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di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi |
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La reciprocità delle coscienze
Bruno Callieri La Dr.ssa M. A. Ferrante presenta il Prof. B. Callieri che da parecchi anni apre i seminari. Dovrebbe accennare alla sua carriera, ma rinuncia perché i presenti già la conoscono e perché toglierebbe del tempo prezioso allesposizione della relazione. Le piace tuttavia sottolineare la vitalità del Prof. Callieri, la sua instancabile capacità di produrre, tanto che ancora pubblica, prende parte ai convegni e viaggia. La sua mente è sempre limpida e creativa: questo non può che suscitare ammirazione e compiacimento da parte di tutto il gruppo seminariale. Presenta la relazione di questa sera dal titolo: La reciprocità delle coscienze che rinvia all argomento del Me, del Tu, del Noi, come capacità relazionale di essere con gli altri, dinteragire, di comunicare. Il Prof. Callieri ringrazia Pisani, sempre gentile e cortese con lui e perché il suo invito si ricollega alla presenza di una storicità di rapporti che ancora è viva, almeno in parte, nella Clinica Neuropsichiatrica dellUniversità. Ricorda quando Pisani, giovane medico psichiatra, venne tra loro. Ricorda quando lui stesso andò, tremebondo, a presentarsi nel 48 a Cerletti. La psichiatria italiana si andava costruendo in quei decenni molto fecondi; fino ad allora era stata la stanca ripetizione di una psichiatria biologica, quanto mai demotivata da significati moderni. La relazione di oggi riprende, col termine reciprocità, una tesi famosa sostenuta nel 1942 alla Sorbonne dal grande psicologo e psichiatra Maurice Nédoncelle, quando era incombente linvasione nazista. La discussione di questa tesi sulla reciprocità, che fu ripresa poi da Jerphagnon, anticipava quello che sarebbe successo tanti anni dopo: la ripresa del rapporto tra cultura, filosofia, scienza tedesca e cultura, filosofia, scienza francese, rinnovando in parte quello che era stata la visione medievale dellepoca carolingia, con Alcuino, quando lest e lovest si riunivano in quello che oggi è lepoca di Strasburgo. Callieri afferma che ha voluto riallacciarsi a questo grande studioso perché, per tutto quello che è levoluzione della psicopatologia attuale, lantropologia dellincontro e quella dellinterpersonalità assumono una sempre maggiore rilevanza e incarnano bene il concetto di reciprocità. A dire il vero L. Lavelle laveva impostato come reciprocità delle coscienze, e così lha voluto proporre a Rocco Pisani, anche se, in questo ambito, la reciprocità di cui intende parlare non è tanto della coscienza, che si dispiega dallessere sveglio alla consapevolezza psicocritica più elevata, alla Mindfullness del buddismo, ma è la reciprocità del rapporto tra persone, della dimensione interpersonale. Quindi una dimensione dialogica, una vera e propria dialettica della persona, la dialettica tra ec-sistentia (esco fuori, emergo) e in-sistentia ( entro e ci sto dentro). Il nostro stare qui è un continuo farsi dialettico tra esistere ed insistere: due dimensioni che sono le dimensioni dellalto e del basso, su cui si è basata gran parte dellanalisi esistenziale, sia quella di Binswanger che, soprattutto a Zurigo, quella di Manfred Boss. Bisogna pur dire che la reciprocità ha una radice nellAlterità: lAlter, che è un Alter- Ego. Diciamo che questo Alter- Ego quasi per convenzione lo chiamiamo Tu, non per contrapporlo, ma per porlo specularmente di fronte ad un Ego. Ecco perchè in questo piccolo libro che gli autori, quattro amici filosofi e psichiatri di valore hanno voluto dedicare ai suoi 85 anni, è stato scelto il titolo Io-Tu e non Io-te, perché il te è complemento oggetto, il Tu è soggetto. Egli ci invita ad uscire dallequivoco di parlare dellAltro come di un oggetto, per non perdere la dimensione duale, che ci consente di parlare di Alterità. D altra parte su questa sfera dinterrelazione, su cui invita a riflettere, si fonda un concetto non facile ad esplicitarsi che, noi medici, psichiatri, psicologici, psicoanalisti, mutuiamo da Heidegger: il concetto dellAppartenenza. Noi apparteniamo a noi stessi, ma nello stesso tempo apparteniamo al mondo, siamo espressione del mondo che ci circonda. Questo gioco continuo della co-appartentività, come dice Heidegger, cioè dellappartener-ci e dellappartenere al mondo, è quella che noi chiamiamo la dialettica produttiva, sulla quale si fonda il pensiero di Ludwig Binswanger cui egli si riferisce. Dopo un iter essenzialmente jaspersiano di psicopatologia generale classica, una cinquantina danni fa, ha sentito profondamente, nel dialogo che allora si svolgeva a Roma tra Servadio e Perrotti, il richiamo di quella regione diversa, psico-analitica, ricca di suggestioni che al giovane medico della neuro, saturo di elettroencefalogrammi e di vetrini distopatologia, costoro venivano proponendo. La dialettica produttiva lo ha portato a considerare al massimo la proporzione antropologica, cioè la sfera dinter-relazione, cioè quellambito dinamico ed esistenziale, in cui io progressivamente costruisco me stesso, sempre in rapporto ad un altro. I russi nel 1920 parlavano di poputcik, di compagni di cammino, compagni di strada; compagni anche se non avevano le stesse idee: il menscevico, il bolscevico, il trotskista, in quel momento, per uscire dallempasse, erano compagni di strada; per un certo tratto dovevano sostenersi, camminare insieme. A maggior ragione dobbiamo tenerne conto noi, oggi, perchè come medici, psicologi, psichiatri, siamo sempre a contatto con lopposto del costruirsi, con la distruttività. C è qui sempre il concetto freudiano della destrudo, la distruttività come qualcosa che sta alla base di ogni nostro porsi, pro-porsi per de-porsi. Questa dimensione dialogica dellincontro medico-paziente è una dimensione certamente non salottiera, ma che impregna totalmente ogni incontro psicoterapeutico, freudiano, junghiano , adleriano, rogersiano che sia. Alla base cè sempre la tematica dellopporsi a questa distruttività, nella quale ci imbattiamo quotidianamente. Una distruttività che per primo alberghiamo dentro di noi e che per questo forse giustifica il protrarsi dei trattamenti analitici. Callieri riferisce che oggi sul Corriere della sera sono apparse due mirabili pagine interne, sullinflazione degli psicologi. Fanno capire il perché debba esserci, da un lato, il guardare con piacere a questa effervescenza continua, ma dallaltro invitano ad essere un pochino preoccupati perché, di fronte a certe dimensioni numeriche, le nostre vecchie, modeste dimensioni con cammini lunghi, seri, provati, sembrano perdere di consistenza. Il che pone una serie di quesiti pratici non di poco rilievo. Dallaltra parte, un dialogo vero non già concertato prima ma del tutto spontaneo; una lezione vera che non sia ripetizione di stanchi moduli scolastici, la lezioncina ripetuta come la troviamo sui manuali scolastici, ma che si snoda con reciproca sorpresa (perché il bello dellimpartire e del ricevere lezione è il sorprendersi continuamente), un abbraccio vero che non sia labbraccio formale, e visto che abbiamo parlato di distruttività, che anche il duello sia un duello vero, non finto, reale in cui io voglio davvero fare del male allaltro: in tutto questo, quello che cè di essenziale ( abbraccio, amore, duello), non è qualcosa che si compie o qui o là, o in me o in te, non è qualcosa che si attua in un mondo neutro, ma proprio tra i due, qualcosa che sta in mezzo ai due, come dice il grande Maestro ebreo Martin Buber. Ecco allora affacciarsi alla nostra mente questo concetto, del quale si avvale oggi soprattutto la psicologia francese: il concetto dintermediarità, cioè stare in mezzo. Io non sto qui e Tu lì. Non è che io vengo da te, né tu da me. È proprio in questo spazio intermedio che riusciamo a confrontarci, a comprenderci e ad allacciarci. Qui naturalmente si situa per noi, come psichiatri, il problema della psicopatologia della reciprocità, perché anche la reciprocità nel suo strutturarsi nel suo costituirsi primario, può nascere storta o può, nel suo formarsi, facilmente degenerare. Per capire come ciò avvenga, basta pensare al problema dellindifferenza, alla reciprocità che potrebbe spingerci a guardarci in cagnesco lun laltro; all apatia, quello che i monaci medievali chiamavano laccidia, cioè lindifferenza , la depressione melanconica. Egli ricorda la poesia del Carducci A Lidia, che si svolge alla stazione, in una mattina dautunno e nella quale il poeta scrive quei fanali si rincorrono accidiosi, dovè il fanale ad essere accidioso, a rispecchiare quello che egli viveva dentro di sé, la sua caduta interna. Qui cè uninnegabile dimensione psicopatologica che alcuni autorevoli e finissimi autori francesi chiamano anesthésie de lâme: unanestesia dellanima, cioè lanima che non sente più vibrare laltro accanto a sé. Con un atto di umiltà va ricordato che questa dimensione dialogica non è accessibile alle usuali nozioni della psicopatologia: adesso purtroppo, si vuole quantificare tutto, esprimere tutto in scale, in questionari, rendere tutto numerizzabile, come se luomo si potesse scomporre in uninfinita serie di operazioni aritmetiche, mentre invece è, in questo senso, qualcosa di esistenziale, di non scomponibile, di dato tutto insieme. Questo tra che non si annunzia soltanto in una psicopatologia sensibile allumano, ma che è dotato anche di una profonda suggestione poetica e profetica. Noi, che per anni e anni ci siamo identificati col camice bianco che indossavamo, non dobbiamo dimenticare che esiste questaltra dimensione delluomo che è la poesia, la poetica, e laltra dimensione, ancora più importante, la profetica. La profetica significa che laltro è sempre circondato da qualcosa di misterioso e dalla grazia. Il grande filosofo e teologo italo-tedesco Romano Guardini, diceva: Lincontro, il vero incontro, è grazia e mistero (Gnade und Geheimnis). Resta sempre qualcosa di non rivelato e forse dovrebbe restare a lungo coperta dal velo. Heidegger dice che la verità è svelamento: il velo viene tolto e appare la verità. Ma la verità va sempre svelata? Ci sono dei momenti, dei punti, delle situazioni, dei nodi co-esistenziali, in cui essa deve restare velata, come il velo di Iside (Pierre Hadot). Egli ricorda le recenti scoperte archeologiche, importanti su questo problema delle statue, alla fine del II secolo d.C. La statuaria romanoellenistica ama molto la persona velata, perché anche nei riti più complessi, quelli che andavano ad catacumbas, che andavano appunto alla mitologia di Iside e a tutte queste eloquenti mitologie, che hanno poi riportato Jung allarchetipo della Grande Madre, anche queste avevano la necessità di mantenere il mistero. Solo dietro il velo la forma della bellezza femminile si manifesta nel pieno della sua sensibilità e sensualità dattrazione. Lo scoprimento radicale e totale è pari ad un disvelamento troppo abbagliante. Binswanger lo ha ben capito, analizzando i modi dellamore e i modi dellamicizia. Circa le patologie dellamicizia ci capita di osservare molti pazienti che non hanno un amico, non sono capaci di farsi un amico. A Callieri costoro fanno venire in mente una frase di SantAgostino che nelle Confessioni dice Nihil homini amicum sine homine amico: Niente è amico alluomo se luomo non ha un amico. Quindi ecco porsi il problema dellamicizia, accanto al problema dellamore. Vediamo poi questa ripresa dellulisside, il canto di Omero, l amicizia tra Achille e Patrocle, il canto di Virgilio Eurialo e Niso; quindi questa dimensione co-esistenziale, che esiste nella coscienza dei nostri antenati, forse fin dal secondo millennio a.C. Questo ci conduce direttamente, con Aldo Masullo, caro amico napoletano, filosofo, fenomenologo che ha riportato in auge un vecchio psichiatra che nel 52 Callieri ricorda di aver conosciuto, Viktor von Weizsäcker, quando affermava la relazione è la categoria primaria dellumano. Prima di farsi Io, luomo è relazione. A partire dalla primissima relazione (pensa a Winnicott) tra cavo orale e capezzolo, a quella relazione mirabilmente espressa da Virgilio Incipe parve puer risu cognoscere matrem : comincia il piccolissimo bambino a riconoscere dal sorriso la madre; quindi il sorriso in una comunicazione dove tu non sei ancora un tu; lui non è ancora lui, lei non è una lei, però cè già questa capacità di unione, di unificazione, di una dualità che cè fin dallinizio. Questo lo hanno capito bene molti neo-psicoanalisti, da Modell a Winnicott, dalla Klein a Bion. Per questo la nostra psicopatologia non dovrebbe essere così riduttiva come quella che ci propongono i vari ICD e DSM, dove compaiano classificazioni solo categoriali, con profonda assenza della psicopatologia degli incontri mancati, per dirla con Martin Buber. Intanto posso dirmi patologicamente infetto, toccato, compresso, spremuto, in quanto non sono stato capace di realizzare certi incontri, in una certa maniera. Mi sono difeso: non ho accettato labbraccio o la pugnalata; non ho saputo sfruttare questo invito, questa presenza dellaltro, che veniva da me con la scusa di dirmi le sue sofferenze e prendere la medicina, ma in realtà per con-fessarmi le sue pene; ed io lho invece liquidato con la ricettina, con il sorrisetto, con la battutina sulle spalle. Egli è ritornato tra le sue ombre, ma anche io sono restato tra le mie. Questo per uno psicopatologo è certo un fallimento e di questi fallimenti dellincontro è cosparsa anche la nostra lunga strada. Callieri se ne duole, ma allo stesso tempo ciò lo spinge a vedere con occhi sempre più cum laltro, che viene ad esporre le proprie sofferenze intus et in cute. In questa nostra opzione siamo lontani dalla concezione puramente naturalistica della malattia, dal medico che solamente oggettivizza laltro. Oggi questo concetto di oggettivare laltro non è vitale nemmeno in certe patologie che sembrerebbero totalmente oggettivabili, come certi fini interventi di cardiochirurgia, per i quali si esige anche la compartecipazione del paziente. Oggi la medicina in questo senso sta aprendosi di più; i vecchi polmoni sclerotici della psichiatria naturalistica del secolo scorso cominciano a respirare unaria nuova, anche grazie al concetto di reciprocità, di solidarietà: questo non può che farci piacere. A dire il vero, nella storia del nostro sviluppo, come ci dirà la prossima volta Ignazio Maiore, siano restati un po indietro, mentre la scuola psicoterapeutica di Stoccarda degli anni 60-70 già trattava queste tematiche. Anche se molti rigidi analisti li guardavano con aria di sufficienza, loro portavano avanti questa struttura di co-appartenenza reciproca, tantè che pochi anni dopo, oltre oceano, apparve un libro che lo colpì molto: Larte damare di Erich Fromm, The Art of loving. Scritto da uno psicoterapeuta di marca nettamente psicodinamica, prospettava che non siamo stati fatti solo di pulsioni, dimpulsi, dinstintualità, ma anche di capacità d amare; e ci sono tanti modi per amare che dobbiamo anche apprendere, dobbiamo svilupparci così come ogni seme va coltivato, annaffiato ecc. Larte damare è fondamentale ( anche in Ovidio, ma soprattutto in Fromm). Questo, per psichiatri aperti al rapporto analitico, significa che non possiamo non parlare di analisi del transfert e della sua risoluzione. Ogni procedimento analitico è analisi del transfert, anzi sempre più, analisi del controtransfert:lo studio dellaspetto controtransferale delle relazioni è ineliminabile. Il nostro compito però non si esaurisce nellanalizzare il transfert e il controtransfert. Dobbiamo pensare ad una linea di confine più pericolosa, ma nello stesso tempo più attraente. Avrebbero detto i teologi di Tubinga con Paul Tillich: la borderline. Questa linea di confine tra me e te, che non è solo transferale-controtransferale, ma è qualcosa di più: è apertura (chiusura) allincontro. Il rischio dellanalisi dellincontro è quello di sconfinare in un sentimentalismo fumoso, equivoco; in un patetismo irrazionale; in indebiti spiritualismi o sensualismi. Se non stiamo attenti, possiamo caderci, ma se riusciamo a navigare tra Scilla e Carriddi con una certa disinvoltura e autocritica, allora facciamo qualcosa di più dellanalisi del transfert e del controtransfert, perché riusciamo a co-costruire. Callieri afferma che le distorsioni dellincontro non sono tanto psicopatologiche quanto antropologiche, e portano al dramma della vita di oggi: la scomparsa del partner. C è la scomparsa del partner e cè poi la scomparsa del partner che sono io, a me stesso. Egli ricorda il bellissimo lavoro di W. Blankenburg: lego come proprio partner o, meglio, il corpo come mio partner. Il mio corpo è mio, ma nello stesso tempo il mio corpo (come dice tutta la più recente fenomenologia, da Merleau-Ponty a Jean-Luc Nancy), è intercorporeità, è quello cui oggi alludiamo dicendoci Se tenir par la main: tenersi per mano e nello stesso tempo, senza arrivare alla tattilità , ma sempre con la stessa intensità, Se tenir par les yeux : tenersi con gli occhi, tenersi con lo sguardo. Io e te, che ci conosciamo, ma che ora ci troviamo in un ambiente di estranei, possiamo ben guardarci, e continuiamo a nous tenir par les yeux, a tenerci con gli occhi, come poco prima ceravamo tenuti per mano. Questo svelarsi della reciprocità ci consente di non cadere nel tranello dellattuale sociologia, che Callieri ultimamente avverte come trappola quasi inevitabile; quello che Giddens, sociologo inglese, chiama Amore liquido; per lui lo strutturarsi-insieme è sempre come le onde che si susseguono, è qualcosa di liquido, di rinnovantesi, di moventesi, per cui una dualità vissuta è una pura illusione: nellattimo che ci pare di viverla, già la perdiamo. Inequivocabile è quì la perdita della reciprocità che noi crediamo sia il primo capitolo di un'altra grande perdita: la perdita dellassetto mentale di tipo gruppale. Quando luomo perde la capacità dialogica, anche il gruppo finisce per abortire. Quindi forse, si tratta sociologicamente parlando, di una perdita ancora più pesante; invero la perdita della dualità, del Noi, è perdita che coinvolge me e te, ma lo smarrimento dellassetto gruppale nel gruppo, ci fa tornare indietro di secoli, quando Hobbes ci diceva homo homini lupus. E questo dovremo proprio cercare di evitarlo. Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti: (d) L a Dr.ssa Ferrante ringrazia il Prof. Callieri per la sua ricca relazione che sollecita la riflessione sulla nostra attività. Apre la discussione con laccordo di assemblare ogni volta le varie domande. Il Prof. Pisani ringrazia Callieri, ricordando che dall89-90 egli è ospite ai seminari. La relazione con lui risale agli anni 60, quando era un giovane specializzando ed era intento a guardare questi mostri sacri: Callieri, Tedeschi, Frighi, Tolentino, Anderson. Il Prof. Callieri gli ha fatto ricordare la storia di Socrate, come incarnazione del pensiero socratico. Socrate si trovava in carcere e benché anziano chiamò i suoi allievi e chiese loro di fargli venire il maestro di cetra. Alla sorpresa dei suoi allievi, che gli sottolineavano letà avanzata e il luogo in cui si trovava, Socrate commentò che non si finisce mai dimparare, perché noi sappiamo di non sapere. In realtà era il più sapiente degli uomini, come aveva detto loracolo di Delfi, proprio perchè sapeva di non sapere. Pisani, essendo un gruppoanalista, uno psicoanalista di gruppo, evidenzia che il concetto su cui si basa lanalisi di gruppo è un concetto dialogico. Significa uscire dallisolamento narcisistico in cui ognuno di noi è immerso ed entrare nelle relazioni che entro certi limiti sono oggettuali ma che sono soprattutto soggettuali: è il rapporto tra gli esseri umani. In un contesto del genere la storia del transfert/controtransfert è certamente importante, ma non nellottica della psicoanalisi; è importante nella misura in cui il fenomeno del transfert/controtransfert è uno dei fenomeni speculari di rispecchiamento. Nella situazione gruppale linsight, cioè la comprensione intrapsichica, è strettamente collegata con loutside, cioè il vedere allesterno. Linsight è favorito dai fenomeni speculari e questo ci porta alla comprensione della reciprocità. Ci porta alla comprensione della reciprocità delle coscienze, ma anche della coscienza perché coscienza significa cum-scio, cioè conosco in quanto condivido. Aggiunge che sempre la relazione permette di combattere anche la distruttività. Il Dr.S. Zipparri dichiara la propria costante ammirazione quando ascolta il Prof. Callieri perché, tra i tanti aspetti straordinari della sua enorme cultura, offre anche testimonianza di un arco temporale che ha visto levoluzione dellassistenza psichiatrica del nostro paese. Non crede di sbagliare affermando che Callieri ha attraversato tutti gli stravolgimenti che la cura mentale ha avuto nel nostro paese. E particolarmente interessato a sentire da lui in che misura il pensiero di Binswanger, a cui ha fatto riferimento, abbia in qualche modo favorito e portato la psicoanalisi più tradizionale allalternativa, come la scuola di Perrotti; in che modo sia stato una linfa vitale per lo stesso movimento psicoanalitico e come Callieri consideri questo apporto, per quella che è stata la rivoluzione nel porsi di fronte alla malattia mentale. La Dr.ssa A. M. Meoni vuole proporre alcune suggestioni che ha avuto in questi giorni e che riguardano la collocazione funzionale che psicoanalisi, gruppoanalisi e la psicologia in genere, occupano in questa epoca moderna. La prima è la sensazione che ha avuto nell apprendere dal telegiornale che in America è stata istituita una task force di psicologi per assistere i brokers. Lei ha pensato che ci volessero degli psicologi per assistere chi ha perso i soldi e non i brokers. La seconda suggestione lha avuta ieri alla presentazione di un libro di geopolitica sulla questione globale delle energie del nostro pianeta e della sua gestione. Il concetto fondamentale, espresso allunanimità dai relatori, è stato che le classi dirigenti governative, di qualsiasi appartenenza politica, abbiano l etica fondamentale della bugia, a cui lei ha ora associato la verità velata; oppure una classica consegna in navigazione di non dire mai al passeggero, che si sta naufragando. Si domanda perché, quando noi cerchiamo di leggere e interpretare con i nostri strumenti psicopatologici e speculativi, filosofici e culturali, quel mondo sociale al quale appartiene profondamente la reciprocità delle coscienze, spesso non riusciamo a girare la chiave. Vorrebbe comprendere se è lei a non comprendere lutilità della bugia, o le contraddizioni o la schizofrenia delle organizzazioni. Fa veramente molta fatica, con gli strumenti propri della nostra professione a leggere questi aspetti, mentre riesce a sentire il paziente vittima e a partecipare della sua sofferenza, rispetto a quella contraddizione sociale delle organizzazioni di cui non capisce il senso. Le sembra poco parlare di verità velata e di reciprocità che, non sa di cosa, ma non certo delle coscienze. Il Prof. Callieri reputa che le due domande sollevino una serie di ulteriori quesiti. A Zipparri risponde, in base a quello che gli diceva anche Cargnello che Binswanger, da lui frequentato direttamente, doveva essere un insicuro e non ha mai avuto una grande capacità di autonomia. Binswanger va a mutuare per primo da Heidegger, da questo monstrum europeo al quale facevano riferimento anche dal lontano Giappone, una conferma filosofica importante e qualcosa che ne convalidasse le idee. Invece Heidegger lo guarda con sufficienza e gli consiglia di ricominciare da zero perché non ha capito nulla: lui sta parlando di essenza, Binswanger di esistenza. Binswanger torna da dove è partito, cioè dal maestro Husserl. Tornare a ritroso da Husserl non è per lui molto facile e anche Husserl in fondo gli dice tu del filosofo hai poco Binswanger ci resta male, come risulta dalle sue prime lettere nello scambio con Freud. Nell esperienza che ha avuto Callieri, ma anche Cargnello, Bovi, Basaglia, il suo gruppo di Firenze; il gruppo di Torino, il gruppo di Trieste, Callieri considera positivamente il fatto che Binswanger si sia allontanato dalluno e dallaltro, perché altrimenti avrebbe potuto attuare solo una scopiazzatura filosofica. In realtà Binswanger ha chiesto sostegno, ma la problematica poi se lè posta lui, a se stesso. Quando nel 42 scrive Le forme dellessere, ci parla delle strutture non in teoria, ma in pratica, con esempi pratici: lamore, lamicizia e lodio. Callieri non ne ha parlato, ma Zipparri ha letto fra le righe del suo pensiero. Aveva scritto Per Binswanger il co-esserci, lesserci insieme, quindi non lesserci soltanto, esserci-con, non deve smarrirsi nel si impersonale: si dice, si fa, si pensa, oppure vagare nel proprio io con se stesso (la mia meità), ma deve tendere a realizzarsi nei modi co-esistentivi dellamore, dellamicizia e dellaggressività. Lui questi modi li studia nei famosi casi binswangeriani, ad esempio il caso Lola Voss. È una specie di diario di una serie dincontri mancati; il caso dellanoressia dove si vede come lui analizza il con-esserci dellaltro tramite il cibo, il prendere il cibo in comune, iI nutrirsi insieme; quello che noi abbiamo sempre chiamato lincontro agapico dove agape è anche amore, ma è la mensa, lo stare a mensa insieme. Ricorda la forte risonanza binswangeriana dei discepoli di Emmaus, quando Gesù si fermò a cena con loro perché faceva sera e lo riconobbero da come spezzò il pane, a mensa con loro. Questo Binswanger laveva capito e detto attraverso i suoi pazienti. I maestri Heidegger e Husserl non avevano frequentato molto i malati e quindi questa dimensione personale dellinsufficienza, della carenza, della sofferenza, della incapacità dellaltro non l avevano sperimentata; era, la loro, una mirabile visione teorica, ma un conto è nutrirsi di parole, di concetti, e un conto è entrare in una corsia e detergere lo sputo o il sudore di un paziente che soffre o di un malato terminale o di una partoriente che non riesce ad espellere il feto. Binswanger non aveva fatto altro per anni e anni che incontrare queste persone, che sporcarsi le mani con loro, era stato un medico di trincea mentre i due grandi filosofi, che tutto sommato lavevano guardato con una certa superiorità, non avevano provato sulla propria pelle cosa significa fare il medico, a differenza di Freud che invece questo laveva ben potuto intendere. Binswanger ci ha dato questa possibilità, di capire il mancato incontro, di capire laltro come mancato incontro. Callieri lui stesso lha scritto riferendosi a queste distorsioni antropologiche dellincontro, a questa perdita di reciprocità dove vedi raggrinzire laltro: l ossessivo, l isterico, il fobico, non ragionandone, ma palpandolo con le proprie mani: allora sì che te ne accorgi. Callieri non riesce a trovare un medico psichiatra che faccia solo teoria a tavolino e che non parli invece nutrito dei ricordi dei pazienti che ha incontrato. Di certe cose ne puoi parlare solo se le hai vissute, altrimenti è solo teoria, non pratica. Sottolinea come Zipparri abbia detto una cosa molto importante: cioè che la relazione è categoria primaria dellumano, ma non puoi fermarti a contemplarla; devi scendere nella trincea, non puoi guardarla da lontano, devi bagnarti le mani nelle acque dellaltro: è questo linsegnamento che ci ha dato Binswanger. In risposta alla Dr.ssa Meoni Callieri evidenzia che essa ha toccato un nostro grande deficit. Noi psichiatri, psicologi dimpostazione junghiana, freudiana, ecc., riccamente impastati anche con la clinica, qui a Roma, come a Milano, a Madrid, a Lione, a Berlino come a Barcellona, siamo nella cultura occidentale. Quello che ci manca è la possibilità di calarci in un'altra cultura. Reputa impossibile esprimere col pensiero, toccare, abbracciare il rapporto con laltro, nella cultura buddista, nella cultura islamica, nella cultura ricca e viva, ma per noi povera, dellAmazzonia, di cui domani incontrerà un esponente di 94 anni che viene e deve ritornare lì e che conosce bene quella cultura. Se non la vivete, se non la fate vostra, non potete fare una diagnosi perché non ha senso. Suoi allievi, tra cui Alfredo Ancora, che sono stati nel Baikal per conoscere la cultura sciamanica, gli hanno riferito che avrebbe dovuto dimenticare Jaspers e tutta quella psicopatologia perchè è tutto un altro tipo di sentire, di vivere, di valutare, di cogliere. Come possiamo noi calarci col nostro bolo di cultura occidentale, che per quanto grattiamo non leviamo di torno, per entrare in quella cultura? Questo è un limite della nostra psicopatologia. Lui, sostenuto da Fernanda Conti, ha pubblicato un libro dal titolo Psicopatologia e culture. Lenorme difficoltà della nostra psicopatologia, della cultura delloccidente ed in parte anche americana, è nel non avere la capacità di calarci radicalmente e totalmente nella cultura islamica, dellAfrica centrale, del Borneo, nella cultura giapponese e, soprattutto, in quella cinese: grandi culture che inevitabilmente conosciamo solo per vie traverse. Attualmente è immerso nella conoscenza di questa cultura franco-cinese che è completamente diversa dalla nostra. Augura a tutti di avere la possibilità, nella propria sorte, d inzupparsi in queste culture per non perdere tanti aspetti del mondo. La Dr.,ssa L. Taborra, dopo aver espresso la propria ammirazione per la relazione di Callieri e per la sua competenza espositiva, chiede se sia corretto interpretare in chiave junghiana la reciprocità delle coscienza come una mancata integrazione degli opposti, laddove Jung diceva che luomo trova la propria dimensione quando integra la parte ombra con la parte luce, linterno con lesterno. Le sembra, che lodierna dimensione sociale, dove esiste un individualismo esasperato, esprima chiaramente la non integrazione dell Io col Tu e viceversa. Il Prof. Callieri, riferendosi al confronto che ha avuto molte volte, con lo junghiano Mario Trevi, risponde che lombra junghiana è fondamentale. Il problema è che lombra, anima o animus che sia, secondo la concezione junghiana, ma anche secondo Neumann che spesso trascuriamo, pur se egli indaga da par suo le origini della coscienza, il problema dellombra è inevitabilmente destinato ad accompagnarci sempre, indipendentemente dal tipo di analisi. Non possiamo dire che unanalisi junghiana sia ben riuscita solo perché riusciamo a contenere certi aspetti dellombra o a farla diventare luce: non crede che questo sia lo scopo di unanalisi del profondo. Questo aspetto dellombra lo ha spinto in questi ultimi tempi a riprendere in mano, sotto una nuova luce, un problema trattato da Merleau-Ponty, due o tre anni prima che morisse così presto: la costituzione dell inter-corporeità. Merleau-Ponty non parlava di coscienza, ma di corpi vissuti. È il problema dellaccarezzarsi su cui Callieri ha rilasciato un intervista alla rivista Arel. Il problema del rapporto con l Altro, non è un problema di coscienze: la reciprocità è la reciprocità della corporeità vissuta. Le corporeità che sincastrano, non soltanto nella compenetrazione carnale più libidicamente strutturata ed impastata, ma anche in tutto quello che cè intorno. Qui il Rinascimento italiano è stato sublime: da Masaccio a Piero della Francesca e a tutti i fiorentini. Si riferisce allAnnunciazione di Lorenzo Lotto nella quale vediamo lAngelo che sale e Maria che guarda da un'altra parte: quanta inter-corporeità cè tra quella metafisica dellangelo e la carnalità tremebonda di Maria che inutilmente cerca di sfuggire!. L inter-corporeità in questo senso lha perfettamente intesa Neumann, quando ha parlato dellorigine della coscienza; non sa se si possa dire lo stesso per Jung; molte cose di Jung le ha dette la Von Franz e per questo quesito non ha trovato molti richiami: andrebbe approfondito. Il Prof. I. Maiore ribadisce quanto detto da Callieri a proposito dellincontro tra persone, che è più importante dellincontro tra coscienze, perché la coscienza è una piccola parte della persona: è la rappresentazione, lespressione di qualcosa di più. Nel campo del nostro lavoro, a parte il transfert/controtransfert, il problema è il rapporto. Il transfert/ controtransfert cancella la persona perché mette addosso allaltro cose da trasferire, ma laltro dove è andato, e tu dove sei andato? È importante lincontro ed è un incontro tra corpi: in analisi i nostri corpi sincontrano, non fisicamente, ma nella mente. La mente è corpo quando ci si incontra, tantè vero che i nostri pazienti sognano spesso bambini come rappresentazione del rapporto. Maiore parla di un livello intermedio nel quale si svolge il rapporto. Cè una comunione, cioè una parte delluno e una parte dellaltro che sincontrano e insieme si sviluppano, oppure abortiscono. Il filo dell analisi è un filo mentale, che è un filo corporeo. Noi non possiamo agire fisicamente col corpo perchè in quel caso sabotiamo lanalisi, ma questa mente corporea è quello che fa lanalisi, perchè lanalisi non è soltanto interpretare e capire come stanno le cose, ma è uno sviluppo dellincontro che deve crescere. Il Prof. Callieri commenta di non avere nulla da rispondere ad Ignazio Maiore, perché in fondo egli ha amplificato, sottolineato e chiarito ulteriormente quello che, in nuce, lui stesso aveva cercato di dire. Maiore ha parlato di livello intermedio, lui dintermediarietà. Callieri, riferendosi a Luis Lavelle, riproposto poi da Jerphagnon, chiarisce che quando diceva coscienze si riferiva alle istanze morali di presenze mutue, non alla coscienza come la pensiamo noi, cioè la vigilanza e lultravigilanza, la riflessione, il prendere coscienza. E una sua ipotesi che Lavelle avrebbe voluto riferirsi a qualcosa che accade nei piccoli gruppi che lui conosce, non ai grandi gruppi che lui ha frequentato qualche volta, tornando indietro infastidito. Per il Prof. Pisani dipende da chi conduce un grande gruppo che, da quanto lui ha imparato dalla scuola di Foulkes e di De Marè, supera numericamente le trenta persone, mentre il gruppo intermedio è costituito da non più di trenta persone. A Londra, ogni volta che sincontra alle riunioni della Group-Analytic Society, partecipa ai grandi gruppi che hanno un importante significato. Il Prof. Callieri pensa alla psicologie de la foule di Gustave Le Bon del 1890, quando andava di moda la foule. Il Prof. Pisani evidenzia che Freud si è occupato dei gruppi e una delle sue prime intuizioni è stata proprio quella relativa ai grandi gruppi: la chiesa e lesercito. Tra laltro la gruppoanalisi di Foulkes comincia esattamente lì, dalle ricerche di Freud. La Dr. ssa Ferrante, dopo aver ringraziato il Prof. Callieri, prima di chiudere questo incontro seminariale, gli chiede quale possa essere il mediatore, come larte, la musica, che favorisce lincontro tra culture. Il Prof. Callieri rileva che la domanda su quale dimensione favorisca lincontro tra culture, è importante e ha toccato un punto che lentusiasma. Crede che per molte culture, soprattutto le più primitive, sia la musica; tuttavia in molte culture, quello che favorisce lincontro, è il silenzio. Consiglia la lettura del libro di Thomas Merton, trappista americano, composto di note brevi con accanto alla nota un disegno molto semplice che lui stesso esegue. Ha avuto limpressione che il silenzio possa essere colto anche da culture molto diverse dalla nostra. Non a caso il monaco trappista è analogo ai monaci della cultura indù e soprattutto ai monaci taoisti. Ringrazia lei della domanda e i presenti per lattenzione mantenuta, malgrado lora e lardimentosità di certi concetti.] Note di redazione: (rd) la registrazione vocale della lettura presentata così come il dialogo nel dibattito a seguire dei partecipanti è stata rivista dal relatore. Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com |
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