ad approfondire la personalità dei pazienti cefalalgici attraverso la somministrazione di test, condotto dalla sottoscritta e altri nel 1996 presso il Policlinico Universitario “Umberto I” di Roma , Ambulatorio Neuropsichiatrico del Dipartimento di Scienze Neurologiche, responsabile Prof. R.A. Pisani ( Pisani A., Colangeli G., Popolla P.1996) . I risultati hanno dimostrato una specifica personalità dei pazienti, caratterizzata, dal punto di vista clinico, da un alto livello di sintomi depressivi e, dal punto di vista psicodinamico, da una repressione dell’aggressività per il predominare dei sensi di colpa, per cui è emerso che tali sentimenti di colpa generano una ostilità che tende alla distruzione della intelligenza, la cui risultanza si esprime con il dolore. Questo lavoro ci ha portato a considerare la cefalea come una somatizzazione depressiva istero-ipocondriaca nella maggior parte dei casi (Pisani A., Arzilli A.,1989). L’emicrania sembrerebbe rivelare simbolicamente una lotta interiore tra il mondo del capo e il mondo della ragione con il mondo delle emozioni e degli istinti. A sostegno di ciò c’è il fatto che molti emicranici hanno nel proprio stile di vita la difficoltà a lasciarsi andare ed abbandonarsi. La scelta del capo come “organo bersaglio” si presta a varie interpretazioni. Il capo è sempre stato considerato come luogo della coscienza, intesa come capacità di conoscere il mondo e se stessi. Il capo è la sede dell’intelligenza, dell’immaginazione, della ragione e del pensiero e con la testa si prendono le decisioni. In questo luogo, insomma, si trovano le strutture che permettono all’individuo di pensare, di agire, di sentire e di vedere. Anche nel linguaggio comune spesso si usano delle espressioni tipiche e significative: agire senza testa, cioè agire in modo sconsiderato; chinare la testa, cioè rassegnarsi; Mi romperei la testa, cioè mi punirei; Non so dove sbattere la testa equivale a essere indecisi; Perdere la testa equivale a perdere il controllo emotivo; Mi va il sangue in testa equivale ad arrabbiarsi; E molte altre ancora potrebbero essere citate. Studi effettuati da vari Autori, hanno confermato le osservazioni di altri AA. Di formazione psicoanalitica e psicosomatica, mettendo in evidenza come la cefalea rappresenti un espressione somatica do un conflitto psichico inconscio, centrato sulla gestione della aggressività. Il sintomo esprime una repressione di sentimenti ostili rimossi che sono rivolti contro se stessi. Il sintomo può essere interpretato come una forma di depressione espressa somaticamente oppure come una sofferenza somatica che fa da barriera all’emergere di una depressione conclamata, poiché i sintomi psichici della depressione non compaiono in primo piano (Pisani e Altri, 1983,1989,1990,1994). I sintomi fisici rappresentano un blocco della comunicazione e nello stesso tempo sono una comunicazione indiretta della persona. Il lavoro gruppo analitico consiste nello scoprire il significato di questi sintomi per essere de somatizzato, tradotto in parole e mentalizzato. La traduzione ha una parte importante per aiutare le persone a esprimere quegli aspetti di se e delle loro relazioni che non possono essere espresse in altra maniera.( Pisani A. 2005). Le riflessioni che andremo a fare in questo lavoro nascono dall’esperienza fatta e dal lavoro svolto con un gruppo di pazienti, affetti da cefalea essenziale in trattamento gruppo-analitico presso il Policlinico Universitario “Umberto I”. È un gruppo formato da 8-12 o più membri, che ha avuto inizio nel settembre del 2005. E’ un gruppo semiaperto e l’età dei partecipanti è compresa tra i ventiquattro e i cinquanta anni, con un livello d’istruzione che varia dal diploma alla laurea. Il gruppo è costituito da cinque maschi e otto femmine e la frequenza delle sedute, della durata di un’ora e mezza ciascuna, è di una volta a settimana. Il gruppo è condotto dal Prof. Pisani e da chi vi parla in qualità di co-terapeuta. Il presente lavoro si riferisce a un gruppo di pazienti cefalalgici, vistati nell’Ambulatorio di terapia del Dolore dell’Università di Roma dalla Prof.ssa Rosanna Cerbo. Detti pazienti cefalalgici sono stati selezionati, dopo aver escluso qualunque sospetto o certezza di patologia. I pazienti sono stati scelti tra quelli visitati dagli A.A del presente lavoro dopo : un colloquio anamnestico, dove oltre alle notizie generali del paziente e quelle riferitesi all’ambiente familiare è stata riscontrata una patologia cefalalgia della quale si è indagato sull’inizio e sul decorso della sintomatologia e a tali pazienti è stato proposto di “tentare una nuova via terapeutica” attraverso l’esperienza di gruppo. In genere, tali pazienti, si presentano con un buon adattamento alla realtà, con un pensiero ricco di fatti e di cose e povero di emozioni. Si tratta, in sostanza, di pazienti che difficilmente riferiscono sentimenti di rabbia, paura, delusione e insoddisfazione (alessitimia). Le famiglie non offrono contenimento psicologico né permettono l’espressione e la ricezione di affetti. Favoricono la somatizzazione non parlando dei sentimenti e dando sostegno e attenzione solo quando i bambini hanno sofferenze psichiche o sono malati .I sintomi fisici rappresentano un blocco della comunicazione e nello stesso tempo sono una comunicazione indiretta Tutte le loro capacità difensive tendono a tener lontani i contenuti psichici inaccettabili a costo di sofferenze somatiche. In questo senso sono persone che non riescono a percepire la rabbia e la frustrazione e neppure riescono a immaginare una possibile connessione tra la propria cefalea e le proprie emozioni. Possiamo affermare che ci si riferisce a un gruppo “omogeneo” di pazienti cefalalgici. I gruppi di patologia omogenea, non sarebbero particolarmente indicati per la psicoterapia gruppo-analitica, in quanto l’omogeneità condiziona lo sviluppo di difese omogenee, ma nello stesso tempo sono indicati a scopo di ricerca. Foulkes (1975) ad esempio, pur non ritenendo utile parlare degli individui in termini di etichette convenzionali e nel rispondere alla questione dell’indicazione e della controindicazione, reputa che per la costituzione di un gruppo di psicoterapia “uno dei punti più importanti da tener presente sia il bagaglio culturale generale, lo status sociale, l’intelligenza e l’età. Questo è assai più importante delle diagnosi formali che, invero, preferiamo siano eterogenee”. Siamo assolutamente d’accordo con tale indicazione, ma non possiamo non tener conto, nel nostro caso, dell’oggettività del sintomo, il quale non esclude affatto la possibilità del trattamento gruppo-analitico che, per rendere i pazienti cefalalgici gradualmente capaci di accedere al proprio mondo emotivo, si rivolge all’intrapsichico individuale, attraverso il processo interattivo interpersonale e trans-personale. Possiamo dire, in ambito clinico, che per questi pazienti il livello di omogeneità più immediato, ma potremmo dire anche più “grossolano”, è costituito dall’aggregazione in base alla diagnosi “cefalea”, ma ciò ci deve comunque portare a considerare che siffatta diagnosi è solo l’elemento più superficiale ed immediato, ma anche parziale, mentre dietro si nasconde “il profondo” delle loro ansie e paure. Pertanto, nell’omogeneità si deve leggere la condivisione di un sintomo specifico: il dolore cefalalgico che è posto in primo piano e diventa il sintomo che definisce il “senso di appartenenza e l’identità del gruppo stesso”. I pazienti, attraverso l’inserimento in gruppo, cominciano inizialmente a rivolgere la loro attenzione esclusivamente alla sintomatologia ma poi, pian piano, cominciano a entrare in contatto con le proprie emozioni e a costruire un ponte tra il sintomo cefalalgico e il proprio mondo interno per poter imparare ad ascoltare il linguaggio del corpo che si esprime con il dolore Attraverso il “dialogo” cadono i meccanismi di difesa e si avvia la libera espressione individuale: il linguaggio, diventa comunicazione, e può essere compreso; i sintomi possono essere “parlati”, cioè pensati ed essere tradotti in parole e, quindi, nel corso dell’analisi, affrontati e modificati, attraverso il passaggio dalla somatizzazione alla mentalizzazione. Tale omogeneità è anche l’elemento che poi permetterà al gruppo “il rispecchiamento”, che è un fattore analitico d’importanza fondamentale. La persona scopre parti di sé, inizialmente attraverso il sintomo, ma in seguito nell’interazione con altri membri del gruppo. Vede reagire gli altri come la persona stessa reagisce, oppure in contrasto con il proprio comportamento. Attraverso il confronto, si arriva alla conoscenza di se stessi e questo è un processo fondamentale nello sviluppo dell’Io, attraverso l’effetto che ognuno fa agli altri e l’immagine che gli altri si formano di ognuno (Foulkes, 1964). Nel procedere al confronto, si facilita il vissuto di “condivisione e di fusione”, per poi, man mano che si procede nella terapia e si approfondiscono i significati inconsci del sintomo, avviarsi verso “la separazione e la propria individuazione”. La cefalea sicuramente è un’espressione somatica di un malessere e come tutte le malattie somatiche utilizza uno dei meccanismi di difesa più arcaici che si attua in un’espressione del disagio attraverso il corpo. Pertanto le emozioni, la sofferenza e l’ansia, troppo dolorose per essere vissute e sentite, trovano una via immediata di scarico nel disturbo cefalalgico. Il disagio emozionale e psicologico non è in grado di essere espresso, perché in tali pazienti non è percepito. Infatti, le emozioni non sono espresse, né rappresentate, e anche il linguaggio simbolico è assente. In tali pazienti il sintomo cefalalgico si presenta come somatizzazione degli stati emotivi sottostanti, per cui si preferisce colpire il “soma” e sfuggire all’elaborazione psichica. Possiamo affermare che la somatizzazione si pone come fenomeno passivo e la psicoterapia gruppo-analitica è lo stimolo che permette agli individui di “dare un significato al sintomo cefalea”, il quale non è altro che l’espressione dell’aggressività per effetto del senso di colpa. Contributo clinico Si riportano alcuni casi clinici come emersi nel corso di alcune sedute gruppo analitico molto significative. Paziente X.: racconta del lavoro che sta facendo in gruppo, paragonandolo ad un pozzo in cui calarsi per comprendere l’origine dei suoi malesseri, e dice: “… voglio riflettere sul mio mal di testa, ho cercato di comprendere l’origine e il motivo, è un mal di testa che compare all’improvviso quando sono in conflitto tra il dovere e il desiderio …” Aggiunge: “… il mio mal di testa sento che sta variando, prima sentivo uno “tsunami”, adesso sento una sensazione più precisa che è quella del samurai, io adesso ho una persona che si mette una armatura e una sciabola, lui mi possiede completamente, si mette con i piedi sopra le mie spalle e ha una sciabola e la mette in testa e la infila per tutto il corpo, mentre prima era un’onda generica” . Racconta come questi attacchi di cefalea si verifichino soprattutto la notte e aggiunge: “il dolore adesso è più personalizzato, prima ero quasi invaso da una calamità, ora mi sento messo all’angolo, la sensazione del mal di testa è cambiata, anche il dolore è cambiato, è come se fossi “matato” da qualcuno, sono un toro ucciso da un torero” Il significato emerso attraverso l’analisi gruppale è quello di una forte rimozione dell’aggressività contro le figure parentali; emerge un’aggressività che si ritorce contro, che ritorna indietro o sotto forma di “tsunami” o di samurai che trafigge. Nelle sedute successive il paziente X ha elaborato la rabbia repressa a seguito della separazione dei genitori, il senso di solitudine che affonda le radici nella figura maschile, che non gli ha permesso di avere dei punti di riferimento per cui è stato costretto a darsi da solo delle regole. Con gli attacchi di cefalea la rabbia impotente è esplosa attraverso l’immagine del samurai che trafigge e la rabbia verso la madre per essere stato abbandonato che si trasforma in un’onda che lo travolge inglobandolo e soffocandolo. Paziente Y: si presenta come una persona ipocondriaca che da sempre ha sofferto di cefalea e da circa un anno è peggiorata. La sintomatologia è peggiorata con l’apprensione per la figlia e la sua ribellione adolescenziale. Racconta: “sono nata in una famiglia dove mio padre esasperava tutto e io pensavo che loro mi avessero fatto un favore a farmi nascere ed era sempre un .. tu devi fare questo ..”.; tutto era solo un dovere. Ho frequentato le scuole che non volevo, ho subito lavorato, ho vinto due concorsi sperando che mio padre mi considerasse e quando stavo pensando di chiedere un trasferimento sono rimasta incinta. , Per mio padre il matrimonio è stato una tragedia e io non riesco a liberarmi di queste cose”. In un'altra seduta racconta del padre autoritario e violento che la picchiava fino all’età di ventisette anni, e cioè sino a quando si è sposata, e dice “ quando portavo lo stipendio a casa lui lo prendeva e decideva quanto potevo spendere, e sarei voluta andarmene da casa ma mia madre mi ricattava dicendo: tu mi fa i morire se vai via”. La cefalea nella paiente Y è strettamente legata al senso di colpa e alla ingiustizia della colpevolizzazione. La paziente soccombe ai sensi di colpa derivanti da una educazione rigida e terrorizzante e la sofferenza viene espressa attraverso la somatizzazione. Paziente Z.: “soffro di mal di testa da quando sono piccola, finchè alcuni anni sono giunta a recarmi in ospedale per farmi passare il dolore acuto, che mi procurava anche sensazioni di perdita di gravità,mi girava tutto e arrivavo a bagnarmi completamente di sudore, perdevo tutti i punti di riferimento ed era il mio fisico che entrava nel panico. Tutto cio mi portava ad dover sempre essere accompagnata….”. “ Mi ricordo che non mi sporcavo al parco, se toccavo la palla mi dovevo lavare le mani, ho sempre avuto problemi anche all’intestino, è stato sempre un farmi sentire in colpa e un sentirmi inadeguata e non potermi fidare di mia madre …”. “… il problema che ho elaborato qui è l’essere stata mandata a vivere con mia nonna e mentre all’inizio lo ricordavo come una cosa bella, poi ho cominciato a vivere l’esperienza in modo diverso, perché mi è stato raccontato che Loro (genitori) dovevano lavorare e non potevano occuparsi di me. Fino a sedici anni ho avuto problemi di addormentarmi e tutto ciò mi ha creato una rabbia. Sono stata condizionata nelle scelte con gli uomini, e per non perderli ho sopportato tutto fino alle botte, ho fatto un aborto per non perdere la persona con cui stavo. Qui ho realizzato che per dare una svolta alla mia vita debbo lavorare su me stessa …e mi hanno proposto la psicoterapia e nel giro di un anno e mezzo ho risolto, non ho più le medicine nella mia borsa e quando mi capita va via da solo….. la cosa più bella è che sono riuscita a costruirmi una vita, ho un compagno, vivo con questa persona, mi sono staccata da mia madre”, e concludendo dice “ volevo dire quanto questo lavoro è stato determinante per il mio futuro, per il rapporto con i miei figli e le persone che mi stanno intorno e sarà determinante per la mia vita futura”. Il significato elaborato in seguito è stato il bisogno di essere legata a qualcuno, anche se in modo distruttivo, come una bambina che ha bisogno della madre, e ancora l’essere obbligata a un certo comportamento di sottomissione per essere accettata e amata. A ogni protesta o reazione seguiva un severo castigo. Sottostare passivamente genera tuttora nella paziente una rabbia feroce che trova nel mal di testa l’unico canale per manifestarsi. Il contributo del gruppo le ha permesso di poter collocare uno stimolo doloroso (il vissuto di abbandono) all’interno dello spazio gruppale, e in tal modo le ha permesso di metabolizzare e trasformare la realtà psichica. Paziente W.: racconta dei suoi attacchi di cefalea cominciati durante una vacanza. Parlando di sé dice: “Sono il primogenito di quattro figli e fin da piccolo sono stato incaricato di aiutare dentro casa, mi ricordo che a sei anni andavo a comprare il pane e una volta fui anche investito da un pulmino”. In un’altra seduta racconta di aver dovuto abbandonare la sua passione per lo sport per entrare in un corpo militare, accontentando le attese del padre. Si è poi ritrovato sul lavoro alle dipendenze di un magistrato donna che lo assillava di obblighi e non gli riconosceva i suoi meriti. L’esordio del mal di testa avviene durante le vacanze, un momento piacevole di rilassamento. Il gruppo aiuta il paziente W a elaborare che la vacanza viene da lui vissuta come una condanna a non godere dei piaceri della vita. A questi si aggiunge il mancato riconoscimento nel lavoro, la rabbia per non essere stato apprezzato nonostante si comporti bene. L’ingiustizia scatena una rabbia che non potendo essere manifestata è trasformata in mal di testa. Paziente H, è un ragazzo di ventiquattro anni che segue, soffre di cefalea, iniziata in seguito ad una delusione amorosa. Nel corso di una seduta ricorda di alcuni sogni ricorrenti e dice: “Sognavo che avevo nel letto degli animali, mi svegliavo all’improvviso e vedevo o una volpe o una faina, un procione che dormiva con me ed io lo guardavo, pensavo che era realtà, mi svegliavo e gridavo “mamma ho un animale nel letto” e mi alzavo convinto che ci fosse l’animale”. Poi, parlando della madre afferma: “mi è venuta in mente la femminilità molto mascolina di mia madre; io ho un fratello di 36 anni che vive in casa e lui vede male tutti quelli che possono spezzare l’influenza di mia madre, lei è la regina della casa … ma penso che lei abbia un potere arcano, lei ci vuole bene però alcune cose che dice è come dire “da me non scappi”; non puoi scappare, anche se ti sprona a fare, e questa è una cosa molto ambivalente che io noto”. Emerge, in questo frammento, l’immagine onnipotente e iperprotettiva della madre arcaica che simbolicamente viene espressa attraverso gli animali. Si esprime la dipendenza da questa figura, la paura della fusione divorante che si oppone al percorso della individuazione. Paziente YY è americano e vive da 11 ani in Italia con il suo compagno. La cefalea insorge nel momento che viene a vivere in Italia . Racconta di un padre alcolista e di una madre colpevolizzante e racconta soprattutto della relazione con il suo compagno in cui si sente insoddisfatto e privo di sessualità. Afferma” mi basterebbe un riconoscimento ogni tanto e sento che il mio compagno ha un atteggiamento passivo –aggressivo come mia madre,mi rendo conto che faccio i capricci come mia madre e cerco di fare la vittima per essere coccolato, voglio rimanere bambino”. Racconta di aver lasciato la famiglia e un lavoro sicuro, “senza aspettative” e di aver fatto la scelta di venire in Italia senza pensare alle cose pratiche ma scegliendo con il cuore. Nel corso della terapia emerge la sua dipendenza vero il compagno e racconta di un attacco di cefalea in occasione di una uscita serale del suo compagno con degli amici e non lo informa del suo ritardo per cui a lui si scatena un mal di testa fortissimo per la rabbia di non essere stato avvisato, mentre lui si sente di aver abbandonato tutto per il compagno. Emerge il sentimento di un bambino che si sente abbandonato e il compagno non informandolo gli fa vivere la sensazione che non tornerà più. Tale ingiustizia vissuta dal paziente gli scatena un fortissimo attacco cefalalgico. Paziente WW è una ragazza di 24 aa. laureanda che si presenta con emicrania e difficoltà di relazionarsi al maschile ed aperta aggressività .Racconta di avere un rapporto molto conflittuale con il sesso che viene usato come una modalità di potere sugli uomini e un conflitto anche con il proprio corpo che viene deturpato dai tatuaggi e dal grasso. Ricorda che a 12 anni è rimasta traumatizzata dall’aver visto i propri genitori avere un rapporto sessuale e dice” ricordo la osa come sporca, sembrava un film porno… mi ricordo che li avrei ammazzati tutti e due …è una violenza che mio padre stava facendo a mia madre e mio padre godeva della violenza”. Racconta:” io ho un rapporto molto conflittuale con il mio corpo e il sesso….la paura di morire vergine mi ha portato ad aver la mia prima esperienza con un sconosciuto e in seguito altri rapporti occasionali e il mio corpo è stata una rivincita verso i miei genitori. Loro non hanno mai saputo quanto uomini ho avuto, ma ricordo che quando loro litigavano e mi dicevano qualcosa di brutto, o che dovevo dimagrire io pensavo ho tanto potere con gli uomini..” Poi racconta della conflittualità materna che non accetta la crescita della figlia e dice “mia madre non può più gestire il mio corpo, non sono più sua e ricorda che quando si è fatta una serie di tatuaggi la madre disse mi hai rovinato i mio corpo”. Nel corso dell’analisi di gruppo emerge la forte rimozione dell’aggressività, che viene in seguito indirizzata verso la sessualità maschile, ma che torna indietro sotto la spinta dei sensi di colpa e si esprime attraverso la cefalea. Ad un livello più profondo emergono ansie di separazione, i bisogno di essere legata a qualcuno, come una bambina che ha bisogno della madre e la rabbia per l’essere sottomessa poiché crescere significa esprimere la rivalità con la madre, nei confronti del maschio che in seguito si esprime con la competizione e l’avere uomini occasionali a cui dare piacere .
Paziente HH riferisce una infanzia difficile a seguito della morte del padre è stata mandata in collegio e parla della conflittualità che esiste con il marito con cui da tempo non ha rapporti sessuali. Dice “ero innamorata di mio padre e il collegio l’ho vissuto come un castigo inflitto prima da una vecchietta cattivissima e in seguito dalla suora dell’istituto”. Ricorda la solitudine del collegio e la presenza di Suor Genevieve, la responsabile dell’istituto che viene associata ad una nazista, per le sue modalità di controllo e rigidità. Emerge attraverso la cefalea la rabbia per le ingiustizie subite da questa suora terribile e castigatrice perché da una parte c’è il bisogno e la ricerca della suora, ma dall’altra parte c’è il bisogno di indipendenza Anche la difficoltà di avere contatti fisici con il marito è l’espressione di una antica aspettativa di castigo, la paura di essere castigata sul versante materno, quanto l’esperienza del collegio viene spostata sul marito, per cui esiste solo i castigo , la disciplina, ordine e il castigo della sessualità che è rappresentato da suor Genevieve e sua madre. COMMENTO Dai suddetti frammenti, tratti da alcune sedute gruppo-analitiche, emerge dunque, come l’aggressività sia espressa attraverso istanze autopunitive. Il sintomo cefalalgico si manifesta con il meccanismo del rivolgimento contro se stesso dell’aggressività. E’ una rappresentazione di sentimenti ostili e una barriera a una sottostante sintomatologia depressiva. La cefalea assume la funzione di compromesso del conflitto individuale, ma è anche una comunicazione distorta e camuffata dell’individuo. Il sintomo assume un significato di compromesso tra il bisogno di esprimere i propri impulsi e la necessità di rimuoverli e nasconderli, ricorrendo al mascheramento sotto la spinta e la paura di una punizione da parte dell’esterno (Conflitto individuo – gruppo)(Pisani,1995). Il sintomo cefalalgico assume un linguaggio specifico e pone al gruppo e al terapeuta il compito di tradurre il significato recondito e restituire il “vero significato”. Il lavoro gruppo analitico di traduzione consiste nello scoprire il significato del sintomo somatico per essere de- somatizzato, tradotto in parole e mentalizzato. CONCLUSIONI Prima di concludere, è necessario soffermarci ad evidenziare l’importanza - e il vantaggio - nell’utilizzo del trattamento gruppo-analitico, perché attraverso questa esperienza si offre un utile approccio allo studio e al trattamento dei disturbi psicosomatici, permettendo agli individui di esprimere la somatizzazione di difficoltà relazionali e l’opportunità di comprenderle all’interno di una rete di relazioni. Soprattutto la malattia somatica, specialmente se comune e condivisa, permette - all’interno della situazione gruppo-analitica - di sviluppare un lavoro collettivo e di ricerca degli elementi inconsci comuni. Le comunicazioni riflettono le rappresentazioni dei conflitti interni, riesternalizzati nel gruppo. Il lavoro consiste nello scoprire il significato dei sintomi, desomatizzandoli, traducendoli in parole e “mentalizzandoli”, ma anche nell’accettare di vivere l’impatto con le emozioni sollecitate dalla presa di coscienza. Nel lavoro collettivo di ricerca degli elementi inconsci comuni, emergono i legami d’interdipendenza sia dei partecipanti fra loro sia con il gruppo di riferimento o di appartenenza. La matrice di gruppo permette alla persona di pensare e sentire sensazioni e relazioni che in precedenza erano impensabili. Nel corso del lavoro si rielaborano a un livello emotivamente più profondo i contenuti, e la riattualizazione dell’esperienza permette l’emergenza di contenuti inconsci. La “metabolizzazione” dei contenuti, la rielaborazione nel “qui e ora” del gruppo, permette il cambiamento e la trasformazione. Il lavoro di gruppo permette di contenere e smaltire la rabbia derivante dall’impotenza e il lavoro terapeutico consente di modificare il ricordo, trasformare il passato in accettazione, cosicché si può modificare la propria storia e creare tutte le possibilità di un cambiamento. E’ nell’interazione che si comincia a comprendere con ansia e a volte con rabbia, attraverso il racconto degli altri, che muoiono le illusioni di un rapporto esclusivo, le aspettative onnipotenti, il desiderio di avere dall’altro la risposta a tutti i bisogni, per arrivare ad un atteggiamento più realistico e maturo. Questo processo di maturazione permette di arrivare all’individuazione, cioè a essere un individuo in grado di realizzare al meglio le proprie possibilità. I pazienti, la cui esperienza è cominciata due anni fa, a oggi sono ancora in trattamento, con una notevole diminuzione di attacchi cefalalgici che, in alcuni casi, sono addirittura scomparsi. I risultati ottenuti fino a questo punto sono sicuramente positivi e incoraggianti, anche se è certamente opportuna una nota di cautela A due anni dall’inizio della terapia, possiamo affermare che per la maggior parte delle persone la situazione cronica è stata alleviata e che il sintomo “dolore” si è notevolmente ridotto, con un conseguente miglioramento nella vita quotidiana, di lavoro e soprattutto di relazione. Il lavoro fatto fino ad oggi ci sprona fortemente a proseguire su questa strada. Ci piace concludere dicendo: la cefalea è una forma di espressione individuale, un messaggio da decodificare e uno dei molteplici modi in cui il nostro corpo può comunicare. È bene ricordare che a volte il sintomo mormora appena, ma sempre con la speranza di poter essere ascoltato.
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Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti: Il Dr.S. Zipparri sottolinea che uno dei meriti della presentazione è stato quello di semplificare in maniera molto chiara la personalità di base di chi soffre di cefalea. Lo ha colpito il riferimento alla razionalità che contraddistingue questi pazienti; al freno che pongono alle emozioni; al perfezionismo con cui seguono le loro ambizioni. Per quanto riguarda la parte più specificamente clinica-gruppoanalitica, chiede chiarimenti rispetto al gruppo omogeneo ed eterogeneo. In base a quanto esposto probabilmente il gruppo eterogeneo, dal punto di vista della ricerca, avrebbe fornito meno elementi, chiede però se in gruppo eterogeneo per patologia, questi pazienti avrebbero accelerato le loro possibilità . La Dr.ssa Colangeli afferma di non vedere differenze, nel senso che in questo gruppo il sintomo è l’unificatore iniziale. Sono tutti pazienti che affluiscono per il dolore cefalalgico, rispetto ad un altro gruppo di psicoterapia dove ci possono essere altri tipi di pazienti. In base alla sua esperienza reputa sia solo la punta dell’iceberg: il dolore cefalico li accomuna; inizialmente li aiuta nell’interazione perché si parla del dolore condiviso poi, superata la fase iniziale, in cui c’è questo momento di fusione, ognuno comincia ad elaborare il proprio vissuto ed emergono le sfere personali; allora il gruppo omogeneo si equipara a qualunque altro gruppo eterogeneo. La Dr. ssa G. Sgattoni chiede se, dal punto di vista della ricerca, risultano aspetti dell’aurea emicranica e se è stato considerato quello che Oliver Sacs, nel suo trattato sull’emicranie, segnala come elemento discriminatorio tra aspetti di tipo somatico e aspetti di tipo neurologico; cioè la stessa problematica può essere sintomo di un disturbo neurologico. Chiede poi circa l’espressione del dolore relativo alla mancanza e all’aggressività e se nella storia dei pazienti è emerso che una manifestazione di risposta aggressiva ha compensato la sintomatologia emicranica e se questo si è collegato, almeno nei casi menzionati, al desiderio di assecondare i genitori e quindi a pazienti “bravi bambini”, che non sono riusciti a seguire la propria strada , a separarsi e ad individuarsi. La Dr.ssa Colangeli sottolinea che il problema centrale di questi pazienti è proprio che non riescono a separarsi e ad individuarsi: sono tutti bravi bambini che soccombono passivamente, finché poi nel corso della loro vita somatizzano, trasformando questa rabbia in cefalea. La Dr.ssa Sgattoni rileva che dipende anche da come proseguono la loro vita: se restano prigionieri di questa problematica, essa si può ripresentare anche nelle scelte successive. La Dr.ssa Colangeli. fa presente di aver sintetizzato nella relazione, ma questi pazienti prima di arrivare nel gruppo, erano capaci di auto somministrarsi bombe di farmaci. Il Prof. Pisani aggiunge che si tratta di 4-5 fiale al giorno di antidolorifici; uno di questi pazienti, con cefalea a grappolo, era in dipendenza da questi farmaci. La Dr.ssa Sgattoni. rileva che ciò ribadisce la dipendenza dalla quale non si è venuti fuori. Il Prof.Pisani aggiunge che uno di questi, tra quelli che non hanno continuato la terapia, fortemente dipendente da farmaci analgesici, ha fatto uso anche di cocaina. La Dr.ssa Sgattoni pensa alla possibilità di scaricare in altri modi, magari con degli agiti. La Dr.ssa Colangeli riporta il caso di una paziente che aveva degli agiti distruttivi per cui aveva questi comportamenti, tra l’altro è una che si è persa; nel momento in cui c’era da approfondire degli aspetti che aveva capito, ha preferito continuare con i suoi agiti.. Il Dr. S.Zipparri. chiede che livelli esistenziali abbiano questi pazienti, nel senso di quali traguardi sociali abbiano raggiunto. La Dr.ssa Colangeli spiega che ci sono due professori universitari; un rappresentante della finanza; studenti e qualche casalinga. Il Dr. Zipparri si riferisce al perfezionismo che poteva averli portati a raggiungere traguardi elevati. Il Prof. Pisani evidenzia che molti sono andati via per conservare il sintomo di difesa che è la somatizzazione; l’angoscia di ridimensionare il sintomo di difesa era talmente forte che li ha spinti a lasciare la terapia, pur essendo intellettualmente dotati. Il Dr. W.Lusetti chiede come abbiano manifestato la loro resistenza quelli che sono andati via; secondo lui un metodo facile potrebbe essere quello di nascondersi dietro la persistenza del sintomo; continuare a parlare del mal di testa mentre è il passaggio al discorrere dell’aggressività che forse rappresenta la chiave del progresso terapeutico. Di solito gli psicosomatici alexitimici sono estremamente restii; è abbastanza miracoloso che in questo gruppo di alexitimici si mettano a parlare dell’aggressività e delle loro esperienze. Il Prof. Pisani sottolinea il verificarsi di una grande selezione; la Dr.ssa Colangeli precisa che è autoselezione. Il Dr.Lusetti chiede un chiarimento sugli aspetti positivi e negativi: sia come si trovavano all’inizio sia come sono usciti: se attraverso questa resistenza a parlare molto del sintomo o attraverso quali vie. La Dr.ssa Colangeli spiega che molti sono scappati; qualcuno ha colto gli aspetti più profondi, ma non ha retto. Il Dr. Lusetti chiede in che modo sia avvenuto e se ci siano state contestazioni. La Dr.ssa Colangeli risponde che hanno colto periodi d’interruzione che fornissero loro una giustificazione. La Dr.ssa A.M. Meoni è interessata ai numeri di questo dropout nel processo di selezione. Il Prof. Pisani fa presente che nel corso di un paio di anni sono passati una cinquantina di persone di cui 13 sono rimasti. Il gruppo si è costituito all’interno del laboratorio della Dr.ssa Cerbo e, assieme a lei, da un collega molto in gamba: Gianluca Bruti che ha preso l’iniziativa di fondare questo gruppo. L’iniziativa di Gianluca è derivata dal fatto che era stato un suo allievo nel corso di specializzazione e, poichè gli sarebbe piaciuto continuare a fare qualcosa con Pisani, non gli è parso vero quando si è presentata l’occasione. Ha cominciato a creare un piccolo gruppo, con il quale il Prof. Pisani ha iniziato a lavorare, coinvolgendo poi la Dr.ssa Colangeli che egli precisa, questa sera ha presentato un lavoro la cui elaborazione concettuale appartiene completamente a lei. Quindi, del gruppo iniziale le persone più motivate che stanno lavorando molto seriamente a passare da una posizione alexitimica, da una posizione somatica ad una mentalizzazione, sono forse 5-6; altre continuano a mantenere un livello di ambiguità tra il desiderio di approfondire e risolvere il problema a monte e quello di mantenere il sintomo. La modalità con cui si esprime questa ambiguità è il comune commento “Ma qua il mal di testa continua….. Sono due anni, ma continuo a prendermi le pillole…. Ma a che serve la terapia….”, salvo poi a ripresentarsi seduta dopo seduta. Ci sono stati dei casi estremamente significativi. Uno è quello di un professore universitario di origine statunitense; con problemi d’omossessualità. E’ molto dotato ed è uno di quelli capaci di maggiore insight. Praticamente si è innamorato di un ragazzo italiano. Quando questo ragazzo è tornato in Italia, lui ha mollato tutto: ha lasciato il lavoro universitario; ha venduto i suoi averi, che dovevano essere anche di una certa consistenza. Nel corso di una seduta ha raccontato l’accesso di un attacco cefalalgico: aveva litigato con questo ragazzo perchè non c’erano più rapporti sex. Questo ragazzo usciva e rientrava tardi e in relazione all’angoscia notturna di essere abbandonato da questo ragazzo, di perderlo, la mattina ebbe uno spaventoso attacco di emicrania che gli impedì di partecipare alla seduta del gruppo che si svolgeva proprio quel giorno. Alla domanda della Meoni, risponde quindi che le persone capace d’insight e motivate alla terapia sono circa 5-6. E’ una selezione feroce, ma non è una novità: questo accade in tutte le patologie perché la motivazione ad andare fino in fondo e risolvere il problema è il motore determinante per la buona conclusione dell’analisi. La Dr.ssa Colangeli. sottolinea che, pur se si tratta di 5-6 persone, in questo gruppo è diminuita la cefalea quasi in tutti ; Il Prof. Pisani aggiunge “Anche se non l’ammettono”! La Dr.ssa Colangeli evidenzia che alcuni non prendono neanche più farmaci, hanno perciò un riscontro oggettivo. La Dr.ssa Meoni motiva la sua domanda con il fatto che all’inizio le era sembrato fossero sempre gli stessi 13; invece c’è un dropout che sembra nella norma, non è più esaltato di altri dropout, sia nell’ambito dei gruppi terapeutici, sia dei gruppi in generale La Sig.ra M. Nocella chiede perchè ci sono quelli che, anche se sono guariti, non lo ammettono. Il Prof. Pisani spiega che il sintomo ha una doppia utilità: da una parte raccoglie ed esprime il problema, seppure in maniera indiretta; dall’altra parte è estremamente comodo dal punto di vista del cosiddetto “ vantaggio secondario”:tutti si occupano del povero malato. La Sig.ra M. Nocella pensa che è come se, ammettere di stare bene, significhi non aver più bisogno della relazione. Il Prof. Pisani chiarisce che è la modalità di relazione infantile, del bambino che ha bisogno delle cure materne, genitoriali. La Sig.ra Nocella aggiunge che è come se loro pensassero di poter perdere le attenzioni. Il Prof. Pisani sostituisce “loro” con “noi” , chiarendo che riguarda tutti; è qualcosa che ci accomuna profondamente. Il Dr. Lusetti chiede se, quando il sintomo è risolto,continuano a lavorare sulle tematiche profonde più importanti quali l’aggressività. La Dr.ssa Col angeli risponde che continuano a lavorare e non solo. Nel momento in cui hanno capito che il sintomo era di copertura, lavorano motivati dal miglioramento. La Dr.ssa Meoni chiede conferma su un aspetto della relazione, della quale elogia la complessiva chiarezza espositiva, riguardo al dettaglio dei contenuti emersi in termini conflittuali, e domanda se si possano considerare uguali per tutti . Ha questo dubbio perché qui siamo di fronte ad un’omogeneità di sintomo ed anche sembra ad una omogeneità di conflitto profondo, almeno in questa percentuale di pazienti che non hanno abbandonato e nella sottopercentuale di quelli che sono in grado di esprimere aggressività, depressione. La Dr.ssa Colangeli evidenzia come ognuno esprima in modo diverso, aspetti comuni quali l’aggressività, la dipendenza, il problema della separazione-individuazione. A vari livelli; ognuno con le proprie modalità. La Dr.ssa Meoni chiede per quanti sia stata possibile un’elaborazione. La Dr.ssa Colangeli reputa che lo sia stato per tutti, ma quei 5-6 che lavorano di più, sono, nel loro percorso, ad una fase di elaborazione più avanzata e permettono anche agli altri di seguirli; è una concatenazione: attivano la motivazione negli altri. La Dr.ssa Meoni chiede cosa accada con i transfert multilaterali, quando la tematica è omogenea. Visto che tutti hanno problemi di dipendenza, di depressione, sono tutti abbandonati o abbandonano? La Dr.ssa Colangeli spiega che il transfert non viene vissuto in omogeneità. Può succedere che di volta in volta venga portato dal singolo individuo che lo esprime, e che è rappresentante del problema. Ma non è che tutti lo vivano nello stesso momento; può essere che alcune persone neanche si rendano conto di avere un problema di dipendenza, però cominciano a lavorarci per riproporlo in un tempo successivo. La Dr.ssa Meoni si domanda se ci sia un leader alternativo, se nella dinamica del gruppo emerga un cattivo, un buono, oppure se prevalga il sentimento di tristezza. La Dr.ssa Colangeli afferma che può emergere un capro espiatorio. Il Prof. Pisani precisa che nel gruppo analitico, specie quando è più grande, i fenomeni di transfert, seppur presenti, non sono in primo piano e non sono lo strumento terapeutico per eccellenza come nel caso della situazione individuale. I fenomeni di transfert sono uno dei tanti fenomeni speculari, oggetto di rispecchiamento. Essendo egli stesso in primo piano è ovviamente oggetto di transfert importante, però anche nella misura in cui la Dr.ssa Colangeli è la coterapeuta, come figura materna viene ad eclissarsi, anche se poi sullo sfondo funziona, però non è in primo piano. Ci sono delle manifestazioni di transfert che hanno a che fare con aspetti positivi: le figure carismatiche, onniscienti, onnipotenti e il risvolto della medaglia che è negativo cioè: “che veniamo a fa; voi non servite a niente; io il mal di testa continuo ad averlo; perchè non mi date la medicina magica, risolutiva”. Le altre proiezioni su altre figure come fratelli, sorelle, si esprimono in questa stessa maniera, ma soprattutto si esprimono con i cosiddetti acting –aut: agire al di fuori della seduta. Non sanno se avvengano incontri sessuali; lui presume che non ci siano, però si incontrano spesso, vanno al bar, parlano; quando qualcuno manca, telefonano. Non chiamano mai lui, perché è il padre cattivo; telefonano alla coterapeuta, alla mamma buona, oppure ai fratelli e alle sorelle per comunicare i motivi delle assenza. Conclude con Pat de Marè, col ricordo del quale ha aperto la seduta, dicendo che il transfert, insieme al controtransfert, è di primissimo ordine in psicoanalisi; nei gruppi piccoli ha una certa funzione ed è importante un’ analisi del transfert, perlomeno in certi momenti; nei gruppi più grandi il transfert non è tanto importante come strumento terapeutico di per sé, ma è uno dei fenomeni di rispecchiamento: è lo specchio che fa la terapia non la regressione. La Dr.ssa Meoni chiarisce che ha posto la domanda seguendo l’ipotesi alexitimica della psicosomatica, posta dal Dr. Lusetti. Se è vero che gli psicosomatici sono alexitimici, è vero che hanno tante resistenze. Per questo domandava come si intravedeva il transfert: se riescono a fare un transfert, è un miracolo.] Note di redazione: (t) testo relazione direttamente fornito dal relatore (r) (r) elaborazione testi da registrazione vocale con revisione del relatore Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com |
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