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Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2008 - 2009

Amori Paradossali

Maria Antonia Ferrante

Coordina Dr.ssa Giuseppina Colangeli
(t) testo di relazione fornita dal relatore (r) elaborazione testi dialogo a cura Dr.ssa Antonella Giordani



La Dr.ssa M.A. Ferrante presenta la relazione dal titolo "Amori paradossali". Partirà da alcuni miti greci relativi alla passione per un'opera d'arte, dalla passione che è ancora nei limiti della realtà fino alla passione folle ed insana. Metterà in evidenza la funzione dei miti che, sottoforma di racconti dove agiscono le passioni umane, esaltano l'avanzamento in ogni campo delle attività umane, da quelle artigianali a quelle sofisticate della letteratura, dell'arte, della poetica, delle conquiste geografiche, della politica.
Informa che leggerà la relazione per riportare le narrazioni presenti nel testo, direttamente dalle fonti.

"Amori Paradossali" (t)

Ho impostato la presente relazione come poggiante su di una struttura architettonica; evocazione della struttura psicoanalitica.Sul timpano ho collocato la Bellezza che induce all'amore; perfino agli amori impossibili, paradossali ed incredibili.Nella parte più alta dell'immaginario edificio, ho localizzato alcuni esempi di passione e di coinvolgimento intensi, ma contenuti ancora nei limiti della normalità, di famosi letterati, di archeologi, di poeti (a volte, degli stessi autori i quali si innamorano della propria opera), per una particolare opera d'arte.Nella parte bassa della struttura ho sistemato le storie degli amori paradossali, insani e impossibili.Lateralmente alla facciata ho situato gli amori orribili o, usando un eufemismo, stravaganti.
Pertanto, la presente relazione propone una serie di racconti; in parte reali, in parte mitici tratti da: Plinio il Vecchio, da Ovidio, da Euripide e da Filostrato. Non ho tralasciato il saggio freudiano Il delirio e i sogni nella Gradiva diWilhem Jensen e Il Perturbante.I miti qui narrati affrontano il tema, eterno, della vita e della morte, della separazione e del distacco, dell'essere e dell'apparire, del doppio, della gemellarità, della follia.
L'argomento è vicino ad alcune patologie relazionali, dove l'oggetto di attrazione, di passione e di desiderio è un oggetto inusitato, inanimato, ma capace di sollecitare reazioni affettive, positive e/o negative in colui che con tale oggetto entra in relazione: feticismo, animismo (religioni primitive), perversioni, aberrazioni sessuali condividono molti aspetti con gli amori paradossali, insensati ed orribili. Freud riconosce in tutte queste forme di esaltazione, dalle meno patologiche fino a quelle organizzate in forma di una vera malattia psichiatrica con base isterica; nei casi gravi, di un delirio isterico.
Le immagini che presenterò: statue e dipinti, sono immagini potenti. La potenza, insita nella materia inerme plasmata dall'artista, è esaltata e travisata dal fruitore che accetta e gradisce l'immobilità, la passività, il silenzio e la lunga vita del suo oggetto d'amore. Il rapporto con l'oggetto prediletto, l'oggetto d'arte, è un rapporto squisitamente sentimentale.
Molto ci sarebbe anche da dire sull'efficacia dei prodotti dell'arte popolare, soprattutto di quella religiosa; l'arte antropologica nata dai bisogni dell'uomo, investita di magia e di miracoloso.
Tante, in passato, le immagini di divinità femminili prodigiose e, nella cultura cristiana, le immagini di Madonne che parlano, piangono e soffrono insieme al credente.
Freedberg D., nel "Il potere delle immagini"( trad. it. 1993) storico americano dell'arte, critica, nel citato libro, lo scarso interesse dimostrato dai suoi colleghi nei confronti dell'arte minore, che pur tanto ruolo svolge nella ricerca umana del soccorso e della protezione soprannaturali.L'immagine, pertanto, deve essere potente e non essenzialmente bella. Deve essere coinvolgente, come posseduta essa stessa di forza persuasiva.
Lo storico dell'arte Victor Stoichita, rumeno, evocando il Freedberg dice: Oggi, dopo Nietzsche e Freud nessuno può continuare a mettere in dubbio che le immagini fabbricate dall'uomo siano ricettacoli di potere, dispositivi del desiderio, e che tanto la creazione quanto la contemplazione delle immagini obbediscano a pulsioni, di cui quelle erotiche sono, se non le uniche, sicuramente tra le più forti. Non è quindi la componente libidica della creazione e della contemplazione delle immagini a sorprendere o a essere problematica, lo è l'uso che se ne fa. E' esattamente questa la questione posta dal mito di Pigmalione (Stoichita V., L'effetto Pigmalione, 2006, pag.12).
Nel 1925 è stata trovata in Sud Africa, in una caverna utilizzata dagli Australopiteci (Makapansgat), un ciottolo risalente a tre milioni di anni fa, di colore rosso. Il sasso, dai tratti antropomorfici, secondo le più accreditate interpretazioni, non è stato manipolato. Dovrebbe essere la più antica, naturale, immagine umana. I nostri antichissimi antenati l'hanno percepita come noi la percepiamo e forse ne hanno fatto oggetto di culto. Le due cavità a mò di occhi perturbano l'osservatore (Gamboni, D., Potential Images, 2002).
David Freedberg dice, continuando sul potere delle immagini, che molte immagini scultoree sacre sono ricavate dal legno, materia che offre all'artista la possibilità, con l'uso anche dei colori, di plasmarlo al punto da farlo apparire "carne vulnerabile, un essere sensibile, emotivo e simpatetico" . Le immagini sacre hanno per secoli lenito gli impossibili desideri di monaci e suore. Il monaco Bernardo di Chiaravalle, commentatore del Cantico dei Cantici, il libro, come afferma l'autore, più erotico della Bibbia, ebbe una famosa visione in cui ricevette in bocca uno spruzzo di latte che scaturiva dal seno di una particolare statua della Madre e Sposa di Cristo con cui egli, come centinaia d'altri, identificava la bella compagna di Salomone (Freedberg, op. cit., pag. 473). Qui, dice il Freedberg, sono chiare le implicazioni psicosessuali ed, aggiungerei, le implicazioni sublimate.

Bellezza e Amore
Prima di ogni cosa fu il Caos, poi la Terra...e sorse Eros, fra tutti gli dei immortali il più bello, che scioglie le membra a tutti gli dei, a tutti gli uomini spezza nel petto il cuore e la volontà anche ai più saggi (Esiodo, Teogonia, vv.116 e seg.).La bellezza sembra essersi incarnata nel busto di Atena, detta Lemnia, del grande Fidia. L'espressione intensa e pacata del volto della dea, la purezza dei lineamenti esaltati dalla plastica marmorea hanno sollecitato l'elogio di Pausania che la definisce la più degna di essere vista fra le opere di Fidia.

Amori Possibili
L'archeologo inglese Colin Renfrew in una sua magnifica pubblicazione (The Cycladic Spirit, 1991) sulle statuine cicladiche, databili a circa 5.000 anni fa, dice che la Kore 593 dell'Acropoli di Atene è la più bella scultura che egli abbia mai visto. Equilibrio, armonia e compostezza sono qualità possedute da questo pezzo marmoreo, realizzato in modo miracoloso per cui Pigmalione fu celebrato dai Greci antichi. Il blocco di marmo si fa figura umana; si fa Anima presente. Chi oserebbe, conclude l'archeologo, biasimare Pigmalione, che della sua statua si innamorò fino alla follia? Sempre nello stesso testo l'autore ricorda che le statuine muliebri, reperite nelle tombe egizie, venivano deposte, afferma, per "to fulfill sexual needs" (trad. per appagare i desideri sessuali) del defunto. C'è nel bello una qualità oggettiva; ma il segno di tale qualità è il consenso della nostra vista, elemento conoscitivo più elemento affettivo...Il bello nasce dall'unione reciproca di una pluralità di aspetti delle forme e non solo degli aspetti visibili (Eco U., Arte e Bellezza nell'estetica medievale, 1994, pp.105-106). Dai pascoli ai popoli, da Saffo ai canti degli uccelli, la bellezza ha attratto e affascinato il genere umano.Platone considera la bellezza oggetto di desiderio e come accesso al trascendente. Tommaso d'Aquino, come attributo dell'Essere e dono di Dio.
Ma la bellezza può essere anche pericolosa, come la bellezza di Carmen, perturbante come la bellezza del David di Michelangelo e perfino immorale come la bellezza della musica di Strauss quando Salomé bacia la testa recisa di Giovanni Battista. Che cosa intendiamo esattamente per bellezza? Che posto potrebbe avere nelle nostre vite? E' fondamentale per la vita così come dovrebbe essere vissuta (Scruton, R., Beauty, 2009). Nei Diari di Viaggi, in voga soprattutto fra il XVIII ed il XIX secolo, redatti da uomini insigni, poeti e romanzieri, sono descritte le sensazioni emotive che i dotti viaggiatori hanno sperimentato osservando un'opera d'arte. Domenica 29 luglio 1787, dal Carteggio di Goethe, il pittore Tischbein scrive all'amico Goethe circa un cartone di Raffaello: il castigo di Anania(Anania cadde fulminato per aver sotratto con la moglie Saffira agli apostoli il prezzo di un podere venduto, Atti degli Apostoli, cap.V, 1-6): "...Davanti a noi, il marito (Anania) che si contorce per per terra fra atroci spasimi, fulminato dallo sguardo di Pietro; un pò più addietro la moglie che non s'accorge ancora dell'accaduto, sicura di sé, tutta intesa alla sacrilega frode, senza alcun presentimento della sorte che la aspetta...Confessiamo pure che un tale studio è stato per noi una delle gioie più pure di una lunga vita...." (Goethe, Viaggio in Italia, seconda dimora a Roma, trad. it. a cura di Santoli A.,1970, pp.448-449).
La descrizione fa supporre una scena vivente piuttosto, come realmente è, l'ékphrasis di un cartone di Raffaello. Nelle sue Note di viaggio in Italia ed in Svizzera", Gustave Flaubert dice, dopo aver ammirato la scultura di Amore e Psiche del Canova: "Non ho guardato nient'altro...Sono tornato più volte lì vicino e alla fine ho abbracciato sotto le ascelle la fanciulla svenuta che tende verso Amore le sue due lunghe braccia di marmo. E i piedi! E la testa! Il profilo! Che mi si perdoni, ciò è stato per molto tempo il mio unico abbraccio sensuale. Anzi, era qualcosa di più ancora; io, in quel momento, cingevo la bellezza stessa".

Amore di Confine
Emblematica, a questo riguardo, è la cosiddetta sindrome di Stendhal o sindrome di Firenze; detta anche sindrome del viaggiatore. Ce ne parla chi ne è stato affetto; lo scrittore francese Stendhal nel suo libro "Napoli e Firenze: un viaggio da Milano a Reggio". Avendo sperimentato tale sindrome sulla propria pelle, Stendhal, che viaggiò nel 1817, la descrive come fenomeno psicosomatico che coglie l'osservatore di un'opera d'arte particolarmente bella, collocata in un ambiente piuttosto ristretto: " ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere". Capogiri, vertigini, tachicardia, confusione mentale, allucinazioni. Una diagnosi di questa strana e rara sindrome da saturazione è stata fatta negli Anni Ottanta. Sembra che colpisca soprattutto i soggetti emotivi e suggestionabili. Filostrato di Lemno, detto il Vecchio, retore, allievo di Antipatro, nato intorno al 165 d. C. avrebbe scritto (paternità incerta) l'opera "Immagini". Il racconto che segue ci introduce in una abitazione di Napoli dove Filostrato illustra ad un gruppo di giovani i dipinti che abbelliscono le pareti. Non ci riguarda la querelle che ha animato le dispute di alcuni studiosi, in quanto non è certo che tali dipinti siano realmente esistiti. Qui è interessante soprattutto l'accento che Filostrato pone sul pathos, (in latino desiderium) dello sguardo che appartiene, contemporaneamente ai soggetti-immagini ed ai soggetti umani i quali guardano le immagini. Narciso è il cavallo di battaglia del retore perché gli permette di introdurre il programma dell'ékphrasis. Così Filostrato esordisce: " I due Narcisi si somigliano, brillano della stessa bellezza. La sola differenza è che uno si staglia sul fondo del cielo, mentre l'altro è come se fosse immerso nell'acqua. Il giovane rimane immobile sull'acqua, che rimane anch'essa immobile, o forse lo contempla fissamente, come se fosse conquistata dalla sua bellezza" (Filostrato, Immagini, a cura di Carbone A. L., 2008, pag.14). Filostrato ci rinvia allo specchio, perché, dice : "La pittura rileva di mutuare una caratteristica che appartiene in sommo grado allo specchio; poiché è proprio dell'immagine speculare l'illusione di uno spazio abitabile al di là della superficie riflettente" (Filostrato, Immagini, a cura di Carbone A.L., 2008, pag.15). Il mito di Narciso si collega all'ambigua natura dell'immagine, posta fra verità ed inganno, fra realtà ed imitazione, fra vita e morte. Ovidio interpreta il mito di Narciso come incontro con il proprio gemello: "...steso a terra (Narciso) contempla il suo gemello, i suoi occhi, due stelle, la chioma che sarebbe degna di Bacco e perfino di Apollo, le guance imperbi, il collo d'avorio, la nobiltà del volto col suo colore bianco e rosa: insomma ammira tutti quei particolari che rendono lui stesso degno di ammirazione. Senza saperlo si innamora di sé e si applaude; è, contemporaneamente, soggetto e oggetto del desiderio, accende il fuoco e ne è arso.." (Ovidio, Le Metamorfosi, 3, 420-425; tad.it. 2000). E, ancora in Ovidio, il mito di Narciso come incontro con l'ombra: "....ingenuo, perché ti affanni a cercar di afferrare un'ombra che ti sfugge? Non esiste quello che cerchi! Voltati, e perderai chi ami! Quello che vedi non è che un tenue riflesso; non ha alcuna consistenza. E viene con te, resta con te, se ne andrà con te, ammesso che tu riesca ad andartene.." (Ovidio, idem 3, 432-436).
Sull'origine dell'arte plastica e dell'arte pittorica parlano i dati preistorici e quelli storici, ma ne parlano anche i miti. Già in età paleolitica l'uomo forgia figure umane utilizzando la pietra e il legno e poi l'argilla e i metalli. Esempio tipico le statuette steatopigie, rappresentazioni non, come comunemente si ritiene, della grande dea madre, ma esaltazione delle parti del corpo femminile deputate alla sensualità ed alla sessualità che generano la vita. Nel Vecchio Testamento è detto che il Creatore forgiò l'uomo con la creta a sua immagine e somiglianza. Il mito ci racconta che fu Dedalo il primo grande scultore greco, anche architetto ed ingegnere. Fu il primo ad aprire le gambe delle statue e forgiarle nell'atto di camminare. E fu Dedalo ad aprire gli occhi delle statue per dare ad esse la possibilità di incontrare lo sguardo del fruitore dell'opera. Lo rovinò la regina Pasifae, moglie di Minosse, re di Creta colta da amore insano, perverso. Innamorata di un toro, Pasifae ha chiesto al genio di Dedalo il modo di sedurre la bestia, e Dedalo fabbrica una giovenca cava, in realtà Pasifae, che somiglia in tutto a una vera giovenca, compagna consueta del toro. L'unione ebbe luogo, e ne è la prova l'aspetto del Minotauro, composto mostruoso di due nature diverse. Ma non è questa unione che qui il pittore ha voluto rappresentare, bensì la bottega di Dedalo. Le figure che lo circondano, alcune appena abbozzate, altre compiute, quasi in procinto di alzarsi e camminare, testimoniano di un progresso che l'arte della statuaria non aveva mai raggiunto prima. (Filostrato, Immagini, op.cit. pp.39-40). Si noti l'incontro, nell'ékphrasis, di: arte, mito e parola. Si dice che Dedalo fosse costretto a legare i piedi delle sue statue ad evitare che scappassero. L'artista pagò l'errore perché Minosse gli ordinò di costruire il labirinto dove rinchiudere il mostro. La storia del grande architetto continua con il volo di Icaro; un intreccio di eventi simbolici e metaforici che hanno per tema centrale il progresso culturale, il perfezionarsi delle arti e dei mestieri, la vita dell'uomo inserito in una molteplicità di relazioni: giuste, sbagliate, vere, false, concluse, interrotte, gioiose, dolorose; tutte nell'arco di un'unica esistenza. Ma è noto un altro mito circa l'origine della scultura; è quello del vasaio Butade. Fu Butade, vasaio di Sicione che viveva a Corinto, il primo che ebbe l'idea di modellare ritratti con l'argilla, spinto a ciò dalla figlia, che, innamorata di un giovane che doveva partire per luoghi lontani, circoscrisse con delle linee l'ombra del volto di lui proiettato da una lucerna su di una parete; su queste linee il padre impresse dell'argilla e ne ricavò un calco che poi espose al fuoco, ad indurire assieme agli altri suoi lavori. (Plinio. Storia Naturale, 35, 154-161). La figlia del vasaio Butade trovò lenimento del dolore nell'abbraccio con il simulacro nato dall'ombra e dalla creta. Questo mito ribadisce che l'ombra precede l'immagine; l'ombra come metafora e simbolo del progresso, delle sempre nuove acquisizioni umane nell'ambito di ogni disciplina. Il mito esemplare dell'amore per una statua, la statua vivente, è quello di Pigmalione, mito che ha ispirato un gran numero di letterati, poeti, pittori e scultori. Nella seconda parte del grande racconto manoscritto medievale Il Roman de la Rose,( scritto primariamente da Guglielmo de Lorris) redatto da Jean De Meun, tra il 1275 e il 1280, l'autore narra la storia di Pigmalione che fu poi miniata intorno al 1480 da Robinet Testard. E' questa la prima opera iconografica del mito, ritenuto, all'epoca, pornografica. Successivamente, molti artisti, affascinati dalla vicenda del folle scultore, hanno immortalato il racconto ovidiano in opere pittoriche e scultoree.
Ma se per caso si chiedesse ad Amatunte (città dell'isola di Cipro, nota per il culto riservato a Venere), ricca di metalli, se sia soddisfatta di aver generato le Propediti (fanciulle di Amatunte che per prime fecero commercio della loro bellezza), risponderebbe di no. Venere, indignata contro questo luogo dove si compiono azioni nefaste, sta pensando come punire gli empii.
"...Si persuase che le corna (che avevano) potevano essere loro lasciate: completò allora l'opera trasformando le loro membra massicce in quelle di truci buoi ". Malgrado il miracolo operato da Venere, le sconce Propetidi osarono negare la sua divinità: "...Pigmalione le aveva viste vivere questa loro vita colpevole e, indignato...aveva rinunciato a sposarsi...". Grazie però alla felice ispirazione dettatagli dal suo talento artistico, scolpì in candido avorio una figura femminile di bellezza superiore a quella di qualsiasi donna vivente e si innamorò della sua opera. Pigmalione stesso è preso dall'immagine di quel corpo e contemplandolo concepisce una passione ardente la bacia e gli sembra di essere baciato, le parla, la stringe e crede che le sue dita affondino nelle membra che tocca: teme perfino che per la pressione spuntino dei lividi sulla pelle. E la colma di tenerezze, e le porta quei doni che le fanciulle amano: conchiglie, sassolini levigati, piccoli uccelli, fiori variopinti, gigli, palle colorate e gocce d'ambra dall'albero delle Eliadi (i pioppi). Le mette addosso anche dei bei vestiti, le infila anelli alle dita e lunghe collane intorno al collo; pendono dalle orecchie perle leggere, dal petto catenelle. Tutto le sta bene: però nuda non appare meno bella. Il giovane la depone su tappeti tinti con la porpora Sidonia, la chiama sua amante, le fa appoggiare la testa su morbidi cuscini di piume, come se lei se ne rendesse conto. Pigmalione, non appena torna a casa, si reca dalla statua della sua fanciulla e sdraiandosi sul letto accanto a lei, prende a baciarla: gli sembra di incontrare qualcosa di tiepido. Di nuovo accosta la bocca e le tocca il petto con le mani: al tocco l'avorio si ammorbidisce, deponendo la sua rigidità; cede sotto le dita e il giovane resta attonito, quasi si lascia andare alla gioia ma teme di ingannarsi: pieno d'amore torna a toccare più e più volte l'oggetto dei suoi desideri: è proprio un corpo vivo. Finalmente preme le sue labbra su una bocca vera e dà dei baci che la fanciulla sente (Ovidio, Le Metamorfosi, 2, 220-221; 235-239; 243-249;252-255-258;260-269; 280-284; 287-289; 292-293). Plinio (35, 125; 10, 2, 597 e ssg.; 35,119) ci racconta di Pausia di Sicione, pittore del IV sec., il quale, innamorato della fioraia Glicera, ritrae la fanciulla, ricorrendo alla metonimia, sottoforma di fiori di ogni specie; tanto da perfezionarsi abilmente in questa tecnica. L'Alcesti, opera di Euripide, è stata presentata in concorso nel 438 a.C. L'accaduto si svolge a Fere, in Tessaglia, dove il re Admeto, avendo offerto generosa ospitalità ad Apollo ottiene dal dio il dono di sopravvivere nel giorno designato della morte se qualcun altro si sacrificherà al suo posto. E' Alcesti, la devota sposa di Admeto, che accetta di morire al posto dell'antieroico coniuge. La donna esala l'ultimo respiro salutando tutti serenamente. Admeto non si dà pace; non vorrà vicino a sé, come dice, disperato, altra donna; avrà nel letto un simulacro che rappresenti Alcesti, da ordinare ad un valente artista. Sul mio letto resterà distesa la tua figura, che mani sapienti d'artisti effigeranno: io su di lei mi getterò, l'abbraccerò chiamando il nome tuo (Euripide, trad .it, 1988, pag.36). Il mito di Alcesti è a lieto fine. Euripide chiude la sua opera facendo apparire, per intervento di Eracle, una donna muta e velata che Admeto rifiuta perché non vuole nessun'altra donna. Ma, sollevato il velo che la nasconde, Alcesti, ritrova la vita. Apuleio, autore di Le Metamorfosi, ci racconta della bellissima Carite amata contemporaneamente da Tlepolemo e da Trasillo. Quest'ultimo, poiché Carite ama e sposa Tlepolemo, uccide il rivale. Non tollerando la perdita, la giovane vedova si fa dipingere un quadro del consorte nelle sembianze di Dioniso che venera e custodisce nella sua camera da letto dove riceve l'assassino facendo finta di cedergli. Ma, una volta vicino a lei, gli acceca gli occhi e subito dopo si trafigge il petto con una spada. Trasillo, pentito, si fa seppellire vivo. Ateneo, nella sua opera Deipnosophistae (appartenenti ad una corrente filosofica) riferisce il mito di Cleisofo di Selimbria il quale arse d'amore per una statua di marmo "Pario" dello scultore Ctesicle o Ctesilao custodita in un tempio a Samo. Cleisofo si fa chiudere nel tempio per possedere la fanciulla di marmo, ma non ricevendo che frigidità e durezza, l'amante interpose fra sé e il simulacro un brandello di carne viva (Apuleio, Le Metamorfosi, 13,605).
Non sono pochi i riferimenti di Plinio e di Ovidio agli amori impossibili di ben noti imperatori ed illustri cittadini romani: Strongiglione fece un'amazzone che chiamò éucmenos per le stupende gambe, ragione per cui l'imperatore Nerone se la portava in giro (Plinio, Storia Naturale, 34, 82).
A Lanuvio esistono un'Atalanta ed una Elena raffigurate nude...entrambe eccezionalmente belle...L'imperatore Caligola, infiammato dal desiderio, avrebbe voluto farle staccare, se la struttura dell'intonaco lo avesse consentito (Plinio, Storia Naturale, 35, 17, 18). Lisippo, ingegno fecondissimo, fece il maggior numero di statue, tra le quali l'atleta che si deterge...L'imperatore Tiberio lo ebbe molto a cuore...sicché fece trasportare la statua nella sua stanza (Plinio, Storia Naturale 34, 62). Parrasio dipinse anche un gran sacerdote di Cibele, un dipinto che a detta di Deculone, fu valutato sei milioni di sesterzi e di cui l'imperatore Tiberio s'innamorò e se lo tenne nella propria camera da letto (Plinio, Storia Naturale, 35, 70). Si dice che Serse si fosse innamorato di un albero di platano e che una citarista provò passione per un cane (Eliano, Historia, 9, 39).
Il delirio e i sogni nella Gradiva di Wilhelm Jensen : Jung comunica a Freud, nel giugno del 1906, di aver letto una novella del romanziere Wilhelm Jensen: Gradiva, fantasia pompeiana, interessante, a suo avviso, perché adatta ad essere interpretata psicoanaliticamente. Jung e Freud interpellano lo scrittore il quale, in modo sbrigativo, dice di non conoscere la psicoanalisi; la novella è solamente il frutto della sua fantasia. Freud, con entusiasmo, scrive il suo saggio riconoscendo che i poeti ed i romanzieri molto spesso riescono a penetrare negli oscuri meandri della mente umana, più degli scienziati, che della mente dell'uomo si occupano con metodi dichiarati scientificamente esatti.
Il giovane archeologo Norbert Hanold disdegna le donne e sembra non avere desiderio di una relazione. La sua passione è l'archeologia. Durante un viaggio in Italia viene colpito dalla bellezza di un bassorilievo raffigurante una fanciulla che avanza in una maniera particolare: il piede destro appoggiato al suolo e quello sinistro sollevato come se camminasse sulla punta delle dita (Qui si coglie la simbologia del piede che sembra essere una parte del corpo fortemente erotica, come sottolinea Freud nel saggio suddetto riferendosi al feticismo). Gradiva si traduce con colei che avanza, che incede nella luce. Il giovane torna in Italia e si stabilisce a Pompei dove allucina la presenza della fanciulla del bassorilievo. Nell'ora della canicola, nella luce abbagliante della città morta, seppellita dall'eruzione del 79 d.C., Norbert vede Gradiva attraversare la strada, come se, uscita dalla tomba, si ripresentasse alla sua vista. Scena fortemente surrealistica. Di notte il giovane la sogna e di giorno cerca di rivederla. Si susseguono sogni e visioni fino a quando, fra le rovine, Hanold non vede più Gradiva, ma una amica di infanzia, Zoe Bertgang. E' questa fanciulla, reale, che fa tornare alla coscienza di Norbert il rimosso. E' lei, Zoe, (significa vita) che cammina come Gradiva, a ricordargli che da bambini si erano voluti bene e che egli, dopo, l'aveva dimenticata. Il giovane rinsavisce e la novella, come la maggior parte delle favole, è a lieto fine.
La diagnosi di Freud è: "nel caso di Hanold dunque si tratta, dopo l'apparizione del bassorilievo, di un inconscio che è stato rimosso, o più semplicemente di un rimosso" (Freud, 1906, Opere, vol.5, Boringhieri, Torino, pag.297). Nella novella di Jensen, segnalato anche da Freud, affiora il tema dello sguardo, un tema ricorrente in molti miti, leggende, superstizioni, favole. Freud ritiene l'atto del vedere e del guardare una pulsione. Lo sguardo, ovvero il guardare, ha occupato molto spazio negli scritti di Freud: nell'analisi del sogno, nelle perversioni, nell'assenza-presenza, il for/da del rocchetto e dello specchio, nel vedere, nel vedersi, e nell'essere visto, nello specchiarsi e nel guardare attraverso lo specchio, temi che nella filosofia di Merleau-Ponty e di Lacan si fanno teoria complessa e articolata. Nelle immagini litiche, marmoree e di ogni altro materiale e nei dipinti, lo sguardo assume significati simbolici e metaforici plurimi perché la vista, più degli altri sensi, è implicata nella relazione. Così, lo sguardo dell'osservatore dell'opera si confronta e si relazione con lo sguardo del personaggio raffigurato. Freud ce ne parla nel "Il Perturbante" pubblicato su Imago, vol. 5, nel 1919. Lo studente Nathaniel da piccolo ascoltava dalla sua balia il racconto del mago sabbiolino che buttava sabbia negli occhi dei bambini che non volevano andare a letto. Nathaniel identifica il mago nell'avvocato Coppelius che ogni tanto pranza con loro. Il ragazzo ha una allucinazione: Coppelius vuole bruciargli gli occhi. Da grande, Nathaniel riconosce Coppelius nell'ottico italiano Giuseppe Coppola che gli vende un paio di occhiali con i quali il giovane guarda verso la casa di fronte del professore Spallanzani. Vede la bella figlia del professore, Olimpia, ma la fanciulla è un automa, una bambola meccanica di legno. L'analisi di Freud è: "al mago sabbiolino si sostituisce il padre, dal quale ci si aspetta l'evirazione" (Freud, Opere, vol.9, pag. 93). In molte opere, anche dell'arte popolare, lo sguardo del rappresentato è conturbante e, per alcune persone disturbate, sconvolgente. Presso gli Egiziani, gli Assiri ed i Babilonesi, l'atto finale della consacrazione di una statua consisteva nell'apertura degli occhi. Aperti gli occhi, la statua entrava nello statuto del vivente. (Freedberg, 1993). Leon Battista Alberti raccomandava ai pittori che si accingevano a dipingere gruppi di persone, che almeno una persona del gruppo guardasse diritto verso l'osservatore. Nell'affresco di Piero della Francesca : la vittoria di Eraclio e la decapitazione di Cosroe, Arezzo, coro della chiesa di San Francesco, un solo personaggio del grande gruppo affrescato guarda diritto, in modo diverso dagli altri, verso l'osservatore. E' lo sguardo di chi si disinteressa di quanto sta accadendo intorno, impegnato nel contatto con il fruitore dell'opera.
Presso il British Museum di Londra c'è una tavoletta d'avorio dell'VIII secolo a.C. raffigurante la Donna alla finestra riferita alla dea Astarte quale Venus prospiciens. La dea, assimilata anche a dee greche e romane, presiedeva alla prostituzione sacra. Il suo sguardo ammiccante incoraggiava l'incontro amoroso. Guy de Maupassant, nella novella "Il Segno", ispirata alle vicende di Astarte, descrive una signora di rosso vestita, alla finestra, da dove ammicca ed incoraggia i passanti. I ritratti su mummia importati in Egitto durante la metà del I sec.d.C., reperiti soprattutto nell'area geografica del Fayum, mostrano una particolarità unica, tale da renderli subito riconoscibili.
Dipinti su tavolette di legno con l'uso di cera calda e colori vari, tecnica detta encausto, venivano posti sul volto fasciato del defunto, dopo la mummificazione. L'immagine propone allo sguardo del vivo le sembianze del morto per trattenerne la pur illusoria presenza.
I pittori che li hanno eseguiti, non sappiamo se con consapevolezza, hanno rivolto agli occhi una particolare cura; occhi grandi e rotondi con ciglia molto scure e sopracciglia spesse ed arcuate. Lo sguardo è assorto, compreso in una realtà nuova. Occhi che sembrano comunicare lontananze remote ed alla cui vista è difficile sottrarsi nel tentativo di impossessarsi del loro segreto (Fayum, misteriosi volti dall'Egitto, Roma, 22ottobre-28 febbraio 1998).
Nel romanzo Il ritratto di Dorian Gray, di Oscar Wilde, la metamorfosi di trasposizione compare sul volto del ritratto di Dorian: " la fremente e ardente luce del sole gli mostrava le linee di crudeltà intorno alla bocca...trasalì e prese dal tavolo uno specchio ovale incorniciato di Cupidi d'avorio, uno dei tanti regali che gli aveva fatto lord Henry. Guardò frettolosamente la sua lucida profondità...aveva espresso il folle desiderio di rimanere giovane mentre il ritratto sarebbe invecchiato mostrando il peso della sua passione e dei suoi peccati. Egli, in virtù del transfert, avrebbe conservato il fiore delicato e la grazia della giovinezza" (Wilde,O., Il ritratto di Dorian Gray, trad.it. 2000, pgg. 95-96).

La Bambola
Non la bambola moderna, figlia della bambina che la possiede, ma la bambola antica, greca o romana, ed anche una bambola ancora più antica che era il doppio - gemella della sua padroncina. Bambola snodabile, dagli arti mobili, come la famosa bambolina della fanciulla romana prematuramente morta, Crepereia Tryphaena (150-160 a.C.). La bambola, al contrario della statua e del dipinto, (nel mito e negli amori insani ciò accade, ma non è naturale) si prende, si tocca, si possiede. La fanciulla l'abbraccia, la cura, la veste; Con essa gioca, con essa si identifica. Quando la fanciulla, divenuta giovane, va a nozze rinunziando alla verginità, la bambola esaurisce il suo ruolo di doppio-gemella della sposa. Allora, viene portata nel tempio per essere donata ad una dea.

Conclusioni
Il dipinto, la scultura e qualsiasi altro oggetto di arte tende ad eludere la morte ed a rappresentarci ciò che non è rappresentabile; oggetto di duplice valenza in quanto nega la presenza del referente pur rappresentandolo. Gli Iconoclasti si sono scagliati contro tutti quelli che hanno osato rappresentare il divino tramite immagini. Ma, l'Iconoclastia ha dovuto cedere perché l'uomo non può non fare assegnamento sul proprio referente; l'immagine umana. Se Dio è divino, non materiale e non circoscrivibile, come è possibile, anzi come può essere legittimo rappresentarlo in forma materiale e circoscritta? E' questa l'argomentazione impiegata da tutti coloro che sono ostili alle immagini: ma l'argomentazione che le si oppone dipende dal fatto che Cristo, immagine del Padre, si incarnò come uomo. Questo non solo è il modo in cui egli deve essere compreso, è anche l'unico modo per capire la sua componente divina nella sua presenza carnale, visibile, materiale (Freedberg D., op.cit., pag.585) Ci sarebbe da dire molto sulle aggressività subite da alcuni capolavori dell'arte: La Ronda di notte di Rembrandt, la Pietà di Michelangelo, La caduta dei dannati di Rubens, la Venere di Velazquez. Tali eventi capovolgono e stravolgono i miti delle immagini amate e venerate. Perché attaccare le immagini? Quali le motivazioni? Il piacere di una insana notorietà? La follia? L'insulto alla bellezza femminile per una rivendicazione? Anche qui, l'immagine è percepita viva se su di essa si travasano: delusioni, rimpianti, desideri inappagabili, risposte mancate. Sotto le spoglie dei miti si cela la storia dell'umanità che progredisce. I miti sono metafore culturali. Raccontano della civilizzazione e delle conquiste, della nascita della pittura, già in Ere preistoriche, e il suo successivo perfezionamente. Narrano della scultura; dal ciottolo a Dedalo, a Fidia. Narrano dell'ineliminabile bisogno umano del Divino. Compaiono sul grande palcoscenico delle commedie e delle tragedie, quelle di ieri dei Greci, quelle dei Romani e quelle recenti della nostra epoca, i personaggi, spesso surreali, fittizi, paradossali, saggi o folli, che ricapitolano la comune e, sempre la stessa, vita dell'uomo inserito nella intrigata rete di rapporti con i suoi simili.
Nella presente relazione si evidenzia, soprattutto, in maniera paradossale e patologica, l'illimitato confine dell'illusione; l'illusione di dare la presenza alle presenze che non possono più proporsi e alle Presenze invisibili verso le Quali propendiamo disperatamente cercando di rappresentarcele forgiando: la pietra, l'argilla, i colori ed i metalli.
Per accedere al divino, alla divinità che sia pagana, cristiana o di ogni altra religione, servono immagini percepibili ricavate dall'unico modello disponibile: quello dell'uomo vivente.]


Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti (d):

Il Prof. Pisani osserva come la relatrice, attraverso le immagini mitologiche, stia riproponendo sia il tema del conflitto perenne ed infinito tra la vita e la morte, tra eros e thanatos, sia la rappresentazione dell'erotismo, tanto di tipo narcisistico quanto rivolto all'esterno. C'è non solo l' espressione del conflitto tra la vita e la morte, ma anche la valorizzazione dell' erotismo.
Il Dr. I. Majore fa riferimento all'immagine dei sogni. I sogni si presentano come immagini in riferimento ad un movimento profondo non rappresentabile. Si chiede che senso abbiano queste immagini che non sono fatte per l'uomo sveglio, ma per il dormiente. Il messaggio del sogno è una comunicazione all'interno della mente e le immagini rappresentano qualche problematica. Nei sogni si attivano le nostre strutture che si presentano sotto forme varie. Questo presentarsi è un linguaggio che comunica a noi stessi affinché il resto della mente, sentendo che sta succedendo qualcosa, si adegui e intervenga. I sogni infatti sono composti di tre parti: una prima parte neutrale, ad es. una casa, un paesaggio; poi accade qualcosa, nella parte finale c'è un rimedio che può riuscire o meno. Questo significa che l'immagine rappresentata nel sogno ha svegliato il resto della mente che è intervenuta. Il discorso delle immagini artistiche assomiglia molto a quello delle immagini dei sogni.
La Dr.ssa Ferrante riporta che in molti testi d'arte ha trovato brani interi dove si parla dell'immagine del sogno, come se l'immagine riproducesse il sogno. I miti nascono dai sogni che precedono la struttura del mito.
Il Prof. Majore evidenzia che molte immagini artistiche sono dei sogni collettivi perché estrapolano la problematica collettiva con la reazione individuale; diversamente non avrebbe senso l'arte e la non arte. Nell'arte c'è un fondarsi nel collettivo e uscirne con una soluzione personale, nella non arte c'è solo l'aspetto collettivo.
La Dr,ssa L. Taborra collega la prima immagine presentata dalla relatrice ( The Makapansgat Cobble, tratta dal testo di D.Gamboni " potential images" , 2002) risalente a tre milioni di anni fa, ai primi miti lunari, alla luna come divinità femminile; di fatto se guardi la luna vedi proprio questa immagine, rileva.
La Dr,ssa Ferrante sottolinea come la capacità di rappresentazione per immagini già fosse presente negli australopitechi.
La Dr.ssa G. Gargano coglie sempre negli interventi di Ferrante elementi di poesia. Ha parlato della potenza e della sacralità dell'immagine, come se si realizzasse la trascendenza nell'avvicinamento dell'immagine al sacro. Come diceva Neumann: soltanto la bellezza nel tempo si può salvare. Oggi però non abbiamo più l'arte come sostenitrice del bello.
La Dr.ssa Ferrante traduce questa notazione come un segno di speranza. Reputa che il contatto con l'arte, il contemplare anche a lungo un' opera d'arte, dia delle emozioni eccezionali: l'essere umano la guarda, poi se ne va , poi ritorna e l'opera è sempre li, a disposizione. Certo è inanimata, ma è inutile dire che di fronte all'immagine del sacro si osservano fenomeni che mostrano la potenza dell'immagine.
Il Dr. S. Zipparri evidenzia che la relazione ha suscitato il suo interesse sia per ciò che è stato detto, sia per ciò che traspare dalla personalità della relatrice la quale ha molti interessi personali, tra cui il teatro, che trascendono lo specifico professionale. Azzarda che nella personalità della relatrice ci sia un aspetto trasgressivo che emerge dal legame da lei individuato tra feticismo e arte, come oggetto inanimato che finisce per diventare illusoriamente carico di vita: La relatrice ha fatto solo un riferimento all'automa, al Mago Sabbiolino, ma secondo lui è una chiave di lettura importante. Nell'automa c'è il mito del creare dall'inanimato che è la fantasia del mito moderno. Egli crede che il mito più moderno sia quello di Frankenstein che si riallaccia a Prometeo tanto è vero che quando Mary Shelley l'ha scritto, l'ha sottotitolato il "Prometeo moderno". Quindi c'è questa fantasia, che nel mondo moderno è sempre più stimolata, di riuscire in qualche modo a ricreare la vita, a fare una fantasia di creazione del mondo: è una fantasia perversa, che oggi con le nuove bio-tecnologie, sta trascendendo anche l'umano. Si riferisce anche a quello che c'è nella rete e nel virtuale a proposito di bambole che si animano.
La Dr.ssa Ferrante apprezza questi interessanti interventi che integrano e arricchiscono il suo lavoro. Sottolinea che ognuno di noi ha dei sensi più sviluppati: lei personalmente non ha orecchio, non è intonata, ma è affascinata dalle immagini. Fa presente che non ha letto nulla di Nerone, Caligola, Tiberio, ma di Serse aggiunge che s'innamorò di un albero di platano; succede anche d'investire di amore un oggetto. Reputa bello che gli esseri umani siano capaci anche di questo.
La Dr.ssa A.M. Meoni evidenzia come in situazioni di veglia o di rilassamento accada di essere colpiti da un' immagine e sentirla come qualcosa di più di ciò che rappresenta. Avviene ovviamente nei perversi per i quali è tipico innamorarsi di un' immagine e non riuscire a farne a meno. Lei però stava pensando alla cultura islamica ed ebraica che negano l'immagine. Quando è stata in Israele, al termine del percorso dell'Olocausto, ha rilevato la totale assenza di ogni tipo d'immagine fino all'ultima sala, dove espongono artisti contemporanei ebraici: qui si viene sommersi da immagini artistiche. Ne ha chiesto il significato ad un artista ebreo che non gliel'ha saputo dire. Lei ha pensato che questo popolo cosi rigido, passata la grande sofferenza, abbia maturato questa cultura: capire che la creatività è un modo per superare i lutti e le angosce attraverso un'elaborazione e rielaborazione che l'artista conduce in prima persona e di cui il fruitore gode perché la partecipa.
Il Prof. Pisani evidenzia che nei miti possono essere prese in considerazione la parte mortifera e la parte erotica. Pensava ai due modi di combattere la morte: la sessualità e la socialità; la relatrice ha presentato l'erotismo come strumento di lotta contro il mortifero.
Il Dr. V.Lusetti si riferisce alle immagini (mostrate dalla relatrice) nelle quali i personaggi sono accomunati da un movimento di fuga dall'amore. Pigmalione, il giovane che senza saperlo è innamorato di una ragazza ed è costretto a crearsi una donna tutta per sé: una statua che non tradisce e resta sempre così. Poi c'è Narciso che s'innamora della propria immagine per fuggire da una serie di relazioni pericolose: quella con Amina, amore omossessuale, con Eco. Poi c'è l'immagine di Gradiva che evoca la trascendenza, in realtà una fuga, come si evince dallo sguardo sdegnoso che impedisce qualunque rapporto. Egli si chiede se l'arte sia, oltre che una riproduzione nei suoi stadi più primitivi, anche un tentativo di trascendenza nel senso della fuga anche dalla morte. Molte espressioni artistiche erano fatte proprio per riprodurre la figura umana ed influenzarla attraverso atti magici. Forse da qui deriva l'iconoclastia perché l'immagine di Dio in questo senso è sacrilega. Si dispiace di riportare un discorso così bello, su coordinate drammatiche.
La dr.ssa Ferrante commenta che il pericoloso e l'allettante procedono insieme; non c'è piacere senza il dispiacere.
Il Dr. A. Lombardo fa riferimento al matematico P. Odifreddi che parla di uno strano circuito in cui la mente non sta mai ferma perché è come un tavolo da biliardo dove le biglie continuano a girare e ci sono sempre nuove immagini e c'è energia. Queste immagini non si fermano mai e passano da un lato all'altro e quindi l'arte si può vedere come nuove biglie, cioè nuove opportunità di far circolare l'energia.
Per la Dr,ssa Ferrante l'arte è un 'occasione di sopravvivenza perché l'opera può essere tramandata mentre l'uomo è effimero. ]


Note di redazione:
(t) testo relazione direttamente fornito dalla relatrice e (d) testi dialogo da registrazione vocale a cura di Antonella Giordani, con revisione della relatrice dr.ssa M.A.Ferrante.
Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com


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